4
questa crisi fu che la contrazione dell’attività economica si mostrò in
Economic Stabilization in an Unbalanced World, New York 1932; V. LA ROCCA, La crisi economica
mondiale, Napoli 1932; I. FISHER, La teoria della Grande Depressione basata sui debiti e sulla
deflazione (trad.: VITO F.), in “Econometrica” 1933; A. SALTER e ALTRI, The World Economic Crisis,
New York 1932; U. TOMBESI, La crisi dei vinti e dei vincitori: proluzione al corso di scienze delle
finanze, Ravenna 1932; A. BORGONI, Crisi nel sistema o crisi del sistema?, Bologna 1933; C. BUCCI,
Nuovo equilibrio economico, origine, decorso e sbocco della crisi mondiale, Milano-Genova 1933; G.
CARMI, Origini e fine della crisi economica, Milano 1933; M. COLONNA, Genesi ed esodo della crisi
mondiale. I grafici dell’esodo, Napoli 1933; E. CORBINO, Aspetti dell’attuale crisi economica, in
“Annali del Regio Istituto Superiore Navale di Napoli” 1933; A. R. ECKLER, A measure of the
Severity of Depression, 1873-1932, in “Review of Economic Statistics” 1933; F. NOMI, L’errore su
cui si fonda la teoria della congiuntura. La causa della crisi. Il solo mezzo per evitarla, Sansepolcro
1933; G. ZUCCHI, La crisi economica del mondo nel rapporto tra la ricchezza reale e ricchezza
simbolica (schema di ricostruzione), Milano 1933; M. ALBERTI, Le vibrazioni economiche e
l’armatura capitalistica. La grande crisi, Milano 1934; A. DE’ STEFANI, Come se ne esce (9 febbraio
1933), in “Eventi Economici”, Bologna 1934; G. LEURMI, Origine e fine della crisi economica,
Milano 1934; A. SCALZOTTE, La crisi economica e la sua soluzione, Firenze 1934; V. CONSIGLIO, La
crisi del sistema, Palermo 1935; M. FANNO, I trasferimenti anormali dei capitali e le crisi, Torino
1935; C. GINI, Prime linee di patologia economica, Milano 1935; F. VITO, Prime linee di patologia
economica, in “Rivista intera di scienze sociali 1935”, 1935; C. ARENA, Capitale, capitalismo e crisi,
Torino 1937; P. LOMBARDI, Soluzione integrale della crisi economica, Napoli 1937; H. V. HODSON,
Slump and Recovery 1929-1937. A Survey of World Economic Affairs, London 1938; CARR EDWARD
HALLETT, The Twenty Years’Crisis, 1919-1939: An Introduction to the Study of International
Relations, London 1939; P. FORTUNATI, Fisiologia e patologia economica, in “Statistica 1942”, 1942;
B. R. MITCHELL, Depression Decade, New York 1947; D. WECTOR, The Age of the Great Depression
1929-1941, New York 1948; H. HOOVER, The Memoirs of Herbert Hoover, vol. III. The Great
Depression, 1929-1941, New York 1952; F. GUARNERI, Battaglie economiche fra le due guerre,
Milano 1953; G. DE MARIA, Sulle cause del crash del 1929, estratto dal “Giornale degli economisti”,
fasc. 7-8, 1955; M. FANNO, La teoria delle fluttuazioni economiche, Torino 1956; M. KALECKI,
Teoria della dinamica economica, Torino 1957; G. REES, The Great Slump: Capitalism in Crisis,
1929-33, London 1970; J. NÈRÈ, La crisi del 1929, Roma 1971; E. VARGA, La grande crisi e le sue
conseguenze politiche, in La crisi del capitalismo, Milano 1971; F. CATALANO, La grande crisi del
’29. Conseguenze politiche ed economiche, Milano 1972; J. B. KIRKWOOD, The great depression. A
structural analysis, in “Journal of the Money Credit and Banking” 1972; J. A. SCHUMPETER, Il
processo capitalistico: cicli economici, Torino 1977; R. O. BOYER e altri, Crisi economica e risposta
politica: dal ’ 29 al New Deal, Roma 1979; L. DE ROSA, La crisi economica del ’29, Firenze 1979; L.
