3
Introduzione
La tesi si propone di esaminare la recente crisi del sistema finanziario mondiale -
considerata la più grande dopo quella della Grande Depressione degli anni Trenta-
traendone insegnamenti e sfide da affrontare per non ripercorrere errori e lacune che
ne hanno causato l’esplosione con le terribili conseguenze sull’economia reale.
Non pretende minimamente di trarne insegnamenti definitivi perché è tuttora in
corso e anzi, negli ultimi tempi, ha avuto sviluppi imprevisti mostrando come rischi
sovrani e del sistema finanziario siano strettamente interconnessi.
Una prima lezione è stata quella relativa alla grave carenza di prevedere gli eventi
con riguardo alla stabilità finanziaria, alle conseguenze potenzialmente nefaste dello
sviluppo smisurato della finanza sulla stabilità stessa e allo scatenarsi dei rischi
sistemici.
L’espansione abnorme del settore finanziario è stata incentivata da un grado
crescente di indebitamento (privato) partito dagli Usa dove montava una bolla
immobiliare non rilevata che ha coinvolto persino clienti subprime.
Una potente leva finanziaria ha ulteriormente ingigantito questo meccanismo,
figlio di una ideologia liberista senza limiti.
Squilibri globali senza precedenti erano presenti in questo scenario e una
deregolamentazione tenacemente perseguita nel nome di un fondamentalismo di
mercato ha incentivato una innovazione finanziaria folle e oscura che riteneva di aver
trovato la “pietra filosofale” del secolo XX. Sono stati completamente rimossi i rischi
che si annidavano nella struttura finanziaria, libera di inventare strumenti complessi e
oscuri, esaltati dalle interconnessioni del sistema finanziario globale.
E, quando il “granello di sabbia” delle insolvenze sui subprime si è infilato
nell’ingranaggio, il motore si è fermato.
Da tutto ciò è derivata la necessità di analizzare gli eventi con occhi diversi e
sguardo più approfondito, individuando le cause della crisi e proponendo soluzioni
per irrobustire l’infrastruttura finanziaria -che dovrà connotarsi nel medio periodo
come non autoreferenziale e al servizio dell’economia reale. Andrà irrobustito anche
il profilo di vigilanza delle politiche micro e macroprudenziali.
4
La reazione agli effetti della crisi ha coinvolto oltre al G20, organismi e policy
maker di tutto il mondo: il Comitato di Basilea, il Fsb, il Fmi e la Commissione e il
Parlamento europei, per citarne alcuni.
Più in particolare, nel primo capitolo si analizzano la natura delle crisi, secondo la
classificazione di Rogoff e Reinhart, che hanno indagato “otto secoli di follia
finanziaria”, e quella più recente dei subprime, partita dagli Usa, che viene catalogata
come la “Seconda Grande Contrazione”, dopo quella degli anni Trenta, per i suoi
effetti sconvolgenti globali che hanno avuto pesantissimi riflessi sull’economia reale
mondiale e sono tuttora in corso.
Nel secondo, che consta di due parti, si esaminano in primo luogo le lezioni per
gli economisti –che non hanno previsto lo scenario della crisi- e i regolatori. Viene
evidenziata l’importanza dell’emergere dei rischi sistemici –con la necessità di
tenerne conto nei modelli previsivi- e la conseguente necessità di una nuova
vigilanza, quella macroprudenziale, che si avvalga di organismi appositamente creati
per seguirla, con un set di opportuni dati e dello sviluppo di un “tableau de board”
per la sorveglianza dei rischi stessi unitamente a un insieme di nuovi strumenti
macroprudenziali.
In un’ottica prevalentemente europea, viene poi esaminata la strategia della
politica monetaria della Bce, la conferma del cui obiettivo di stabilità dei prezzi
rimane essenziale, accanto a un ruolo attivo nel porre in atto politiche di stabilità
finanziaria. Viene ribadita l’importanza di fornire liquidità al sistema, il cui
approvvigionamento è decisivo per la stabilità dello stesso.
All’altro fondamentale strumento di politica economica, la politica fiscale è
dedicato un paragrafo in cui si analizzano –a grandi tratti- le risposte in materia nei
principali paesi dell’Eurozona. Al contrario della politica monetaria unica, questo
strumento è responsabilità dei 17 paesi dell’Eurozona: è una zoppía che andrà
corretta in direzione di una maggiore armonizzazione delle politiche fiscali (perché
alla lunga non si può condurre una politica economica con due strumenti che coprono
dimensioni diverse). Tratto comune della crisi è stata l’esplosione dei debiti pubblici
per soccorrere il sistema finanziario e contrastare le cadute dell’economia reale.
