XII
non corrisponde alla realtà, in quanto i due lungometraggi hanno in comune il genere,
l’essere cioè un cartone animato, e la superficie di manifestazione, lo schermo
cinematografico; il destinatario è messo nelle condizioni di scegliere o uno o l’altro
film, nonostante abbia come valida alternativa quella di poter assistere alla proiezione di
entrambi i testi.
L’importante premessa e filo conduttore di questa mia trattazione è costituita dalla
marca, fenomeno comunicativo da cui nemmeno il cinema può prescindere: oltre alle
due case di produzione, i rispettivi film manifestano apparentemente caratteristiche e
comportamenti propri della marca, molto probabilmente per i vantaggi che ne
conseguono come l’utilizzo del logotipo e la visibilità che esso comporta grazie alla sua
flessibilità e per il consumo di marca che è presente, in modo più o meno accentuato, da
sempre, presso i destinatari: questo approccio è comunque da verificare, comparando le
caratteristiche i requisiti riconosciuti al concetto di marca.
La marca, e più precisamente l’immaginario e i valori sottesi e manifestati poi in
superficie, ricorrendo anche alla costituzione di un mondo possibile
1
, è quindi una
condizione necessaria, in una società come quella contemporanea affollata sempre di
più da messaggi, e che precede qualsiasi attività compiuta dall’azienda, in modo da
poter costruire una relazione duratura nel tempo con i propri ricettori e impostare
coerentemente le proprie strategie e programmi.
L’analisi inizia pertanto da questo aspetto per indagarne la coerenza rispetto ai testi che
vengono realizzati ed emessi in occasione del lancio dei film, mettendo a fuoco le
strategie enunciative dell’autore modello nei confronti di un preciso lettore modello
2
e
le caratteristiche della costruzione mediatica attraverso i diversi mezzi di
comunicazione, dai più tradizionali a quelli più innovativi; la seconda parte è invece
dedicata ad un’altra tipologia di testi, i tie-ins
3
, ai quali si applicano i medesimi principi
1
Eco parla di mondo possibile intendendo un “mondo ammobiliato” contraddistinto da proprietà e
individui che differiscono dal mondo reale: in base agli indizi che il testo narrativo fornisce al lettore,
questo è in grado di ricostruire il “costrutto culturale” (1979) di quel testo, individuandone le leggi di
coerenza interna e i meccanismi di funzionamento e facilitandone al tempo stesso l’interpretazione e la
”sospensione dell’incredulità” (Coleridge citato da Eco, 1994).
2
Sono entrambe per Eco strategie testuali, due ruoli astratti assunti nel processo comunicativo: l’autore
modello è impiegato dall’autore empirico per indirizzare nel senso voluto l’attività cooperativa del lettore,
il quale è inteso come un “lettore-tipo” (1994), colui cioè che collabora all’attualizzazione del testo e di
cui vengono previste le mosse interpretative e intuite le conoscenze, competenze e i requisiti (1979 e
1994).
3
Il tie-in si riferisce a un prodotto, come ad esempio libri, giocattoli, dischi, etc., le cui vendite sono
trainate dal successo di un altro prodotto, in questo caso i cartoni animati.
XIII
e teorie dei messaggi tradizionalmente intesi, verificando l’approccio semiotico testuale
al mondo dei beni di consumo e presentando i relativi e peculiari meccanismi di
funzionamento e caratteristiche.
L’ambito del merchandising vuole offrire spunti di riflessione come la rispondenza o
meno della strategia di ciascun enunciatore adottata nel lancio vero e proprio di ciascun
lungometraggio, l’indagine del tipo di legame rispetto al testo base, cioè il film, e delle
modalità di interazione con altre marche, simili o completamente diverse da quelle di
produzione, che attraverso il contratto di licensing entrano nel discorso e lo influenzano.
Il percorso quindi è chiaramente delineato: la marca guida il destinatario dalla
conoscenza dell’evento alla visione fino a persuaderlo all’acquisto di prodotti che, pur
esulando dall’ambito di provenienza del film, la cinematografia, hanno coinvolto
marche diverse e le superfici dei loro beni per sfruttare la notorietà e l’impatto dei film
sul pubblico.
Questo aspetto offre la possibilità di analizzare anche quali differenti scelte relative al
merchandising siano state fatte dalle due case di produzione e quale atteggiamento di
uso o di interpretazione emerge nei confronti del testo base.
La semiotica interpretativa e generativa sono state entrambe utili e funzionali per questa
analisi, mentre l’integrazione, come premesso, di altre discipline ha permesso un
approccio più completo e organico, il quale vuole dimostrare sia il contributo che la
semiotica può dare nel definire la strategia di un’azienda ed evitare errori che nel lungo
periodo possono provocare un effetto boomerang, sia l’ambito della marca che, con le
relative proprietà e attività, sta diventando un fenomeno globale di interesse
interdisciplinare e sempre più complesso.