VILLARI, L’economia della crisi: il capitalismo dalla “grande depressione” al “crollo” del ’ 29,
Torino 1980; K. BRUNNER ( a cura di ), The Great Depression Revisited, Boston-The Hague 1981; M.
STORACI (a cura di), La crisi del ’29, Bologna 1983; A. J. FIELD, A New Interpretation of the Onset of
the Great Depression, in “Journal of Economic History”, 44, 1984; M. FRANZINI, Le teorie
economiche e la grande depressione, Roma 1984; B. EICHENGREEN, Did International Economic
Forces Cause the Great Depression?, in “Contemporary Policy Issues”, 6, 1988; P. TEMIN, Lessons for
the Great Depression, Cambridge, Mass., 1989; C. ROMER, The Great Crash and the Onset of the
Great Depression, in “Quarterly Journal of Economics”, CV, 1990; K. BORCHARDT, Constraints and
Room for Manoeuvre in the Great Depression of the Early Thirties: Towards a Revision of the
Received Historical Picture, in Perspectives on Modern German Economic History and Policy,
BORCHARDT K., Cambridge 1991; W. R. GARSIDE, Capitalism in Crisis: International Responses to
the Great Depression, London 1993; B. EICHENGREEN, Gabbie d’oro. Il gold standard e la Grande
Depressione1919-1939, Roma-Bari 1994; C. H. FEINSTEIN-P. TEMIN-G. TONIOLO, L’economia
europea tra le due guerre, ed. it., Roma-Bari 1998. Per una più vasta bibliografia sull’argomento si
veda la lista a fine tesi ordinata per anno di pubblicazione.
5
quegli anni così rapida e radicale come mai era accaduto, interessò
praticamente tutti i paesi e tutti i settori, ebbe una durata prolungata e fu
di tale violenza da minare le basi di quel sistema capitalistico che tanti
favori aveva raccolto quasi ovunque. Il boom che interessò quasi tutti i
paesi nella seconda metà degli anni venti poteva far presagire, magari
con il senno di poi, il successivo periodo di recessione; ma limitarsi a
considerare la crisi del ’29 come una normale fase discendente di un
ciclo economico
2
è senza dubbio riduttivo. Fondamentale diventa quindi
analizzare, per quanto è possibile, i fattori che trasformarono una
normale e inevitabile recessione in una depressione così profonda. Il
2
Per l’analisi empirica del ciclo tra le due guerre mondiali si fa riferimento all’enorme mole di
materiale raccolta ed esaminata dal National Bureau of Economic Research (Nber) americano: citiamo
solamente A. F. BURNS-W. C. MITCHELL , Measuring Business Cycles, Nber, New York 1946; G. H.
MORE-J. SHISKIN, Indicators of Business Expansion and Contractions, Nber, New York 1967; R.
FELS-C. E. HINSHAW, Forecasting and Recognizing Business Cycles Turning Points, Nber, New York
1968; G. BRY-C. BOSCHAN, Cyclical Analysis of Time Series: Selected Procedures and Computer
Programs, Technical Paper 20, Nber, New York 1971; ma possiamo citare anche altri lavori come M.
FANNO, Cicli di produzione, cicli di credito e fluttuazioni industriali, in “Giornale degli economisti”
1931; A. FOSSATI, Una introduzione allo studio dei cicli e delle crisi economiche, in “Rivista di
politica economica”, fasc. III, Roma 1931; G. U. PAPI, Di qualche mistero in una spiegazione del
ciclo, in “Giornale degli economisti” 1935; W. ROEPKE, Crises and Cycles, London 1936?; G. PELLA,
Cicli economici e previsioni di crisi, Milano 1938; L. P. AYRES, Turning Points in Business Cycles,
New York 1939; A. F. BURNS-W. C. MITCHELL, Measuring Business Cycles, Nber, New York 1946.
R. A. GORDON, Cyclical Experience in the InterWar Period: the Investment Boom of the Twenties, in
“National Bureau of Economic Research”, Conference on Business Cycles, New York 1951; S. DE
FALCO ESPOSITO, Cicli storici e cicli economici, in “Giornale degli Economisti e Annali di
Economia”, Marzo-Aprile, Padova 1954; E. LUNDBERG( a cura di ), The Business Cycle in the Post-
War World, London 1955; E. LUNDBERG, Business Cycles and Economic Policy, London 1957; R. A.
