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CAPITOLO PRIMO
BASILEA II: ORIGINI E LIMITI DEL
NUOVO ACCORDO
1.1 La gestione del rischio e default: come nasce Basilea I
Le trasformazioni strutturali dell‟economia e lo sviluppo delle tecniche di
risk management, hanno indotto le banche a concentrare la propria
attenzione sulla misurazione e sulla gestione dei rischi, nonché sulla loro
adeguatezza patrimoniale rispetto agli stessi. Il Comitato di Basilea per la
vigilanza bancaria
1
, tenendo conto di tal evoluzione, ha fondato i propri
obiettivi sulla solvibilità e solidità del sistema finanziario, e sulla
conformità alle differenze competitive fra le banche internazionali.
Negli anni, l‟accresciuta importanza nella gestione dei rischi ha trovato il
proprio fondamento nel principio per cui ogni attività bancaria comporta
l‟assunzione di un certo grado di rischio
2
. La funzione stessa
d‟intermediazione e trasferimento tra unità in surplus ed unità in deficit
ha conosciuto negli ultimi decenni un notevole sviluppo, stabilendo
nuove forme per impiegare proficuamente le proprie risorse; in tal modo
1
Il Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria è l‟organo istituito nel 1975 dai Governatori delle
banche centrali del Gruppo dei Dieci. Il comitato è presieduto da alti funzionari di vigilanza bancaria
con l‟obiettivo di promuovere la cooperazione fra gli stessi istituti e perseguire la stabilità monetaria e
finanziaria. Il comitato, non possedendo autorità sovranazionale, stabilisce linee guida che vengono
recepite in normativa vincolante in oltre 140 paesi.
2
Zazzara C., “Il ruolo del capitale nelle banche e la sua regolamentazione: dall’accordo di Basilea
del 1988 ad oggi”, ottobre 1999, pag. 7
4
il connesso incremento nel mercato della liquidità, dell‟efficienza e della
dinamicità ha aumentato, al tempo stesso, il grado d‟incertezza.
La crisi del 2008 ha dimostrato che, nonostante le innovazioni
finanziarie, persiste il principio per cui è impossibile disporre di
un‟informazione completa attraverso la quale annullare i rischi relativi e
prevedere quale scenario si possa verificare.
In campo economico-finanziario, il concetto di rischio si riferisce alla
possibilità che una determinata operazione generi un risultato diverso da
quello previsto ed atteso. In questo senso, l‟organizzazione finanziaria
rappresenta da sempre il risultato dello sviluppo della finanza stessa.
Con riferimento a ciò, le principali tendenze degli ultimi decenni possono
essere riassunte in:
- l‟andamento strutturale dei diversi fallimenti bancari, causati da
gestioni imprudenti di portafogli. In altre parole, sono concesse maggiori
erogazioni di credito, a fronte di minore selettività ed eccessiva fiducia
nelle garanzie offerte;
- la tendenza dei consumatori a favorire operazioni caratterizzate da
minor grado di liquidità e maggior rendimento, ad esempio quote di fondi
comuni;
- l‟elevata competizione sui margini tra costo per il reperimento del
denaro ed il prezzo pagato (spread) che ha finito per diminuire i profitti
delle banche nell‟attività di raccolta, a fronte di un aumento del rischio;
- l‟espansione del mercato dei derivati (Over The Counter), con relativo
rischio che la controparte fallisse nel corso della vita del contratto.
In particolare, durante gli anni Sessanta, la tendenza a una
deregolamentazione finanziaria, aggravata dalla presenza di asimmetrie
nella regolamentazione e dall‟assenza di controlli, provocò l‟adozione, da
5
parte dei grandi gruppi bancari, di strategie fortemente espansive al fine
di eludere i vincoli imposti dalle normative interne.
In tal modo, il sistema finanziario dovette confrontarsi con nuovi rischi
(di credito e di paese) e con il pericolo di una possibile diffusione delle
crisi nazionali ad altri mercati, a causa dell‟accresciuta integrazione
finanziaria.
