1
altre parole, di ricevere dalla comunità internazionale il riconoscimento
dell’indipendenza attraverso la finzione dell’esistenza di uno Stato del Kosovo. Il
regime di Belgrado reagì a questa provocazione militarizzando completamente
la regione. Le violazioni dei diritti umani e delle libertà fondamentali, a cui la
popolazione albanese fu sottoposta in questo periodo, portarono alla messa in
discussione della linea politica non violenta di Rugova. Intanto, il 19 maggio
1996 si segnalò la comparsa nelle principali città dei primi manifesti dell’Uck,
l’Esercito di liberazione del Kosovo. Nelle elezioni clandestine, tenutesi il 22
marzo 1998, Rugova fu comunque rieletto Presidente della “Repubblica del
Kosova”, anche se la popolazione, non essendo più convinta della sua linea
politica, iniziò a sostenere sempre di più le azioni terroristiche dell’Uck volte a
colpire le istituzioni serbe.
Nel 1998 un’escalation di violenza tra le milizie militari e paramilitari serbe e i
guerriglieri albanesi dell’Uck segnò il quasi definitivo precipitare della situazione
in Kosovo. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, nella risoluzione n. 1160
del 1998, decise di decretare l’embargo sulla fornitura di armi a tutta la regione.
Altre due risoluzioni, approvate dal Consiglio di sicurezza, il 23 settembre e il 24
ottobre 1998, nonostante avessero qualificato la situazione in Kosovo come una
minaccia alla sicurezza e alla pace nella regione, non si spinsero oltre alla
formale condanna della violenza e all’invito al cessate il fuoco in vista di un
negoziato internazionale.
Le trattative di Rambouillet e di Parigi, svoltesi dal 6 febbraio al 19 marzo del
1999, non portarono comunque a nessuna soluzione pacifica del conflitto tra
2
serbi ed albanesi. Così, la sera del 24 marzo 1999, la Nato decise
unilateralmente di intraprendere, con una serie di bombardamenti aerei contro
obiettivi posti in tutto il territorio della Rep. Fed. di Jugoslavia, l’operazione
“Determined force”, che sarebbe durata 78 giorni. La risoluzione 1244, adottata
il 10 giugno 1999, dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite avrebbe definito
il piano di pace nonché decretato la missione di peace-keeping dell’Unimik in
Kosovo.
Le motivazioni avanzate dall’Alleanza Nord-Atlantica per giustificare l’intervento
militare unilaterale del 1999 contro la Rep. Fed. di Jugoslavia, se da un lato
contenevano un generico riferimento agli obiettivi delle risoluzioni n. 1160, 1199,
1203 adottate nel corso del 1998 dal Consiglio di sicurezza; dall’altro, invece, si
rifacevano alla teoria dell’intervento d’umanità “to prevent further humanitarian
catastrophe”.
Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, d’altronde, non era stato in grado di
autorizzare i raid aerei della Nato a causa della ferma opposizione della
Federazione russa e della Cina.
La crisi del Kosovo ha quindi riaperto in dottrina il problema relativo alla liceità
dell’intervento unilaterale umanitario. Alcuni eminenti studiosi di diritto
internazionale hanno deciso, infatti, di affrontare il problema relativo alla
legittimità in base al diritto internazionale del ricorso unilaterale all’uso della
forza armata per porre rimedio a gravi violazioni dei diritti umani. Non bisogna
dimenticare, d’altronde, che il divieto di ricorrere all’uso della forza armata da
parte degli Stati, in seguito all’entrata in vigore della Carta delle Nazioni Unite, è
3
divenuta una norma di ius cogens. Le uniche eccezioni a tale divieto sono
costituite dalla legittima difesa nonché dalle misure coercitive autorizzate dal
Consiglio di sicurezza in base al sistema di sicurezza collettivo predisposto dal
cap. VII della Carta delle Nazioni Unite.
Tuttavia, l’adozione da parte dell’Alleanza Nord-Atlantica della nuova dottrina
strategica del 1999 sembra aver ampliato, in linea di principio, le possibilità di
ricorso legittimo all’uso della forza da parte degli Stati membri della Nato in caso
di inerzia del Consiglio di sicurezza: in questa prospettiva, quindi, le Nazioni
Unite non costituirebbero più l’unica organizzazione legittimata ad intervenire in
caso di conflitti che mettano in pericolo la sicurezza dell’area euro-atlantica.