GORDON, Business Fluctuations, New York 1961; V. MARRAMA, Ciclo economico e politica
anticiclica, Napoli 1961; G. MICONI, I cicli economici in Italia (1862-1960), in “Congiuntura
italiana”, 10, 1961; J. A. SCHUMPETER, Business Cycles. A Theoretical, historical and Statistical
Analysis of the Capitalistic Process, Londra-New York-Toronto 1964; G. BRY-C. BOSCHAN, Cyclical
Analysis of Time Series: Selected Procedures and Computer Programs, Technical Paper 20, Nber,
New York 1971; AA. VV., Sviluppo e ristagno. Il dibattito sul ciclo economico nel periodo tra le due
guerre, Firenze 1977; B. J. EICHENGREEN, Business Cycles and Depressions: an Enciclopedia, New
6
crollo di Wall Street, che molti indicano essere la causa di tutto, in realtà
non colpì un sistema solido e perfetto; può essere metaforicamente
considerato come un detonatore che accese la miccia di una bomba già
pronta per espodere, evidenziò quindi tutti i problemi di una economia
mondiale resa instabile da una serie di eventi che ebbero come
palcoscenico il periodo storico successivo alla prima guerra mondiale.
La prima parte si ripropone proprio di analizzare la situazione mondiale
nell’arco del ventennio successivo al primo grande conflitto
evidenziandone i momenti fondamentali che contribuirono o
peggiorarono la crisi. Si punta il dito, nel periodo 1919-1929, su quelli
che possono essere stati i fattori storico-sociali nonché economico-
politici più o meno determinanti. Tra questi, senza dubbio, un posto di
rilievo lo ha il primo grande conflitto con le sue ripercussioni
economico-strutturali nonché politico-sociali, di breve ma anche di
medio-lungo periodo, che destabilizzarono l’economia mondiale
ostacolando i rapporti tra le varie nazioni (paragrafo 1.1).
Corollario della prima guerrra mondiale può essere considerata la
faccenda dei debiti di guerra e delle riparazioni (paragrafo 1.2). Non
York 1997; G. MORTARA, Cicli economici, in “Biblioteca dell’economista”, Torino 1932; B. J.
EICHENGREEN, Business Cycles and Depressions: an Enciclopedia, New York 1997.
7
aiutò a ripristinare la normalità l’esazione di ingenti pagamenti di debiti,
legati proprio alle spese di guerra e alle riparazioni. Anzi questo fatto
esacerbò ulteriormente i legami intergovernativi, già precari e improntati
alla diffidenza, e distolse l’attenzione da questioni prioritarie. Inoltre il
modo in cui i pagamenti furono effettuati occultò lo squilibrio esistente,
il quale emerse bruscamente allorquando crollò l’impalcatura, che si
reggeva sull’anormale interconnessione tra pagamenti e prestiti, per il
venir meno di questi ultimi.
Nel paragrafo 1.3 l’attenzione si sposta sul Gold Standard che, con la
sua rigida ideologia, non consentì alle banche e ai governi di affrontare
efficacemente i problemi economici che gli si presentavano davanti,
trasmettendo e aggravando, in tal modo, la grande depressione. Inoltre la
stabilizzazione fu effettuata nei vari paesi in maniera indipendente dallo
scenario internazionale , guardando al proprio interno e non ai rapporti di
forza esistenti a livello globale, con la conseguente formazione di
monete sopra e sottovalutate che ostacolò il commercio e spinse
ulteriormente i vari governi ad adottare politiche protezionistiche e
mercantilistiche.
Nella seconda metà degli anni ’20 gran parte dei paesi nel mondo
conobbe una fase di boom che però non fu così vigorosa e capillare come
8
alcuni credono ( paragrafo 1.4 ). L’espansione ebbe l’inconveniente di
celare l’instabilità intrinseca e di rendere difficile la percezione
dell’importanza di urgenti manovre correttive.