In tale contesto divenne fondamentale una coordinazione multilaterale
riguardo alla gestione dei rischi connessi al sistema bancario: nacque così
nel 1988 il Primo Accordo sui requisiti di capitale con lo scopo di
stabilire opportuni sistemi per il controllo del mercato e per la vigilanza,
sia attraverso la creazione di modelli di valutazione del rischio, sia nella
definizione di un nuovo rapporto tra banche, imprese e risparmiatori.
L‟importanza per il sistema bancario internazionale di istituire una
regolamentazione comune in grado di gestire le situazioni di incertezza
3
e
rischio
4
, nasce da due nozioni di fondo: il concetto di insolvenza ed il
concetto di rischio stesso.
Il default finanziario si definisce nella possibilità che la controparte
risulti inadempiente, ovvero che la differenza fra il valore del credito
superi l‟ammontare di quanto recuperato.
Le difficoltà sorgono nella determinazione del momento in cui stabilire il
pericolo di default. Nella prassi bancaria la situazione d‟insolvenza è
definita nelle accezioni d‟incaglio e sofferenza
5
, in relazione al grado di
3
L‟incertezza indica l‟impossibilità per il soggetto economico di prevedere con esattezza la probabilità
di accadimento di un possibile scenario.
4
Il rischio denota la situazione in cui il soggetto economico è capace di stabilire con adeguata
probabilità l„evoluzione di un fenomeno.
5
Pagliaghi G., Vandali W., Meglio C. (a cura di), “Basilea 2, Ias e nuovo diritto societario. Impatto
sulle banche e sul rapporto banca.impresa”, editrice Bancaria, Roma, 2005, pag. 23
6
difficoltà presente nei rapporti di cassa. Nel caso specifico del nostro
paese, in cui i portafogli-impieghi delle banche sono dominati dalle
esposizioni creditizie verso le piccole-medie imprese (PMI), la
valutazione di un‟azienda è condizionata dalle gravose prassi
commerciali, che determinano lunghi tempi di regolamento delle
transazioni.
La determinazione del grado di difficoltà delle esposizioni mira a
cogliere con adeguata tempestività il default, evitando al tempo stesso
un‟eccessiva soggettività nella valutazione delle esposizioni, la quale non
è comunque necessariamente indice di un deterioramento della solvibilità
del debitore. Allo stesso tempo un‟eccessiva flessibilità della definizione
d‟inadempienza, aumenterebbe i falsi segnali
6
.
Il rischio di credito definisce, invece, la possibilità che nell‟ambito di
un‟operazione creditizia non sia assolta anche solo una parte degli
obblighi della controparte, generando, in tal modo, una variazione
inattesa sul valore di mercato della posizione creditoria. Perno del Primo
Accordo sui requisiti minimi, la gestione del rischio di credito è il
principale indice di valutazione della solidità di un‟azienda: da un
corretto ciclo di credito dipende, infatti, l‟equilibrio del flusso di cassa
della gestione corrente
7
. In particolare, tale accordo prevedeva che le
banche dovessero avere un patrimonio non inferiore all‟otto per cento dei
propri attivi (c.d. coefficiente di solvibilità). La necessità di introdurre
una specifica normativa che regolasse la dotazione di capitale delle
6
De Laurentiis G., Caselli G., “Miti e verità di Basilea 2”, editrice Egea s.p.a., 2005, pag. 21
7
Sironi A., “I rating interni e i modelli per la gestione del rischio di credito”. Banca d„Italia, Aprile
2000.
7
banche è stata legata a più ragioni. Innanzitutto, in ogni impresa il
patrimonio svolge un ruolo di cuscinetto che attenua eventuali perdite o
riduzioni di valore dell‟attivo patrimoniale. In banca tale funzione è
ancora più importante dato che la tutela deve interessare i depositanti,
spesso rappresentati da risparmiatori non professionali e quindi con
modeste conoscenze di natura finanziaria. Secondariamente, i depositi
bancari, che rappresentano la quota di debito bancario più liquida,
svolgono anche funzioni monetarie: se una banca dovesse dichiarare
bancarotta, gli effetti sull‟intera economia e sul sistema dei pagamenti
potrebbero essere particolarmente severi. La terza ragione è legata alla
volontà di armonizzare le regole di comportamento sul capitale, per
evitare, a livello internazionale, fenomeni di concorrenza sleale. Infine,
l‟introduzione di una normativa sul patrimonio bancario rispondeva alle
necessità di invertire la tendenza, allora in atto, relativa alla riduzione nel
grado di patrimonializzazione e di solvibilità delle banche internazionali.