I contatti con le aziende, sia quelle cinematografiche che licenziatarie (tra cui
McDonald’s, Nestlé, Mattel, Clementoni, Hasbro, Giochi Preziosi, Mondadori) nonché
le redazioni televisive, radiofoniche e quelle dei vari giornali mi hanno consentito di
seguire la costruzione dell’evento con i vantaggi che il monitoraggio diretto e talvolta
anche anticipato offre rispetto all’osservazione a posteriori; inoltre la disponibilità,
motivata dall’interesse nei confronti di questo lavoro, dei direttori marketing e/o dei
responsabili degli uffici di relazioni pubbliche e delle agenzie di pubblicità mi ha
permesso di osservare e apprendere quello che si potrebbe definire il “dietro le quinte”,
XIV
e cioè i propositi, gli obiettivi, le modalità e l’iter di realizzazione, le strategie e le
procedure che hanno sotteso e animato ogni testo immesso sul mercato.
PRIMA PARTE
2
1.
LA COSTRUZIONE DELLA COMPETENZA TRA FAMILIARITÀ
ED ESTRANEITÀ
1.1 LA WALT DISNEY COMPANY: STORIA, EVOLUZIONE E
DIVERSIFICAZIONE
Walt e Roy Disney creano nel 1922 la loro casa di produzione cinematografica (la
Disney) inizialmente basata sul mercato di nicchia dei cartoni animati: come nuova
creatura ha bisogno di una solida base per lanciare le proprie innovazioni e di accordi
per la distribuzione, nonché di partners commerciali per la sponsorizzazione.
Si susseguono, quindi, alleanze con la Columbia, poi con la United Artists ed infine con
la RKO, la quale rende possibile alla Disney di conseguire il proprio vantaggio
competitivo sfruttando le proprie attività di produzione, distribuzione ed exhibition.
La prima star creata da Walt Disney è Mickey Mouse che già nel 1930 diviene, insieme
alla sua compagna Minnie, oggetto di contratto per il merchandising.
Negli anni ’30 la Disney sfrutta a pieno l’avvento del suono e del colore, vincendo
l’Oscar per le abilità dimostrate nell’uso del Technicolor e nel 1938 realizza il primo
film animato Biancaneve e i sette nani che si rivela immediatamente uno straordinario
successo non solo negli Stati Uniti ma anche in tutto il mondo.
Oltre all’animazione, nel 1950, si dedica anche al live action film, iniziando con 20.000
Leghe sotto i mari, alla produzione televisiva attraverso serials Tv e shows, costituiti da
mix di cartoni animati, documentari e servizi speciali, e alla progettazione di parchi
tematici (Disneyland in California e Disneyworld in Florida).
Con il decesso del presidente della RKO, la Disney è costretta a formare il proprio
canale di distribuzione, la Buena Vista; dopo la morte dei due fratelli Disney (1966 e
1971) la società viene mantenuta da un amico, Sib Bass, per evitare la cessione al
Giappone, il quale la affida a Michael Eisner, ex executive della Paramount, e Frank
Wells, ex executive della Warner.
3
Le operazioni significative sono: la creazione di due nuovi marchi, la Touchstone
Pictures e la Hollywood Pictures, per la realizzazione di nuovi generi cinematografici
destinati ad un pubblico differente da quello tradizionale; l’utilizzazione dell’home
video per sfruttare i classici e la creazione nel 1990 del canale pay–Tv Disney.
Dall’altra parte c’è una continua ricerca e produzione di nuovi classici Disney, alcuni
dei quali hanno saputo mantenere lo stesso successo delle produzioni passate, come La
Bella e la Bestia o La carica dei 101.
Nel 1991 si formalizza la denominazione della società, chiamandola The Walt Disney
Company e l’anno successivo si inaugura l’apertura di un nuovo parco tematico in
Francia, Eurodisney, e si procede a espandere Disneyland e Disneyworld.
1.2 LA TRADIZIONE DELLA WALT DISNEY
La Walt Disney vanta una leadership e una posizione nell’impero dei cartoni animati
che fino a un decennio fa era incontrastata. Non ha più bisogno di presentarsi e di
ricordare al pubblico chi è e che cosa fa, in quanto ogni suo lungometraggio ribadisce,
di anno in anno, le sue caratteristiche e il suo primato in questo settore.
Di essa si è scritto:
Con una tradizione che ha ormai superato il mezzo secolo di esperienza nel
campo dell’animazione, la Disney era fino alla metà degli anni 80 l’unica
società con le risorse artistiche e tecniche per sfornare lungometraggi
animati di elevata qualità. Per molto tempo quindi la Walt Disney ha goduto
di un quasi – monopolio, e la diffusione delle videocassette ha trasformato
questo monopolio in una miniera d’oro: i bambini, che amano vedere lo
stesso film decine di volte tanto da impararlo a memoria, si sono rivelati
infatti un pubblico ideale per la società (Celi, 1998).
1.2.1 MODELLO DI REGOLARITÀ TEMPORALE
Nel presentare il suo film animato Mulan, la Walt Disney pone in rilievo che questo è il
suo ultimo lavoro, più precisamente, la sua trentaseiesima produzione: in questo modo
si appoggia alla lunga tradizione Disney costituita da tutti i cartoni che ogni anno,
puntualmente nel mese di dicembre, escono sul grande schermo.