Di maggior interesse per il nostro discorso è il boom che interessò gli
USA ( paragrafo 1.5 ). Esso non solo permise agli Stati Uniti di
concedere cospicui prestiti, soprattutto ai paesi europei, ma attirò gli
investimenti dei paesi debitori, affascinati dal ritmo e dall’intensità dello
sviluppo dell’economia americana. Essi, in special modo la Germania,
dovevano ripristinare condizioni di normalità al proprio interno e
scelsero per farlo la via breve degli investimenti azionari. Confidando
nell’eccezionalità del boom americano, tali paesi utilizzarono prestiti
USA a breve per investimenti a medio-lungo termine, con la certezza che
questi prestiti non sarebbero stati ritirati rapidamente; ma l’artificiosa
crescita delle quotazioni, dovuta all’eccesso di investimenti e di
speculazioni, con la relativa formazione della bolla speculativa, furono
fatali quando scemò la fiducia nel sistema e il crollo di Wall Street ne fu
la conseguenza ( paragrafo 1.6 ). Tale avvenimento segna l’inizio
cronologico, anche se non ne rappresenta la causa diretta, della Grande
Depressione. Come conseguenza del crollo gli Stati Uniti cominciarono
a richiamare drasticamente i capitali e la crisi si allargò a macchia d’olio.
9
Il paragrafo 1.7 è dedicato ad una rapida descrizione dei numeri della
crisi mostrando l’entità degli effetti da essa provocata a livello globale
sui valori indicativi del commercio, della produzione, della
disoccupazione e via dicendo.
Nel paragrafo 1.8 si analizza la seconda fase della Grande Depressione,
la crisi finanziaria del 1931 e la situazione di Inghilterra, Austria e
Germania che ne furono tra le più dirette interessate. Questo paragrafo
oltre a raccontare i fatti vuole evidenziare che la crisi in Europa non fu di
derivazione americana; senza dubbio la cessazione del flusso finanziario
d’oltreoceano contribuì a peggiorare la situazione, ma le singole
economie europee già soffrivano di enormi squilibri interni.
I paesi produttori di beni primari contribuirono enormemente alla crisi
del 1929 ( paragrafo 1.9 ): essi non ebbero una importanza decisiva nella
flessione iniziale ma aggravarono la caduta una volta che questa fu
avviata. Il crollo dei prezzi delle merci primarie avvantaggiò i paesi
industriali che videro aumentare i redditi dei propri consumatori con
conseguente normale propensione marginale al consumo decrescente e
aumento del risparmio. Quest’ultimo aggravò la svolta discendente sia
nei paesi industriali che in quelli produttori di beni primari: in effetti tale
diminuzione della spesa, nel breve, peggiorò la situazione dei paesi
10
produttori di beni primari e li costrinse ad adottare misure restrittive
(tariffe, contingenti d’importazione, svalutazione del cambio ecc.);
inoltre la diminuzione dei loro redditi da esportazione ridusse anche le
importazioni e conseguentemente i redditi dei fornitori abituali, in
particolare della Gran Bretagna.
Altro fattore che aggravò la crisi, esasperando ulteriormente i rapporti tra
le varie nazioni e ostacolando la ripresa, fu il protezionismo, che dopo il
1929, e precisamente dopo l’introduzione della tariffa americana
Smooth-Hawley, esplose ovunque ( paragrafo 1.10 ).
Se nel periodo precedente al crollo del ’29 e nella stessa prima fase della
flessione nel mondo economico ci si affidò, tranne in alcune eccezioni, al
liberismo, nella seconda fase i vari governi cambiarono la propria
politica e fu preferito l’interventismo statale come mezzo per uscire dalla
dinamica discendente ( paragrafo 1.11 ). L’interventismo statale si
manifestò attraverso le forme dell’aumento della spesa pubblica, della
politica del denaro a buon mercato, dell’assistenza a favore di industrie
particolarmente depresse, delle politiche di controllo valutario
concretizzatesi in accordi commerciali bilaterali e in forme di clearings.
Tali politiche non furono adottate nello stesso tempo nei vari paesi e non
sortirono gli stessi effetti positivi in quanto ad entità ed a rapidità di
11
manifestazione; inoltre l’interventismo sfociò in alcuni casi in forme
autarchiche che isolarono i paesi, frazionarono il mondo economico e
contribuirono al degenare della situazione internazione, la quale ebbe
come sbocco il secondo conflitto mondiale.