8
1.2 I limiti di Basilea I: il Nuovo Accordo sul Capitale
L‟evoluzione dell‟attività economia e finanziaria ha evidenziato alcuni
limiti dell‟accordo di Basilea I. In particolare, il sistema introdotto nel
1988 non considerava né il diverso merito creditizio delle imprese private
(per tutte le imprese la ponderazione è indistinta e pari al 100%
8
) né la
diversa vita residua del credito, le garanzie e le eventuali coperture
attivate.
Tale circostanza ha condotto di per sé ad effetti paradossali:
l‟affidamento di breve termine concesso ad una multinazionale quotata e
di elevato standing creditizio richiedeva alla banca lo stesso assorbimento
di capitale di un prestito ad una piccola impresa locale
9
. Parimenti, il
prestito concesso ad una banca di un paese OECD con rating medio (BB)
veniva ponderato con un peso di cinque volte inferiore rispetto ad un
prestito concesso ad una società non finanziaria con rating elevato
(AAA).
L‟anomalia era così evidente per i mercati finanziari che veniva subito
corretta: un‟obbligazione emessa da una banca europea con rating BBB
offriva un rendimento più alto rispetto all‟obbligazione emessa dalla
società con rating AAA.
L‟accordo del 1988 si è rivelato, dunque, non solo poco equo, ma ha
portato con sé il rischio di produrre effetti indesiderati. Se l‟assorbimento
di capitale è uguale a prescindere dall‟affidabilità e dal merito creditizio
8
Principio del “one size fits all”
9
Sironi A., “La misurazione e la gestione del rischio di credito”, in P. Savona e A. Sironi (a cura di),
“La gestione del rischio di credito. Esperienze e modelli nelle grandi banche italiane”, Edibank,
Milano, 2000
9
del cliente, la banca potrebbe essere spinta ad aumentare gli impieghi
verso prenditori più rischiosi: ad essi si applicato, infatti, tassi più elevati
e, quindi, a parità di volumi di impiego, la banca riceverebbe così
maggiori interessi. Allo stesso tempo, la stessa banca potrebbe decidere
di cedere i prestiti di qualità migliore, per esempio attraverso operazioni
di cartolarizzazione, mantenendo così nel suo attivo solo i crediti di
qualità più bassa
10
.
La bassa differenziazione del rischio di credito, che non esaurisce le
probabilità di insolvenza, il mancato riconoscimento di altre tipologie di
rischio, tra cui il rischio di mercato
11
, che possono causare una perdita
negli equilibri di portafoglio, e la poco sofisticata misurazione del rischio
sono state le motivazioni alla base della necessità di revisione del primo
accordo
12
.
Per ovviare ai limiti di Basilea I, nel 1999 il Comitato di Basilea pubblicò
un documento di proposta (CPI) per definire la regolamentazione in
materia di requisiti delle banche. Ad esso hanno poi fatto seguito, nel
2001 e nel 2003, due nuovi documenti di consultazione (CP2 e CP3).
Nel giugno 2004 è stato poi approvato il testo definitivo del nuovo
Accordo di Basilea sui requisiti patrimoniali il cui contenuto è
sostanzialmente simile a quello del CP3. L‟attivazione del Nuovo
Accordo, preceduta da una fase di verifica dei risultati, è avvenuta entro
la fine del 2006 per l‟approccio standard e base dei rating ed entro il
2008 per l‟approccio avanzato dei rating interni, per la cui adozione le
10
si rischia così di dar vita ad operazioni di arbitraggio patrimoniale che diminuiscono la dotazione di
patrimonio della banca senza però che vi sia una reale riduzione dell‟esposizione al rischio.
11
definito nelle potenziali variazioni dei prezzi di mercato, dei tassi d‟interesse, di cambio e dei corsi
azionari
12
D‟Agostino M., “Gli effetti di Basilea 2 sulle imprese”, Bonanno editore, Roma, 2003, pag. 11
10
banche devono dimostrare di avere adottato l‟uso interno dei modelli da
almeno tre anni
13
.
