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Introduzione
Quella che oggi deve affrontare l’Europa, è una sfida senza precedenti, in quanto
il vecchio continente si ritrova a dover fronteggiare un doppio problema: quello
di un debito pubblico crescente, soprattutto in alcuni paesi in cui esso è diventato
sempre piø insostenibile, e quello di un sistema bancario molto fragile sia perchØ
esposto ai debiti sovrani e sia perchØ deve fronteggiare il problema della scarsità
di liquidità.
Debito pubblico a livelli insostenibili, banche scarsamente patrimonializzate ed
esposte a rischi crescenti, ripresa economica lenta e ostacolata della contrazione
del credito: questa è l’attuale situazione dell’Europa, questo è cioè lo scenario
della Crisi del Debito Sovrano.
Il presente elaborato ha lo scopo di analizzare gli aspetti salienti dell’attuale crisi
per capire quali sono le sue ripercussioni sugli Stati, sull’economia reale e sul
sistema bancario.
L’attuale crisi del debito trae le sue origini da un’altra recente crisi, ossia
la crisi finanziaria del 2008.
Alla base della crisi del debito sovrano, infatti, vi sono gli interventi dei governi
delle principali economie avanzate, messi in atto per superare gli effetti della
crisi del 2008 ed aiutare l’economia che era entrata in recessione. Tali interventi
però hanno incrementato i disavanzi pubblici e hanno alimentato le incertezze
circa la sostenibilità dei livelli di indebitamento raggiunti dagli Stati, soprattutto
da alcuni paesi dell’area euro che presentano delle situazioni economiche meno
stabili, ovvero i c.d. Piigs.
Gli interventi pubblici per il salvataggio e il rilancio dell’economia hanno
spostato l’attenzione verso il rischio di credito relativo ai titoli di stato.
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Per anni il costo del credito nelle varie parti dell’area dell’euro non si è
discostato significativamente da quello prevalente in Germania.
Gli spread sui titoli sovrani rispetto al Bund tedesco sono rimasti a lungo su
livelli modesti e i tassi praticati dalle banche hanno riflesso la credibilità di cui
godevano i titoli pubblici dei paesi dell’euro. Non è e non sarà piø così: la
solvibilità degli Stati sovrani non è piø un fatto acquisito, ma va guadagnata sul
campo con una crescita alta e sostenibile, possibile solo con i conti in ordine.
Il costo del credito riflette oggi questa nuova condizione: esso è infatti piø
elevato per i paesi a bassa crescita e con finanze pubbliche piø deboli.
Questo è uno dei principali aspetti della crisi del debito che verrà
analizzato in questa tesi. L’intero lavoro è stato strutturato su 4 capitoli.
Il Primo capitolo si occuperà di analizzare le principali macrovariabili necessarie
per capire quali sono i fattori che caratterizzano e incidono sulla stabilità di uno
Stato; oltre a ciò si passerà ad un breve riepilogo della crisi finanziaria del 2008.
Il Secondo capitolo analizzerà la nascita e lo sviluppo della crisi del debito e in
particolare si osserveranno piø da vicino i principali protagonisti della crisi ossia
i Piigs.
Con il Terzo capitolo verrà fornita una dettagliata analisi del rischio paese.
Verrà osservata con attenzione, l’evoluzione di tale rischio alla luce dei
recenti avvenimenti e in particolare si analizzeranno le conseguenze che tale
evoluzione sta portando in capo agli Stati.
Inoltre è proprio in questo capitolo che verrà fatta un’analisi degli effetti della
crisi del debito, non solo sugli Stati, ma anche sull’economia reale ed in
particolare sulle banche.
Problemi come l’esposizione ai titoli di Stato dei Piigs, l’effetto contagio, la
sottocapitalizzazione e il rischio di un possibile credit crunch, saranno
attentamente analizzati, facendo riferimento a dati di mercato attuali.
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Infine il Quarto capitolo sarà la conclusione di questo elaborato ed analizzerà le
principali misure ed azioni messe in atto dagli Stati e dalle autorità di politica
monetaria per arginare la crisi. Oltre a ciò sarà dedicata un’importante sezione
sulle nuove regole di vigilanza sul sistema bancario, ossia Basilea 3.