Il 1933 segnò una svolta importante nella crisi ( paragrafo 1.12 ). In
questo anno si può datare l’inizio della ripresa anche se il fenomeno non
interessò tutti i paesi contemporaneamente. Il 1933, inoltre, fu
caratterizzato da vari fatti che modificarono lo scenario internazionale. Il
primo è il definitivo fallimento di ogni tentativo di collaborazione
internazionale con l’insuccesso della conferenza economica mondiale di
Londra e la formazione dei quattro blocchi (area del dollaro, area della
sterlina, blocco aureo, area commerciale nazista). La caduta del dollaro
costituisce il secondo fatto importante del 1933. Tale avvenimento
stimolò la spesa pubblica americana e permise di attuare una serie di
politiche che vennero raccolte in un programma chiamato New Deal. Per
ultimo, ma non meno importante, nel 1933 vi fu l’ascesa di Hitler al
potere in Germania con le conseguenze note a tutti.
Dopo aver considerato la crisi a livello internazionale, nella seconda
parte si analizza più a fondo il caso italiano. Molti considerano la crisi
12
italiana
3
come un fenomeno fondamentalmente esogeno, avente quindi
cause di derivazione esterna, e si limitano ad analizzarne gli effetti. Nei
cenni introduttivi ( capitolo 2.-paragrafo 2.1 ) si vuole evidenziare che,
pur con influenze esterne, la crisi in Italia ha avuto caratteristiche sue
proprie: nel periodo di riferimento, nelle modalità di intervento e, anche
se in minima parte, nell’entità del suo scatenarsi. Per comprendere il
3
Sull’argomento cfr. C. ARENA, La crisi economica mondiale e l’economia corporativa, estratto da
“Lo Stato”, fasc. VII, 1931; M. MASSA, La crisi economica e i comuni, Campobasso 1931; G. ARIAS,
L’italia e la crisi economica, Firenze 1932; M. COLONNA, Lo stato risolve la crisi mondiale. I grafici
dell’esodo, Napoli 1932; S. PUGLIESE, Due discorsi sulla crisi e una lettera di S. E. Paolo Boselli,
Catanzaro 1932; S. PUGLIESE, La crisi mondiale e l’economia corporativa del regime, Catanzaro
1932; G. DI SABATINO, L’italia e l’economia corporativa di fronte alla crisi economica mondiale,
Teramo 1933; G. MORTARA, L’italia e l’economia corporativa di fronte alla crisi economica
mondiale, Roma 1934; A. CABIATI, La crisi e i nuovi provvedimenti del governo, in “La Riforma
Sociale” 1935; V. MORETTI, La crisi mondiale e la depressione economica italiana, in “Annali di
economia”, vol. X, 1935; G. SACCO, Il macchinismo, la crisi e la soluzione corporativa, Palermo
1935; T. FATTOROSSI, Crisi economica e finanza statale, in “Rivista di scienze economiche”, 1936;
M. FASIANI, Principi generali e politiche delle crisi, in “10 anni di economia fascista”, Padova 1937;
P. SYLOS LABINI, La politica economica del fascismo e la crisi del 1929, Napoli 1965; A. AQUARONE,
Italy: The Crisis and corporative economics, in “Journal of Contemporary History”, 3, 1969; P.
GRIFONE, Il capitale finanziario in Italia, Torino 1971; L. VILLARI, Il capitalismo italiano del
Novecento, Bari 1972; A. GRAZIANI (a cura di), Crisi e ristrutturazione dell’economia italiana, Torino
1975; M. PACI, Crisi, Ristrutturazione e piccola impresa, in “Inchiesta”, n. 20, 1975; M. SALVATI, Il
sistema economico italiano:analisi di una crisi, Bologna 1975; M. SALVATI, Lo sviluppo economico
italiano, Bologna 1975; P. CIOCCA-G. TONIOLO, L’economia italiana nel periodo fascista, Bologna
1976; F. BONELLI-L. CAFAGNA-E. GALLI DELLA LOGGIA, L’economia italiana nel periodo fascista:
alcune osservazioni (note al convegno di Perugia), in “Quaderni storici”, n. 31, 1976; E. DONATI,
Fascismo e crisi economica, in “Studi Storici” 1976; R. FILOSA-M. G. REY-B. Sitzia, Uno schema di
analisi quantitativa dell’economia italiana durante il fascismo, in L’economia italiana nel periodo
fascsta, CIOCCA P.-TONIOLO G., Bologna 1976; G. GUALERNI, Industria e fascismo. Per una
interpretazione dello sviluppo economico italiano tra le due guerre, Milano 1976; G. TONIOLO,
Industria e banca nella grande crisi 1929-1934, Milano 1978; V. CASTRONOVO, Il grande crollo 50
anni dopo. Interventi di Castronovo e altri, Milano 1979; G. P. FRANCO, Sviluppo e crisi della
economia italiana, Milano 1979; L. GRAZIANO-S. TARROW, La crisi italiana, 2 voll., Torino, 1979; V.
