IV
La seconda parte di questo lavoro, dunque, è dedicata all’analisi di un’azienda di servizi
che è considerata una tra le imprese nazionali, o tra i conglomerati, più importanti del
Paese: Alitalia.
La scelta è guidata dalla voglia di approfondire una realtà importante del sistema
economico del Paese che ben si presta a rappresentare gli aspetti più problematici della
vita di una grande impresa. Molti manager fino ad oggi si sono dimostrati incapaci di
risolvere una questione, comunque, molto complessa. Per questo motivo si procede ad
una profonda analisi della storia della crisi di quest’impresa che oggi sta vivendo una
grande svolta a seguito dell’ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria
e all’acquisto di parte degli asset ad opera di un nuovo soggetto: Alitalia – Compagnia
Aerea Italiana.
1
I PARTE
I PROCESSI DI TURNAROUND
SOMMARIO: Premessa - 1. Il turnaround nell’analisi della letteratura – 1.1 Declino, crisi e la decisione
di attuare il turnaround – 1.2 Il processo di turnaround – 1.3 Strategie di turnaround da declino – 1.4 Le
capacità del management nell’attuazione delle strategie – 1.5 Le cause del declino e la perdita della
posizione competitiva – 2. Il Piano di turnaround – 3. Le novità legislative: nuove prospettive per il
turnaround e il private equity – 4. L’amministrazione straordinaria
1. Il turnaround nell’analisi della letteratura
Premessa
Una parte considerevole degli studiosi tende a distinguere le società con potenzialità tali
da arginare il declino o recuperare in costanza di crisi, da quelle destinate al fallimento.
La ricerca abbraccia un notevole numero di discipline accademiche e comprende teorie,
casi di studio ed aneddoti. Anche per questo motivo c’è ancora molta confusione circa
le circostanze in cui il processo di risanamento e ritorno al valore è fattibile, e quali
sono i fattori chiave e le strategie da adottare. In questa parte iniziale del lavoro si
procederà ad analizzare gli elementi e le problematiche che riguardano la decisione di
attuare il turnaround, il processo stesso, i problemi di riorganizzazione e la probabilità
di successo cercando di creare una veduta d’insieme analitica circa le varie strategie di
successo alternative applicabili secondo gli studi più autorevoli effettuati sino ad oggi.
La legislazione vigente, a seguito delle recenti riforme e modifiche, permette alle
società in crisi di riorganizzarsi, trovare accordi con i propri creditori affinchè l’attività
possa continuare. La sopravvivenza di un’impresa è sicuramente un evento auspicabile
dato l’elevato numero di interessi che girano intorno ad essa. Una decisione manageriale
tempestiva può dare all’impresa la possibilità di sopravvivere ma, a volte, devono essere
2
prese delle decisioni drastiche, tali per cui spesso, non tutte le attività dell’impresa in
declino, e soprattutto in crisi, possano essere recuperate. È altrettanto importante agire
senza sprechi di tempo e di ulteriore spesa. Di seguito viene riportato una fotografia di
quelle che, secondo gli studi più recenti, rappresentano le strategie e le considerazioni
più condivise fatte da una serie di autori che si occupano di una parte della gestione
d’impresa che, in Italia, stenta a decollare nonostante la riforma fallimentare abbia
costituito il presupposto per un suo successivo sviluppo.
1.1 Declino, crisi e la decisione di attuare il turnaround
Alcuni autori
1
riconoscono l’importanza del ruolo svolto dai decision-maker, della loro
condotta e la loro relazione con i segnali provenienti dalle informazioni disponibili. I
lori studi mirano a sviluppare dei modelli statistici per chiarificare e studiare questi
problemi. Il primo stadio della ricerca comprende l’esame dell’“evento
riorganizzazione”, ossia la decisione che riguarda la preparazione di una strategia tesa al
rilancio dell’impresa oppure l’attesa delll’inizio della procedura concorsuale più idonea
a liquidare parzialmente l’azienda. Gli autori in questione ribadiscono quanto già
rilevato in precedenza da Bulow e Shoven
2
e White
3
, i quali dimostravano l’importanza
delle informazioni disponibili ai potenziali gruppi di decision-maker, compreso l’assetto
proprietario, i manager e i vari gruppi di creditori.