5
In questo scenario viene fatto riferimento al ruolo della moneta unica dal suo
avvento sino ai problemi odierni che ne insidiano gravemente la “tenuta”. Il caso
della Grecia è emblematico al riguardo. Più in generale, problemi di varia natura
hanno investito i cosiddetti paesi periferici sino a toccare, in particolare alla fine
dell’estate, pure il nostro Paese. Ma questa è una storia in corso.
Emerge comunque la necessità di una revisione profonda della governance
economica europea per rispondere in modo più appropriato alle sfide enormi poste
dalla crisi, le cui conseguenze sul sistema finanziario nel suo insieme a livello
globale vengono esaminate nel paragrafo relativo alle “lezioni e sfide” per il sistema
finanziario stesso.
Uno degli insegnamenti più rilevanti da trarre dalla crisi è la necessità di
ridimensionare nel medio termine il peso della finanza, eccessivamente gonfiatasi
negli scorsi decenni, divenendo autoreferenziale e perdendo di vista il suo scopo
principale di caratterizzare un sistema finanziario che supporti l’economia nel suo
insieme e ne aumenti il potenziale di crescita.
La necessità di un coordinamento delle riforme da attuare a livello globale è
essenziale ai fini di una corretta attuazione delle misure studiate dagli organismi
internazionali per superare gli effetti nefasti della crisi. Ai primi di novembre,
verranno rassegnati al Vertice del G20 a Cannes i risultati dei lavori in corso che
dovrebbero contenere proposte concrete, da parte del Fsb, oltre a quelle già avanzate
dal Comitato di Basilea, per superare i problemi posti dalle istituzioni sistemiche, dal
sistema bancario ombra e dai titoli derivati, in particolare quelli scambiati Otc.
Nelle conclusioni si riepilogano alcune “lezioni” della crisi in una prospettiva
essenzialmente europea.
6
Capitolo I: La “Seconda Grande Contrazione”
- 1.1. Natura delle crisi
La crisi del sistema finanziario globale iniziata nel 2007 negli Stati Uniti e
diffusasi in seguito in Europa e nel resto del mondo, tuttora in corso, è stata un
evento sistemico, destabilizzante a livello globale con pesantissimi riflessi
sull’economia reale mondiale.
Si è trattato di una crisi di natura finanziaria da connotare, seguendo la
classificazione di Reinhart e Rogoff, tra quelle bancarie. Altri tipi di crisi sono i
default sul debito sovrano (che si verificano quando uno Stato non rispetta le
scadenze dei pagamenti per il debito estero o per quello domestico o per entrambi), le
crisi valutarie (quando il valore della moneta di un paese scende precipitosamente,
come quelle che hanno colpito l’Asia, l’Europa e l’America Latina nel decennio
1990-2000) e quelle caratterizzate da periodi di altissima inflazione (equivalgono di
fatto ad un insolvenza vera e propria, dal momento che l’inflazione consente a tutti i
debitori, compreso lo Stato, di rimborsare i debiti in una moneta che ha un potere di
acquisto molto inferiore a quello che aveva quando i debiti furono contratti).
Le crisi sono ricorrenti nella storia e, in particolare, le crisi bancarie, che hanno
colpito sia i paesi ricchi che i paesi poveri. Spesso, le crisi bancarie si presentano in
concomitanza con una bolla dei prezzi immobiliari, come è successo anche durante la
“Seconda Grande Contrazione”
1
, iniziata nel 2007 e scoppiata con violenza nel 2008.
Le dinamiche sui prezzi in rialzo delle case hanno svolto in varie occasioni un ruolo
importante nello sviluppo delle crisi finanziarie.
Le crisi finanziarie hanno antecedenti macroeconomici comuni nei prezzi degli
assets, negli indicatori esteri e indicatori di altro tipo. Da esse emerge chiaramente
1
La recente crisi globale è denominata da Reinhart e Rogoff “Seconda Grande Contrazione”, in
analogia con Friedman e Swartz (1963) che hanno definito la Grande Depressione degli anni Trenta
con l’espressione “Grande Contrazione”. Il termine «contrazione» descrive in modo efficace il crollo
su vasta scala dei mercati creditizi e dei prezzi degli assets che ha caratterizzato la fase più intensa di
questi eventi, insieme alla contrazione dell’occupazione e della produzione.
