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CAPITOLO 2
IL POTERE EDUCATIVO DELL' ANIMAZIONE
2.1 Betty Boop, la new woman
Dai primi del Novecento in poi i cartoni animati acquisiranno sempre più
importanza all'interno del mercato cinematografico. Inizialmente le storie animate
prendono spunto dalle 'strisce' (cartoons) che apparivano sui quotidiani e si
basavano su disegni umoristici non studiati per divertire bambini, ma semmai per
parodiare e tradurre in chiave comico-grottesca la vita degli adulti.
L'animazione si fa veicolo di trasformazioni culturali, a volte anticipandole, altre
impedendole.
I due maggiori produttori di cartoni animati per l'infanzia, Stati Uniti e Giappone,
con lo sviluppo dell'industria cinematografica, strumentalizzeranno sempre più
l'animazione a favore del pensiero politico. Attraverso il cartone animato la
trasmissione di regole morali, sociali e di credenze inizia, dagli anni Venti, ad essere
animata, vista in movimento attraverso la televisione o il cinema e, fenomeno
ancora più rilevante, la grande distribuzione e l'uso massiccio della televisione negli
anni a venire permetterà l'omogeneizzazione dei contenuti e dei significati
distribuiti, imprimendosi così con sempre più vigore, su un numero sempre
maggiore di persone. I governi lo capiscono presto e attraverso censure e divieti
veicolano il loro potere anche attraverso il cartone animato. Le immagini femminili,
ma anche quelle maschili, vengono plasmate fisicamente e psicologicamente a
seconda delle esigenze.
“La funzione educativa del cartone animato (molto in voga a partire dagli anni '30),
prenderà sempre più campo, sostituendosi alla funzione che un tempo esercitavano
le favole e i racconti orali. A partire dagli anni '60, con l'espansione massiccia della
tv, intere generazioni, anche fisicamente lontane fra loro, si sono ritrovate unite
davanti al teleschermo a godere di racconti.” (G. Bendazzi, 1988, p.338)
La famosa Betty Boop ad esempio, nasce negli Stati Uniti negli anni '30,
personaggio ispirato alla cantante Helen Kane , rappresentava la cosidetta “new-
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woman”, tipica americana degli anni Venti, una donna nuova che dopo aver
combattuto nelle lotte femministe in atto già da fine '800 nel mondo anglosassone,
aveva acquisito il diritto di voto, il diritto allo studio, era una donna che si poteva
permettere di tagliare i capelli corti, di bere e di fumare, la tipica “flapper”, che poi
svanirà negli anni '30-'40.
Superati infatti i ruggenti anni Venti, la nuova politica americana (e non solo quella
americana) propagandava una donna felice all'interno delle mura domestiche, felice
di fare la madre e la moglie, mentre il marito, il capofamiglia, tornava a
rappresentare il potere economico e decisionale all'interno della famiglia, così che
la “new-woman” senza nemmeno accorgersene torna ad essere “vecchia”.
Betty Boop, ideata negli anni '30 dai fratelli Fleischer, è la prima icona femminile
con sembianze umane (i cartoni animati di quel periodo avevano quasi tutti
caratteristiche antropomorfe), dotata di una forte carica sensuale e spirito libertino,
rappresenta la tipica ragazza alla moda con i capelli corti, gli abiti succinti e la
sigaretta in bocca, come molte giovani usavano nell'età del jazz,
“…era un personaggio femminile conscio di avere un sex-appeal, in grado di
civettare e allo stesso tempo di ironizzare su di sé. Nel panorama di topi, paperi,
conigli, cani e bambini dell'animated cartoon del periodo, era quasi una
sovversiva.” (G. Bendazzi, 1988, p.134)
In un cortometraggio del 1932, Minnie the Moocher, Betty Boop viene
rappresentata come una ragazza adolescente ribelle che scappa di casa e affronta i
pericoli della notte, una chiara allusione ai contrasti che si manifestavano tra nuova
e vecchia generazione; in un altro cortometraggio sempre dello stesso anno Betty
Boop si batte in una allegra campagna elettorale contro Mr. Nobody per la carica di
presidente degli Stati Uniti. Ma a partire dal 1934 l'irrigidimento politico e le
conseguenti nuove regolamentazioni apportate in tutti gli ambiti, anche in quello
cinematografico, ancorato alle regole del Codice Hays, costrinsero Betty Boop a
cambiarsi d'abito, lasciando da parte la veste corta e la sua carriera di cantante per
dedicarsi ad accudire animali e ripulire la casa in abiti meno succinti, più adeguati
all'immagine di donna che si voleva trasmettere:
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“...sulla spinta delle proteste degli esercenti cinematografici che, specie in
provincia, fronteggiavano pubblici sempre più moralisti, la pepata nuovaiorchese
dovette indossare abiti casti e rivolgere la sua attenzione alle faccende domestiche
e alla zoofilia. Così censurata perse smalto, e lasciò gli schermi nel 1939.” (Ibidem)
Analogamente in Giappone a partire dal 1939 con la nuova “Legge sul cinema”
(Eigaho), influenzata anche dall'ondata mondiale di nazionalismo che percorreva i
vari stati in quegli anni, si stabiliva che fosse
“...ogni nuova opera valutata già in fase di sceneggiatura, evitando temi ritenuti
“destabilizzanti”, quali la critica verso il potere, l'uso di terminologie straniere o
l'utilizzo di personaggi femminili moderni in senso occidentale (donne che fumano
o si intrattengono nei bar)” (M. R. Novielli, 2015, pp.68-69).