L’intervento militare della Nato in Kosovo, anche se ha preceduto l’adozione
formale della nuova dottrina strategica, infatti, sembra essere stato concepito,
almeno da alcuni Stati membri dell’Alleanza, proprio come un’attuazione
anticipata di tale strumento.
7
Capitolo 1
“Lo storico conflitto nei Balcani tra serbi e albanesi
1
”
1. Le origini
Nella regione balcanica che oggi chiamiamo Kosovo
2
, è storicamente provata
la presenza albanese
3
fin dai tempi degli Illiri. Gli Illiri formarono nei Balcani il
regno degli Ardiani, che si estendeva da Trieste al Danubio fino ai confini con i
1
Bibliografia utilizzata per questa prima parte:
Malcolm Noel, “Storia del Kosovo”, Milano, Paperback, 1999
Prévélakis Georges, “I Balcani”, Bologna, Universale Paperbacks “Il Mulino”, 1997.
Krulic Josip, “La storia della Jugoslavia”, Milano, Bompiani, 1995.
Benedikter Thomas, “Il dramma del Kosovo”, Roma, Datanews Editrice, 1998.
Dogo Marco, “Kosovo: albanesi e serbi: le radici del conflitto”, Cosenza, Marco Editore, 1992.
Dorich William, “Kosovo”, Alhambra, 1992.
Nava Massimo, “Kosovo c’ero anch’io”, Milano, Bur, 1999.
Roth Hugo “Kosovo origins”, Belgrado, 1996.
Dragnich Alex e Todorovich Slavko, “The saga of Kosovo”, New York, 1984.
Morozzo della Rocca Roberto, “Kosovo: la guerra in Europa: origini e realtà di un conflitto
etnico”, Milano, Guerini e Associati, 1999.
Bianchini Stefano, “Sarajevo, le radici dell’odio”, Milano, Edizioni associate, 1996.
I quaderni speciali Limes, “L’Italia in guerra”, Roma, supplemento al n. 1/1999.
A cura di Berselli Edmondo, “La pace e la guerra: I Balcani in cerca di futuro”, Milano, 1999.
2
“Kosovo” è un termine serbo, non accettato dalla maggioranza degli albanesi, i quali
preferiscono chiamare la loro regione “Kosova”, trascrizione del termine albanese “Kosove”. Il
nome ufficiale della provincia è, dal 1968, “Kosovo-Methohija”, in breve “Kosmet”. Quest’ultima
denominazione deriva dalla parola greca “metoh” che significa “bene ecclesiastico”: la
motivazione risiede nel fatto che, nel corso del XIII e del XIV secolo, nella fertile distesa tra
Pec e Prizren, sono state erette dai serbi numerose chiese e conventi.
3
I risultati delle ricerche linguistiche, antropologiche, nonché le scoperte archeologiche
testimoniano la discendenza illirica degli odierni albanesi. L’origine della lingua albanese, di
8
greci. Nel 168 a.C. la sconfitta del re Genzio portò però all’occupazione
romana, che durò per quattro secoli, fino al momento della divisione
dell’Impero Romano, avvenuta nel 395 d.C., in Impero d’Occidente e in Impero
d’Oriente. Nel VI secolo l’Impero Bizantino venne scosso dalla discesa dei
Barbari, tra i quali gli ultimi furono gli Slavi. Ma fu solo nel VII secolo che le
popolazioni slave, poi identificatesi quali serbe, si insediarono nella zona dei
Balcani facendo emigrare la popolazione autoctona. Nel 1219 il monaco Sava,
fratello del primo re serbo Stefan Prvovencani, fondò la chiesa serba con
l’arcidiocesi a Zica, nel nord della Serbia. La successiva espansione del regno
serbo verso sud comportò anche il trasferimento dell’arcidiocesi a Pec, in
Kosovo, per affermare il dominio sui territori conquistati
4
.
Il controllo serbo del Kosovo durò fino alla storica battaglia di Kosovo Polje,
detta anche battaglia della “Piana dei merli”, che fu combattuta il 28 giugno
1389 dai cristiani, guidati dallo zar dei serbi Lazar, contro i turchi di Murad I, nel
tentativo di arrestare l’espansione ottomana. La sconfitta cristiana portò alla
conquista turca dei Balcani, da allora l’episodio della battaglia è entrato a far
parte della cultura e dell’epica popolare delle popolazioni slave meridionali. Il
cosiddetto “spirito del 1389” è centrale nella comprensione che i serbi, specie a
livello popolare, hanno della questione del Kosovo anche ai giorni nostri.