Durante il corso degli ultimi anni, il concetto di dissesto finanziario è notevolmente
cambiato, soprattutto a causa delle modifiche legislative e dei mercati. In primo luogo,
c’è da dire che il numero delle situazioni di dissesto e di crisi sono notevolmente
aumentate, soprattutto a causa di un notevole aumento della complessità dell’ambiente
in cui le imprese operano. In secondo luogo, poi, bisogna ricordare che le imprese
hanno sostituito gradualmente la loro struttura del debito, passando da forme di
finanziamento commerciali a forme di finanziamento rivolte al pubblico, creando così
situazioni più complesse per il sistema finanziario del Paese.
Ottenere informazioni chiare, attendibili e verificabili, con un ragionevole grado di
certezza, in fase di dissesto finanziario, può risultare particolarmente difficile. Anche la
valutazione di un’azienda in crisi può essere così complessa che le valutazioni circa le
1
ROUTLEDGE J. & GADENNE D., 2004. An exploratory study of the company reorganization decision
in voluntary administration. «Pacific Accounting Review», Vol. XVI (1): 31-56.
2
BULOW J.I. & SHOVEN J.B., 1987. The bankruptcy decision. « Bell Journal of Economics», Vol. IX:
437-456.
3
WHITE M., 1980. Public policy toward bankruptcy: me-first and other priority rules. «The Bell Journal
of Economics», Vol. XI: 550-564. WHITE M., 1983. Bankruptcy costs and the new bankruptcy code.
«Journal of Finance», Vol. XXXVIII (2): 477-488. WHITE M., 1989. The corporate bankruptcy decision.
«Journal of Economic Perspectives», Vol. III (2): 129-151.
3
potenziali azioni da intraprendere possono essere estremamente discutibili. Un problema
notevole riguarda la definizione stessa di insolvenza in maniera chiara e precisa, in
modo tale che gli stakeholder possano prepararsi alla fase in cui vengono chiesti loro dei
sacrifici.
Ulteriori difficoltà sorgono quando si tenta di distinguere la crisi dall’insolvenza
tradizionale, cioè dalla patologia
4
che conduce alla dichiarazione di fallimento e
successivamente alla disgregazione dell’organizzazione aziendale, tanto più che,
generalmente, i due concetti sono considerati sinonimi. In realtà, la stessa locuzione
crisi d’impresa è ambigua: alcune volte è utilizzata per indicare un processo di
deterioramento generale delle condizioni economiche dell’impresa
5
; altre volte come
una situazione economica di fatto che rientra, comunque, nel concetto d’insolvenza
6
.
Ciò che preme sottolineare, tuttavia, è che non sembra corretto parlare di crisi al
singolare. Esistono, verosimilmente, diverse tipologie di crisi d’impresa.
Il nostro ordinamento, peraltro, a prescindere dall’istituto del fallimento, disciplina
giudizialmente alcune situazioni di crisi d’impresa: ci riferiamo all’amministrazione
straordinaria e all’amministrazione controllata. A riguardo, è da dirsi che, tra tutte le
procedure concorsuali minori, le due sopra indicate sono quelle dichiaratamente dirette
al risanamento dell’impresa e non alla sua liquidazione. Quanto all’amministrazione
controllata è proprio la stessa legge fallimentare a presupporre “le comprovate
possibilità” di ripresa come conditio sine qua non per l’ammissione alla procedura.
