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regimi oppressivi, a persecuzioni politiche e/o religiose; la
destrutturazione di vecchi assetti politici, in particolare nell’Est
europeo, e le conseguenti crisi economiche, sociali e culturali.
A queste cause, che comunque non vanno intese in senso
rigidamente deterministico poiché le spinte migratorie sono anche il
prodotto della somma di istanze, strategie e progetti individuali, va
aggiunta la peculiarità della struttura economica europea, e di quella
italiana in particolare: la presenza di un doppio mercato del lavoro,
l’uno ufficiale e garantito, l’altro sotterraneo, mobile, non protetto e
retto dall’arbitrio assoluto, rappresenta un indubbio fattore di
attrazione per i migranti. In questo sistema gioca un ruolo
importante la manodopera immigrata, a basso costo, illegale, tenuta
in condizioni di perenne clandestinità.
Per ciò che riguarda l’Italia, già caratterizzata da una forte
emigrazione, solo negli ultimi decenni si è trasformata in un paese
di accoglienza, zona di transito e/o di arrivo per flussi migratori di
notevoli dimensioni.
Tale mutamento ha provocato non pochi problemi ed una situazione
anomala rispetto agli altri stati europei: mentre infatti si contano a
centinai di migliaia i connazionali emigrati in tutto il mondo ancora
nei primi decenni del secondo dopoguerra, continua a crescere nel
nostro paese la presenza di stranieri in cerca di lavoro.
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La natura relativamente recente del fenomeno, ha fatto si che
l’Italia risulti rispetto alla maggior parte dei paesi sviluppati assai
più carente sul piano legislativo, delle politiche, delle strutture
amministrative della cultura necessari a governare una realtà così
complessa, anche se la nostra nazione ha potenzialmente il
vantaggio di valutare criticamente le esperienze compiute dai paesi
di più lunga tradizione immigratoria, utilizzando con le necessarie
modifiche e le dovute cautele soluzioni già sperimentate altrove.
Gli stati europei industrializzati, da tempo interessati al fenomeno,
hanno adottato in un primo momento una politica di utilizzo della
manodopera allogena vista come funzionale all’espansione
industriale, per irrigidirsi successivamente in un atteggiamento di
chiusura, con il blocco delle frontiere o il contingentamento dei
nuovi ingressi o, anche, ponendo in atto misure protezionistiche di
varia natura.
I due modi di porsi rispetto al problema hanno comunque
rappresentato un fallimento per quanto riguarda la regolarizzazione
ed il controllo del fenomeno. Nel primo caso perché si è consentito
di impiegare, o meglio di sfruttare, i lavoratori secondo i bisogni e
le necessità dell’economia nazionale, accogliendoli o rinviandoli al
Paese d’origine sulla base dell’andamento del mercato del lavoro,
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senza tenere conto delle conseguenze psico-sociali
dell’immigrazione sui singoli e sulle collettività interessate.
Non si è considerato che si trattava di persone che, una volta
inserite nelle attività economiche, integrandosi così nella società di
accoglimento, si sarebbero, in larga misura, costruite una famiglia e
una rete di rapporti amicali e sociali con la prospettiva di divenire
essi stessi o almeno i loro figli, cittadini a tutti gli effetti dello Stato
ospitante.
La seconda misura, di carattere ancor più illiberale e repressivo, ha
avuto come conseguenza immediata quella di alimentare soggiorni
illegali e ingressi clandestini; il risultato a medio termine, è stato
invece quello di creare nuove e più diffuse sacche di marginalità e
di povertà nel tessuto sociale.
Le politiche di chiusura hanno raggiunto solo in parte il loro
obiettivo e hanno avuto una serie di effetti secondari, che in una
certa misura hanno riguardato anche il nostro paese.
In primo luogo, esse hanno sì rappresentato un argine nei confronti
del nuovo flusso di immigrati dal Terzo mondo, ma non sono
riuscite a bloccarlo del tutto, con il risultato complessivo di un
aumento significativo dell’immigrazione clandestina.