Questo spirito è inteso come la resistenza serba all’annientamento, secondo
ceppo diverso da quello slavo e greco, è in genere considerata l’elemento più probante della
discendenza degli albanesi da antichi popoli preesistenti nei Balcani.
4
La conquista serba è provata dalla presenza di numerosi monasteri e chiese serbe
concentrate nel nord del Kosovo. I serbi rivendicano quella terra considerata (soprattutto dalla
chiesa ortodossa) come la “culla della civiltà serba”. Nel 1767, comunque, venne soppresso il
patriarcato di Pec sotto pressione del clero greco.
9
categorie non tanto storiche quanto mistiche. Si tratta di salvare il popolo serbo
quale “popolo celeste”, in forza della sua fede e della sua tragica storia di
martirio. La tradizione popolare vuole che il re Lazar, prima di trovare la morte
nella “Piana dei merli”, abbia avuto una visione della “Gerusalemme celeste” e,
posto innanzi all’interrogativo su quale regno scegliere, il terreno o il divino, egli
scelse il regno celeste, ottenendo così insieme al suo esercito il martirio e la
vittoria eterna. Questa scelta di Lazar è stata considerata dalla Chiesa
ortodossa come il momento decisivo della storia serba.
Nel 1444 Giorgio Castriota, detto “Scandemberg
5
”, divenne il capo della
resistenza albanese all’espansione turca. Egli riuscì a fermare l’avanzata degli
ottomani in più occasioni fino alla sua morte avvenuta nel 1467. La successiva
conquista ottomana costrinse parte della popolazione albanese a emigrare
verso il sud dell’Italia.
Dal secolo successivo in poi inizia, invece, quella decisiva mutazione che
porterà i serbi ad essere una minoranza nel Kosovo fino ai giorni nostri. Infatti,
dopo il fallito assedio da parte dei turchi di Vienna del 1683, la controffensiva
austriaca con l’aiuto dei serbi
6
arrivò fino al Kosovo, cuore dell’Impero
ottomano. La successiva ritirata dell’esercito austriaco determinò, però,
un’ondata di emigrazione serba dal Kosovo, sotto la guida del loro capo
5
Giorgio Castriota (Gjergj Kastriot 1405-1468), detto “Scandemberg”, che significa “nobil
uomo Alessandro”, è l’eroe nazionale albanese che nel XV secolo combatté ripetutamente
contro i turchi, impedendo l’occupazione dell’Albania.
6
I serbi e i cristiani ortodossi collaborarono con gli eserciti asburgici, che erano considerati
come dei liberatori contro l’oppressore musulmano.
10
spirituale e politico Arsenio III
7
. L’espansione del popolamento albanese del
Kosovo, avvenne quindi per la graduale occupazione del territorio lasciato
libero dai serbi a causa della dominazione ottomana
8
. Sotto il dominio turco il
Kosovo fu una delle quattro unità amministrative albanesi dell’Impero. La
popolazione albanese da questo periodo fino al XVIII secolo venne sottoposta
ad un profondo processo di islamizzazione.
Le guerre austro-turche del 1715-1718 portarono la Serbia a cadere, invece,
sotto il dominio austriaco. Nel 1739, però, il trattato di Belgrado sancì
formalmente la riconquista ottomana della Serbia. In realtà, l’occupazione turca
avvenne solo nel 1813 a seguito della violenta e sanguinosa repressione della
rivolta serba iniziata nel 1804, durante la quale i turchi si servirono delle ostilità,
da loro stessi fomentate, tra le popolazioni cristiane ortodosse (serbi) e quelle
islamizzate (albanesi); in particolare, sembra che il sultano del Kosovo adottò
la politica di spostare i contadini serbi dalla zona critica del Lab
9
, per destinare
le terre agli albanesi.
7
La “Velika Seoba”, cioè la marcia dei serbi verso il nord oltre il Danubio, campeggia così
tanto nell’epica del popolo serbo, che nel patriarcato ortodosso di Belgrado l’episodio è,
d’altronde, raffigurato nell’affresco centrale della sala del sinodo.
