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E del resto c’è chi sostiene che la
pubblicità abbia assunto tali proporzioni,
una presenza tanto persuasiva nel
paesaggio e nella realtà quotidiana che è
ormai al limite della separabilità e
costituisce piuttosto un flusso continuo
dentro i flussi della metropoli, dello
spettacolo mediale, della rete elettronica.
La comunicazione sarebbe un fluido più
che una sequenza di momenti e quadri
distaccati percepibili a uno a uno; un
fluido che ha raccolto di tutto lungo il suo
corso e trasformato tutto in un unico
spettacolo, in un’unica pubblicità. In
esso, se la singola pubblicità s’è persa, il
reale stesso è già pubblicità, se non
addirittura pubblicità della pubblicità.
5
Allo stesso modo c’è chi sostiene che
l’arte sia già un’anacronistica
sopravvivenza del passato in un società
che la coltiva ormai solo come
decorazione e arredo. Ma questo può
bastare? Non è una necessità intrinseca
dell’uomo cercare uno spazio di attività,
qualunque cosa sia l’arte, interno e
insieme distinto dal vivere comune? Egli
saprà ancora cercare forme rinnovate?
Tutte queste domande aperte sul presente
e sul futuro possono introdurre quella che
vuole essere una sintesi e una riflessione
sul rapporto storico fra arte e pubblicità.
Un rapporto non facile, spesso proprio
difficile, talvolta quasi risolto o
perlomeno assunto e gestito in una
prospettiva positiva.
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Una storia ricca di risvolti e di
problematiche, di esempi e di intrecci. Ho
affrontato tale tema a partire dall’arte,
scorrendo gli esempi degli artisti e dei
movimenti artistici che hanno affrontato
direttamente la questione lasciandone
tracce nelle opere e nelle dichiarazioni.
Certo il punto di vista dell’arte difende
l’arte stessa e la sua differenza dalla
pubblicità, ma in uno sforzo teso non
tanto a salvaguardarla quanto a definirla:
penso che questo possa essere utile anche
dal punto di vista pubblicitario.
Certo anche quello della pubblicità è un
mondo strano, solo apparentemente
semplice perché non può e non vuole
complicarsi al punto di perdere l’efficacia
per cui lavora, ma insieme affascinante e
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complesso, magico e pieno di trappole. E
per questo motivo ho intervistato
Giuseppe Tomasello, grafico e
illustratore pubblicitario siciliano. Nel
1993, dopo essersi diplomato
all’Accademia di Belle Arti di Catania e
avere lavorato come disegnatore presso
uno studio di ingegneria, si è trasferito a
Milano dove ha iniziato l’attività di
illustratore e di grafico presso le agenzie
di pubblicità Synergy Group e Young
Agency, illustrando e lavorando per
progetti grafici e campagne pubblicitarie
per importanti aziende multinazionali
leaders nel panorama commerciale, quali
Milka, Riso Gallo, Lagostina, Clinians,
Carialo, Star, Royal Insurance. Oltre alle
tecniche tradizionali approfondisce la sua
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conoscenza ed utilizza softwares quali
Adobe PhotoShop, Free Hand, Painter,
Power point, Strema Line.
Alla sua attività di grafico e di illustratore
affianca, dal 1988 una impegnativa
ricerca artistica. Nella sua ultima
produzione dal titolo “OGM” Opere
Geneticamente Modificate, sostituisce il
pennello col computer pur mantenendo
spessore pittorico e gestualità, fino alla
possibilità di incidere, corrodere e
graffiare i pixel della superficie virtuale.
Mi auguro d’essermi addentrato con le
debite precauzioni e senza aver frainteso
lati più spinosi di un argomento che non è
così semplice come potrebbe sembrare.
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GLI INIZI.
Arte moderna e pubblicità si può dire che
nascano contemporaneamente e non è
certo un caso. Il loro inizio corrisponde,
infatti, a grandi cambiamenti sociali,
tecnologici e distributivi che hanno
comportato un’irreversibile
trasformazione dei caratteri e dei principi
stessi dell’arte. Rivoluzione industriale,
riproducibilità tecnica, aumento del
consumo e formazione delle masse,
diffusione dell’informazione e
costruzione della rete di trasporti e
distribuzione vanno di pari passo con il
cambiamento della figura dell’artista, di
quella del pubblico e, inevitabilmente,
della forma dell’opera e dello statuto
dell’arte.
A quando datare l’inizio di tale
fenomeno? All’apparizione della reclame
vera e propria, dei manifesti pubblicitari
sparsi nelle città, o a prima, quando già
l’opera d’arte si pone diversamente nei
confronti del proprio pubblico,
rivolgendosi direttamente a lui,
cercandolo e interpellandolo, fino a
10
includerlo dentro la rappresentazione
stessa? Quando l’opera morde
nell’attualità e rappresenta fatti del
presente e si fa “manifesto” che
promuove un contenuto condiviso e cerca
con slancio il proprio pubblico e il suo
consenso? Quando l’occasione espositiva
è ufficializzata e istituzionalizzata come
evento aperto al giudizio di tutti? Quando
il successo inizia ad essere misurato
quantitativamente?
In questo la nascita delle classi sociali
moderne, la borghesia e la classe
lavoratrice, dunque la rivoluzione
industriale e la rivoluzione francese
segnano un termine di inizio.
