III
Introduzione
L’attuale crisi economico-finanziaria ha avuto la sua genesi negli Stati
Uniti con l’implosione dei mutui per l’acquisto dell’abitazione, meglio
definiti “subprime”, sottoscritti con la benedizione dei “regolatori” da
debitori privati americani poco solvibili e con il tempo non più in
grado di assicurare il rimborso di interessi e capitale, in seguito alla
caduta dei prezzi immobiliari che ha colpito il loro paese. L’origine
della crisi, ma non l’unica sua causa, sta nel fenomeno della
securitization o, per dirla in termini nostrani, della finanza innovativa,
adottata dalle banche e caratterizzata dalle attività di cartolarizzazione
dei crediti e la loro immissione nei mercati attraverso speciali società
veicolo fuori bilancio. Questo fenomeno è stato sviluppato alla luce
del sole e sotto l’occhio delle istituzioni di vigilanza e di controllo del
settore nonché delle compiacenti agenzie di rating , mentre le prime
hanno permesso di integrare un diritto di credito altamente rischioso,
per via della natura dei sottoscrittori e delle condizioni a cui è stato
erogato il credito, in strumenti obbligazionari poi immessi nel mercato
dalle società veicolo sotto forma di titoli derivati, le agenzie hanno
concesso valutazioni di affidabilità su questi titoli, nonostante fosse
chiara la reale fragilità di strumenti il cui rendimento era legato a
doppio filo allo stato del mercato immobiliare ed alla capacita o
incapacità dei sottoscrittori di mutuo di versare la rata regolarmente.
Le banche americane e le società veicolo hanno venduto ad ogni sorta
di investitore e banca nel mondo, alle volte acquistando esse stesse i
titoli derivati, tanto che questo processo ha finito per contaminare
tutto il sistema bancario americano e poi quello internazionale che ha
sfiorato la distruzione.
La tesi che segue non si focalizza sullo studio della crisi finanziaria ne
sulle conseguenze economico–sociali che questa ha prodotto e forse
produrrà sull’economia mondiale, ma su un altro aspetto, a mio avviso
determinante: il ritorno dello stato salvatore sul libero mercato, che
IV
attraverso gli interventi pubblici a sostegno del credito a imprese e
famiglie ed alla salvaguardia del risparmio ha cercato di tutelare i
mercati finanziari e i sistemi creditizi dagli effetti della crisi. Dopo
aver trattato marginalmente l’evolversi della crisi del mercato
finanziario Statunitense ed il suo riversarsi dapprima orizzontalmente
sui mercati globali e poi verticalmente sulle rispettive economie reali,
ho dedicato uno spazio maggiore agli attori della scena monetaria
internazionale per meglio capire come nel secolo scorso e anche in
questo le scelte economico-finanziarie dello stato siano il frutto non di
decisioni autonome e arbitrarie ma della collaborazione internazionale
ed in alcuni casi del governo di un istituzione internazionale alla quale
si aderisce. Ovviamente mi riferisco a soggetti quali il Wto o il Fondo
monetario internazionale, in alcuni casi molto discussi, ma che
rappresentano luoghi di concertazione nei quali si individuano gli
indirizzi e le tendenze di politica economico-monetaria ed alle quali i
governi tendono a conformarsi; ovvero la Bce e l’Eurogruppo vere e
proprie istituzioni create dai paesi membri della comunità europea,
alle quali è stato devoluto il potere di determinare la politica
monetaria dei singoli stati.