8
La teoria serba del “vuoto etnico” del Kosovo seicentesco colmato dagli albanesi, grazie al
favore del dominatore ottomano, non è accettata da questi ultimi. La risposta dell’etnografia
albanese conosce due tempi: in un primo tempo, gli studiosi albanesi sostennero la tesi del
“ritorno” a casa propria della popolazione albanese dopo essere stati scacciati secoli prima dai
serbi; dagli anni ’70 in poi storici, geografi, demografi ed etnografi albanesi, esponenti
finalmente di una propria cultura accademica, hanno contestato radicalmente la teoria del
“vuoto etnico”, sostenendo che i serbi non sarebbero apparsi in Kosovo prima del IX secolo.
Da allora, seppur sotto il dominio serbo, la maggioranza della popolazione del Kosovo sarebbe
rimasta sempre albanese.
9
Il Lab si trova nel nord-est del Kosovo.
11
Nel 1815, dopo il congresso di Vienna, si assistette ad una nuova insurrezione
serba antiturca, guidata da Milos Obrenovic
10
, che costrinse gli ottomani ad
accordare ai serbi, seppur sotto la sovranità del sultano, una maggiore
autonomia. Nel 1830 la Serbia divenne, invece, un principato autonomo sotto
la sovranità ottomana e la protezione russa.
Nel 1876 la Serbia, in appoggio agli insorti della Bosnia, dichiarò guerra alla
Turchia, ma fu salvata dalla sconfitta solo dall’intervento della diplomazia
russa. Il trattato di Berlino, conclusione della guerra russo-turca del 1877-78,
decretò l’indipendenza della Serbia, la quale comportò anche una spietata
mutilazione del territorio albanese a favore degli slavi del sud (Serbia e
Montenegro) e dei greci. Nel 1878, inoltre, la neoindipendente Serbia costrinse
gli abitanti albanesi di 700 villaggi fra Prokuplje e Nish ad emigrare in Turchia.
Nello stesso anno, nel sud del Kosovo, si costituì la “Lega di Prizren
11
”, centro
del movimento nazionale di tutti gli albanesi il cui scopo risiedeva nella
liberazione nazionale. Nel 1880 la “Lega di Prizren”, sotto la guida di Abdyl
Frashri, rivendicò la costituzione di uno Stato autonomo, autodichiarandosi
10
Milos Obrenovic partecipò prima alla ribellione di Karadjordie ma, in un secondo tempo,
aiutò i turchi nella pacificazione del paese, ricevendo in cambio degli incarichi governativi. Le
atrocità commesse dai turchi nell’occupazione del 1813 convinsero però Obrenovic a
combattere nuovamente per l’indipendenza della Serbia. Il successo dell’insurrezione del
1815, ma soprattutto l’assassinio del vecchio rivale Karadjordje, consacrarono Milos
Obrenovic come principe di Serbia. La nascita del Principato di Serbia decretò l’inizio della
rivalità tra le due dinastie Obrenovic e Karadjordje, che per un secolo circa, tra colpi di stato,
congiure e attentati, vedrà su dieci sovrani serbi quattro deposti e tre assassinati.
Nel 1839, tuttavia, Obrenovic sarà costretto ad abdicare dopo una serie di rivolte interne
dovute ai suoi metodi autocratici.
11
La Lega di Prizren (città del Kosovo), che diede l’avvio al movimento di liberazione
nazionale, si richiamò al nome fatidico di “Scandemberg”.
12
“governo provvisorio dell’Albania”. L’anno successivo, però, l’Impero ottomano
riconquistò tutti i territori occupati dagli albanesi del Kosovo e della Macedonia
occidentale, ponendo così fine alle rivendicazioni della “Lega di Prizren”, che
da quel momento dovette continuare la sua attività in forma illegale. Tuttavia
dal 1909 al 1912, in seguito ad una nuova sommossa, il movimento nazionale
albanese riuscì a controllare ancora parte del Kosovo e ad occupare Shkup
(attuale Skopje). Le due guerre balcaniche turbarono definitivamente la vita del
popolo albanese: infatti, il 30 maggio 1913, una clausola del trattato di pace
12
,
stipulato tra la vinta Turchia e i vittoriosi Stati balcanici, riconobbe
l’indipendenza dell’Albania, le cui frontiere
13
del nord e dell’est lasciarono, però,
almeno mezzo milione di albanesi al di fuori della nazione a vantaggio della
Serbia (Kosovo) e del Montenegro.