Con questa tesi si vuole non solo portare a termine un lungo e
appassionato percorso di studi nell’ambito delle materie economiche, ma si vuole
soprattutto osservare con maggiore attenzione ed interesse una crisi attuale e in
continua evoluzione che lascerà un segno incancellabile nella storia economica
del mondo moderno.
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CAP 1 ANALISI DELLO SCENARIO
MACROECONOMICO
1.0 INTRODUZIONE
La recente volatilità degli strumenti finanziari e l’aumento dell’incertezza circa la
solvibilità degli emittenti, specie quelli governativi, è frutto dell’evoluzione
dell’economia reale, che dopo essere stata gravemente colpita dalla crisi
finanziaria del 2008, è entrata in una spirale di crisi che prima ha interessato il
sistema bancario e adesso sta interessando gli Stati sovrani.
Per capire come uno Stato abbia raggiunto una situazione particolarmente
critica e difficile, è necessario analizzare le sue caratteristiche economiche e
politiche, individuando così le ragioni che hanno contribuito al peggioramento
della sua economia e a renderla maggiormente esposta agli effetti negativi
derivanti della diffusione della crisi finanziaria.
Una crisi finanziaria costituisce il risultato delle relazioni tra gli andamenti
negativi dei mercati finanziari, le situazioni difficili degli intermediari finanziari,
le tensioni sui debiti pubblici e le turbolenze sui mercati dei cambi.
L’intensità delle relazioni tra queste variabili determina l’intensità e la durata
della crisi finanziaria.
Questo capitolo si occuperà di individuare le principali variabili
macroeconomiche che definiscono lo “stato di salute” di un paese e che sono
attentamente valutate dai mercati finanziari per stimare il grado di solvibilità di
un emittente governativo.
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Inoltre in tale capitolo verrà illustrata brevemente la storia della crisi finanziaria
del 2008 e i suoi effetti, per capire come essa ha contribuito al peggioramento
delle condizioni economiche e finanziarie degli Stati e al contemporaneo
sviluppo della crisi dei debiti sovrani.
1.1 L’ANALISI DELLE VARIABILI MACROECONOMICHE E IL
LORO IMPATTO SULL’ANDAMENTO DEI MERCATI
Dopo diverse bolle speculative, è stata riscoperta la necessità di ricondurre i
rischi e i rendimenti attesi delle diverse asset class, ai diversi scenari
macroeconomici attuali e prospettici. La maggior parte degli analisti finanziari
analizza le interazioni tra ciclo economico e finanziario, nella convinzione che la
dinamica dell’economia reale “spinga” verso l’alto o verso il basso le quotazioni
delle attività finanziarie.
Il mutare dell’economia reale, infatti, condiziona la dinamica dei prezzi di
azioni e obbligazioni, anche se il suo ciclo non coincide con quello dei mercati
finanziari, i quali tendono ad anticipare i cambiamenti economici e ad
incorporare nei prezzi correnti le attese riguardo l’andamento di utili e tassi
d’interesse. Conoscere l’andamento dell’economia dei diversi paesi, è
fondamentale, soprattutto alla luce delle recenti crisi finanziarie, per determinare
la redditività e il livello di rischio degli strumenti finanziari.
L’analisi macroeconomica studia l’ evoluzione delle principali variabili
economiche, che riflettono lo stato di salute del sistema economico e le
conseguenze sui mercati finanziari della loro evoluzione. L’ obiettivo principale
è la costruzione di scenari di medio-lungo termine in grado di orientare i
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movimenti piø ampi dei mercati. Tra le principali variabili macroeconomiche
oggetto di analisi, vi sono: il PIL e l’inflazione.
Il PIL (Prodotto Interno Lordo) indica la ricchezza prodotta all’interno di
un Paese in un certo arco di tempo. Esso comprende sia il valore dei prodotti
finali (offerta di beni e servizi) e sia il valore della spesa pubblica e degli
investimenti.
La crescita del PIL ha degli effetti positivi sui mercati azionari poichØ comporta
un incremento degli utili aziendali e quindi dei prezzi dei titoli. Un aumento
eccessivo e non previsto del PIL può tuttavia avere anche un effetto contrario
sulle piazze azionarie, dal momento che un’espansione troppo forte
dell'economia rischia di alimentare la spirale dell'inflazione.
