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Historia vero testis temporum, lux veritatis, vita memoriae, magistra vitae, nuntia vetustatis.
Cicerone, De Oratore, II, 9, 36
AL LETTORE
La decisione di rivolgere lo sguardo verso la trattatistica italiana del XVI
secolo germoglia dalla mia radicata convinzione che il Diritto, de iure
condito, sia sempre momentanea cristallizzazione di un principio, il quale
rinviene la propria base epistemologica nella sua stessa storia ed evoluzione.
Tiberio Deciani, Giulio Claro e Prospero Farinacci incarnano alla
perfezione il loro essere figli di un dato momento storico; la diversa
provenienza territoriale, in un’Italia ancora frammentata, permette altresì un
interessantissimo confronto fra concezioni giuridiche nate da sostrati
differenti.
Infine, l’istituto della prevenzione, argomento specifico e prettamente legato
al pensiero processual-penalistico, è uno spiraglio dal quale osservare le
strutture di una società ormai lontana nel tempo, ma i cui frutti giuridici,
anche se in maniera differente, ci sostentano ancora.
“Ma del futuro soltanto i sapienti
avverton ciò che sta per avvenire.
e, turbati, ad un tratto sanno udire
voci segrete di fatti imminenti.”
COSTANTINO KAVAFIS,
traduzione da Σοφοί δε προσιοντων
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I. INTRODUZIONE
L’articolo 39 del Codice di procedura civile, rubricato «Litispendenza e
continenza di cause», dispone che «se una stessa causa è proposta davanti a
giudici diversi, quello successivamente adito, […], dichiara con ordinanza la
litispendenza […]. La prevenzione è determinata dalla notificazione della
citazione ovvero dal deposito del ricorso».
Se in senso fisiologico la litispendenza identifica letteralmente la
“pendenza della lite”,
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in senso patologico essa va ad indicare la proposizione
di una stessa causa
2
davanti a giudici diversi:
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benché non integrante stricto
sensu un’ipotesi di incompetenza, essa concorre ugualmente alla definizione
in concreto del giudice che deve decidere la causa. Posto quindi il concetto
di competenza,
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intesa quale ripartizione ed attribuzione della giurisdizione
1
Cfr. F. P. LUISO, Diritto processuale civile, 1, Milano 2013, in cui alle pp. 200-202 si delinea
la litispendenza «in senso ampio», ovverosia quella situazione che prende avvio dal momento
della proposizione della domanda giudiziale fino al passaggio in giudicato formale della
sentenza.
2
L’identità di cause è un presupposto fondamentale. Posto che per “causa” si deve qui
intendere la “domanda”, i criteri di identificazione della stessa sono tradizionalmente quello
soggettivo (personæ, intese come parti in senso sostanziale) e quello oggettivo, ossia petitum
e causa petendi. Al riguardo, si veda Cass. civ. Sez. III, 19 gennaio 2001, n. 279.
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Ovvero non appartenenti allo stesso ufficio giudiziario. La situazione processuale della
litispendenza postula la contemporanea pendenza di più processi relativi alla stessa causa
presso uffici giudiziari diversi, ma appartenenti al medesimo ordine giudiziario; viceversa,
qualora la medesima situazione si verifichi tra giudici appartenenti a diversi ordini giudiziari
dello Stato (ipotesi di conflitto di giurisdizione), il concorso tra processi dovrà essere risolto
attraverso una pronuncia sulla giurisdizione. Sul punto, si veda Cass. civ., sez. VI, ord. del
25 luglio 2013, n. 18100.
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Riguardo al concetto di competenza, si parta da
U. ROCCO, s.v. Competenza civile, in
Novissimo Digesto italiano, 5, Torino 1960, pp. 748-760, e si guardi inoltre alla concezione
chiovendana della competenza come «misura della giurisdizione», cfr. G. CHIOVENDA,
Principii di diritto processuale civile, III ed., Roma 1923, p. 368. Tuttavia, è da segnalare
6
tra i vari giudici presenti all’interno della stessa sfera giurisdizionale,
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risulta
evidente il ruolo svolto dalla prevenzione all’interno della litis-pendentia
patologica.
Infatti, la præventio svolge la funzione dinamica di risoluzione dei conflitti
di competenza cosiddetti positivi, nei quali, a fronte di due giudici
ugualmente competenti, è quello adito successivamente a dover rimettere la
causa davanti al giudice præveniens, ossia adito per primo.
6
Ciò per evitare la contemporanea pendenza di due giudizi con gli stessi
elementi procedurali e, dunque, un’inammissibile duplicità di azioni
giudiziarie, con conseguente pericolo di contraddittorietà di giudicati.
