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Come si è detto precedentemente, non tutti gli studiosi hanno
ritenuto necessario occuparsi del fenomeno dei divi ecco perché, ai
fini di questa tesi, non è stato facile trovare materiale che si occupasse
seriamente di divismo.
Nonostante i libri di Morin ed Alberoni siano datati, sono stati
indispensabili per impostare il lavoro di questa tesi sotto un profilo
sociologico. Altro testo importante, per comprendere com’è cambiato
il mercato dei divi e soprattutto quali sono i soggetti definibili divi, è
stato La fabbrica delle stelle di Carlo Sartori, uscito nel 1983.
Di non minore importanza il recentissimo saggio (1998) Divismo
vecchio e nuovo di Enzo Kermol e Mariselda Tessarolo, che è servito
a far chiarezza sul reale ruolo e peso politico di alcune star.
Morin e Alberoni sono andati entrambi alla ricerca degli aspetti
sociologici e psicologici che spingono un fan ad amare un divo, ma
non è mancata nemmeno un’analisi sugli aspetti economici che si
nascondono dietro lo star-system.
Per Morin la star hanno alcuni elementi in comune con gli eroi
della mitologia o con gli dei dell’Olimpo. Il sociologo francese parla
addirittura di una religione delle star: se i fedeli di una religione vanno
in chiesa a pregare i loro santi, i fan trovano nei club dei divi un luogo
dove condividere, insieme ad altri ammiratori, una passione comune. I
fan-club offrono ai loro sottoscrittori una serie infinita di prodotti che
ricordano il proprio idolo, in modo da incrementare l’affezione nei
confronti della star. Come spiega Morin, il culto e l’amore per le star,
per alcuni soggetti, è così forte che si attua un meccanismo di
identificazione e proiezione con la star.
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Le star a cui fa riferimento Morin sono soprattutto gli attori e le
attrici del periodo d’oro del cinema, ossia gli anni trenta e quaranta.
Lo star-system di quegli anni era quello dei grandi studios
hollywoodiani che trasformavano belle ragazze in affascinanti ed
irraggiungibili star. Star che si ritrovavano a vivere una vita mitica
perché, così condizionate dal ruolo che recitavano sulle scene, da non
saper più distinguere la vita reale da quella cinematografica.
Morin, però, nel suo saggio ha parlato anche della crisi che ha
colpito il cinema e lo star-system, negli anni cinquanta e sessanta. Una
crisi da imputare sia all’avvento della televisione che ad un
mutamento della società. Negli anni sessanta, al cinema, non si
possono più raccontare solo storie disincantate con finali da favola.
Nel cinema, il mito della felicità, viene sostituito con il problema della
felicità: gli anni sessanta sono stati all’insegna di quei malesseri della
società che sono sfociati, poi, nella contestazione studentesca e nei
movimenti hippy.
Alberoni, dal canto suo, ha cercato di far chiarezza su quali siano
i personaggi definibili divi.
Secondo Alberoni, per divi bisogna intendere solo quei
personaggi di spettacolo che non ricoprono nessun ruolo istituzionale
di potere dentro la società. Proprio per la loro estraneità al mondo
politico, il sociologo ha definito l’élite dei divi come un’élite senza
potere. Quella dei divi è un élite che viene valutata e giudicata in base
ad un sistema etico diverso da quello applicato alla gente comune o ai
detentori del potere politico.
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Per meglio spiegare la posizione dei divi all’interno della società,
Alberoni, è partito da alcune teorie sulla stratificazione sociale.
Dall’analisi fatta dal sociologo risulta che i divi sono ricchi ed hanno
consumi ostentati, ma il loro comportamento non è oggetto di critica
da parte della comunità. Al contrario, i divi sono dei modelli di
comportamento perché, a differenza dei detentori del potere politico o
economico, le loro decisioni non possono avere effetti negativi sul
destino della collettività.
In realtà Alberoni arriverà alla conclusione che, a determinare i
modelli di comportamento e consumo, non sono tanto i divi quanto i
grandi centri di produzione ed informazione che stanno dietro i divi.