Il PIL è inoltre, uno dei principali indicatori della crescita di un paese; la crescita
è una variabile fondamentale che i mercati considerano per valutare la redditività
e soprattutto il grado di rischiosità dei titoli obbligazionari di un paese.
Il rischio di insolvenza
1
di un paese dipende non solo dalle sue capacità e
prospettive di crescita, ma anche dalla situazione delle finanze pubbliche.
In relazione a quest’ultimo aspetto, vi è un indicatore legato al PIL che mostra la
stabilità finanziaria del paese: il rapporto deficit/PIL. Esso viene utilizzato per
calcolare l’ammontare del deficit delle amministrazioni pubbliche in rapporto al
PIL. Un altro indicatore molto importante è il rapporto debito pubblico
2
/PIL, in
quanto rappresenta la condizione strutturale delle finanze pubbliche.
1
Il rischio di credito (o rischio di insolvenza) è il rischio che nell'ambito di un'operazione creditizia il
debitore non assolva anche solo in parte ai suoi obblighi di rimborso del capitale e di pagamento degli
interessi al suo creditore. (Forestieri, 2009).
2
Per debito pubblico si intende il debito dello Stato nei confronti di altri soggetti, imprese, banche o
soggetti stranieri, che hanno sottoscritto obbligazioni per coprire il fabbisogno finanziario statale.
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L'andamento del PIL rappresenta, quindi, una misura chiave nello scenario
macroeconomico di un paese e viene dunque monitorato con grande attenzione
dagli operatori finanziari.
L’Inflazione è in generale “nemica” dei mercati, perchØ crea incertezza e
diminuisce i rendimenti reali delle attività. Un innalzamento dell’inflazione
provoca un effetto particolarmente negativo sul mercato azionario e
obbligazionario, in quanto l’inflazione elevata aumenta il rischio di politiche
monetarie restrittive (aumento dei tassi d’interesse) con effetto negativo sui
prezzi dei titoli.
Inoltre altri importanti indicatori macroeconomici utili da valutare sono: la
politica monetaria e la politica fiscale.
La Politica Monetaria viene determinata dalle banche centrali, al fine di
raggiungere determinati obiettivi, quali: sostenere l’economia, controllare la
dinamica dei prezzi, controllare il sistema di cambio.
Oltre a tali obiettivi, le azioni di politica monetaria vengono messe in atto per
sostenere i consumi e gli investimenti e per ridurre il livello di inflazione, tutto
ciò attraverso azioni che modificano i tassi di interesse e la quantità di moneta in
circolazione.
Le manovre sui tassi d’interesse, rappresentano la variabile economica che ha
l’impatto maggiore e piø immediato sui mercati obbligazionari, azionari e
valutari. Spesso i mercati tendono a muoversi sulla base di previsioni sul futuro
andamento dei tassi, anticipando gli eventuali movimenti ufficiali.
Un abbassamento dei tassi mira a sostenere i consumi e gli investimenti, tuttavia
può portare ad un surriscaldamento dell’economia e ad un aumento
dell’inflazione; un innalzamento dei tassi provoca un aumento dei costi del
debito, riducendo la propensione al consumo a agli investimenti e attenuando il
livello dell’inflazione.
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La Politica Fiscale è relativa alla gestione delle entrate fiscali che ogni paese
adotta. Una politica fiscale espansiva favorisce la crescita, ma può incidere
negativamente sulle entrate dello Stato per far fronte ai costi della spesa pubblica.
In conclusione, l’analisi di queste variabili macroeconomiche è
fondamentale non solo per orientare le scelte di asset allocation, ovvero le scelte
di investimento, ma è necessaria per valutare lo “stato di salute” dei diversi paesi,
soprattutto di quei paesi che sono i principali protagonisti dell’attuale crisi del
debito sovrano.
1.2 LA CRISI FINANZIARIA DEL 2008
La turbolenza finanziaria iniziata nell’estate del 2007, a seguito di insolvenze su
mutui con basso merito di credito (subprime) negli Stati Uniti, si è rapidamente
trasmessa a numerosi segmenti del mercato finanziario globale.