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S’impone quindi la definizione del procedimento in mero rito ovvero, laddove
si tratti dello stesso giudice, la sua riunione a quello previamente promosso,
concorrendo entrambe queste ipotesi all’attuazione del principio del ne bis in
idem.
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l’opinione totalmente discordante da Chiovenda di Franco Cordero, il quale sostiene che se
la competenza fosse davvero misura della giurisdizione, le decisioni emesse dal giudice
incompetente sarebbero inesistenti; mentre, se non impugnate, nel nostro ordinamento esse
diventano irrevocabili. Cfr. F. CORDERO, s.v. Competenza, in Procedura penale, IX ed.,
Milano 2012, p. 134.
5
Sulla giurisdizione, cfr. A. SEGNI, s.v. Giurisdizione (in generale), in Novissimo Digesto
italiano, 11, Torino s.d., pp. 985-993.
6
Nonostante la dichiarazione di litispendenza non implichi il preventivo accertamento della
competenza del giudice successivamente adito. Si veda Cass., 20 dicembre 1985, n. 6558.
7
Cfr. Cass. S.U., 31 luglio 2014, ord. n. 17443.
8
Cfr. A. GIUSSANI, s.v. Litispendenza e continenza [dir. proc. civ.] – Diritto online, Roma
2016, consultato sul sito www.treccani.it., e soprattutto CORDERO, s.v. Ne bis in idem, in
Procedura penale…, pp. 1201-1202.
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Proprio in quanto successivamente adito, il secondo giudice può pertanto
considerarsi incompetente in senso dinamico, ossia solo in forza della
pendenza del processo altrove.
Benché maggiormente studiata all’interno del Diritto processuale civile, la
litispendenza patologica trova un suo sviluppo anche nell’articolo 28 del
Codice di procedura penale, rubricato «Casi di conflitto»,
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il quale disciplina
tassativamente, oltre ai conflitti di giurisdizione (ossia contrapposizione tra
giudici ordinari e giudici speciali, investiti di funzioni giurisdizionali in
materia penale), i conflitti di competenza positivi (comma 1, lettera b) tra i
soli giudici ordinari; la medesima ratio si ritrova nell’articolo 54 bis, rubricato
«contrasti positivi tra uffici del pubblico ministero».
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La risoluzione del
conflitto è determinata, per quanto riguarda i giudici ordinari, dalla Corte di
Cassazione in seguito ad ordinanza di rimessione o denuncia del Pubblico
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«1. Vi è conflitto quando in qualsiasi stato e grado del processo: a) uno o più giudici ordinari
e uno o più giudici speciali contemporaneamente prendono o ricusano di prendere cognizione
del medesimo fatto attribuito alla stessa persona; b) due o più giudici ordinari
contemporaneamente prendono o ricusano di prendere cognizione del medesimo fatto
attribuito alla stessa persona. 2. Le norme sui conflitti si applicano anche nei casi analoghi a
quelli previsti dal comma 1. Tuttavia, qualora il contrasto sia tra giudice dell’udienza
preliminare e giudice del dibattimento, prevale la decisione di quest’ultimo. 3. Nel corso delle
indagini preliminari, non può essere proposto conflitto positivo fondato su ragioni di
competenza per territorio determinata dalla connessione».
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Il testo dell’articolo al primo comma è il seguente: «Quando il pubblico ministero riceve
notizia che presso un altro ufficio sono in corso indagini preliminari a carico della stessa
persona e per il medesimo fatto in relazione al quale egli procede, informa senza ritardo il
pubblico ministero di questo ufficio richiedendogli la trasmissione degli atti a norma dell’art.
54 comma 1». La norma richiamata riguarda in generale i contrasti negativi tra pubblici
ministeri, e la conseguente richiesta di trasmissione degli atti all’ufficio del pubblico
ministero presso il giudice competente. La nozione di trasmissione degli atti è rilevante
poiché si avvicina a ciò che infra verrà chiamato dagli autori affrontati, con il termine di
remissio.
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ministero;
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per i contrasti fra gli uffici di quest’ultimo tramite richiesta di
trasmissione degli atti.
Lo scopo di questa normativa è quello di dare attuazione al principio del
giudice naturale precostituito per legge e di evitare una duplicazione
dell’attività investigativa, mettendo in risalto la dimensione attuale del diritto
alla «unicità della persecuzione penale»,
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nell’ottica pienamente
contemporanea di garantire all’imputato un giusto processo.
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Nella disciplina contemporanea, in ambito penalistico non vi è quindi
spazio per la prevenzione nella risoluzione dei conflitti di competenza; al
contrario, i criminalisti della prima Età moderna esaminano ampiamente
l’istituto della præventio, in quanto criterio decisorio per definire con certezza
il giudice competente, a fronte della molteplicità di tribunali con competenze
parzialmente sovrapponibili che ancora caratterizzavano gli apparati
giudiziari.