Ciò vuol dire che se i divi sono diventati dei modelli di
comportamento non significa che l’élite politica ed economica non
organizzi più il dominio della società.
Il libro di Alberoni è datato e quindi l’affermazione che i divi
non si occupano di politica è caduta. Kermol infatti, nel suo libro,
riporta molti esempi interessanti di divi che si sono dati alla politica.
A noi però, alle proposte di Kermol, abbiamo voluto fare delle
precisazioni in quanto esistono sostanziali differenze di responsabilità
e compiti, tra i divi che fanno politica negli Stati Uniti e in Italia. Si è
cercato anche di spiegare che esiste una sostanziale differenza tra
politica dei divi e divi della politica.
Dalle informazioni forniteci da Alberoni e Morin, emerge che il
divismo cambia e si evolve in base ai mutamenti della struttura
sociale. Alla luce di questo si può dire che il divismo merita d’essere
trattato in termini sociologici e non solo in termini scandalistici.
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Il saggio di Sartori, invece, è stato utile per comprendere come
sono cambiati divismo e i divi negli anni ottanta. Sartori ha analizzato
il fenomeno dei divi secondo un ottica più economica che sociologica
in quanto ha messo in luce tutti quelle strategie economiche e di
marketing che si nascondono dietro il successo dei nuovi divi. I
mutamenti della società hanno fatto si che il cinema, un po’ alla volta,
abbia ceduto il suo dominio culturale alla televisione. La televisione,
ed i suoi protagonisti che entrano quotidianamente nelle case dei
telespettatori, sono diventati i nuovi modelli culturali. I personaggi
televisivi hanno perso quell’alone di mistero che avevano i colleghi
del cinema tanto che, Sartori, parla di un passaggio dallo star-system
cinematografico al personality-system televisivo.
I divi del tubo catodico si distinguono per la loro tipicità e voglia
di apparire come persone comuni. La televisione è un mezzo così
potente che, chiunque vi appaia, può raggiungere fama e celebrità in
brevissimo tempo. Si passa pertanto dal personality-system al
celebrity-system che è il risultato della commistione tra le istituzioni
dell’industria culturale ed i settori dediti alla produzione dei beni di
massa.
Dietro il successo di alcune star moderne non ci sarebbe nessuna
capacità artistica, ma solo una indovinata e lucrosa strategia di
marketing. Spesso i nuovi divi sono perfetti prodotti della società dei
consumi. Anche nel vecchio divismo di Morin le star erano delle
merci nelle mani degli studios cinematografici, ciò che è cambiato
oggi è la struttura economica che sta dietro lo show-business.
Ormai non esistono più l’industria cinematografica o l’industria
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dello spettacolo in se stessa; la cultura di massa è gestita da grandi
multinazionali economiche e finanziarie con interessi che vanno dal
cinema all’industria alimentare, dalla musica al petrolio ecc.
Grazie alle azzeccate strategie di mercato e all’uso di
efficacissimi mezzi di comunicazione il mondo dei divi si è allargato:
non più solo artisti di spettacolo, ma anche scrittori, religiosi, stilisti e
via dicendo. Insomma tutti quelli che hanno l’opportunità di vendere i
propri prodotti e la propria immagine.
E’ in questo contesto di spettacolo moderno che si può inserire
Madonna, diva moderna a cui è dedicata la parte monografica di
questa tesi.
Non tutti saranno concordi con il definire Madonna come ultima
diva del millennio, ma in questo lavoro si cercherà di dimostrare il
contrario. Madonna è un personaggio controverso e, nelle sue
contraddizioni, sono presenti sia elementi del vecchio divismo che del
nuovo. Come si vedrà, l’artista italoamericana, più volte è stata
paragonata o ha reso omaggio a grandi dive del passato come Marlene
Dietrich o Marilyn Monroe.
Per argomentare il fenomeno Madonna sono stati presi in esame
alcuni scritti americani e francesi dove si parla dell’artista come
simbolo della cultura postmoderna. Un’artista che, grazie all’uso del
corpo e del suo lavoro, fa (o quantomeno tenta di fare) politica: una
femminista postmoderna che cerca di sovvertire i ruoli di genere e
razza.