Nel loro grande interprete Jacques-Luois
David si può già infatti riscontrare di tutti
gli eventi appena citati. La morte di
Marat si può considerare un manifesto
per il pubblico della rivoluzione.¹ Ed è
interessante notare come l’opera
corrisponda ad un manifesto per almeno
due motivi: la fragranza del momento, è
dipinto a caldo, completato dopo soli tre
mesi dalla morte di Marat; in secondo
luogo contiene anche l’abbinamento fra
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la scritta “a Marat, David” e l’immagine,
entrambe serrate in un’unità testuale.
L’Ottocento segna una nuova fase nella
storia dell’arte e della pubblicità, perchè
si impose all’arte un ritmo forsennato. Il
mutamento cominciato all’inizio
dell’Ottocento impose all’arte il ritmo e
quanto più questo ritmo diventava
mozzafiato, tanto più il dominio della
moda si estendeva in tutti i campi. Si
giunge infine allo stato di cose attuale:
diventa pensabile la possibilità che l’arte
non trovi più il tempo di inserirsi in
qualche modo nel processo tecnico. La
pubblicità è l’astuzia con cui il sogno si
impone all’industria.
Un momento chiave della storia della
promozione sono le Esposizioni
Universali: qui la merce è organizzata in
maniera spettacolare. Le esposizione
universali allestiscono lo spettacolo di un
mercato potenzialmente senza frontiere e
di circolazione libera ed illimitata. In
queste occasioni, l’interclassismo del
pubblico garantisce l’interscambio tra
autore, organizzatore e spettatore, cosi
come l’afflusso indistinto di beni
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culturali garantisce la loro trasformazione
in beni di consumo e il loro slittamento
semantico in campagna pubblicitaria.
Negli stessi anni ottanta si perfezionano
le tecniche della litografia a colori,
adottata in particolare per la stampa dei
manifesti ma anche delle illustrazioni sui
quotidiani e le riviste. Non è, infatti, un
caso che nasce contemporaneamente
anche la produzione, e la nozione stessa
di multipli, le edizioni limitate di stampe
originali, nuova invenzione
dell’intraprendenza di mercanti d’arte che
prendono così atto della crescita e
dell’organizzazione di un vero e proprio
mercato dell’arte.
I manifesti diventano, di fatto, la veste
più consueta dei muri delle moderne
città, il segno più evidente della
modernità delle nuove metropoli. I colori
chiassosi e le forme ammiccanti, ma
anche la rapidità con cui vengono
consumati dalla curiosità del pubblico e
cambiati regolarmente per lasciar posto ai
nuovi, sono già i segni maturi della
fascinazione, della seduzione e insieme
dell’acutezza e della crudezza,
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dell’esultanza e della distorsione: è il
tempo e il modo del vivere moderno.
Il manifesto indica nel contesto storico
della fase industriale, la rapidità di
fruizione delle immagini; la sua veloce
consumazione da parte del pubblico
impone la necessità di un cambio
repentino che alimenta di conseguenza il
mercato della pubblicità e la richiesta di
maggior lavoro da parte degli artisti che
vi operano; in pratica esso stesso è
l’emblema della società moderna e della
sua velocità nel produrre oggetti grazie
alle innovazioni tecniche apportate
dall’industrializzazione.
In principio, nel Manifesto del
Simbolismo di Jean Moréas (1855)
l'intenzione è fondamentalmente
divulgativa. Ma questo è solo un
assaggio, un'anticipazione. All'interno del
rapporto de facto fra arte e pubblicità si
giunge alcuni decenni dopo, alla fine del
secolo: paradigmatici in tal senso sono i
lavori di Henri Toulouse-Lautrec (1891)
per il Moulin Rouge. In Italia, Leonetto
Cappiello, raccoglie con efficacia
innovativa il portato di Lautrec. I
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manifesti di Cappiello segnano la nascita
dell’elemento della riconoscibilità, dove,
anche se non vi è nessuna attinenza con il
prodotto, l’immagine grafica funge da
suo indicatore; nasce in questo contesto il
concetto di manifesto-marchio, fulmineo
e memorabile antenato del più tardo
logotipo. Comincia allora il periodo in
cui le pubblicità non hanno più
l’ambizione fortemente estetica delle
prime create da famosi artisti; viene
privilegiato adesso lo stile “spoglio”,
diretto, la semplicità delle forme e di
fondi uniti che permettono all’osservatore
la massima leggibilità;la priorità data
all’efficacia, alla chiarezza e alla
comunicazione del prodotto .
È il momento dell'intesa cordiale fra le
due parti in causa. Ed è anche il periodo
in cui la pubblicità diventa professionale,
appaiono difatti le prime agenzie
strutturate, i primi periodici e manuali
sull'esercizio della professione
pubblicitaria.
Note.
¹ F. Speroni, voce “arte e pubblicità, in Dizionario
della pubblicità, Zanichelli, 1994
15
Charles Marville, Rue Tirechapps, 1865
Jacques-Luois David, La morte di Marat
16
Henri Toulouse-Lautrec, Le Moulin Rouge, la Goulue, 1891
Leonetto Cappiello, Cinzano, 1904
17
Leonetto Cappiello, Campari, 1903
Henri Toulouse-Lautrec, Jane Avril, 1898