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INTRODUZIONE
“Il ricco domina sul povero e chi riceve prestiti è schiavo del suo creditore.
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”
Viviamo in un mondo in cui il problema non è la quantità d’informazioni, ma la qualità. Le
notizie di stampo e contenuto economico e finanziario sono particolarmente oscure e se
proviamo a leggere un resoconto qualsiasi sulla crisi della Grecia e sul piano di salvataggio
operato dall’Europa, capiamo subito che in verità non abbiamo capito nulla.
La società di oggi è composta da una serie d’istituzioni, dalle istituzioni giuridiche a quelle
politiche, a quelle religiose. Ovvia è la profonda influenza che queste sovrastrutture hanno nel
dare forma ai nostri giudizi, alle nostre opinioni. Ma, fra tutte le istituzioni sociali da cui siamo
diretti e condizionati fin dalla nascita, non sembra esserci alcun sistema dato per scontato e così
poco compreso come quello monetario.
Ma andiamo con ordine e vediamo cosa c’è scritto nella nostra carta costituzionale.
L’articolo 1 della Costituzione italiana così recita: “L’Italia è una Repubblica democratica,
fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti
della Costituzione”.
In ottemperanza al dettato costituzionale sopra citato, si dovrebbe evincere che, in tutti gli
Stati democratici, il popolo è sovrano, sovranità che si esplica nella capacità concreta di usare
tutti i poteri che sono riconosciuti allo Stato.
La domanda che, a questo punto, bisogna chiedersi è se sia veramente così.
Dopo quella dei sub-prime è l’ora della crisi dei debiti sovrani.
Il debito sovrano, in altre parole il debito pubblico, genericamente parlando, è rappresentato
da tutte le forme d’indebitamento cui ciascuno Stato fa ricorso per coprire i suoi deficit di
bilancio.
Secondo la definizione data dal Dipartimento del Tesoro, “il debito pubblico è pari al valore
nominale di tutte le passività lorde consolidate delle amministrazioni pubbliche
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Antico Testamento – Proverbi, cap. 22, versetto 7.
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(amministrazioni centrali, enti locali e istituti previdenziali pubblici). Il debito è costituito da
biglietti, monete e depositi, titoli diversi dalle azioni – esclusi gli strumenti finanziari derivati –
e prestiti”.
L’ammontare dei titoli di stato in circolazione si riferisce invece a tutti i titoli emessi dallo
Stato, sia sul mercato interno (BOT, CTZ, CCT, BTP e BTP€I), sia sul mercato estero
(programmi Global, MTN e Carta Commerciale).
In altri termini è il debito che ciascuno Stato contrae con sottoscrittori nazionali ed esteri allo
scopo di finanziare le proprie attività, ed è tanto piø grande quanto maggiore è la necessità
d’intervento a sostegno dell’economia nazionale.
Il debito pubblico italiano è costantemente cresciuto dal 2007 al 2010, passando da
1.602.115 milioni di euro a 1.843.015 milioni di euro
2
. ¨ paradossale che all’incessante crescita
del debito pubblico non si sia accompagnata una corrispondente crescita del Prodotto Interno
Lordo, rimasto pressochØ invariato.
Con il fallimento della Lehman Brothers
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, gli Stati del mondo hanno dovuto mettere mano al
portafoglio per coprire i buchi creati nella finanza mondiale. Ma, quel mettere mano al
portafoglio significò aumentare le tasse e soprattutto il debito pubblico.
In Italia siamo al 126% di debito pubblico rispetto al P.I.L., ciò significa che produciamo
100, ma siamo indebitati per 126
4
. Inoltre abbiamo un livello di tassazione pari al 43,1% rispetto
al P.I.L.
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. Sempre con riferimento a queste due variabili, in altre parole il debito pubblico e il
livello di tassazione, avremo modo di dire che l’Eurolandia non è messa tanto bene.
La crisi di sovraccumulazione di capitale e merci, manifestatasi nel 2008 come crisi
finanziaria, ha ben presto cambiato faccia presentandosi nella forma di crisi del debito statale, in
2
Fonte: Dipartimento del tesoro. Ammontare titoli e debito pubblico.