Infatti, ci fa notare l'autrice, le prime animazioni americane erano arrivate in
Giappone già negli anni Venti e la stessa Betty Boop era diventata molto popolare,
costituendo però anche qui una questione spinosa, che non poteva accordarsi con le
politiche e le regole che volevano la donna inquadrata in tutt'altre situazioni da
quelle rappresentate dall'ammiccante ballerina.
Ecco che in questo clima di oppressione che attraversa i continenti da una sponda
all'altra e che aveva l'intento di forgiare un determinato tipo di società, la maggior
parte delle battaglie e il lavoro fatto dai movimenti femministi cade nell'oblio, le
immagini di uomini e donne rientrano con un grande balzo negli stereotipi
medioevali, principesse e cavalieri tornano in auge, con la donna, bella, dolce e
mansueta (quando non è strega, brutta e malefica) rinchiusa nella torre e il valoroso,
ricco e forte principe che la salverà.
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2.2 Dalla new woman alla old woman 1920-40
Anche in Europa la crisi economica e politica lasciata dalla fine della Prima guerra
mondiale alimenta sentimenti nazional-patriottici che sfoceranno presto in assetti
politici di stampo totalitario. A partire dagli anni Venti, l'alto tasso di inflazione, la
difficile riorganizzazione produttiva e il malcontento sociale fanno sì che si creino
condizioni favorevoli all'ascesa di regimi più o meno dittatoriali a tutto svantaggio
delle donne che nel periodo precedente, a causa dell'assenza degli uomini impegnati
in guerra, avevano conquistato posizioni e mansioni di maggiore autonomia
all'interno della collettività. Inoltre, il basso tasso di natalità che si registra in questi
anni (soprattutto in Francia e nel Regno Unito), produce nell'opinione pubblica un
sentimento ostile nei confronti delle donne che lavoravano e che avevano acquisito
una certa indipendenza, un sentimento che viene alimentato e diffuso attraverso i
giornali, attraverso anche la satira (famose le caricature inglesi sulle suffragette) e
che aveva l'intenzione di riportare la donna all'interno delle mura domestiche.
“In Francia politici e scienziati sociali collegano immediatamente il bassissimo
tasso di natalità alla considerevole percentuale di donne che lavorano (che sono il
36% circa della forza lavoro […]). Il discorso pubblico che emerge in Francia è un
discorso che invita le donne a ꞌꞌtornare a casaꞌꞌ e ꞌꞌfare figliꞌꞌ per il bene della
nazione.” (A.M. Banti, 2009, pp. 163-164).
Nel Regno Unito il discorso si sviluppa in maniera un po' diversa, troviamo infatti
negli anni Venti una certa incentivazione, da parte soprattutto di associazioni
sostenute dal partito laburista, ad una scelta consapevole della maternità: si limitano
le nascite attraverso la diffusione di nuove conoscenze contraccettive ed è in questo
periodo che nasce la “new-woman”, la “flapper”, la ribelle, disposta a violare le
norme sociali attraverso una serie di comportamenti inconsueti per il tempo come
bere, fumare o guidare da sola l'automobile.
"Una flapper, possiamo dire, è una giovane donna che ancora non ha imparato a
portare le gonne lunghe né l'abitudine di farsi lasciar crescere i capelli". Nell'aprile
dello stesso anno la sezione moda di una rivista conteneva un disegno dal titolo "Il
vestito della ragazza" con la spiegazione che esso raffigurava una flapper
sedicenne: la giovane indossa una gonna al ginocchio e con una linea della vita
piuttosto alta ove la cintura viene sostituita da una fascia annodata quasi
sbadatamente attorno alla gonna. Nel novembre 1910 la parola era già abbastanza
popolare da essere inserita in una serie di racconti pubblicati dal London Magazine;
sono le disavventure di una graziosa quindicenne ed intitolate Sua Maestà Flapper.