7
che non vengono considerati i pericoli nei quali inevitabilmente si incorrerà allorché
i paesi, le banche, i consumatori e le imprese si indebitano eccessivamente nei tempi
buoni, senza considerare i rischi che ne conseguiranno quando arriverà l’inevitabile
recessione.
Le crisi bancarie e finanziarie sono correlate e questo si è riscontrato analizzando
le serie storiche relative al reddito, ai consumi, alla spesa pubblica, ai tassi di
interesse e ad altre variabili.
Il ruolo delle banche nella trasformazione delle scadenze, ovvero delle
disponibilità a breve termine derivanti dai depositi, che possono essere ritirati in
qualsiasi momento, in prestiti a lungo termine, le rende molto vulnerabili ai panici
bancari. Normalmente, la banca detiene in forma liquida risorse sufficienti per
fronteggiare il fisiologico ritiro dei depositi. I prestiti che erogano hanno peraltro per
la maggior parte una scadenza molto più lunga e possono essere difficilmente
convertiti in denaro contante con breve preavviso. Se, pertanto, per un qualche
motivo, si crea il panico e crolla la fiducia nella banca, allora i clienti corrono in
massa a ritirare i risparmi. Così l’istituto finanziario è costretto a liquidare attività in
emergenza e a prezzi molto più bassi del reale valore. Anche se la banca sarebbe
solvibile, il suo bilancio ne potrebbe essere destabilizzato. Se il panico investe un
gran numero di istituti finanziari, allora non sarà possibile reperire la liquidità
necessaria nel sistema.
Gli episodi di panico bancario sono un importante esempio della fragilità dei
debitori, pubblici e privati, che operano con una leva finanziaria (ossia hanno un
capitale esiguo in rapporto all’ammontare delle attività a rischio) molto alta.
Questo è quello che è accaduto a partire dal 2007 negli Stati Uniti, a causa della
crisi finanziaria dei mutui “subprime”
2
.
Gli americani erano abituati da sempre ad acquistare la casa con il mutuo; dal
2003 ha iniziato a gonfiarsi una bolla speculativa sugli immobili. I prezzi delle case
hanno iniziato ad aumentare, i tassi di interesse erano molto bassi ed era quindi
attraente la prospettiva di investire in immobili. In teoria, chi compra una casa non
dovrebbe accollarsi mutui che non può permettersi di pagare. I bassi tassi di interesse
2
I subprime sono prestiti immobiliari concessi a soggetti a rischio (ovvero a debitori che sono stati
già insolventi o che non danno garanzie circa i propri redditi e le proprie attività).
8
potevano solo aiutare a ribassare le rate di pagamento del mutuo. Invece, si sono
abbandonati i principi tradizionali e si è sviluppato un fenomeno di esuberanza
irrazionale delle famiglie, che vedevano i prezzi degli immobili salire continuamente
e decidevano di acquistare una casa, senza preoccuparsi eccessivamente delle
modalità di rimborso del mutuo. Inoltre, agli acquirenti si concedevano mutui
immobiliari, anche senza anticipo, con rate mensili che andavano al di là della loro
capacità di rimborso
3
. Il fenomeno ha riguardato i soggetti a basso reddito,
appartenenti a minoranze svantaggiate e non solo, che aspiravano al “sogno
americano” del possesso della prima casa, incentivato dai presidenti americani e
facilitato da credito lungamente a basso costo, in concomitanza del continuo aumento
dei prezzi degli immobili.
Durante la prima metà del 2007, la crescita del prodotto mondiale era ancora
sostenuta. Negli Stati Uniti, peraltro, i prezzi delle abitazioni hanno iniziato una
flessione da giugno 2006. La riduzione dei prezzi è stata accompagnata da un
aumento del tasso di insolvenza sui mutui ipotecari.
A giugno 2007, due hedge funds, gestiti dalla banca d’affari statunitense Bear
Stearns, che avevano investito in mutui considerati ad alto rating, annunciavano di
trovarsi in difficoltà.
Da quel momento, la crisi finanziaria ha iniziato a coinvolgere quasi tutte le
banche Usa e anche quelle fuori dai confini americani ed ha avuto origine, come
detto, proprio dal settore bancario. Il disastro nel sistema bancario statunitense è stato
causato dal fatto che molte istituzioni finanziarie hanno operato finanziando i loro
investimenti illiquidi con depositi a breve termine. Inoltre, le banche che avevano
concesso mutui subprime e non solo si erano difese dal rischio di insolvenza con
un’operazione di mercato: avevano cioè cartolarizzato il debito, emettendo
obbligazioni ad alto rendimento che venivano acquistate da investitori istituzionali.