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Società attiva nei servizi finanziari a livello globale. Il 15 settembre 2008 la società ha annunciato l’intenzione
di avvalersi del Chapter 11 del Bankruptcy Code statunitense (procedura molto simile al concordato preventivo
previsto dalla Legge Fallimentare Italiana) annunciando debiti bancari per US$ 613 miliardi, debiti obbligazionari per
US$ 155 miliardi e attività per un valore di US$ 639 miliardi. Quella annunciata fu la piø grande bancarotta nella
storia degli Stati Uniti.
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OECD Economic Outlook 89 database. General Government Gross Financial Liabilities.
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Taxation Trends in the European Union – European Commission.
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altre parole una crescita incontrollata del debito e del deficit pubblico; questo perchØ, ciascuno
Stato, ha dovuto correre al salvataggio d’imprese e banche.
Negli ultimi decenni, a parte le normali funzioni di finanziamento della “cosa pubblica”, il
debito sovrano ha dovuto provvedere ai guasti che la progressiva diminuzione dei saggi del
profitto ha procurato al mondo imprenditoriale, sia privato sia della sfera pubblica. Quando poi
le crisi si sono espresse nel settore finanziario, il debito pubblico si è dovuto accollare anche il
risanamento delle banche e degli istituti di credito direttamente interessati alla crisi, in una sorta
di statalizzazione della finanza, oltre che di alcuni colossi dell’imprenditoria privata, come nel
settore delle imprese automobilistiche.
Sembra la vecchia storia del “socializziamo le perdite e privatizziamo i profitti”, che pareva
essere andata definitivamente nella soffitta della storia con l’avvento dell’euro e della
globalizzazione.
Gli aiuti di Stato al settore bancario hanno raggiunto cifre esorbitanti, tutto ciò allo scopo di
evitare un collasso generalizzato dell’economia mondiale. Ma tutti questi soldi qualcuno li deve
pur pagare, o no? Le manovre di lacrime e sangue che si succedono nei paesi europei sono la
risposta a questo semplice quesito.
I dati e le stime che quotidianamente ci vengono divulgati dai mezzi d’informazione
televisivi e giornalistici, ci dovrebbero portare a pensare che la crisi non sia risolta, semmai ha
ingigantito il debito pubblico rendendo piø difficile finanziarlo a causa della stagnazione
dell’economia, che ha ridotto il gettito fiscale di ciascuno Stato.
E non potrebbe essere altrimenti considerando tutte le “misure di austerity” imposte a tutti i
paesi di Eurolandia. Tutte le leggi finanziarie che rispondono a politiche economiche controllate
da Bruxelles, rendono gli Stati a sovranità completamente limitata (il Trattato sull’Unione
Europea è sintomatico di ciò). Oggi la vecchia Europa è diventata un meccanismo di
trasferimento di denaro dagli Stati membri ricchi ai meno ricchi. Indicativo di ciò è stata la
creazione, il 7 giugno scorso, del Fondo europeo di stabilità finanziaria per gli Stati membri
della UE in crisi. Il paradosso però è che l’erogazione dei crediti rimane in ogni caso
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condizionata all’accettazione di misure di austerità da parte dello Stato ricevente, analogamente
a quanto avvenuto nel caso del finanziamento alla Grecia.
Ora, spontaneamente, mi sorge un dubbio; può uno Stato sovrano avviare un serio
programma di rilancio economico del proprio tessuto sociale e imprenditoriale se è
costantemente soggetto all’accettazione di misure di austerità? Personalmente non credo
proprio.
La conseguenza della crisi del debito statale è che, gli Stati, che hanno una struttura
produttiva piø fragile sono stati percepiti dai mercati finanziari come cattivi debitori, e hanno
avuto difficoltà a collocare sul mercato i titoli del debito pubblico, se non a rendimenti piø alti.
In questo modo, tali stati hanno avuto difficoltà non solo a finanziare il nuovo debito, ma anche
gli interessi su quello precedente, con il rischio di andare in bancarotta. ¨ quanto è accaduto e
sta accadendo ai paesi periferici dell’area euro, Italia compresa.