Tutti i documenti provenienti dagli Stati Uniti sono il frutto di
diverse ricerche effettuate oltreoceano dove Madonna, da anni, è
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oggetto di studi e tesi universitarie.
Quando nel 1992, per la prima volta si è avuta notizia di corsi
universitari americani sull’artista, alcuni docenti italiani (Massimo
Bonfantini, Silvia Vegetti Finzi e Ida Magli) non hanno accolto
positivamente la novità:
…Cultura contemporanea? Ci vuole facciatosta e una spiccata propensione
al servilismo verso i mass media per introdurre nei piani di studi universitari
anche lezioni sulle gesta di questa signorina sporcacciona che canta,
grunisce e si dimena. Mi sembra davvero un’americanata. Prendere sul serio
il caso Madonna è uno dei tanti capolavori di mercantilizzazione della
cultura in cui gli americani sono maestri.
2
…Madonna è il classico mito del tempo della crisi. Ne hanno fatto una
divinità appagante per sfuggire la realtà. Ridicolo. Sono altri i temi di
costume da approfondire.
3
…esaltare una come Madonna, banalissimo sex-symbol (e neanche tanto
brava nel suo mestiere di cantante), significa odiare le donne. Mi sgomenta
l’atteggiamento di certe postfemministe che, pur di scardinare il sistema,
s’inventano di tutto.
4
2 M. Bonetti, professore di Semiologia all’Istituto Orientale di Napoli. (citato da M. Fumagalli in, “ <<Niente Madonna ,siamo seri>> E la
pop star non vale una tesi”, in Corriere della Sera, Milano, 1, ottobre 1992, p. 22.)
3 S. Vegetti Finzi, docente di Psicologia a Pavia. (citata da M. Fumagalli in, art. cit.)
4 I. Magli, antroploga. (citata da M. Fumagalli in, art. cit.)
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Ovviamente, in questa tesi, non si vogliono mettere in
discussione le opinioni di persone come Bonfantini o la Magli, anzi,
per certi aspetti non si può che essere d’accordo con loro. Madonna è
sicuramente una diva e un prodotto della cultura americana e, proprio
per questo, merita d’essere presa in considerazione in questo lavoro
che cerca di far luce sul divismo del passato, presente e futuro.
Ma la parte monografica sull’artista non si è fermata solo agli
studi fatti in America e Francia. Per analizzare la costruzione di una
diva come Madonna sono stati visionati più di trecento articoli scritti
sulla cantante e pubblicati dal Corriere della Sera tra il 1990 e il 1998.
14
Parte prima: La costruzione sociale dei divi
15
CAPITOLO 1
IL CARISMA DEI DIVI
Prima di affrontare lo studio sul divismo è bene precisare che i
termini divo e divismo, normalmente usati nella lingua italiana, non
sono del tutto corretti. Come si vedrà nei capitoli successivi Alberoni,
parlando della relazione esistente tra divismo e carisma, chiarirà il
limite della parola divo: divo fa riferimento a qualcuno che possiede
delle qualità eccezionali spesso ultraterrene ed un personaggio dello
spettacolo non ha di sicuro delle doti così sviluppate. E’ più corretto
allora parlare di star come fa Morin, intendendo quelle celebrità che
suscitano l’interesse della gente.
A questo punto si capisce perché Alberoni abbia intitolato un suo
libro dedicato al fenomeno del divismo L’élite senza potere
1
, ad
indicare i divi come quel gruppo di personaggi che non occupano
posizioni istituzionali. Le star sono oggetto di identificazione e di
proiezione e ciò tanto per le loro prestazioni artistiche quanto per il
tipo di vita che conducono, per la loro ricchezza e per la loro
posizione di status.La identificazione-proiezione si manifesta, inoltre,
frequentemente sotto forma di ammirazione.