Nella parte centrale della tesi ho scelto volutamente di ricostruire,
sebbene in maniera pragmatica e molto sintetica, la struttura
istituzionale e normativa che regge i nostri settori finanziario,
creditizio e assicurativo ,cosi da poter comprendere almeno nei tratti
essenziali, in che modo i poteri dello stato regolano e vigilano su
questi sistemi, la cui specialità è determinata dalla natura delle
imprese che vi operano. L’impresa bancaria, assicurativa, le società di
investimento e intermediazione non possono e non devono essere
considerate sullo stesso piano di altre forme di imprenditoria, perché
la funzione che esse svolgono rispetto al tessuto economico è
evidentemente particolare e l’incidenza che conseguentemente hanno
su di esso è molto forte. A rafforzare questa idea credo siano
illuminanti le parole del membro del comitato esecutivo della Bce,
Lorenzo Bini Smaghi secondo il quale “Diversamente da qualsiasi
altra azienda, quando fallisce una banca ci rimettono non solo gli
V
azionisti, i dipendenti e i manager, ma anche i clienti e le altre banche
che hanno prestato a quella banca. Si produce così un effetto di contagio
al resto del sistema finanziario, tanto più forte quanto più importante è la
banca.che.fallisce”
Il sistema finanziario italiano, nettamente fondato sulla centralità delle
banche, quasi prevalentemente commerciali, ha invero subito meno di
molti altri paesi il diffondersi della crisi globale, ciò nonostante lo
stato ha scelto di intervenire tempestivamente, agendo in linea con gli
interventi internazionali, in maniera più che diretta sul sistema
creditizio. La scelta italiana non è certamente un caso isolato anzi, sul
piano europeo e mondiale gli interventi dello stato si sono moltiplicati
e rafforzati ma, sul piano della tutela del credito, senza mai
effettivamente discostarsi da modelli pubblicistici standardizzati. Su
quest’ultimo tema ho preso in esame la classificazione per moduli
tipici dei vari interventi internazionali, a testimonianza del fatto
che almeno in materia di interventi sulla liquidità e sul risparmio,
cambiano i numeri ma non il modus operandi. Il punto focale della
tesi avrà invece ad oggetto i provvedimenti dello stato italiano a tutela
del credito e della liquidità in favore di famiglie e piccole medie
imprese, allo scopo di scongiurare gli effetti deleteri del credit crunch
ed il continuo riversarsi della crisi finanziaria sull’economia reale
quale rischio più serio e concreto per il nostro paese. Sempre su
questo aspetto sarà possibile osservare il ruolo fondamentale dell’Abi,
l’associazione che ha saputo promuovere in prima persona interventi
diretti, ma anche rapportarsi da intermediario tra il governo e le
banche nell’adozione e attuazione dei vari provvedimenti anti-crisi.
Infine, ripercorrendo cronologicamente gli eventi, ho esposto gli
ulteriori interventi sul risparmio e soprattutto la creazione di nuove
forme di collaborazione e coordinamento fra le autorità di vertice dei
settori creditizio, finanziario e assicurativo, mediante la creazione del
Comitato per la salvaguardia della stabilità finanziaria, allo scopo di
permettere un più veloce scambio di informazioni e una struttura di
monitoraggio delle crisi finanziarie future. Per concludere ho spostato
l’attenzione sull’ambizioso progetto della Banca del Mezzogiorno,
VI
fortemente voluto dal Mef per il rilancio del sud Italia e dell’economia
in generale, un’esperienza ancora nella sua fase genetica, ma già
molto discussa tra gli economisti.
VII
1
Capitolo Primo
La Crisi Finanziaria
1.1 Le premesse
Nello sviluppo economico di una società fenomeni di crisi sono
ricorrenti, i fatti confermano che queste fanno parte di un più ampio
fenomeno, conosciuto come “ciclo economico” e che alla loro base c’è
sempre una “bolla”, provocata dallo spostamento dell’interesse di
consumatori o investitori per un oggetto, o un’attività, che ne fa gonfiare
a dismisura il prezzo. Tuttavia questa tendenza, spesso irrazionale,
subisce nel lungo periodo la variazione dei prezzi che tendono a
riflettere la realtà e provocano, prima o poi, l’esplosione della bolla, con
pesanti conseguenze.