1.3 La struttura generale del Nuovo Accordo
Il primario obiettivo di Basilea II è ridurre i limiti del sistema che regola
l‟adeguatezza patrimoniale delle banche. La revisione passa attraverso il
nuovo schema di regolamentazione che si propone di rendere i
coefficienti minimi patrimoniali delle banche più sensibili al rischio di
favorire l‟utilizzo, da parte delle banche stesse, di più sofisticate
metodologie e processi per la misurazione e gestione del rischio. La
direzione intrapresa con Basilea II tende, dunque, ad avvicinare la
dimensione del patrimonio di vigilanza (capitale regolamentare) con il
capitale economico
14
ed a estendere la copertura del capitale non solo al
rischio di credito e di mercato, ma anche al rischio operativo.
Nella fattispecie, il rischio operativo indicato dal Comitato di Basilea è
individuabile nelle perdite derivanti da disfunzioni a livello di procedure,
personale e sistemi interni, o da eventi esogeni
15
. Inoltre, si ricorda come
la definizione di rischio operativo includa i rischi legati a frodi,
13
Cattaneo C. – Modina M., “Basilea II e PMI, impatti sulla gestione e sulla relazione banca-
impresa”, Franco Angeli, Milano, 2006, pag. 14
14
Il capitale regolamentare è fissato dalle autorità di vigilanza ed il suo livello deve garantire il rispetto
del coefficiente di solvibilità fissato nell‟accordo di Basilea nella misura dell‟8% dell‟attivo ponderato
per il rischio. La dimensione del capitale economico è, invece, determinata da ogni singola banca sulla
base delle attese sui ricavi e sulle perdite. Per gli estensore del Nuovo Accordo, le nuove regole non
dovrebbero modificare il livello aggregato dei requisiti minimi del capitale regolamentare, ma
incentivare l‟adozione nelle banche degli approcci previsti da Basilea II più sensibili al rischio.
15
Comitato di Basilea, Aprile 2003―”The risk of loss result in from inadeguate or failed internal
processes, people and systems or from external events”
11
violazioni delle regole, carenze nei sistemi informatici di misurazione dei
rischi connessi, fattori casuali come eventi politici o terrorismo, o atti
criminali.
Quale conseguenza, Basilea II si propone di elevare la stabilità e la
solidità del sistema bancario internazionale e di favorire l‟insorgere di
una corretta competizione tra le banche
16
.
L‟architettura del nuovo Accordo di Basilea si fonda su tre pilastri:
I. i requisiti patrimoniali minimi obbligatori;
II. il controllo prudenziale delle Banche Centrali;
III. la disciplina di mercato.
Il primo dei tre pilastri, che ha per oggetto i coefficienti patrimoniali
minimi, è quello che suscita il maggiore interesse dato che si propone di
risolvere i limiti del precedente accordo affinando la griglia delle
ponderazioni ed introducendo un requisito patrimoniale oltre che per i
rischi di credito e di mercato anche a fronte del rischio operativo.
Resta valido, al contrario, il limite già fissato per il coefficiente
patrimoniale totale, dato dal rapporto tra patrimonio di vigilanza ed
attività ponderate per il rischio che non deve essere inferiore all‟8%.
Rispetto al vecchio accordo è però maggiore la focalizzazione sui metodi
di misurazione del rischio di credito
17
.
Inoltre, vengono specificate nuove regole per il trattamento delle
garanzie e dei cosiddetti derivati creditizi (risk mitigants) mentre gli
aggiustamenti legati ai rischi di mercato sono marginali.
16
Cfr. Cattaneo C –Modina M., “Basilea II e PMI, impatti sulla gestione e sulla relazione banca-
impresa”, pag. 15
17
Gammaldi D., “Banche e rischio di credito: riflessi organizzativi del nuovo accordo sul capitale”,
Economia e Management, n.1, 2002
12
Il secondo pilastro riguarda, invece, il controllo prudenziale esercitato
dalle autorità di vigilanza i cui poteri non si limitano al controllo del
rispetto quantitativo dell‟adeguatezza patrimoniale, ma interessano pure
la valutazione delle strategie della banca circa la patrimonializzazione e
l‟assunzione dei rischi.