È da tempo che si parla di inattualità del diritto fallimentare di fronte alla crisi
d’impresa moderna e ciò ha dato origine ad una sempre maggiore diffusione delle
soluzioni stragiudiziali, che si inquadrano in una generale tendenza del sistema
capitalistico alla privatizzazione dell’istituto del fallimento e si pongono come il più
delicato modo di affrontare la crisi dell’impresa
7
. Gli accordi stragiudiziali a cui ci
riferiamo hanno come presupposto la crisi finanziaria dell’impresa, non la sua
insolvenza, ma è certo che se l’impresa non supera il momento di difficoltà finanziaria,
è destinata in breve tempo al definitivo dissesto. L’imprenditore è tenuto, se la società
versa in condizioni di squilibrio finanziario, a prendere una grave decisione: continuare,
attraverso accordi stragiudiziali con i creditori per cercare di risanare l’impresa, così da
onorare gli impegni assunti; oppure chiedere tempestivamente l’ammissione ad una
procedura concorsuale e condannare l’attività d’impresa alla cessazione e l’azienda alla
disgregazione. La ricerca dell’accordo stragiudiziale con i creditori potrebbe essere
considerata come un’operazione per ritardare o per astenersi dal richiedere la
4
TERRANOVA G., 1996. Lo stato d’insolvenza. Per una concezione formale del presupposto oggettivo
del fallimento. «Giurisprudenza Commerciale», vol I: 83-85.
5
DOMENICHINI G., 1996. Convenzioni bancarie ed effetti sullo stato d’insolvenza. «Il fallimento», pag.
840 e ss.
6
ROSSI G., 1997. Crisi dell’impresa: soluzioni al confine tra diritto fallimentare e societario. «Il
fallimento», pag. 914 e ss.
7
ROSSI G., 1996. Crisi delle imprese: soluzione stragiudiziale. «Rivista delle società»: cit pag. 323.
4
dichiarazione di fallimento, se l’impresa versa in una condizione in cui non sia più
possibile ricorrere al credito o, comunque, l’ulteriore indebitamento non consenta il
“break even” ma contribuisca esclusivamente a deteriorare il dissesto e il valore
dell’impresa. Quindi, sempre nel caso di difficoltà finanziaria dell’impresa ed in caso di
successiva dichiarazione di fallimento, anche la posizione dei creditori e in particolare
dei creditori finanziari (banche ed istituti di credito), può assumere particolare rilevanza
giuridica.
Alcuni autori
8
hanno sottolineato che lo sguardo dell’economista cade direttamente
sulla crisi dell’impresa, che costituisce oggetto di immediata considerazione; altra e
inesorabilmente diversa è la prospettiva giuridica. Tra il nostro sguardo e la crisi
d’impresa si inserisce la necessaria mediazione della legge, perciò il giurista non vede la
crisi come ad un fatto del mondo esterno, osservabile nella sua neutrale oggettività. È
perciò difficile il dialogo tra giuristi ed economisti: gli uni, serrati nel circolo delle
norme legislative; gli altri, liberi di scegliere la soluzione più giusta o conveniente
9
.
Riteniamo che trattandosi di circostanze di fatto, entrambi i punti di vista siano
parimenti legittimi e che crisi e insolvenza non siano prima concetti economici e poi
giuridici o viceversa, bensì fenomeni empirici valutabili sotto due diversi profili. Una
delle caratteristiche del ruolo dell’economista rispetto al giurista, vista la vocazione del
primo all’osservazione diretta del reale, è l’utilizzo di strumenti volti alla misurazione,
alla quantificazione precisa dei fenomeni della realtà socio-economica. Attraverso l’uso
di strumenti che provengono principalmente dalla matematica e dalla statistica,
l’aziendalista è così in grado di giungere alla definizione di crisi d’impresa e di
insolvenza, andando al di là del dato giuridico
10
. Innanzitutto, è da dirsi che egli osserva
l’impresa più come organizzazione di beni e di mezzi che come entità giuridica a sè
stante. Gli economisti utilizzano oltre alla locuzione crisi finanziaria d’impresa, il
termine inglese di financial distress
11
. È evidente, a riguardo, un particolare di grande
importanza: come per i giuristi anche per gli economisti il termine “crisi d’impresa”
viene utilizzato in un’accezione vasta e onnicomprensiva, in cui rientrano concetti come
insolvenza, temporanea difficoltà, crisi finanziaria ed in genere tutta la patologia della
vita di una società. Tutte queste espressioni meritano però una spiegazione più tecnica e
precisa. In particolare, per comprendere il significato di crisi finanziaria è indispensabile
specificare che esso è strettamente collegato alla variabile temporale di scadenza del
8
BERTOLI Giuseppe, 2000. Crisi d'impresa, ristrutturazione e ritorno al valore. Milano: Egea, 2000.