A partire dalla metà del 2007 il sistema finanziario internazionale è
precipitato nella più grave crisi dal 1929, ma tutto ciò è avvenuto a
seguito di un periodo di condizioni favorevoli alla crescita della finanza
e dei debiti e segnato dall’abbattimento di ogni forma di
regolamentazione tra le varie categorie di intermediari ed in particolare
tra banche commerciali e banche di investimento, differenziazione
questa che gli Stati Uniti avevano introdotto proprio a seguito della
grande crisi degli anni trenta. Durante la seconda metà degli anni
novanta, nel paese a stelle e strisce, tutti questi cambiamenti venivano
visti con entusiasmo infatti, in tale direzione, la capacità del sistema
finanziario di allocare capitale a coloro che avrebbero potuto
massimizzarne il rendimento appariva aumentata. Nei paesi
anglosassoni, il settore imprenditoriale viveva una fase di alti profitti e
di investimenti piuttosto bassi, fatta eccezione per i settori
dell’innovazione, pertanto la domanda di credito non veniva più dalle
imprese ma dalle famiglie, le quali visti anche i moderati salari,
2
tendevano ad indebitarsi sia per l’acquisto della casa che per i consumi
ordinari. L’indebitamento coincideva con la propensione al mancato
risparmio delle famiglie, i consumi infatti superavano di gran lunga i
redditi pro-capite, ma a tutto ciò si sommava un ulteriore grande
cambiamento, il sistema previdenziale si basava sempre meno sui
sistemi pubblici a ripartizione e sempre più sull’accumulazione
individuale di strumenti finanziari. La crescita delle attività finanziarie
delle famiglie sembrava dimostrare una nuova tendenza nella quale si
creava e distribuiva ricchezza nel sistema, permettendo di compensare in
linea di capitale quanto la famiglia non poteva ottenere sul fronte del
reddito.
Si era formata, verso la fine degli anni novanta, una fase di euforia
dettata da condizioni economiche positive che ha spinto sempre più
famiglie ad indebitarsi e conseguentemente le banche ad accrescere il
proprio indebitamento; la scena finanziaria internazionale appariva
dominata da un America e da molti altri paesi sviluppati, che viveva al
di sopra delle proprie possibilità.
Questa crescita è andata aumentando con la fine degli anni novanta e gli
inizi del nuovo millennio, nel 1999 la ricchezza di matrice finanziaria
ammontava a circa 1600 miliardi di dollari1. La finanza riusciva a
distribuire ricchezza, almeno apparentemente, anche grazie alla politica
piuttosto accomodante dell’allora presidente della banca centrale
Americana (Federal Reserve Bank - FED) Alan Greenspan, il quale se
da una parte, in una testimonianza al Congresso, bocciava il clima di
“euforia irrazionale”2 dall’altra, continuava indirettamente a immettere
liquidità nel mercato attraverso un tasso di interesse piuttosto basso, cosi
da creare di fatto i presupposto per un ulteriore indebitamento di tutti gli
operatori economici che sarebbero ricorsi sempre più ad un credito
1
I dati sono raccolti da A. Volpi,in American first American Pie. Primi e soli, note
sugli USA(1995-2003), Pisa 2006
2L’affermazione dell’allora presidente della Federal Reserve è stata cosi riportata da
R.J Shiller, International exuberance ,Princeton University Press,2009 Trad it. Euforia
irrazionale,Bologna,2009.
3
abbondante e a buon mercato; probabilmente, nelle sue discutibili scelte,
Greespan non aveva bene in mente l’idea keynesiana secondo la quale
“se gli individui sono eccessivamente pessimisti la banca può espandere
l’offerta di moneta mentre se sono eccessivamente ottimisti la può
ridurre” o per dirla alla maniera di William McChesney Martin, ex
presidente della FED “Il compito della FED è di chiudere il Bar appena
l’atmosfera della festa comincia a scaldarsi”.3
La bolla speculativa cominciava a crescere e si trasmetteva di asset in
asset mediante lo sviluppo dell’innovazione finanziaria e delle sue
attività, gli operatori del sistema cavalcavano l’onda della securitisation,
dei prestiti bancari e della diffusione dei derivati. Sfruttando la bolla
immobiliare, banche ed investitori internazionali danno inizio ad una
speculazione che appare inarrestabile e senza fine.