La crisi, che dapprima aveva interessato soprattutto istituzioni finanziarie con
una spiccata operatività nella finanza innovativa, ha avuto un fortissimo impatto
sui mercati della liquidità bancaria.
Gli interventi delle principali banche centrali hanno limitato i danni derivanti dal
blocco dei mercati interbancari, ma da soli non bastano a restituire la fiducia e a
ripristinare un adeguato funzionamento del sistema finanziario.
Alla base della crisi finanziarie vi è l’eccessivo ricorso all’indebitamento
da parte delle banche e la creazione di prodotti finanziari poco trasparenti e
altamente rischiosi, i quali derivano da attività creditizie poco sicure che
attraverso operazioni di cartolarizzazione sono state trasformate in titoli tossici.
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Grazie al moderno sistema di business “originate-to-distribute” le banche hanno
iniziato a svolgere un maggior numero di attività finanziarie piø rischiose e a
trasferire i rischi derivanti da esse, agli investitori.
Nel momento in cui è andato in crisi il mercato dei mutui a causa della bolla
immobiliare, tutti i titoli legati ai mutui, in particolare a quelli subprime, si sono
trasformati in titoli illiquidi, il cui valore si era del tutto azzerato, diventando così
dei titoli tossici.
Il fatto che questi titoli fossero collocati principalmente in mercati non
regolamentati, e il fatto che venissero creati dalle banche tramite l’utilizzo di
società veicolo, ha reso molto difficile stimare la quantità di questi titoli in
circolazione e le effettive perdite ad essi legate.
Tutto questo è stato innescato non solo da una eccessiva sottovalutazione dei
rischi dei prodotti creati, ma anche da una serie di comportamenti di moral
hazard da parte dei manager delle banche e dalle valutazioni dei rischi fatte dalle
agenzie di rating in maniera errata e spesso fittizia.
La conseguenza peggiore è stata che le principali banche d’investimento
americane sono entrate in crisi, questo ha innescato un effetto contagio che si è
diffuso su tutto il sistema bancario globale, provocando il fallimento di molte
banche e i crolli delle borse mondiali.
Gli anni precedenti la crisi dei mercati finanziari, scoppiata nell’estate del
2007, sono stati caratterizzati da una sostenuta espansione del credito.
Vi è stata, infatti, una erogazione “eccessiva” di credito soprattutto da parte del
sistema bancario statunitense, in particolare c’è stata una maggiore concessione
di credito nei confronti della c.d. clientela subprime, ossia mutuatari con basso
merito di credito in quanto considerati maggiormente insolventi.
La prima fase della crisi finanziaria ha avuto origine proprio nel segmento dei
mutui subprime statunitensi.
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La c.d. crisi dei mutui subprime è stata messa in atto con la bolla speculativa
immobiliare. Negli ultimi anni, infatti, il mercato immobiliare americano ha
registrato un forte boom del prezzo delle case. Questo ha aumentato la domanda
di abitazioni facendo innalzare vertiginosamente i prezzi delle stesse e causando
però un forte indebitamento delle famiglie.
Quando il boom immobiliare ha iniziato a rallentare, i prezzi degli
immobili sono crollati e i mutuatari si sono ritrovati ad avere un indebitamento
maggiore del valore degli immobili, ciò si è tradotto in un aumento dei
pignoramenti delle case a seguito dell’insolvenza dei mutuatari. Il ribasso dei
prezzi delle abitazioni, unito all’aumento dei tassi di interesse ha messo in
difficoltà le famiglie statunitensi.
Attraverso complesse operazioni di cartolarizzazione gli intermediari, che
avevano originato questi prestiti ad alto rischio, hanno trasferito i rischi legati a
tali crediti, in prodotti opachi e complessi da valutare. Il forte aumento inatteso
dei tassi di insolvenza, ha portato ad un’impennata dei premi per il rischio sugli
strumenti di credito strutturato collegati ai mutui subprime, in particolare Asset
Backed Securities (ABS)
3
e Collateralized Debt Obligations (CDO)
4
.