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Nel 1911 la recensione su un giornale indica che oramai "flapper" è stabilito
l'essere una giovane maliziosa e provocante. (https://it.wikipedia.org/wiki/Flapper)
Questa libertà, ottenuta grazie alle dure battaglie intraprese dalle suffragette nei
primi anni del Novecento, non durerà però a lungo; già a partire dagli anni Trenta,
quando si realizza anche nel Regno Unito un incisivo rallentamento del tasso di
natalità, e una sostenuta disoccupazione maschile, il governo corre ai ripari
propagandando il solito “invito” rivolto alle donne a tornare a casa e fare figli.
“Felice e fortunato l'uomo la cui moglie sia orgogliosa della casa […] alla quale
piaccia fare bene le cose, in modo che egli sia fiero di lei e dei suoi figli” scrive nel
1939 il periodico inglese Housewife (casalinga), esprimendo un punto di vista
largamente condiviso”. (A.M. Banti, 2009, p.164).
In Italia con l'avvento del fascismo la concezione della figura femminile acquista
più che mai connotati stereotipati, come negli altri paesi europei, il regime spinge
la donna ad assolvere sopra ogni altra cosa la tradizionale funzione materna e
casalinga, si vuole incrementare il tasso di natalità e scoraggiare il lavoro femminile
e lo si fa attraverso una serie di leggi restrittive in diversi ambiti.
“Nel 1923 viene impedito alle donne di diventare presidi; dal 1926 non possono
insegnare storia, filosofia ed economia alle superiori; nel 1934 si introduce una
politica delle ꞌꞌquote negativeꞌꞌ per le amministrazioni pubbliche, dove le donne non
devono superare una certa percentuale -minoritaria- del personale; nel 1938 si
precisa che sia nelle amministrazioni pubbliche sia in quelle private il personale
femminile non può superare il 10% del totale degli impiegati”. (Ibidem, pp.188-
189).
Negli anni Venti era nata la FILDIS (Federazione Italiana Laureate Diplomate
Istituti Superiori) che nel 1935, sempre per ordini fascisti, fu sciolta. Parallelamente
si creano leggi a favore degli uomini che hanno famiglie numerose e si assicura ad
ogni capofamiglia un assegno familiare per moglie e figli a carico, l'aborto viene
considerato reato contro lo stato e i celibi sono costretti a pagare una particolare
tassa per non aver costituito famiglia.
In Germania invece l'avvento del nazismo definisce un tipo particolare di donna che
deve essere sì madre (anche qui l'incremento demografico era ritenuto
fondamentale per la crescita del paese), ma doveva al contempo essere una donna
lavoratrice in grado di portare ricchezza al paese, (nel 1939 il 37% delle donne
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lavora), si propagandava anche una certa autonomia associativa femminile,
ovviamente rigidamente controllata dal regime; ma da notare che durante tutto il
regime nazista non vi è nessuna donna a ricoprire cariche dirigenziali e le ragazze
iscritte alle scuole superiori e nelle università non aumentano rispetto al periodo
precedente, anzi diminuiscono.
Una situazione particolare invece la si poteva trovare sul fronte sovietico: qui le
donne ottennero il diritto di voto sin dal luglio 1917, ma non fu certo una conquista
da inquadrare all'interno del movimento di liberazione della donna che era
pressoché assente. Anche la revisione del diritto di famiglia che autorizzò nello
stesso anno il divorzio consensuale, proclamò l'uguaglianza assoluta tra uomini e
donne, rese il matrimonio un rito civile e nel 1920 autorizzò l'aborto, furono
pratiche da inquadrare in una visione funzionale a quella che era la dottrina
socialista. Analizzando i fatti negli anni a seguire scrive A. Mario Banti:
“Aumentano tanto le vedove quanto le donne ripudiate dai mariti in base alla
legislazione sul divorzio. Si tratta di donne che spesso sono prive di ogni altro
appoggio familiare e anche prive di risorse proprie, perché, dopo il ritorno degli
uomini dal fronte, il livello di occupazione femminile cade (le donne, che erano il
40% degli operai e impiegati nel 1914, sono il 24% nel 1928)” (A.M. Banti, 2009,
p.57).
Questa dichiarata emancipazione era quindi alquanto fasulla e, se è vero che
Alexandra Kollontaj (1872-1952) fu probabilmente la prima donna-ministro della
storia (ministro per gli affari sociali del governo rivoluzionario di Lenin), altre
milioni di donne intorno a lei solo idealmente potevano godere degli stessi privilegi.
Tutto questo si riflette ampiamente anche nel mondo dell'animazione, della fantasia,
quel mondo attraverso il quale si dovrebbe poter sognare liberamente, ingloba
invece al proprio interno e con un meccanismo quasi impercettibile all'occhio dello
spettatore, che si aspetta distrazione e divertimento, regole ferree, specchio delle
tradizioni, dei dogmi e peggio ancora delle dottrine politiche.