1.2 il fenomeno della securitization.
La securitization è il processo mediante il quale le banche cartolarizzano
i prestiti, nella maggior parte mutui alle famiglie, i cd. Mutui subprime,
trasformandoli in titoli nei quali è incorporato sia il diritto di credito,
vantato nei confronti del debitore della banca, che indirettamente il
rischio connesso all’inadempimento del credito, al fine di venderli a
“società veicoli” create, nella maggior parte dei casi, dalle stesse banche
che a loro volta emettono titoli in cui sono incorporati i crediti ceduti
dalla banca Originator (cosi detti ABS Assets Backed Securities). La
continua sottoscrizione di mutui subprime costituirà poi la premessa per
la successiva crescita incontrollata di ulteriori e connessi strumenti
finanziari, definiti titoli strutturati e derivati sui quali sostanzialmente
viene moltiplicato e diluito il rischio del credito (derivatives-CDO).
3
La colorita affermazione di McChesney riassume la tesi Keynesiana molto ben
descritta da N.G. Mankiw , in “Principi di Economia” ,Zanichelli, Bologna 2002 pag
613
4
Con il processo appena descritto, il rischio del un mancato adempimento
del debito assunto nei confronti delle banche dai sottoscrittori di mutui
mediante i prestiti viene trasferito alla platea degli investitori
internazionali, che acquistando titoli derivati hanno immesso liquidità
ma, forse inconsapevolmente, si sono appunto accollati il rischio di un
credito, che come vedremo si dimostrerà quanto mai incerto. Le banche,
liberandosi dei rischi connessi ai mutui precedentemente sottoscritti si
trovavano libere di ricominciare lo stesso processo su nuovi mutui
secondo il modello originate-to-distribuite, completamente differente
dallo schema tipico delle banche commerciali secondo il quale i rischi
finanziari generati dalle operazioni finanziarie devono essere detenuti
dalla banca fino a scadenza(originate-to-hold).
La securitization o innovazione finanziaria, nel suo corretto
funzionamento e diversamente dall’infelice esperienza statunitense,
presuppone l’applicazione dei suoi meccanismi a prestiti di ottima
qualità o comunque forniti di un’adeguata garanzia, negli USA invece
era ormai uso comune, in sella ad una finanza sempre più travolgente
che dispensava liquidità facile, concedere prestiti altamente rischiosi
anche a soggetti che normalmente non avrebbero ottenuto un simile
risultato; il principio di prudenza nell’erogazione del credito è stato
palesemente trascurato ed in concomitanza con l’abuso dei credit
derivatives, le grandi banche hanno smesso di considerare gli alti rischi
che una scorretta applicazione del trasferimento del rischio poteva
sollevare per i sistemi finanziari4, nessuno sembrava chiedersi dove
sarebbero andati a finire i rischi che le banche generavano e trasferivano.
