PREFAZIONE
“nullum bonum perfecte noscitur, quod non perfecte amatur”
(“nessun bene è conosciuto perfettamente se non lo si ama
perfettamente” Sant‟Agostino, Ottantatre questioni diverse, 35,2).
Premetto che, dopo aver scritto quest‟opera, mi sento ancora più a disagio quando mi trovo
in compagnia di persone cosiddette “perbene” che si scandalizzano e, prontamente, condannano le
azioni delittuose commesse da minori comunicate, nonché generalmente distorte, dai mass-media.
Mi sento come un‟iniziata alla conoscenza della criminalità minorile che, tuttavia, non ha il
coraggio di esporsi pubblicamente perché teme di essere additata fra coloro che prendono le difese
di quei “delinquenti”. E‟ per questo che devo chiarire che, come hanno scritto gli inglesi Marsh,
Rosser e Harré nel saggio Le regole del disordine, tentare di comprendere il significato della
devianza di certi giovani non significa affatto giustificarli: “non è nostro compito giustificare o
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condannare taluni comportamenti; ci sforziamo semplicemente di renderli intelligibili”. Tuttavia, a
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mio giudizio, per “renderli intelligibili”, come sosteneva Matza a suo tempo, occorre “rivalutare”,
cioè apprezzare, accogliere, condividere, simpatizzare, compatire il soggetto studiato, farsi
prossimi, sentire ciò che egli sente, fino, aggiungerei io, ad amarlo per quello che è. Per questa
ragione ho scelto, come citazione iniziale del mio scritto, la frase di Sant‟Agostino. Nel sostenere
un simile atteggiamento mi sento un po‟ colpevole perché complice di chi “devia”, ma ritengo che
nel guadagno della conoscenza questo sia un prezzo che valga la pena pagare.
La mia tesi è suddivisa in tre capitoli che fanno riferimento agli argomenti di cui si compone
il titolo: la criminalità minorile, le “carriere criminali” ed, infine, gli interventi di prevenzione della
prima. In tutte e tre le parti l‟avvio è rappresentato da una o più definizioni dei concetti usati.
Riguardo al primo tema, sono partita dalla distinzione fra “devianza” e
“delinquenza/criminalità” mettendo in evidenza, anche se ciò potrebbe suscitare scandalo a livello
di pensiero comune, il carattere necessariamente relativo dei due concetti, cioè la loro dipendenza
dall‟esistenza di una “norma”. E‟ per questo motivo che ho preso in considerazione il nostro Codice
penale, ossia il sistema di norme valido, in gran parte, anche per i minori e in riferimento al quale
vengono sanciti i reati e le pene corrispondenti. Un principio importante di tale sistema per la
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MARSH P., ROSSER E., HARRÉ R., Le regole del disordine, Giuffrè editore, Milano, 1984, p. 104.
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MATZA D., Come si diventa devianti, il Mulino edizioni, Bologna, 1976, p. 35.
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definizione della categoria di “criminale” è quello di “imputabilità”, di cui ho esaminato il
significato. Successivamente, ho presentato alcuni dati statistici ufficiali inerenti il fenomeno della
criminalità minorile in Italia, mettendo in evidenza quanto siano influenzati dal cosiddetto “numero
oscuro”. Inoltre, ho brevemente presentato l‟attuale condizione del minore-adolescente nella società
occidentale mostrando i “compiti evolutivi” che è chiamato a realizzare e l‟importanza del “gruppo
dei pari”. Infine, ho riproposto, basandomi sui testi di capitale importanza di Tullio Bandini e
Uberto Gatti e di Gaetano De Leo, le principali teorie esplicative della “devianza/criminalità” dalla
nascita della scienza criminologica, in ambito positivista, fino alla rivoluzione epistemologica degli
anni ‟60 con l‟affermarsi prima dell‟“interazionismo”, poi del “costruttivismo”. De Leo e il suo
gruppo di ricerca, in particolare, dai maggiori contributi del “costruzionismo complesso” degli anni
‟80 hanno attinto per l‟elaborazione dell‟originale “teoria dell‟azione comunicativa deviante”, la
quale cerca di rendere ragione delle azioni criminali compiute da minori.