Volendo trovare un giusto compromesso tra i termini divo e star
si può riportare quanto detto da Morin nella prefazione alla terza
edizione del suo libro dedicato al divismo:
1 F. Albeoni, L’élite senza potere, Bompiani, Milano, 1973.
16
…le star sono esseri che partecipano nello stesso tempo dell’umano e del
divino, analoghi per certi aspetti agli eroi della mitologia o degli dei
dell’Olimpo e ispiratori di un culto, anzi di una specie di religione”.
2
Come precedentemente accennato, analizzando il fenomeno del
divismo attraverso il potere carismatico dei divi, capiremo il perché
dell’inesattezza dei termini divo e divismo.
Il rapporto tra il divo ed un suo ammiratore si fonda sia su
componenti carismatiche che amorose e, per quanto riguarda la
relazione divo e carisma è interessante analizzare quanto proposto da
Alberoni. Si può parlare di carisma del divo perché egli appare come
un essere che si distingue dagli altri in quanto possiede una qualità
straordinaria che induce a sentimenti di dipendenza. E’ bene
sottolineare però che questi personaggi non hanno nulla a che vedere
con quelle guide carismatiche; eroi, profeti e santi a cui aveva fatto
riferimento Max Weber nei suoi studi sul potere. I divi a cui faceva
riferimento Alberoni erano attori, cantanti e sportivi che non avevano
nessun ruolo istituzionale nella vita pubblica. Secondo il sociologo,
l’amore e l’ammirazione che la gente prova per le stelle, non nasce
necessariamente ed esclusivamente per un interesse verso la loro
abilità professionale. Ciò che incuriosisce non è solo la loro attività
artistica, ma anche la loro vita privata , i loro amori, la loro famiglia e
tutto ciò che gravita attorno ad essi.
2 E. Morin, op. cit., p. 24.
17
Conferme e chiarificazioni a quanto detto da Alberoni sono
arrivate da Carlo Sartori
3
,
qualche anno dopo, in un suo studio sul
fenomeno del divismo negli anni ’80. Del processo di trasformazione
del divismo dagli anni d’oro del cinema all’avvento delle star del tubo
catodico ce ne occuperemo più avanti, ora è sufficiente fare solo
alcune precisazioni. Con l’evoluzione del divismo si è passati dalle
segrete fabbricazioni degli studios hollywoodiani alle aperte strategie
di marketing dei divi moderni, tanto che c’è stato un progressivo
allargamento dei <<soggetti divistici>>: non più solo attori ed attrici
di cinema, ma anche personaggi televisivi, cantanti, sportivi, uomini
politici e uomini religiosi. A questo punto, però, ci si trova davanti ad
una categoria così vasta e pervasiva, che si rischia di vedere del tutto
vanificati i confini del divismo.
Morin, nel suo libro,
ha analizzato il mondo delle star
concentrando la sua attenzione soprattutto sui momenti di
identificazione e proiezione del pubblico nei confronti dei divi finendo
così per esaminare essenzialmente i fattori comportamentali, quali ad
esempio, la messa in scena di ostentati e sgargianti narcisismi
all’interno di un mondo straordinario. Per Morin quindi, sarebbero
divi sia attori e attrici come Charlie Chaplin e Greta Garbo che uomini
politici come Mussolini e Stalin perché identico sarebbe il transfert
verso di loro. Secondo Alberoni invece c’è una differenza tra leader
carismatici politici come Mussolini e Stalin ed una diva come la
Garbo, priva di qualsiasi potere politico.
3 C. Sartori, La fabbrica delle stelle divismo mercato e mass media negli anni 80, A. Mondadori, Milano, 1983.
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La differenza tra Morin ed Alberoni, a quanto dice Sartori, sta nel
fatto che per il primo il divismo è l’insieme delle celebrità
<<magnetizzanti>>mentre per il secondo, quello delle star, costituisce
un mondo a sé. Un mondo guardato con ammirazione proiettiva
perché i suoi membri possono adottare comportamenti di consumo
vistosi. I divi possono anche trasgredire i valori tradizionali senza
essere sanzionati dalla comunità. Alberoni parla dei divi come di
un’élite senza potere in quanto distinta da quella che esercita
l’effettivo potere politico o economico.