9
IRTI N., 1986. Il giurista dinanzi alla crisi dell’impresa. «Rivista italiana del leasing»: 249 e ss.
10
GUATRI G., 1988. Patologia aziendale. Milano: Egea, 1988.
11
La locuzione usata è traducibile letteralmente come sofferenza o tensione finanziaria. Cfr. BELCREDI
M., 1995. Crisi d’impresa e ristrutturazione finanziaria. Milano: Vita e pensiero, 1995 e GUATRI L.,
1995. Turnaround declino, crisi e ritorno al valore. Milano: EGEA, 1995. Il primo di questi autori
designa il financial distress come insolvenza in termini di flussi assunta, poste alcune condizioni, come
uno degli “eventi sintomatici che segnalano il rischio d’insolvenza tempestivamente, cioè prima che si
giunga all’insolvenza in termini di stock”. Il secondo, in un’ottica di gestione d’impresa, definisce la crisi
senza parlare di distress come “sviluppo interiore del declino” dell’impresa concretantesi in perdite sul
piano di redditività, di valore e “in ripercussioni gravi e crescenti sul piano dei flussi finanziari”.
5
debito: se, per ipotesi, stabiliamo che i debiti abbiano tutti la medesima scadenza e che
l’impresa non sia complessivamente in grado di soddisfarli nell’istante di
contemporanea scadenza, possiamo affermare che l’impresa è in stato di insolvenza
“misurabile” in termini di stock; in altre parole la società si trova nella situazione in cui,
alla scadenza del debito, “il valore delle proprie attività è minore del valore facciale del
debito”, ma prima della scadenza del termine per l’adempimento, questo stesso concetto
di insolvenza non può avere un significato economico preciso
12
. A questo punto, uno
dei modi per cogliere immediatamente l’insorgere del rischio d’insolvenza è quello di
verificare la presenza di una situazione d’insolvenza in termini di flussi (o tensione
finanziaria); i flussi di cassa generati dalla gestione operativa nell’unità di tempo sono
insufficienti a far fronte alle obbligazioni comportate dai contratti in essere. Prima dello
scadere del termine fissato per l’adempimento, l’impresa si trova in una difficile
situazione economica, caratterizzata anche dalla presenza di flussi di cassa negativi
rispetto alle passività correnti. Spiegati tali concetti si può dire, in generale, che parlare
di crisi d’impresa e di financial distress significa riferirsi più che a singoli concetti ad
un processo evolutivo, caratterizzato dall’incertezza, e che possiamo definire come la
fase iniziale di un processo di turnaround, vista l’impossibilità di determinare con
precisione scientifica il valore del complesso delle attività, ivi compresi beni del tutto
immateriali quali, ad esempio, il credito e l’avviamento. Appare ora chiaro dal punto di
vista economico che mentre una situazione di crisi e financial distress non comporta
necessariamente insolvenza, l’insolvenza comporta necessariamente una precedente
situazione di crisi. Non assume rilevanza centrale la variabile temporale di scadenza dei
debiti e l’attenzione maggiore si sposta sulla capacità d’impresa di creare valore
economico o di mercato del capitale sociale. “Declino” e “crisi” non si manifestano in
modo repentino ma, in genere, sono “annunciati” da fenomeni sintomatici denominati
anche decadenza e squilibrio. Questi ultimi sono, a loro volta, la manifestazione
concreta e misurabile in termini di perdita di redditività e di valore, di altri fattori sia
macroeconomici a livello internazionale, nazionale e di settore di attività che
microeconomici che si riferiscono alle caratteristiche di organizzazione e gestione
dell’impresa.