Per questo motivo, la crisi dei mutui subprime ha sconvolto i mercati finanziari e
coinvolto in un effetto domino gli istituti bancari, alcuni dei quali sono falliti o sono
stati nazionalizzati.
3
P. Krugman, “Il ritorno dell’economia della depressione e la crisi del 2008”, Garzanti editore, 2009.
9
Le crisi bancarie sono spesso accompagnate da altri tipi di crisi, come, per
esempio, crisi del debito e crisi inflazionistiche. La letteratura economica documenta
che le crisi finanziarie possono influire in molti modi sulle attività reali. Durante la
recessione, le imprese soffrono in misura maggiore a causa della contrazione del
credito bancario.
Anche Bernanke, attuale governatore della Fed, ha studiato la crisi degli anni
Trenta, rilevando, tra l’altro, che la capacità di concedere credito del sistema
finanziario ha richiesto molto tempo prima di tornare ai livelli pre-crisi. Bernanke è
diventato presidente della Fed nel 2006 e ha avuto così l’opportunità di mettere in
pratica, durante la Seconda Grande Contrazione, le lezioni tratte dagli anni Trenta.
Ripercorrendo le tappe della recente catastrofe finanziaria, si evidenzia
chiaramente come la finanza sia cresciuta a dismisura a partire dagli anni ’80, in un
clima di “euforia irrazionale”, con comportamenti speculativi e azzardati quando non
fraudolenti, favorita in modo decisivo dallo smantellamento delle regole, avvenuto
principalmente negli anni ‘90.
Per inciso, le lezioni dalle crisi passate non sono state sufficienti a creare un set di
“allarmi”, avvisi che indicassero che la crescita di valore nel settore immobiliare non
era giustificata dai fondamentali. Si andava così formando una pericolosissima bolla,
che, di lì a poco, sarebbe scoppiata.
La finanza e la liberalizzazione finanziaria avevano dato una spinta crescente ai
profitti: l’esposizione della finanza è passata dal 21 per cento del Pil nel 1980 al 116
per cento nel 2007
4
. I profitti si sono legati sempre di più ai guadagni di breve
termine e questo era un invito a investire in attività molto redditizie senza valutarne il
rischio implicito. Sebbene non tutti i boom del credito si concludano con una crisi
finanziaria, la maggior parte delle crisi nelle economie di mercato è stata preceduta
da boom creditizi.
Le crisi bancarie, soprattutto quelle sistemiche, sono accompagnate da contrazioni
dell’economia. Le politiche di risposta a queste crisi sono il salvataggio degli istituti
bancari ad esempio attraverso l’acquisto delle attività in sofferenza o favorendo le
4
M.Mucchetti, “Usa, i sette errori del capitalismo”, Il Sole 24 Ore, 9 ottobre 2008.
10
fusioni con le banche più “sane” oppure è lo Stato che acquisisce direttamente
partecipazioni nelle banche per salvarle e farne proseguire l’attività. I tempi di
risoluzione sono molto lunghi e incidono a lungo sull’economia reale.
Se una crisi paralizza il sistema bancario è molto difficile per un’economia
riprendere la normale attività economica. Bernanke ha individuato nel collasso delle
banche (che fu molto esteso) una delle principali ragioni per cui la Grande
Depressione degli anni Trenta è durata così a lungo ed è stata così devastante.
Questo forte collegamento tra i mercati finanziari e l’economia reale, specialmente
quando i mercati finanziari smettono di funzionare è il motivo che ha fatto diventare
molte crisi “spettacolari” eventi storici.
Nel periodo successivo alla Seconda guerra mondiale, si sono verificate ben 138
crisi bancarie
5
. Per prevedere scenari di crisi bancarie, uno degli indicatori
fondamentali da monitorare è l’indice di sviluppo e il ciclo dei prezzi del mercato
immobiliare. Però, il suo andamento non è così definito come la bilancia dei
pagamenti o il livello delle esportazioni di un paese; bisogna valutare più sintomi
della crisi, tipici del periodo che precede lo scoppio di una bolla.