Il contesto storico analizzato in questo lavoro, definito da Marongiu con
l’espressione “assolutismo post-medievale”
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, affonda le sue radici
11
Articolo 30 («Proposizione del conflitto») ed articolo 32 («Risoluzione del conflitto») del
Codice di procedura penale.
12
L’espressione è utilizzata da E. AMODIO e O. DOMINIONI, L’estradizione e il problema del
ne bis in idem, in Riv. dir. matr., 1968, p. 373., e da S. FASOLIN, Conflitti di giurisdizione e
ne bis in idem europeo, Padova 2015, p. 50. Fondamentale in ogni caso, per quanto riguarda
la procedura penale, è l’opera di M. BONTEMPELLI, La litispendenza penale, Milano 2017.
13
Il diritto a un equo processo è uno dei diritti fondamentali dell'uomo, riconosciuto come
tale in tutti gli ordinamenti degli “stati di diritto”; è sancito dall'articolo 10 della
Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, dall'articolo 6 della Convenzione europea
per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e dal primo comma
dell’articolo 111 della Costituzione italiana.
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Con quest’espressione Marongiu indica la situazione europea di Ancien Régime,
caratterizzata dalle affermazioni delle varie monarchie e, in Italia, dalla lotta per il
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precedentemente, ossia nell’XI secolo, quando una nuova età del diritto
medievale vide la riscoperta dei testi giustinianei e la riforma della Chiesa fu
portata avanti con notevoli conseguenze per gli sviluppi futuri sul terreno del
diritto.
15
Tuttavia, è bene sottolineare in chiave storica come il «diritto di punire»
16
abbia assunto una dimensione pubblica solo a partire dal XIII secolo: nel
Duecento maturarono infatti le trasformazioni dei Comuni, al cui interno si
palesarono nuove esigenze di riassestamento delle strutture sociali e politiche,
dalle quali derivò la necessità di una concezione di ordo iudicii sistematica.
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L’origine della criminalistica in sé, quale branca autonoma, deve di
conseguenza collocarsi tra il XII e XIII secolo,
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quando il diritto penale,
predominio tra Francia e Spagna. Cfr. A. MARONGIU, Storia del diritto pubblico, Milano-
Varese 1956, pp. 273-408.
15
Cfr. A. PADOA-SCHIOPPA, Storia del diritto in Europa: dal Medioevo all'età
contemporanea, Bologna 2016, pp. 87-90. La riforma della Chiesa, chiamata anche “riforma
gregoriana” poiché dovuta ad Ildebrando di Soana, ossia papa Gregorio VII, affermò la
preminenza dell’autorità ecclesiastica nei confronti dell’ordine temporale. Nuovamente, si
veda PADOA-SCHIOPPA, Storia del diritto in Europa…, pp. 78-82. Inoltre, sulla Rivoluzione
pontificia e sull’impatto che ebbe, prefigurando per molti versi, in ambito ecclesiastico, lo
Stato moderno occidentale, si veda H.J. BERMAN, Diritto e rivoluzione: le origini della
tradizione giuridica occidentale, Bologna 1998, pp. 83-135.
16
Cfr. M. PIFFERI, s.v Criminalistica in antico regime, in Il contributo alla storia del pensiero
– Diritto, Roma 2012, consultato sul sito www.treccani.it.
17
Si veda M. VALLERANI, La giustizia pubblica medievale, Bologna 2005, p. 19.
18
Cfr. M. PIFFERI, s.v Criminalistica in antico regime…, consultato sul sito www.treccani.it.,
il quale cita come iniziatori un ignoto autore di un Tractatus criminum, redatto fra il 1155 e
il 1164, ed il celeberrimo Tractatus de maleficiis di Alberto Gandino. Su quest’ultimo, nato
tra il 1240 e il 1250, si veda D. QUAGLIONI, s.v. Gandino, Alberto, in Dizionario Biografico
dei Giuristi italiani, Bologna 2013, pp. 942-944: Gandino fu autore di fondamentali
quæstiones criminalistiche e di diritto statutario, nonché il maggiore tra i practici del suo
tempo. Sempre Quaglioni sottolinea come l'opera di Gandino si riveli quale prodotto
conclusivo e punto d'arrivo, più che di partenza, di un percorso in cui si riavvicinano il teorico
al pratico, si intensifica lo sviluppo del procedimento inquisitorio, e si nota un accentuato
interesse del giurista dotto verso il diritto criminale. Cfr. D. QUAGLIONI, s.v. Gandino,
Alberto, in Dizionario Biografico degli italiani, 52, Roma 1999, consultato sul sito
www.treccani.it.