La crisi europea del debito sovrano, che è stato causato dal debito pubblico degli Stati
membri, ma è aumentata a causa delle azioni intraprese per salvare le banche, dopo la crisi del
2008, ha dimostrato almeno tre cose:
I. che non esiste una valuta senza uno Stato, giacchØ Eurolandia non è una vera realtà
statale, cioè un soggetto politico unito e autonomo; ha adottato una moneta, l’euro, che è
sospeso nel nulla, non ha cioè uno Stato sovrano che lo regoli, non si sa di chi sia, e
soprattutto gli Stati europei lo possono solo usare e non possedere;
II. che il capitalismo non può essere gestito dal solo mercato;
III. che le misure di austerity non faranno uscire l’Europa dalla crisi, ma in realtà
continueranno a peggiorare la situazione, fino a quando l’euro non crollerà. Di fatto, il
divario che si è creato tra i paesi economicamente forti e quelli che sono industrialmente
deboli, divario condizionato dalla politica della Banca Centrale Europea, non potrà che
peggiorare.
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La crisi attuale da un lato ingigantisce il debito sovrano a causa dell’eccessiva
accumulazione di capitale, dall’altro lato evidenzia la difficoltà a sostenerlo per l’impossibilità a
mantenere la crescita dell’economia.
Passando velocemente in rassegna l’andamento del tasso di crescita del P.I.L. per quanto
riguarda Eurolandia (i 17 Stati che hanno aderito all’euro) esso dal 2001 al 2010 è rimasto
pressochØ invariato se consideriamo che nel 2001 si attestava a un + 1,9% e nel 2010 è stato di
un + 1,8%
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. Tale stagnazione è lo specchio della difficoltà che i paesi dell’area EURO stanno
avendo, difficoltà accresciuta dal fatto che le entrate fiscali nella stragrande maggioranza dei
casi non vanno a finanziare una spesa pubblica tesa al rilancio economico, bensì a ripagare gli
interessi su di un debito pubblico abnorme e forse mai inestinguibile (come meglio vedremo nel
seguito della trattazione).
La politica degli aiuti gestita da BCE, FMI e UE ha aumentato, di fatto, il debito pubblico
deprimendo la possibilità di crescita dell’eurozona, questo perchØ i prestiti erogati hanno risolto
crisi di liquidità, ma non crisi di solvibilità legate a un deficit di bilancio che, invece di ridursi, è
aumentato.
Se il problema per i Paesi coinvolti nella crisi del debito è questo, nessun prestito potrà
rilanciare il tessuto produttivo ed imprenditoriale, anzi, potrà solo aggravarlo; questo per
almeno due ragioni:
o i prestiti devono essere restituiti, con gli interessi; di conseguenza se i deficit di bilancio
non migliorano, i prestiti ricevuti non faranno altro che peggiorare la situazione, poichØ
graveranno sull’elevata imposizione fiscale;
o le condizioni che accompagnano questi prestiti prevedono sempre una forte riduzione
della spesa pubblica e l’incitamento a riequilibrare i propri conti con l’estero
(migliorando la competitività delle proprie merci e simili). Non tutti sanno però che
ridurre la spesa pubblica significa ridurre la domanda interna peggiorando così la
competitività del sistema. Inoltre essendo, tra i paesi che fanno parte dell’euro, le
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Fonte: Eurostat. Real GDP growth rate.
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svalutazioni competitive impossibili, non vedo come possano essere riequilibrati i conti
con l’estero.
¨ quindi evidente che il controllo della spesa pubblica e del debito svolti in ottemperanza al
Trattato sull’Unione Europea, blocca la crescita e provoca recessione nei paesi europei piø
deboli invece che farli uscire dalla crisi.
E pensare invece che la forzosa disciplina di bilancio, derivante dagli obblighi europei
codificati nel Trattato di Maastricht, venne invocata come indispensabile per frenare l’impulso
dei ceti dirigenti di ciascuno Stato europeo verso un continuo aumento della spesa pubblica,
spesso finalizzato esclusivamente alla conquista del consenso elettorale e ad un’opera di
generalizzata corruzione della società.
Motore di questa rivoluzione copernicana nella gestione delle finanze pubbliche furono le
autorità monetarie dei paesi europei le quali imposero ai dodici paesi membri dell’allora
comunità europea, regole politiche e requisiti o parametri economici tesi alla riduzione del
debito pubblico.