2. Dalla prima guerra mondiale alla morte del Maresciallo Tito
Durante la prima guerra mondiale, il Kosovo venne, in un primo momento,
temporaneamente occupato e spartito fra gli eserciti austro-ungarico e bulgaro,
ma successivamente fu riconquistato dalle truppe serbe. La pace di Versailles
del 1919 vide l’assegnazione del Kosovo e della Macedonia al neocostituito
Regno jugoslavo
14
senza tenere conto delle rispettive maggioranze, quella
12
Alla fine della prima guerra balcanica, il trattato di Londra escluse dal territorio albanese il
Kosovo, assegnandolo, invece, alla Serbia.
13
L’Albania era chiara vittima della geopolitica e, in particolare, delle manovre di Russia e
Regno Austro-ungarico.
14
Il 1° dicembre 1918, Alexander Karadjordjevic, principe reggente serbo, proclamò la
fondazione del “Regno di Serbi, Croati e Sloveni”.
13
albanese e quella macedone
15
. Nel “Regno di Serbi, Croati e Sloveni” (Shs),
durante il ventennio successivo, si assistette alla sistematica violenza e
oppressione nei confronti della minoranza albanese
16
, alla quale non era stato
riservato alcun diritto.
La costituzione di Vidovdan del 1921, opera del Primo Ministro Pasic, leader
dei radicali serbi, impose, infatti, un forte potere centrale e la supremazia serba
sul regno intero.
Il 25 marzo 1941 la Jugoslavia aderì al Patto Tripartito, ma già due giorni dopo,
in seguito ad un colpo di stato, venne deposto il firmatario principe Pavle e fu
dichiarata la maggiore età di re Petar. Hitler capì immediatamente che quello
era il momento propizio per sferrare l’attacco decisivo, così il 6 aprile invase la
Jugoslavia. L’avanzata delle truppe nazi-fasciste, accompagnata anche da
bombardamenti aerei su Belgrado, fu rapida di fronte alla mancanza di una
qualsiasi forma di organizzazione dell’esercito jugoslavo. La fuga di re Petar a
Londra nonché la resa dell’Alto comando jugoslavo determinarono, infine, la
costituzione nella regione, dal 1941 al 1943, di un protettorato italiano con il
Kosovo e la parte occidentale della Macedonia, che furono prima occupati
dall’Italia e successivamente unite all’Albania
17
. In seguito, però, i territori
15
Il Trattato di Versailles stabilì i confini del neocostituito “Regno di Serbi, Croati e Sloveni”.
Mentre gli Sloveni della Carinzia decisero del proprio destino attraverso un plebiscito (la
maggioranza votò a favore dell’Austria); la Macedonia e il Kosovo furono direttamente
assegnati al nuovo regno, nonostante le richieste in senso contrario della delegazione
albanese.
16
Dal 1925 al 1927, infatti, circa 5.000 albanesi furono forzatamente trasferiti in Turchia dalle
autorità di Belgrado.
17
Nel corso della seconda guerra mondiale, seppur con l’occupazione italiana, si realizzava
l’ideale unitario della popolazione albanese con il Kosovo unito all’Albania. In questa regione i
14
albanesi furono occupati dalle truppe tedesche, ma l’unità amministrativa delle
regioni albanesi continuò comunque in vista della creazione di una “Grande
Albania”. Dal 31-12-1943 al 2-1-1944 si tenne una conferenza, a Bujane (vicino
a Prizren), con la partecipazione dei comunisti kosovari e albanesi, che si
pronunciarono a favore della riunificazione del Kosovo con l’Albania al termine
della guerra. Nel 1945 gli albanesi del Kosovo furono forzatamente mobilitati
18
contro l’occupazione italo-tedesca dai partigiani di Josip Broz, detto “Tito”,
leader della resistenza unita dei popoli jugoslavi. La fine della seconda guerra
mondiale e la vittoria delle forze titoiste sul fronte nazionalista albanese, Balli
kombetar, portarono il Kosovo ad essere nuovamente inglobato nella nuova
Repubblica Socialista Federativa di Jugoslavia del Maresciallo Tito. All’interno
della dirigenza comunista jugoslava venne allora affrontato il problema sulla
scelta dell’unità federale alla quale sarebbe stato annesso il Kosovo. L’idea
dominante fu sempre quella dell’annessione alla Serbia, nonostante ci fosse
stato anche l’interessamento di Macedonia e Montenegro. Nell’aprile del 1945
anche i due delegati del “Consiglio di liberazione nazionale” del Kosovo, che
fascisti assegnarono ai kosovari albanesi numerosi poderi di proprietà delle famiglie serbe,
impegnate nella Resistenza, allo scopo di ottenere consenso. In questo modo non si fece altro
che alimentare future tensioni etniche. Terminata la guerra toccò a Tito ritornare allo status
quo ante, ripristinando i diritti pre-bellici violati dei proprietari serbi e montenegrini, che
ritenevano tra l’altro di dover cogliere i frutti di una vittoria conquistata, a differenza degli
albanesi, sul campo.