Nel secondo capitolo, dopo aver esplicitato il significato del concetto di “carriera” ne ho
messo in evidenza il diverso uso nello studio della criminalità secondo due distinti filoni di
pensiero. Intenzionalmente ho privilegiato il secondo filone, avente come capostipite il sociologo
Howard Becker e come interesse principale quello di descrivere i cambiamenti di identità
dell‟individuo coinvolto nel processo della devianza. In Italia, questo tipo di studi sulle “carriere
criminali” è rappresentato dalla scuola genovese di Criminologia e da quella romana di De Leo.
Entrambe, sull‟esempio di Becker, hanno sviluppato dei modelli (o schemi) del processo attraverso
il quale un individuo, da un singolo atto deviante, assume un‟identità e un comportamento stabili di
tipo criminale. Un esempio concreto di ciò è quello dei “bravi ragazzi” di Genova, la cui carriera,
dagli esordi in età adolescenziale fino al declino, è stata studiata da Alessandro Dal Lago ed Emilio
Quadrelli. Gli studi sulle “carriere criminali” hanno permesso di comprendere come il carcere,
anche nella sua presunta valenza “rieducativa”, diversamente da come si pensa a livello comune,
abbia un‟importante funzione di “amplificazione della devianza” in quanto favorisce l‟assunzione,
da parte del soggetto, di un‟identità deviante. Questo è ormai un dato acquisito a livello scientifico
e, grazie a ciò, almeno nel nostro paese, anche a livello legislativo-normativo. Infatti, il nuovo
processo penale minorile, introdotto nel 1988, cerca in ogni modo di contenere gli effetti negativi
del contatto fra minore e sistema penale, sancendo, ad esempio, la “residualità della detenzione” e
proponendo misure alternative ad essa.
L‟ultimo capitolo è dedicato alla “prevenzione” della criminalità minorile. Tale concetto non
va assunto in modo acritico, poiché contiene una valutazione etica del fenomeno a cui fa
riferimento. Studiosi come Becker e Matza, a mio parere, pur nella loro apparente spregiudicatezza,
hanno permesso di “purificare” tale concetto da ogni grossolana, superficiale e inadeguata
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comprensione. Inoltre, gli studi sulle “carriere criminali”, hanno permesso una rivalutazione della
soggettività, dei suoi meccanismi psicologici di “autoregolazione” e, di conseguenza, l‟affermarsi di
un modello di intervento che promuove (per questo è chiamato “promozionale”) le capacità dei
minori nel far fronte ai “compiti evolutivi” e ai “fattori di rischio” e che riduce gli effetti
“stigmatizzanti” di quello precedente. De Leo, in particolare, fra i diversi ambiti di prevenzione
“promozionale” ha individuato quello della giustizia penale di tipo “riparativo-conciliativa”,
introdotta in Italia dal nuovo processo penale per minori. Infine, ho voluto, dopo esserne venuta a
conoscenza durante un Convegno sulle misure alternative alla detenzione che si è tenuto a Bologna
quest‟anno, far conoscere un progetto di intervento preventivo-promozionale che si è svolto nella
mia città.
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CAPITOLO 1 : SULLA CRIMINALITÀ MINORILE
1.1. Dalla definizione di devianza a quella di criminalità
Caprara e Gennaro, nella loro opera Psicologia della personalità, sostengono che, in
generale, i concetti, compresi quelli scientifici, non possono essere definiti in modo univoco, ma
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vanno considerati come dei “costrutti ipotetici che designano tessuti di problemi”. Ciò non toglie
che sia essenziale dare una precisa e chiara definizione degli stessi, con la consapevolezza della loro
rappresentatività parziale. Inoltre, occorre fare attenzione al linguaggio utilizzato perché, sempre
secondo i due autori, esso “può rappresentare un insidioso veicolo di confusione nel momento in cui
omologa sotto lo stesso nome comportamenti differenti, (…) si rivela insufficiente a cogliere tutte le
diverse declinazioni del comportamento (e) quando, con l‟assegnazione di un nome, sovrimpone ai
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comportamenti una struttura che riflette una teoria preformata”.