In secondo luogo, queste politiche hanno avuto l’effetto di dirottare
parzialmente il flusso migratorio. Alla chiusura che caratterizzava
7
altri paesi europei corrispondeva una sostanziale apertura dell’Italia,
o meglio una mancata applicazione della legislazione restrittiva nel
nostro paese. I nuovi immigrati hanno trovato in Italia frontiere
meno chiuse che in Germania, Svizzera e Francia e ciò ha
probabilmente spinto alcuni di loro verso questa destinazione.
Come è ormai noto anche in Italia, non è sufficiente chiudere le
frontiere per arginare le correnti migratorie, né, dall’altra parte, si
vuole che gli ingressi diventino una variabile indipendente rispetto
alle caratteristiche socio-economiche del Paese. È auspicabile, però,
una politica di programmazione e, soprattutto, di cooperazione
internazionale mirata allo sviluppo dei Paesi del Sud del mondo.
In ogni caso, in attesa di ottenere risultati da politiche di intervento
e cooperazione per lo sviluppo dei Paesi del Terzo mondo, si deve
fare il possibile per gestire al meglio le immigrazioni in Europa e in
particolare in Italia.
Il nostro paese, se da un lato appare allineato con le altre nazioni
europee su una linea di sicurezza, che si esprime sia attraverso il
controllo dei nuovi ingressi sia attraverso l’enfatizzazione delle
esigenze di “ordine pubblico”, dall’altro ha lungamente ritardato
l’adozione di un quadro normativo organico che definisse modalità,
risorse ed esiti auspicabili del processo di integrazione dei migranti
e più in generale della convivenza interetnica: la nuova legge n.
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40/1998
1
, costituisce il primo intervento legislativo orientato in tal
senso. Sempre nello stesso anno è stato costituito il D.Lgs. 25
Luglio 1998 n. 286 definito appunto la nuova normativa
sull’immigrazione.
I mezzi di comunicazione hanno contribuito in maniera
determinante ad alimentare nell’opinione pubblica rifiuto ed ostilità
nei confronti degli immigrati contribuendo così a coltivare la
sindrome dell’invasione e la tendenza a fare dell’immigrazione una
questione d’ordine pubblico, se non addirittura ad assimilarla alla
questione criminale.
Negli ultimi anni, anche nel nostro Paese, gli immigrati suscitano
diffidenza, preoccupazioni e paure tra la popolazione autoctona. Si
teme che sottraggano risorse agli italiani, entrino in concorrenza
con loro per la casa e il lavoro, mettano in crisi lo stato sociale,
minaccino lo stato di vita della popolazione, producano un aumento
della criminalità.
Il presente lavoro si occuperà principalmente di quest’ultima
preoccupazione degli autoctoni, ovvero del fenomeno della
devianza tra gli stranieri con un’attenzione particolare alla
condizione del minore straniero.
1
Disciplina sull’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero.
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Non vi è dubbio, infatti, che un fertile terreno di “coltura” dove
reclutare lavoratori in modo irregolare o manovalanza per il crimine
è quello da essi costituito.
Quello della devianza degli immigrati è un tema affrontato solo
recentemente nel nostro Paese da personaggi pubblici, istituti di
ricerca e studiosi.
In una pubblicazione del 1994 l’ISTAT ha osservato che vi è stato
in Italia un “inserimento progressivo di stranieri nell’area
criminale” sostenendo che una “considerevole quota di immigrati
provenienti per lo più dai paesi extracomunitari, non trovando
quelle opportunità di inserimento sperate, ha finito per costituire un
serbatoio inesauribile per l’arruolamento di manovalanza criminale
a basso costo”
2
.
A distanza di quattro anni, l’ISTAT è ritornata su questo problema,
attribuendo l’elevata presenza straniera nell’area criminale “a fattori
connessi alle particolari disagiate condizioni economiche… alle
situazioni di clandestinità, ai conflitti culturali, all’assenza di legami
familiari”
3
.
Gli immigrati, quindi, costituiscono un’area molto estesa di povertà,
non soltanto per le difficoltà di integrazione nel contesto italiano,
2
ISTAT, La criminalità attraverso le statistiche, Roma, 19994, p.14.
3
ISTAT, La presenza straniera in Italia. Anni 1991-95, Roma, 1998, p. 104.