18
Durante la seconda guerra mondiale il Partito comunista jugoslavo (Pcj), attraverso una
serie di comunicati, invitò gli albanesi kosovari ad allearsi alla lotta antifascista con la
promessa di potersi pronunciare, attraverso referendum, sulla scelta della nazione alla quale
essi avrebbero voluto appartenere (Jugoslavia o Albania). Dopo la fine della guerra, però, tale
promessa non venne mantenuta ed il Kosovo dovette accontentarsi dello statuto di provincia
autonoma.
15
parteciparono all’Assemblea di liberazione antifascista serba, si dichiararono
favorevoli a diventare una provincia della Serbia.
Il “Consiglio regionale del popolo”, organo non eletto, che rappresentava 2.250
rappresentanti del Kosovo, ma che in realtà era costituito da soli 33 albanesi su
142 membri totali, deliberò la risoluzione di annessione alla Serbia senza
votazioni e senza interventi sull’argomento. La presidenza dell’Assemblea del
popolo della Serbia approvò quindi una legge, datata 3 settembre 1945, che
istituì la regione autonoma
19
serba del “Kosovo-Metohija”.
Nel ventennio successivo, la polizia jugoslava, comandata dal Ministro degli
Interni Alexander Rankovic
20
, intraprese una durissima repressione della
popolazione albanese che vide la deportazione di intellettuali e centinaia di
morti. Questa situazione era in parte dovuta anche alla rottura fra Tito e Stalin
del 1948; infatti, Enver Hoxha, che negli anni precedenti aveva strettamente
collaborato con Tito in vista della formazione di una “Federazione balcanica”
formata da Jugoslavia, Albania e Bulgaria, rimase fedele a Mosca, diventando
particolarmente critico riguardo alla politica jugoslava in Kosovo. La polizia
segreta jugoslava “Udba”, sospettando un’infiltrazione di sabotatori nella
19
La differenza tra regione (oblast) e provincia (prokrajina) non è stata mai definita sul piano
legale. Tuttavia, si ritiene che la provincia occupi un grado gerarchico più alto rispetto alla
regione.
20
Alexander Rankovic, membro della direzione del Pcj, Ministro degli Interni e della sicurezza
per la Jugoslavia, avviò nel ventennio, che va dal ’46 al ’66, una vera e propria campagna di
terrorismo di stato nei confronti dell’etnia albanese. La polizia jugoslava, attraverso le
cosiddette “operazioni di disarmo”, perquisiva e maltrattava gli albanesi con il pretesto di
ricercare armi.
16
regione da parte di Hoxha, iniziò un’ossessionante ricerca delle armi tra gli
albanesi
21
.
Nel 1963, intanto, era stata approvata la nuova costituzione jugoslava che
concedeva ad ogni repubblica il diritto di costituire “provincie autonome” di
propria iniziativa. L’Assemblea serba istituì le “provincie autonome” del Kosovo
e della Vojvodina. Il destino costituzionale del Kosovo si trovò, così, per la
prima volta, a dipendere direttamente dalle decisioni della Repubblica di
Serbia.
Nel luglio del 1966 la “riunione di Brioni”, quarto congresso del Partito
comunista jugoslavo (Pcj), segnò, però, una svolta decisiva nella politica
jugoslava con l’allontanamento del Ministro degli Interni jugoslavo Rankovic,
che fino ad allora aveva diretto la politica di sicurezza nazionale in chiave
decisamente anti-albanese. Questa critica alla polizia politica annunciò un
periodo di disgelo e di moderato liberalismo nella vita pubblica in Jugoslavia.