La crisi dei prodotti legati ai mutui subprime ha contagiato rapidamente
altri prodotti finanziari e numerosi segmenti del sistema finanziario. Dall’estate
del 2007 la fase di turbolenze si è trasmessa dagli Stati Uniti all’Europa, dove
numerosi intermediari detenevano in portafoglio titoli relativi al mercato
subprime.
3
ABS appartengono alla categoria di strumenti finanziari derivati, sono titoli obbligazionari emessi a
seguito di operazioni di cartolarizzazione, relative a crediti immobiliari e crediti commerciali verso
imprese.
4
CDO rappresentano una specifica categoria di Abs, sono titoli di debito emessi da una società
appositamente costituita (SPV) a cui vengono cedute le attività poste a garanzia.
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La crisi, quindi, si è diffusa rapidamente a livello globale a causa di una struttura
finanziaria fragile, incentrata sulla finanza strutturata, e di una supervisione
inadeguata.
Tutti quei titoli derivanti dalle cartolarizzazioni dei mutui subprime, sono
diventati i c.d. titoli tossici, così definiti in quanto già presentavano un grado di
rischio superiore a quello che effettivamente era stato dichiarato e in piø, una
volta esplosa la crisi dei subprime, hanno perso drasticamente il loro valore
perchØ legati a mutui concessi a clienti insolventi.
La presenza dei titoli tossici nei bilanci delle banche, comportò delle
ingenti perdite, con la conseguenza che le banche si ritrovarono ad essere
fortemente sottocapitalizzate.
La riduzione degli attivi di bilanci e l’incertezza circa la reale entità e presenza di
tali titoli, hanno alimentato un clima di forte sfiducia, che ha portato ad una
contrazione degli scambi di risorse liquide tra le banche, generando una crisi di
liquidità.
Con il fallimento di Lehman Brothers avvenuto il 15 settembre 2008, la crisi dei
mutui subprime si diffuse su scala globale.
Le successive ondate di panico e i vigorosi crolli delle borse mondiali,
spinsero i governi e le autorità monetarie ad adottare degli interventi di
ricapitalizzazione e di garanzia delle passività bancarie, per preservare la
stabilità dei sistemi finanziari.
Così per fermare gli effetti negativi della crisi di liquidità, le banche centrali
mondiali sono intervenute apportando delle massicce iniezioni di liquidità e forti
riduzioni dei tassi di interesse del mercato interbancario.
La crisi finanziaria ha evidenziato le debolezze intrinseche del sistema
finanziario globale.
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Ha mostrato come il modello di business “originate-to-distibute” abbia portato le
banche ad una eccessiva sottovalutazione del rischio e ad una massiccia
creazione di prodotti complessi e opachi.
Spinte da logiche di profitto a breve termine, le banche hanno dimenticato che
l’attività di intermediazione presuppone capacità di gestione dei rischi e non
soltanto il loro trasferimento ai mercati finanziari. Invece l’eccessivo
indebitamento e la cartolarizzazione di attività rischiose ha portato alla diffusione
di titoli opachi con elevato rischio di credito.
L’esperienza della crisi finanziaria indica con chiarezza che in una fase di
euforia sui mercati, sono state prese molte decisioni rivelatesi poi errate, perchØ il
sistema di governo societario e dei controlli interni non era adeguato a garantire
scelte prudenti da parte del management, a evitare l’insorgere di conflitti di
interessi e a scongiurare decisioni prese soltanto in un’ottica di profitto di breve
periodo.
Quello che stupisce è come una crisi di tali proporzioni sia esplosa
pressochØ all’improvviso, senza che le autorità di vigilanza abbiano attuato alcun
intervento, sottintendendo una sorta di debolezza dei soggetti regolatori. Il
risultato è il fallimento della regolamentazione e dei controlli su intermediari e
mercati finanziari, mostrando così come la regolamentazione non sia
sufficientemente adeguata all’innovazione finanziaria
5
.
La regolamentazione, alla luce di quanto accaduto, dovrà impegnarsi ad
assicurare che tutte le istituzioni, i mercati e le attività, di rilievo a livello
sistemico, siano assoggettati ad un’adeguata sorveglianza e ad appropriati
requisiti di trasparenza.
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F. Colombini e A. Calabrò, “Crisi finanziarie, banche e stati”, UTET (2011).