In particolare il secondo pilastro si basa su quattro categorie:
a. i processi delle banche per determinare il loro capitale rispetto al
rischio;
b. la supervisione delle autorità di vigilanza su questi processi e la
loro capacità di intervenire quando necessario;
c. l‟aspettativa dei supervisori che le banche detengano capitale in
eccesso rispetto a quanto previsto dallo schema di
regolamentazione (dove necessario, la Banca Centrale può
richiedere una copertura superiore a quella minima);
d. la necessità delle autorità di vigilanza di intervenire per prevenire
la caduta del capitale sotto i livelli minimi.
Il secondo pilastro assegna dunque alle autorità di vigilanza un ruolo più
attivo nel promuovere l‟adozione in banca di efficaci processi di risk
management e nel valutare la loro adeguatezza patrimoniale.
L‟adozione del Nuovo Accordo a livello internazionale risulta essere
quindi fondamentale per rendere omogenei i regolamenti attualmente in
vigore e stimolare così la leale concorrenza tra banche.
Il terzo pilastro, conosciuto come disciplina di mercato, prevede che le
banche osservino principi di trasparenza informativa. Tempestività e
precisione di informazioni quantitative e qualitative, trasparenza
sull‟adeguatezza e sulla struttura patrimoniale oltre che sull‟esposizione
al rischio: sono queste le qualità richieste per soddisfare la conoscenza
13
del pubblico investitore (azionisti, detentori di obbligazioni e prestiti
subordinati emessi dalla banca).
La trasparenza informativa, inoltre, deve riguardare non solo la
metodologia di calcolo dell‟adeguatezza patrimoniale, ma anche le
tecniche di valutazione e di attenuazione dei rischi. La ratio della norma è
che le banche che più forniscono informazioni al mercato vedano
premiata la loro trasparenza nella possibilità di ottenere finanziamenti dal
mercato a tassi più bassi e condizioni generali più convenienti.
Ma il vero elemento di novità contenuto in Basilea II è l‟adozione di un
sistema interno di valutazione del rischio di credito (sistema di rating)
che, alimentando il calcolo dei coefficienti patrimoniali, diviene
strumento di guida della politica creditizia della banca
18
.
L‟utilizzo di rating fa si che i requisiti patrimoniali richiesti alla banca
siano correlati alla rischiosità di ogni singola posizione. Per esempio, la
copertura patrimoniale della banca per un prestito concesso a due
imprese varierà a seconda del loro diverso grado di rischiosità: quanto
più alto è il suo rating tanto più l‟impresa è considerata rischiosa.
Pertanto la banca tenderà a premiare l‟impresa migliore dato che la
dotazione di capitale della banca stessa per fronteggiare eventuali perdite
su crediti sarà più bassa. Quale diretta conseguenza, a parità di
patrimonio di vigilanza la banca potrà raddoppiare gli impieghi se i pesi
sui prestiti concessi saranno del 50%, ma dovrà diminuirli di un terzo se i
pesi stessi raggiungeranno il 150%.
Con il nuovo accordo la correlazione tra il patrimonio della banca e la
rischiosità dei prenditori di fondi spinge dunque la banca a distinguere la
18
AA.VV., “Basilea 2 questione di rating”, Bergamo economica, n. 3, 2004
14
qualità dei debitori attraverso l‟utilizzo di sistemi di rating che valutino
con precisione e trasparenza il loro grado di rischio. Così facendo, infatti,
il capitale proprio della banca tende a riflettere meglio l‟effettiva qualità
del suo attivo.
Per la misurazione del rischio, Basilea II considera due possibili
approcci: l‟approccio standard e l‟approccio basato sui rating interni
(Internal rating based – IRB).
L‟approccio standard prevede l‟utilizzo di rating esterni ed è quello più
utilizzato dalle banche di piccole dimensioni.
I rating sono forniti dalle agenzie specializzate, quali Moody‟s, Standard
& Poor, Fitch, o da altri soggetti riconosciuti dalle autorità di vigilanza
(external credit assessment institution – ECAI).