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ma soprattutto per la posizione di irregolarità in cui si spesso si
trovano, priva di garanzie giuridiche che li esclude dall’accesso ai
servizi sociali, assistenziali, previdenziali, ecc.
L’adeguamento dell’Italia alle politiche di stop già adottate da altri
paesi europei, le difficoltà di immigrazione legale hanno favorito la
nascita di organizzazioni criminali specializzate nell’immigrazione
clandestina, nel lavoro nero, nel mercato degli alloggi e dei
permessi di soggiorno. I nuovi mercanti di schiavi si servono
talvolta di piccola manovalanza costituita da immigrati, ultimo
anello di una catena di sfruttamento del quale vittime sono gli
immigrati stessi. Costretti ad indebitarsi per somme considerevoli,
alcuni di coloro che sono entrati tramite canali clandestini
diventano ostaggio nelle mani dei loro creditori che talvolta li
inducono alla prostituzione, nel caso delle donne, o a piccole
attività criminali.
A tutto ciò va aggiunta l’immagine corrente che l’opinione pubblica
ha dell’immigrato come emarginato e pericoloso, che ne determina
le difficoltà di inserimento lavorativo, di reperimento di alloggi
decenti e i conduzione di una vita decorosa: da tutto ciò può
derivare una reale emarginazione.
È necessario, quindi, a parere di chi scrive, valutare, attraverso i
dati statistici disponibili, quanto sia effettivo e reale il pericolo
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sociale costituito dagli stranieri e quanto, invece, sia frutto
dell’emarginazione in cui sono costretti a vivere e “dell’etichetta”
negativa a loro attribuita. In particolare nel primo capitolo verrà
considerato il rapporto tra immigrazione straniera e criminalità in
Italia. Verrà analizzato in quale misura il fenomeno immigrazione
straniera ha inciso sull’aumento della criminalità nel nostro Paese,
quali tipi di reati commettono maggiormente gli stranieri, ponendo
a confronto le caratteristiche della criminalità straniera con quella
italiana. Verranno poi prese in considerazione quali differenze vi
sono sul piano della giustizia penale tra italiani e stranieri imputati
di reato. Infine verranno riprese le quattro teorie sociologiche che
cercano di spiegare quali sono le cause della devianza tra gli
stranieri.
Fenomeno complesso e di difficile analisi, la devianza minorile
suscita grande attenzione, non solo in sede scientifica e tecnica, ma
anche da parte dell’opinione pubblica. Ciò è testimonianza sia di
interesse sia di preoccupazione per i rischi e i pericoli a cui sono
esposti i minori nella nostra società. Questo sembra valere per i
minori italiani, ma non per quelli stranieri; infatti la gravità della
condizione dei minori sembra essere sottovalutata, eppure questi
sono i soggetti potenzialmente più a rischio. Per questo motivo ho
deciso di occuparmi di questa tematica, perché credo che sia
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necessaria una maggiore attenzione al fenomeno della devianza dei
minori stranieri.
I rischi psicologici e fisici connessi all’emigrazione riguardano
meno l’adulto, che dovrebbe essere fisicamente e psicologicamente
più solido, mentre toccano soprattutto il minore.
Venendo in Italia, il minore è sradicato dal contesto di relazioni
umane e dai modelli sociali del suo Paese. Egli perde
progressivamente la sua cultura e, in particolare, non sente più quel
sistema di controlli e di regole che la cultura d’origine comunque
rappresentava e nel contempo non recepisce ancora come proprie le
leggi e la cultura del paese di accoglienza, né ha capacità di
integrarle.
In sostanza il minore straniero viene a trovarsi in una situazione di
anomia, al di fuori dei sistemi di tutela e di sicurezza sia collettivi
sia familiari.
Contemporaneamente a tutto ciò, il minore entra a far parte in Italia
dello strato sociale ed economico più basso, ma ha di fronte a sé dei
modelli di consumismo che esercitano su di lui una forte attrazione.
La mancanza di stimoli familiari, la povertà nel vocabolario della
lingua del paese di arrivo, l’impiego del tempo libero nei lavori di
sussistenza utili alla famiglia, la precarietà della situazione
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abitativa, costituiscono le precondizioni delle manifestazioni di
disadattamento se non di devianza.