Detto questo, dalla letteratura da me letta emerge che il concetto di “criminalità”,
considerato comunemente un sinonimo di “delinquenza”, và distinto da quello di “devianza”, anche
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se certi autori li confondono o li usano alternativamente in modo intenzionale. Il secondo termine,
infatti, ricomprende al suo interno quello di “criminalità”, nel senso che un atto criminale è
considerato anche un atto deviante, ma non viceversa, cioè non tutti gli atti devianti sono anche dei
crimini o dei reati. Ciò che discrimina un atto deviante da uno criminale è, in linea di principio, la
presenza o meno di una norma di tipo penale che vieta esplicitamente e formalmente quell‟atto. Nel
nostro Codice penale ciò è affermato all‟art. 1 con il principio del “nullum crimen sine lege”:
“nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla
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legge”. Lo stesso principio è stato riaffermato nella Costituzione all‟art. 25: “nessuno può essere
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punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”.
3
CAPRARA G.V., GENNARO. A., Psicologia della personalità, Il Mulino società editrice, Bologna, 1994, p. 105.
4
idem p. 488.
5
Come, ad esempio, Luigi Regoliosi in REGOLIOSI L., La prevenzione del disagio giovanile, La Nuova Italia
Scientifica editore, Roma, 1994, p. 176.
6
E‟ ciò che fanno Gaetano De Leo e Patrizia Patrizi in Psicologia della devianza, Carocci editore, Roma, 2002, p.
7.
7
LATTANZI G., Codice Penale. Annotato con la giurisprudenza, Giuffrè editore, Milano, 2008, p. 27.
8
idem p. 2355.
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Dunque, occorre, per prima cosa, definire che cos‟è la “devianza” per giungere ad una
soddisfacente definizione di “criminalità minorile”, ben sapendo che ogni definizione è, di per sé,
un‟interpretazione e, quindi, già un abbozzo, anche se in forma sintetica, del tipo di spiegazione
della realtà definita. Ciò sarà palese nello scorrere alcune delle molteplici definizioni che sono state
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date della “devianza” e che ho di seguito riportato secondo un criterio cronologico:
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– nel 1963 il sociologo americano interazionista Howard Becker, nell‟opera Outsiders, diede
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una definizione “famigerata”, ma, a mio giudizio, memorabile e insuperabile per raffinatezza
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intellettuale, del termine “devianza”. Anzi, egli “costruì” la propria definizione considerando,
prima di tutto, “alcune delle definizioni usate (…) dagli scienziati” e “vedendo che cos‟è stato
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trascurato” in esse. La prima e più semplice interpretazione è di tipo statistico: è deviante
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“qualunque cosa troppo diversa dalla media”. Una seconda definizione di “devianza” la identifica
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con “qualcosa di essenzialmente patologico, che rivela la presenza di una malattia” e, in
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particolare, “di una malattia mentale” . Un‟altra definizione, di tipo sociologico, è basata “sulle
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nozioni (…) di funzionalità e disfunzionalità”. Infine, un‟interpretazione che si avvicina a quella
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che fornirà Becker “identifica la devianza come la mancanza di obbedienza alle norme”. Tuttavia,
essa “non riesce a dare un peso sufficiente alle ambiguità che emergono nel decidere quali norme
vadano prese come campione cui riferirsi per misurare un comportamento e giudicarlo deviante.
Una società ha molti gruppi, ognuno con il proprio insieme di norme, e la gente appartiene
simultaneamente a molti gruppi. Una persona può infrangere le norme di un gruppo proprio nel
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Bandini e Gatti sostengono che “il termine devianza è stato oggetto di una molteplicità di interpretazioni da parte
degli studiosi che se ne sono occupati” in BANDINI T. e GATTI U., Delinquenza giovanile, Giuffrè editore, Milano,
1979, p. 3.
10
Spiegherò più avanti che cos‟è l‟“interazionismo”.
11
DE LEO G., PATRIZI P., La spiegazione del crimine, Il Mulino editore, Bologna, 1999, p. 70.
12
BECKER H. S., Outsiders, Gruppo Abele edizioni, Torino, 1987, p. 19.
13
idem p. 19. Come si vedrà tali definizioni sono tuttora in circolazione, oltre che nel pensiero comune, anche
nell‟ambito scientifico.
14
idem p. 19.
15
idem p. 19.
16
idem p. 19.
17
idem p. 20.
18
idem p. 21.
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