ZAMAGNI, Settore distributivo e crisi del ’ 29 in Italia, Milano 1979; G. TONIOLO, L’economia
dell’Italia fascista, Bari 1980; P. CIOCCA, L’instabilità dell’economia. Prospettive di analisi storica,
Torino 1987; N. ROSSI-G. TONIOLO, Catching-Up or Falling behind? Italy’s economic growth 1890-
1947, in “The Economic History Review”, XLV, 1992; V. CASTRONOVO, Storia economica d’Italia:
dall’Ottocento ai giorni nostri, Torino 1995; G. MAMMARELLA, Il declino: le origini storiche della
crisi italiana, Milano 1996; L. DE ROSA, Lo sviluppo economico dell’Italia dal dopoguerra ad oggi,
Roma-Bari 1997; G. TONIOLO-P. CIOCCA (a cura di), Storia economica d’Italia, Roma 1998. Per una
più vasta bibliografia sull’argomento si veda la lista a fine tesi ordinata per anno di pubblicazione.
13
perché di tali differenze è necessaria quindi una analisi dell’economia
italiana neli anni ’20 ( paragrafo 2.2 ) che ci consenta di capire in quali
condizioni il nostro paese si presentò nel momento in cui la crisi esplose
e i motivi di certe politiche nel decorrere della stessa. Dal ’22 la storia
italiana si lega a quella del fascismo, il quale ebbe un peso determinante
nel deflusso della Grande Depressione, consentendo l’attuazione di
determinate politiche, che solo un regime dittatoriale poteva permettere,
e impedendone altre, più che altro per motivazioni propagandistiche e di
orgoglio personale di Mussolini. Nella politica fascista distinguiamo il
periodo precedente al ’25, caratterizzato da una sorta di liberismo, e
quello successivo al ’25, caratterizzato da forme di interventismo sempre
più marcate come nel caso della politica nota con il nome “Battaglia del
grano”, la “Bonifica integrale” e soprattutto “Quota 90”, politica
monetaria di difesa della lira e responsabile di una eccessiva
sopravvalutazione e conseguente deflazione, le quali resero più aspra la
crisi e ostacolarono la ripresa ( paragrafo 2.2.1 ); con la battaglia della
lira ebbe inizio quella linea di condotta tesa al mercato interno e alla
sostituzione delle importazioni che poi sfociò nell’impostazione
autarchico-bellica degli anni Trenta.
14
Nel paragrafo 2.2.2 si citano brevemente gli andamenti settoriali nel
periodo ‘26-’29, per poi passare a considerare immediatamente
( paragrafo 2.3 ) la Grande Depressione in Italia. Trattando la crisi
italiana come fenomeno endogeno si ricercano le cause della gravità e
persistenza della fase discendente, notando come alcune di esse siano,
con le dovute qualificazioni e approssimazioni, le stesse delle principali
economie estere: si parla di eccesso di capacità produttiva, di
distribuzione non ottimale delle risorse tra aree geografiche e tra settori,
di instabile politica di indebitamento dei vari paesi e di inadeguatezza
delle misure attuate dai governi del tempo. Certo influenze esterne vi
furono e non potevano non esservi, vista la strutturale apertura
dell’economia italiana ai mercati internazionali, ma a rafforzare la tesi
della endogeneità della crisi italiana rimane la constatazione che il punto
di svolta superiore del ciclo (agosto-settembre) fu all’incirca coevo a
quello degli altri paesi.
Dal paragrafo 2.3.1 al 2.3.4 si studiano gli effetti della crisi su
agricoltura, industria, commercio e disoccupazione.