Nel dibattito che ne seguì, si posero così le basi per un futuro ordinamento
costituzionale che potesse finalmente cogliere le rivendicazioni degli albanesi.
La nuova costituzione del 1974
22
della Jugoslavia riconobbe, infatti, al Kosovo
lo status di “provincia autonoma” con una propria costituzione, un proprio
21
Il caso più eclatante fu il cosiddetto “processo Prizren”, che si tenne a porte chiuse a Prizren
nel giugno e luglio del 1956. I capi dell’Ubda affermarono di aver scoperto una rete di spie e
agenti infiltrati dall’Albania in Kosovo. Nonostante non fosse stata presentata alcuna prova
materiale, tutti i nove accusati, tra cui Maljoku, direttore di Rilindja, e il nipote di Mehmed
Hoxha, furono condannati a lunghe pene detentive. Dopo dodici anni tutti i condannati furono
liberati e proclamati innocenti, e allora l’Assemblea del Kosovo decise di votare una
risoluzione di condanna per dichiarare il processo una “messa in scena menzioniera”.
22
L’art. 1 della nuova costituzione del 1974 definiva la Repubblica Socialista Federativa della
Jugoslavia (Sfrj) come “uno Stato Federale di popoli liberi e delle loro repubbliche socialiste
17
governo, un parlamento, una magistratura e un sistema scolastico, nonché
altre istituzioni del tutto indipendenti da quelle serbe. Tito, d’altronde,
pienamente consapevole della minaccia che gravava sull’unione della
Jugoslavia da parte di una grande Serbia
23
, decise di individuare al suo interno
due provincie non contigue: la Vojvodina nel nord e il Kosovo nel sud. Tale
divisione lasciò circa un terzo della popolazione serba al di fuori della propria
regione e una maggioranza albanese nella provincia autonoma del Kosovo.
nonché delle provincie autonome del Kosovo e della Vojvodina collocate nella Repubblica
Serba”. L’art. 4 proclamava che: “popoli e nazionalità hanno uguali diritti”. All’art. 5 veniva
sancito che le frontiere della Sfrj non potevano essere modificate senza il consenso delle
repubbliche e delle provincie autonome. Infine, l’art. 321 prevedeva che la Presidenza dello
Stato, in quanto organo supremo di governo, fosse composta da un rappresentante di ogni
repubblica e provincia autonoma. Era ciò che la dirigenza del Kosovo aveva chiesto, cioè la
piena equiparazione della provincia alle altre repubbliche; veniva respinta, invece, la richiesta
di integrare nel Kosovo anche le zone albanesi del Montenegro e della Macedonia. In Kosovo
e in Voivodina si diedero una propria costituzione in conformità con quella serba e quella
federale. I consigli provinciali potevano approvare proprie leggi, istituire una propria
magistratura autonoma e le stesse strutture politiche delle repubbliche. Nel “Consiglio delle
repubbliche e delle provincie”, la camera delle nazionalità a livello federale e le provincie erano
rappresentate con proprie delegazioni. Elemento fondamentale delle modifiche costituzionali
era la possibilità di stabilire diritti e doveri delle province nel rispetto della loro natura
autonoma, senza dover derivare dalle leggi della repubblica serba.
23
Attraverso successivi cambiamenti costituzionali, tra il 1945 e il 1974, la Jugoslavia titoista si
trasformò in uno Stato federale (Federazione di sei repubbliche). Durante tale processo la
sovranità si spostò dagli organi della federazione verso le repubbliche. Questa
decentralizzazione sarà considerata da certi politologi serbi, ma soprattutto dai nazionalisti
serbi, come la causa della futura disgregazione jugoslava. In effetti, la versione centralista ed
unitaria della Jugoslavia era considerata tradizionalmente dai politici serbi come un modo di
realizzare l’unità degli interessi dei serbi abitanti delle diverse unità federali. Invece, le classi
politiche delle altre repubbliche, compreso Tito, vedevano la stabilità della Jugoslavia,
“mosaico di popoli”, all’interno di un modello federale il più flessibile possibile, che avrebbe,
così, evitato il pericolo di un’egemonia della Serbia sulle altre repubbliche e province.