Risulta agevole comprendere, così, che il “declino” è la progressiva erosione del valore
economico del capitale in un determinato periodo di tempo e che il suo principale
sintomo è la perdita della capacità di produrre reddito e non solo la diminuzione degli
utili sul piano storico, sempre che il fenomeno superi una certa soglia d’intensità. La
“crisi” è un peggioramento ulteriore del “declino” ed è riconoscibile dai risultati
negativi in relazione ai flussi finanziari, dalla perdita di credito e di fiducia
13
. È da
12
Prima del compiersi del termine, l’impresa si trova in una situazione di insolvenza attesa che non è una
grandezza economica omogenea alle altre (insolvenza espressa in termini di stock, insolvenza in termini
di flussi), il cui valore dipende dalla media matematica dei possibili valori che può assumere il complesso
delle attività dell’impresa stessa. Per maggiore precisione cfr. BELCREDI M., op.ult. cit., pag 6.
13
GUATRI L., 1995. Op. ult. cit.
6
sottolineare che l’accenturarsi del “declino” in “crisi”, e quindi l’aggravarsi delle perdite
di valore, è accompagnato, nelle società quotate, da una caduta delle azioni assai al
disotto del valore nominale.
In una situazione così grave, l’impresa prossima all’insolvenza non può sperare di
risollevarsi senza imporre sacrifici a tutti i soggetti che hanno rapporti giuridici con
essa. Un atteggamento inerte o incapace di fronte alla crisi finanziaria conduce
sicuramente all’insolvenza, comportando l’avvio della procedura fallimentare o di una
procedura concorsuale o, alternativamente, ad una convenzione stragiudiziale per
giungere ad un piano di risanamento dell’impresa evitando l’insolvenza e soddisfando
almeno in parte i debiti contratti. Invero, la situazione di financial distress si pone come
presupposto della procedura stragiudiziale di ristrutturazione, così come l’insolvenza
rappresenta il presupposto oggettivo del fallimento e delle altre procedure concorsuali.
Nel primo caso, attraverso la continuazione dell’attività d’impresa si opera nella
direzione del ristabilimento di una situazione fisiologica dell’attività stessa. Nel caso di
insolvenza e successiva procedura concorsuale è scontata la cessazione dell’attività
d’impresa e la disgregazione dell’organizzazione aziendale.
È importante che gli investitori in queste fasi siano sufficientemente informati circa la
storia dei flussi finanziari di una società e capaci di prevedere quelli attesi per valutare
l’opportunità di investimento. L’esigenza di queste informazioni è ancora più
importante in quei contesti in cui il tessuto economico è costituito prevalentemente da
un assetto proprietario diffuso. Le politiche di riorganizzazione sono necessarie a
tutelare vari interessi che, fermo restando il comune denominatore che mira alla
massimazione del valore dell'azienda, riguarderanno vari gruppi di soggetti interessati in
maniera distinta. Ci si troverà, dunque, a dover gestire una situazione complessa dove
non sarà facile trovare un punto di equilibrio per soddisfare sufficientemente tutti gli
interessi in gioco. Qualche soggetto sicuramente ne uscirà gravemente penalizzato.
Ci sarà inevitabilmente un conflitto d’interesse circa la valutazione del miglior modo
per risolvere la crisi dato che, teoricamente, le soluzioni sono numerose e qualsiasi
strategia distribuirà in maniera diversa la ricchezza disponibile in diverse proporzioni
tra azionisti, creditori, management e dipendenti. Come è già stato notato in altri studi
14
,
questa situazione può indurre vari soggetti a presentare o modificare le informazioni
disponibili, a fornire dati imprecisi in modo tale da tutelare i propri fini. Si rende
necessario, a questo punto, una decisa e seria attività di controllo e accertamento, ad
esempio da parte dell’amministrazione finanziaria, dato che il successo del turnaround,
spesso, dipende proprio dalle informazioni disponibili. La possibilità che si vada
incontro a comportamenti lesivi del valore dell’impresa è forte; nei casi più estremi
14
Si veda a riguardo: KABACK H., 1996. The case for cash for directors. « Directors and Boards», Vol.
XX (3): 14-24; DALTON D.R. & DILY C.M., 2001. Director stock compensation: an invitation to a
conspicuous conflict of interest?. «Ethics Quarterly», Vol. XI (1): 89-108.