Nel giugno 2007 la Banca dei Regolamenti Internazionali BRI , nel suo
77 esimo rapporto annuale aveva dichiarato, prevedendo forse per prima
l’avvento del crack, che le banche avevano spalmato il rischio
capillarmente ma non erano in grado di individuare dove tali rischi
4
La denuncia viene sollevata da F.Colombini, “Crisi Finanziaria.Origini,riflessi e
prospettive” in Riv Bancaria n° 1-2/2009
5
fossero finiti5. E’ l’inizio della fine, come direbbero nelle migliori
pellicole cinematografiche, famiglie ed intermediari si caricano di debiti
stimolati dalla fluente liquidità e dalle condizioni favorevoli di accesso
al credito, i primi per ottenere mutui e credito al consumo , i secondi allo
scopo di ottenere rendite dagli strumenti finanziari o dal loro trading
(basti pensare al fenomeno degli hedge funds, fondi di investimento
costituiti da operatori che mediante l’utilizzo dell’effetto della leva
finanziaria, cercano di speculare sul mercato,accollandosi grossi debiti );
le banche non si sottraggono a questa corsa all’indebitamento ed anzi,
spinte dal cd. Moral hazard6 favoriscono l’accesso al credito a fasce
sempre più rischiose di clientela nella assurda consapevolezza che i
rischi connessi non sarebbero stati sostenuti in un secondo momento
poiché immessi nei vari mercati finanziari sotto forma di ABS, CDO e
altri derivati.
1.3 Crisi dei controlli
In questa crescita finanziaria esponenziale ed apparentemente senza
freni, il quadro delle regole viene sostanzialmente indebolito, tuttavia
imputare tale conseguenza semplicemente alla tendenza, sempre più
condivisa, alla deregolamentazione dei mercati o alla loro
globalizzazione sarebbe un grave errore, entrambi i fenomeni in passato
hanno permesso l’evoluzione di ordinamenti creditizi eccessivamente
restrittivi che limitavano la concorrenza e proteggevano i profitti
5
“Assuming that the big banks have managed to distribuite more widely the risks
inherent in the loans they have made,who now holds these risks?and can they manage
them adequately? The honest answer is that we don not know”(pag 147) per una
consultazione www.bis.org.
6
In questo contesto si fa riferimento alla concezione microeconomica di Moral Hazard,
inteso come comportamento opportunistico che può portare gli individui a perseguire i
propri interessi a spese della controparte, confidando nella impossibilità, per
quest'ultima, di verificare la presenza di dolo o negligenza.
6
monopolistici di poche banche, nelle quali la presenza pubblica era
notevole.
Pare più ragionevole prendere in considerazione una serie di concause
che di fatto hanno contribuito a creare una “finanza senza regole”
segnata per l’appunto da una sorta di crisi dei controlli.
Una prima grande causa è da riscontrare nell’atteggiamento scorretto
con cui è stata realizzata la regolamentazione che avrebbe dovuto
garantire la solidità patrimoniale delle banche. L’Accordo di Basilea ha
come obiettivo proprio la proporzionalità tra il capitale di una banca ed i
rischi da essa sopportati, obiettivo che evidentemente non è stato
minimamente considerato dalle grandi banche europee e americane le
quali in alcuni casi hanno raddoppiato le attività totali o comunque
aumentato esponenzialmente le attività ponderate per il rischio creando
un vuoto di migliaia di miliardi di euro nel quale si nascondevano ABS e
CDO che con il tempo, nonostante iniziali rating prestigiosi, sono stati
degradati fino ad essere definiti tossici. Ma la colpa maggiore forse va
ricercata nel rapporto tra regolatori e regolati; il lassismo delle autorità
di controllo gioca un ruolo fondamentale sull’intensità e sulle
proporzioni di questa crisi; regolatori compiacenti hanno permesso agli
operatori del mercato di assumere rischi senza la protezione di credito di
ultima istanza.
In secondo luogo, la securitisation ha permesso di creare mercati dei
titoli di scambio esterni ai tradizionali mercati regolamentati di azioni,
obbligazioni e derivati. Tutti i titoli della innovazione finanziaria
venivano trattati in circuiti organizzati dagli stessi emittenti e quasi
sempre privi di meccanismi di gestione dei rischi e di informazione
adeguate sui prezzi e sulle quantità degli scambi.
Le autorità hanno accettato di esercitare i loro poteri solo su alcuni
segmenti del sistema finanziario mondiale, osservando tranquillamente e
forse compiacentemente la crescita senza limiti di questi mercati
alternativi.