Eppure oggi in Italia ci ritroviamo con un debito pubblico che è aumentato e sensibilmente:
se nel 1993 si attestava ad un livello del 116,3% rispetto al Prodotto Interno Lordo, oggi si
certifica al 126,8%.
A questo punto la domanda da porsi è la seguente: se sono state tagliate le spese sociali e
quelle per gli investimenti pubblici, se è stato privatizzato il patrimonio industriale pubblico, se
sono stati ridotti i dipendenti pubblici, perchØ il debito dello Stato Italiano è cresciuto
ulteriormente invece che diminuire?
Qual è la causa e chi sono i responsabili di questo continuo aumento del debito pubblico? ¨
stata forse la Banca d’Italia prima e la BCE poi, in quanto responsabili dell’organizzazione e
della conduzione dell’attività di collocamento e riacquisto dei Titoli di Stato, ad iniettare nel
sistema economico liquidità esorbitanti, gravate tra l’altro da interessi, che hanno fatto crescere
in maniera così spropositata il debito pubblico? Oppure, alla base della costante crescita di
questo, c’è un’inefficienza nelle politiche di intervento dello Stato nell’economia?
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Per rispondere a questo dubbio amletico, dobbiamo analizzare il debito pubblico e cercare di
capire come il saldo primario, la spesa per gli interessi sul debito pregresso e l’indebitamento
netto operano su di esso.
Ma cos’è la spesa per gli interessi sul debito pregresso? Debito nei confronti di chi?
Forse non tutti sanno che non sono gli Stati i padroni del denaro che viene messo in
circolazione, in quanto loro hanno delegato pochi privati, azionisti delle banche centrali, a
crearlo.
C’è stato un momento in cui alcuni ricchissimi banchieri hanno convinto gli Stati a cedere
loro il diritto di fabbricare la moneta per poi prestargliela con tanto di interesse. ¨ così che si è
formata la spesa per gli interessi sul debito pubblico.
La Banca d’Italia non è la nostra Banca, ossia la Banca degli Italiani, ma è una Banca privata
(e si dimostrerà pubblicando chi sono i soci partecipanti al capitale di questa Banca), così come
le altre Banche centrali inclusa quella Europea, che sono di proprietà di grandi istituti di credito.
Insomma, il patrimonio finanziario del mondo è nelle mani di pochissimi privati ai quali è
stato conferito per legge un potere sovranazionale, cosa di per sØ illegittima negli Stati
democratici dove la Costituzione afferma (come scritto in apertura di questa introduzione), che
la sovranità appartiene al popolo.
Il lucro che si genera dal creare moneta prende il nome di signoraggio ed è dato dalla
differenza tra il valore intrinseco e il valore nominale di una moneta o banconota.
Il valore intrinseco è il costo del materiale di cui è composta la moneta o banconota, mentre
il valore nominale è il valore di facciata, o anche valore legale.
Dallo scambio di beni contro altri beni, all’utilizzo di pezzi di metalli pregiati (oro, argento,
rame, bronzo) che avevano caratteristiche uniformi e un valore intrinseco, ossia un valore come
merce, siamo arrivati alla situazione di una carta-moneta non piø coperta da oro ed avente un
valore intrinseco trascurabile.
Inoltre, e qui sta il meccanismo perverso del Signoraggio, la moneta è sottoposta ad un
interesse che fa lievitare il debito di un paese sovrano oltre il valore nominale della moneta
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stessa. La moneta così creata ed emessa dalle istituzioni bancarie è una moneta che viene
addebitata e non accreditata allo Stato sovrano, perchØ su di essa quest’ultimo dovrà pagare un
interesse.
In pratica attraverso il meccanismo del Signoraggio primario, i titoli del debito pubblico
emessi da uno Stato sovrano per finanziare le proprie esigenze di spesa, vengono acquistati, o
per meglio dire scontati, dalla Banca d’Italia (la quale opera, secondo le disposizioni del SEBC,
per conto della BCE) che li paga attraverso denaro creato dal nulla, denaro oltremodo gravato da
una spesa per interessi; basta guardare lo statuto della Banca d’Italia per dimostrare la sua
responsabilità nell’organizzazione e nella conduzione dell’attività di collocamento e riacquisto
dei Titoli di Stato Sovrani. La spesa per interessi è una componente primaria nella composizione
del debito pubblico ed è quella che ricade sui cittadini che la dovranno ripagare attraverso
un’elevata imposizione fiscale.