Le crisi influenzano solitamente l’economia reale che va in recessione
(diminuzione del Pil, aumento della disoccupazione, riduzione del commercio
internazionale, ecc..). Tra l’altro a seguito degli interventi di salvataggio degli istituti,
si ha un aumento del deficit dei bilanci pubblici e questo contribuisce a far lievitare
lo stock di debito pubblico; secondo le statistiche, l’eredità delle crisi è il forte
incremento del debito pubblico. Ponendo uguale a 100 lo stock di debito al tempo
della crisi, tre anni dopo lo stock raggiunge mediamente il valore di 186. In altre
parole, si ha quasi il raddoppio della quantità di debito.
5
C. Reinhart e K. Rogoff , “Questa volta è diverso”, Il Saggiatore editore, 2010.
11
Figura tratta da Reinhart e Rogoff, 2010.
6
La crisi dei subprime ha contraddetto la tesi che sosteneva che le crisi finanziarie
acute riguardavano solo i mercati solitamente più volatili dei paesi emergenti; gli
eccessi e le bolle possono formarsi in qualsiasi economia.
Era diffusa l’illusione che in Usa i prezzi degli immobili sarebbero sempre
cresciuti e non sarebbero mai diminuiti di valore, perché esistevano nuovi mercati,
nuovi strumenti e nuovi creditori. L’ingegneria finanziaria ha risposto proprio a
queste necessità degli investitori. Sono stati creati nuovi strumenti finanziari per
assicurarsi, così si riteneva, dal rischio. Il sistema finanziario mondiale ha creato e
sviluppato, a partire dagli anni ottanta, nuovi strumenti finanziari di investimento e
risparmio; una delle cause delle recente crisi globale è, sicuramente, il notevole
aumento delle dimensioni della finanza, rispetto al sistema reale produttivo, la
notevole complessità di questi strumenti e il loro dilagare nel sistema economico.
Se il paese è colpito da uno shock negativo, le banche registrano delle
“sofferenze”. Il tasso di insolvenza dei prestiti aumenta e si ripresentano crisi di
fiducia negli istituti finanziari che fanno aumentare la contrazione del credito. Se i
sistemi bancari si bloccano, a causa dell’aumento dei tassi di insolvenza, anche la
crescita dell’economia si arresta, poiché le economie moderne sono legate
6
C. Reinhart e K. Rogoff , “Questa volta è diverso”, Il Saggiatore editore, 2010.
12
strettamente al funzionamento degli istituti creditizi. Come sottolineano Reinhart e
Rogoff, in America, come in Europa, le banche sono diventate il cuore del
capitalismo, ma anche il suo punto più debole.
È provato che i sistemi finanziari sono intrinsecamente instabili e la
liberalizzazione dei movimenti dei capitali finanziari internazionali ha accentuato
questa instabilità e, inoltre, hanno da sempre un comportamento ciclico, in cui si
alternano crescita e recessione. In queste condizioni la mancanza di regole non fa che
accentuare le caratteristiche di entrambi i periodi, con anni di crescita in cui nascono
e si sviluppano velocemente le “bolle”, caratterizzate da una fiducia cieca nelle
possibilità future, e anni di recessione, a volte depressione e comunque incertezza.
L’effetto più immediato è la contrazione del credito, che costringe lo Stato a
intervenire per la continuità dell’attività di intermediazione. Dal conto suo, la banca
centrale immette liquidità nel sistema per far ripartire e coadiuvare il mercato, per
evitare e porre un argine alle cosiddette “corse agli sportelli”.
Se l’elevato debito pubblico si è dimostrato un precursore comune a tutte le crisi
del Dopoguerra, negli Stati Uniti, invece, un ruolo più rilevante e decisivo lo ha
giocato il debito privato, aumentato circa del 30 per cento nel decennio precedente
l’inizio della crisi.
Non ci sono particolari differenze se si raffrontano le caratteristiche delle crisi
finanziarie successive alla Seconda guerra mondiale rispetto alla crisi finanziaria
globale ancora in corso, se non nell’intensità; le crisi finanziarie sono avvenimenti di
lunga durata e sono caratterizzate da elementi comuni.
1. In primo luogo, mentre i crolli dei prezzi delle azioni subiscono una
contrazione che dura circa tre anni e mezzo, il segno negativo nei mercati
degli asset si registra per un periodo medio di sei anni.
2. In secondo luogo, sono frequenti drastici cali della produzione e
dell’occupazione: il tasso di disoccupazione sale in media per più di quattro
anni durante la contrazione del ciclo. La produzione cala, in media, per due
anni, un periodo notevolmente più breve di quello dell’aumento della
disoccupazione.