Tra il divo ed un suo fan si instaura un rapporto di ammirazione
ed adulazione, non un rapporto di potere politico di tipo carismatico;
proprio per questo motivo c’è una maggiore indulgenza per quei
comportamenti morali, non sempre corretti, che le stelle adottano
all’interno della comunità o nella loro vita privata. Se un politico
viene costantemente osservato e giudicato, in quanto un suo
comportamento immorale potrebbe avere degli effetti negativi sui
membri della collettività, alla star viene lasciato un ampio margine di
libertà perché le sue azioni “immorali” non avranno effetti negativi.
Volendo riprendere quanto detto da Max Weber circa il potere
carismatico l’equivoco sulla parola italiana divismo troverà una
maggiore chiarificazione “… carisma è una qualità straordinaria
attribuita ad una … persona dotata di forze sovrannaturali, sovrumane
o almeno eccezionali…”
4
.
4 M. Weber, Economia e Società, Comunità Milano, 1962, vol. I, p. 238.
19
Alla luce di quanto detto si intende perché non sia del tutto
corretto parlare di potere carismatico riferendosi ai divi. Tra capo
carismatico ed i suoi seguaci si instaura un rapporto di potere ed
autorità, mentre tra il divo ed i suoi ammiratori non si crea nessun
rapporto autoritario; le scelte e le azioni delle star non possono
influenzare il futuro dei membri della collettività. Il carisma del divo
porta non tanto alla reverenza quanto all’ammirazione. Tra i divi ed i
loro ammiratori non si costituisce un rapporto di autorità perché,
entrambe le parti, vivono i propri ruoli come distinti. Come dice
Alberoni, l’impiegato di banca o il professionista che esultano alla
vittoria del campione sportivo e che gridano “sei un dio”, non cessano
di fare la loro professione per seguirlo. Il comportamento in cui si
esprime il carisma è in realtà un comportamento di ruolo ed il dovere
carismatico è incanalato e si esprime, quindi, entro il ruolo
corrispondente; non può trascenderlo. Il comportamento dello
spettatore è invece, definito dalla esclusione da tale ruolo e dalla
conservazione dei ruoli abituali. Lo spettatore assiste, partecipa, ma
non agisce. Il genere di carisma che riguarda i divi è tipico di una
struttura sociale stabile ossia un sistema di ruoli prefissati ed
interiorizzati per cui la partecipazione al carisma non si traduce in una
ristrutturazione di un ampia parte degli abituali sistemi di azione.
Il carisma del divo, quando esiste, è sempre confinato entro un
campo specifico e ben definito; una star pertanto può eccellere nella
sua professione, ma non è detto che le sue capacità siano eccezionali
anche in altri settori lavorativi. In una società dove non esiste struttura
sociale altamente articolata e dove non esistono meccanismi di
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separazione tra i ruoli, il carisma invece tende a generalizzarsi. In una
società di piccole dimensioni l’uomo dalle qualità eccezionali si eleva
ad una dimensione carismatica, diventa un eroe garantendosi un potere
sulla comunità pur restando esposto alle avversità e alle invidie dei
suoi avversari e dei non seguaci. Dinanzi a questa situazione il leader
carismatico o viene vinto dai suoi nemici o, riesce ad avere la meglio
tanto che il suo potere viene istituzionalizzato. Nelle società di grandi
dimensioni altamente strutturate, dove esiste una rigida separazione
dei ruoli, il carisma non si generalizza, pertanto al divo non è concesso
acquisire una posizione istituzionale di potere e diventare, di
conseguenza, oggetto di invidia ed aggressività. La separazione rigida
dei ruoli, per cui il divo non può acquisire una posizione istituzionale
di potere nella società altamente strutturata, può essere interpretata
come un meccanismo di protezione del sistema sociale contro la
minaccia rappresentata dalla generalizzazione del carisma. (Alberoni,
1973, pp. 19-34)