Non vi è dubbio che la questione degli immigrati stranieri in Italia
sia stata posta politicamente, soprattutto negli ultimi anni, come un
problema più di ordine pubblico che economico; sentita
dall’opinione pubblica più sotto il profilo dell’allarme sociale che
dell’accoglienza.
È nella modalità di presentazione da parte stampa e dei partiti
politici del fenomeno dell’immigrazione, che i bambini e gli
adolescenti stranieri in Italia hanno avuto un ruolo rilevante, basti
pensare ai numerosi servizi giornalistici sui minori spacciatori, sui
bambini accattoni e borseggiatori. Si può anzi dire che, nel caso dei
bambini stranieri, sullo stereotipo del bambino, come personaggio
buono, positivo, da proteggere e aiutare, ha prevalso quello dello
straniero, personaggio da cui diffidare, clandestino, violento, spesso
delinquente.
Questa premessa è necessaria per meglio comprendere alcuni
aspetti della criminalità fra i minori stranieri e del trattamento
giudiziario a loro riservato; in particolare, sarà il primo capitolo ad
occuparsi di questi due aspetti.
La questione della criminalità dei minori stranieri non può essere
affrontata a mio parere esclusivamente sotto l’aspetto penale; è
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bene prima chiarire quali sono i diritti riconosciuti al minore
straniero in Italia, per poter poi verificare a livello di trattamento
giudiziario in che modo tali diritti vengono realmente applicati.
Una particolare attenzione a questa tematica sarà dedicata nel
capitolo secondo.
Il terzo capitolo, invece, andrà ad analizzare attraverso i dati
statistici disponibili quali soluzioni, tra i vari servizi dell’area
penale, vengono più frequentemente adottate nei confronti dei
minori stranieri imputati di reato. Inoltre verranno prese in
considerazione quali difficoltà e limiti gli operatori sociali
incontrano nella relazione con il minore straniero.
Nel quarto ed ultimo capitolo verrà presa in esame la regione
Lombardia e nello specifico Milano. E’ il paese in cui vi è stato
rilevato un elevato tasso di immigrazione minorile straniera, in cui
è stato realizzato un progetto denominato “Agorà” avente lo scopo
di dar voce ai minori stranieri attraverso interviste dirette e di
realizzare progetti a sostegno di quest’ultimi. Sono stati realizzati
numerosi interventi con l’aiuto di educatori, operatori scolastici ed
extrascolastici per facilitare l’integrazione, l’accoglienza e una
realizzazione futura dei minori stranieri presenti nella città di
Milano.
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Gli studiosi che si sono occupati del fenomeno della devianza degli
stranieri concordano sul fatto che sia un errore cercare di occultare
il fenomeno della devianza degli immigrati, nel timore che il
parlarne finisca col favorire la diffusione del pregiudizio negativo;
personalmente concordo con questa posizione, poiché credo che sia
la non conoscenza a suscitare paure e allarmismi molte volte
ingiustificati.
Tuttavia le conclusioni a cui questi studiosi sono giunti si collocano
su posizioni contrapposte. Alcuni pensano che gli immigrati siano
oggi nel nostro Paese coinvolti più spesso in episodi di criminalità
dei cittadini italiani.
Altri sostengono una tesi opposta e considerano il numero degli
stranieri denunciati, condannati o incarcerati, come un indicatore
non tanto delle attività illecite che svolgono, quanto piuttosto delle
discriminazioni che subiscono da parte della Magistratura, delle
forze dell’ordine e dell’opinione pubblica.
Il presente lavoro ha l’obiettivo di verificare quale delle due
posizioni sopra indicate trovi un corrispettivo nella realtà. In altre
parole, lo straniero è un deviante e perciò pericoloso per la società
italiana o è l’atteggiamento di diffidenza di una parte della
popolazione che, proponendone un’immagine negativa, concorre
ad emarginarlo e a determinarne i comportamenti devianti? E,
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ancora, il sovraffollamento nelle carceri italiani da parte dei minori
stranieri, è indice del fatto che essi sono più inclini ad attività
criminali degli italiani, oppure vi sono ragioni diverse?
L’intento di tale indagine è quello di trovare delle risposte a tali
domande.