Dato che il denaro per l’estinzione del debito pubblico viene raccolto principalmente
attraverso la tassazione, l’ammontare del debito è un fattore importante per la determinazione
del prelievo fiscale prodotto da un paese.
Il Signoraggio primario si lega a stretto filo con il Signoraggio secondario che si basa sul
meccanismo di creazione della moneta attraverso il sistema a riserva frazionaria, definita come
la percentuale dei depositi bancari che per legge la banca è tenuta a detenere sotto forma di
contanti o di attività facilmente liquidabili.
Il sistema della riserva frazionaria è una truffa, anche se legale, in quanto si lega
indissolubilmente all’espansione della quantità di moneta presente in un sistema economico e
ciò provoca, per la legge della domanda e dell’offerta, l’aumento dei prezzi e la perdita del
potere di acquisto della moneta.
L’espansione monetaria nel sistema a riserva frazionaria è intrinsecamente inflazionistica in
quanto, attraverso l’espansione della base monetaria, senza che ci sia un proporzionale aumento
di beni e servizi, si riuscirà sempre a far diminuire il potere di acquisto.
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La costante perdita, nell’ultimo decennio, del potere di acquisto dell’euro a fronte di una
crescita economica che è rimasta sostanzialmente invariata rende chiara la luce su ciò che è
stato scritto poc’anzi.
A questo punto, spontanea mi sorge la seguente domanda: se il continuo ed incessante
aumento del debito pubblico è imputabile ad una politica monetaria perversa messa in atto dalla
Banca Centrale Europea, che altro non è che una banca privata gestita dai maggiori istituti di
credito del Vecchio Continente, esistono o esisterebbero delle vie di uscita? In particolare
esistono delle ricette di rilancio economico che lungi dal prevedere continue ed ossessive misure
di austerità, siano veramente in grado di rilanciare economicamente e socialmente l’apparato
produttivo di uno Stato? Quali le soluzioni all’annosa e gravosa crisi del debito sovrano?
Ovviamente non mancano i progetti di riforma del sistema monetario, finalizzati ad
assicurare la sovranità popolare della moneta (cfr. l’esperimento della moneta del popolo, il
SIMEC, ad opera del professor Giacinto Auriti
7
, effettuato nella cittadina di Guardiagrele),
l’annullamento del signoraggio o il suo ritorno allo Stato (ci provò Kennedy attraverso
l’emanazione dell’ordine esecutivo 11110), e un’equilibrata offerta di moneta sul mercato
(facendo leva sul potere di fissazione del tasso ufficiale di sconto, che nell’Eurozona e in altri
paesi è stato accaparrato dalla Banca Centrale).
E se invece il Signoraggio monetario fosse solamente una bufala detta e diffusa da un
manipolo di complottisti? In questo caso basta dare un’occhiata al caso dell’Islanda il cui
popolo, processando i suoi governanti, è tornato a crescere; basti pensare che le previsioni di
crescita del P.I.L. per il 2012 sono del 3,1%. Ovviamente l’informazione, salvo alcune testate
giornalistiche, è ben lungi dal parlare della rivoluzione pacifica in atto in quel paese, perchØ se
così fosse ritornerebbe alla mente ciò che l’imprenditore Henry Ford una volta disse a proposito
del sistema bancario e monetario, in altre parole: Ҭ un bene che il popolo non comprenda il
7
Filosofo e studioso geniale, Giacinto Auriti ha teorizzato il “VALORE INDOTTO della MONETA” che lo
condurrà alla elaborazione di una proposta di legge sulla “PROPRIETÀ POPOLARE della MONETA” presentata al
Senato della Repubblica. La fama del professor Giacinto Auriti raggiunse ogni angolo della terra quando realizzò nel
suo paese natale, Guardiagrele, cittadina dell’Abruzzo, il SIMEC (SIMbolo EConometrico), ovvero la moneta locale.
http://www.simec.org/chi-era-giacinto-auriti.html