Nel paragrafo 2.3.5 viene descritta la politica dei cambi seguita dal
governo nel periodo in questione: essa fu condizionata dalla scelta
compiuta nel ’27 relativa alla “Quota 90” e dall’intenzione di rimanere
15
legati al sistema aureo, tanto da entrare a far parte del novero dei paesi
del “blocco aureo”. La fedeltà al sistema aureo si concretizzò nella scelta
della deflazione interna per tentare di mantenere equilibrata la bilancia
commerciale e stabilizzare il livello delle riserve, obiettivo che si rivelò
irraggiungibile. Nel 1934, dopo una grossa emorragia di oro, si ripristinò
il monopolio statale affidato all’Istituto Nazionale per i Cambi con
l’Estero, confermando l’orientamento in corso verso una impostazione
autarchica.
Anche la politica monetaria italiana ( paragrafo 2.3.6 ) seguì
“tendenzialmente” le regole del Gold Exchange Standard e fu
sostanzialmente in linea con la politica deflattiva già posta in essere dal
discorso di Pesaro; nel complesso essa non costituì un fattore limitativo
all’espansione del reddito, non ebbe una importanza rilevante nel
determinare l’andamento della depressione in Italia se non per l’effetto
positivo di costringere le autorità ad adottare la Banca d’Italia come
prestatore di ultima istanza.
Nel paragrafo 2.4 viene affrontata la questione dei salvataggi bancari e,
strettamente legata con essa, la creazione dei due enti IMI e IRI. In
sostanza il salvataggio delle banche miste si svolse nel nostro paese
senza i drammatici risvolti pubblici quali la chiusura degli sportelli e i
16
moratoria, che caratterizzarono i paesi esteri, perché la dittatura consentì
agli interventi operati nel nostro paese di venire condotti con sufficiente
segretezza. Nella fase iniziale le misure di salvataggio furono dettate
quasi esclusivamente dall’esigenza di ridare liquidità alle grandi banche
e di sottrarre l’Istituto di emissione da una posizione anomala e precaria,
così da poter evitare i contraccolpi psicologici che potevano far crollare
la parità aurea e impedire alo Stato di attingere al risparmio privato per i
propri fabbisogni; fu solo in seguito che si creò una holding industriale
di Stato che, sostituendosi alle banche miste, avrebbe finanziato il
sistema industriale, compito per il quale il capitale privato era nel nostro
paese inadeguato. La prima misura di rilievo posta in essere per
fronteggiare gli effetti prodotti in Italia dalla Grande Crisi è la
costituzione dell’IMI. Tale ente avrebbe dovuto dar luogo ad una grande
conversione di crediti delle banche verso imprese industriali in prestiti
dell’IMI verso le stesse imprese, dando in dietro così alle banche mezzi
liquidi con cui dare un assetto più consono ai propri impieghi. Questa
operazione di conversione non ebbe luogo: scarsi furono i prestiti
concessi dall’IMI alle imprese e praticamente nullo l’aiuto dato al
sistema bancario. Senza dubbio più efficace fu l’IRI. Obiettivo primario
della sua creazione fu all’inizio soprattutto il risanamento del bilancio
17
della Banca d’Italia, la cui funzione di creditore di ultima istanza portò
ad avere un livello eccessivo di immobilizzazioni; ma, a partire dalla
metà del 1933, anche quello di sostituire la banca mista nella
promozione, coordinamento e riorganizzazione di interi settori
produttivi. In sostanza il suo compito era duplice: completare
l’organizzazione creditizia del paese così da poter offrire credito a
medio-lungo termine alle industrie, una volta abolita definitivamente la
banca mista, e di riorganizzare, come holding, a livello tecnico e
finanziaro, l’attività industriale del paese sconvolta dalla crisi.
Nel periodo 1933-35 viene fatta una scelta a favore di un consistente
interventismo statale, varando l’autarchia ( paragrafo 2.5 ) e il piano
regolatore dell’economia. Gli strumenti finanziari di questa nuova
politica furono prima l’IMI e poi L’IRI che indirizzarono i risparmi
verso i settori prioritari, quelli autarchico-bellici per l’appunto. La scelta
di tale linea di condotta venne istituzionalizzata con la creazione delle
corporazioni. La dottrina corporativa afferma che è possibile e
necessario intervenire nell’ordine economico ed introdurvi una disciplina
intesa ad armonizzare gli interessi contrastanti tutelando, sopra ogni altra
cosa, l’interesse superiore dell’economia nazionale. Oltre al
contenimento delle importazioni, che rimane il punto cardine del sistema