L‟approccio IRB prevede, invece, che le banche, tipicamente quelle più
grandi, costruiscano in casa loro il sistema di rating utilizzando due
diverse metodologie: le banche con limitata esperienza di rating
adotteranno l‟approccio di base, mentre quelle con conoscenze ed
esperienze più qualificate si rifaranno all‟approccio avanzato, opzione
più complessa e sensibile al rischio.
L‟approccio standard ha una struttura simile a quella del precedente
accordo sul capitale.
Le esposizioni sono suddivise in macrocategorie quali enti governativi,
banche, società non finanziarie, retail (privati ed imprese di piccola-
media dimensione), mutui immobiliari, residenziali e commerciali sulla
base delle caratteristiche dell‟esposizione stessa.
Nell‟approccio standard non si prevede l‟utilizzo di rating interni. A ogni
macro-categoria, infatti, vengono associate delle ponderazioni di rischio
sulla base del rating espresso da agenzie esterne che riflette il profilo di
15
rischio del prenditore
19
. I pesi fissati sono diversi per le categorie di
controparti: la calibrazione è espressa come percentuale del valore
nominale dell‟esposizione ed è compresa tra lo 0%, per le attività con
rating più alto, ed il 150% per le esposizioni con rating più basso. La
logica di fondo è la corrispondenza tra il rating ed il peso da applicare
alle attività soggette a rischio di credito: più il rating è basso, più pesante
è il peso della ponderazione che può variare se l‟esposizione è garantita.
Per determinare l‟entità della dotazione di capitale della banca, si applica
lo stesso meccanismo previsto in Basilea I: l‟attività viene moltiplicata
per il peso e per il coefficiente di solvibilità.
Rispetto alle ponderazioni previste dal precedente accordo, Basilea II
introduce le seguenti novità:
l‟assegnazione di un peso ad ogni categoria di prenditori che varia
al variare del rating esterno (ad eccezione dei prestiti retail e dei
mutui residenziali);
la presenza di una classe retail per cui si prevede un risk weight del
75%
20
;
la riduzione della ponderazione per i mutui residenziali dal 50%
del primo Accordo al 35% del secondo;
la possibilità di adottare due opzioni per il trattamento delle
esposizioni verso le banche e l‟assegnazione di una ponderazione
19
Piu P, Quinti A, Sani L., “La costruzione di un sistema di rating interni in una piccola banca”,
Bancaria, n.1, 2003
20
Per essere considerato come retail, il prestito deve soddisfare requisiti qualitativi e quantitativi. La
speciale ponderazione concessa al segmento retail trova ragione nella maggiore diversificazione del
rischio di tali esposizioni che sono, di solito, di modesto importo e tra loro poco correlate
16
preferenziale per i crediti verso banche con scadenza originaria
uguale o inferiore a tre mesi;
la fissazione di un peso del 100% per i prenditori senza rating;
la ponderazione dei prestiti scaduti non garantiti, ovvero quelli per
cui si è registrato un ritardo nei pagamenti di 90gg. (180gg. in
Italia) varia in virtù della proporzione coperta da accantonamenti
specifici.
Per favorire una maggiore flessibilità e discrezione delle politiche
nazionali, esiste la possibilità per le banche, soprattutto quelle dei paesi
in via di sviluppo, di adottare un approccio semplificato. Tale versione
rende più semplice l‟assegnazione dei pesi e quindi il calcolo dell‟attività
ponderate per il rischio: per gli enti governativi si utilizza il rating delle
agenzie esterne; per le esposizioni verso le banche si adotta l‟opzione 1;
al segmento corporate è associato, infine, un peso fisso del 100% su tutte
le esposizioni a prescindere dal rating esterno
21
.
Sebbene la struttura dell‟approccio standard sia simile a quella del
precedente accordo, le novità introdotte si riflettono nel diverso
trattamento dei prestiti alle piccole-medie imprese
22
.
Nell‟approccio standard i prestiti alle piccole-medie imprese (PMI)
possono essere allocati in diverse categorie di esposizioni (segmenti) a
cui corrispondono differenti ponderazioni:
21
Resti A., “I modelli di rating interno. Le conseguenze sulle politiche di credito”, Banche e
Banchieri, n.1, 2004.
22
Maiolo S., “La valutazione del merito di credito per le PMI: due metodologie a confronto”, Rivista
Bancaria, n. 59, 2003