4
Si ha a che fare con un appuntamento ricorrente che comporta, come effetto potente,
un’influenza sul modello della regolarità temporale:
Molti giorni della settimana, grazie alla funzione regolativa ricoperta da
certi generi massmediatici, sono ricordati, per esempio, per la ricorrenza
dell’uscita di certi periodici o della messa in onda di certi programmi (la
serata del quiz televisivo o quella del varietà); alcuni mesi dell’anno per altri
eventi promossi dai mass media (Grandi, 1992: 262).
Walt Disney ha contrassegnato il mese di dicembre ed in particolare il periodo natalizio
con i suoi film animati, creando l’abitudine per molte famiglie di assistere alla
proiezione cinematografica.
Questo è quanto si optato per l’Italia e il resto del mondo, fatta eccezione per gli Stati
Uniti dove la pellicola esce puntualmente a giugno, in quanto
La stagione estiva è infatti il momento di maggior affluenza nei cinema in
America, al contrario dell’Europa, dove la maggior parte dei film “estivi”
americani vengono proiettati in autunno, a partire proprio dall’inizio di
settembre, come in una staffetta. I distributori americani si affannano a
mettere le mani su una torta che, solo nell’arco di questi tre mesi,
rappresenta il 45 per cento circa dell’incasso globale annuo (Bizio, 1998).
Questa differenziazione permette alla Walt Disney di far parlare dei propri film per
molto tempo: infatti con l’uscita di Mulan nel mese di giugno negli USA, anche i mass
media italiani si sono occupati di seguire l’avvenimento riportando una serie di articoli
che spaziavano dalla trama del cartone alle modalità di realizzazione,
dall’organizzazione della serata della prima del film agli incassi.
L’intento è quello di creare attesa e curiosità nei confronti di un cartone che altrove ha
riscosso successo e suscitato non solo commenti positivi ma anche polemiche.
Ad esempio sui giornali si è letto durante i mesi che hanno preceduto il lancio del film
in Italia:
Bellissimo il nuovo cartone animato della Disney Mulan, adattamento di
una vecchia leggenda cinese su una bambina che si fa passare per maschio
per combattere in guerra, con disegni ispirati agli acquerelli classici e alle
figure creative cinesi (110 milioni di incasso finora, in 40 giorni, miglior
incasso di un cartoon dai tempi del Re Leone) (Bizio, 1998).
Oppure:
5
Le critiche (…) sono arrivate dall’interno degli Stati Uniti, da alcune
comunità cinesi: si è rimproverata al film troppa approssimazione rispetto
all’antica leggenda nazionale. Mulan, secondo queste critiche, appare più
come una Barbie americana in abiti orientali e non come l’eroina della
leggenda, che per i cinesi è una guerriera e non un bambola sentimentale
(Rombi, 1998b).
È questo un modo per fare pubblicità, inteso come comportamento che richiama
l’attenzione e che è volto a rendere pubblico un avvenimento, senza però ricorrere ai
mezzi tradizionali, come lo spot, la flanistica, il trailer, il manifesto, il passaggio vocale
alla radio: questi vengono utilizzati solo nelle due o tre settimane che precedono l’uscita
del film nelle sale cinematografiche, in quanto è nel breve periodo che esercitano il loro
impatto e la loro efficacia, riducendo il rischio di stancare il pubblico e di essere
ignorati.
In questo modo si acquista visibilità e presenza all’interno del sistema dei media e si
forniscono al lettore notizie e informazioni sulla base delle quali poter iniziare a fare le
proprie congetture e inferenze: sottese a queste forme di comunicazione c’è l’intento di
consentire le passeggiate inferenziali (Eco, 1994: 62) che altro non sono che le uscite
dal testo per permettere al soggetto di fare le proprie previsioni, le quali sono “un
ineliminabile aspetto passionale della lettura” (Eco, 1994: 63).
1.2.2 COMPETENZA INTERTESTUALE ED ENCICLOPEDIA
Per il lancio di Mulan ci si deve rifare al consolidato patrimonio della Walt Disney,
costituito dai 35 cartoni animati precedenti e di conseguenza ad un complesso di
memorie e notizie tramandate nel tempo.
Questo facilita il rapporto comunicativo con il pubblico e in particolare predispone alla
visione del film perché nel corso degli anni la Walt Disney ha “educato” il pubblico ai
propri prodotti mediatici.
Mettendo a punto un modello semiotico – informazionale (Eco e Fabbri, 1978: 559)
relativo alla relazione tra la Walt Disney e il suo pubblico, si possono rilevare delle
costanti:
6
1. conoscenza del codice dell’emittente da parte del ricevente, per cui alle unità di
codice vengono attribuiti i corretti significati sia sul piano denotativo che
connotativo;
2. legittimità dell’emittente, il quale, cioè, è ritenuto idoneo, conforme, rispondente al
sistema di credenze, valori e circostanze del destinatario. La Walt Disney è ormai
una garanzia, non solo di qualità, ma anche di contenuto e di immagini, ricercata
principalmente dai genitori.
Se l’emittente è riconosciuto legittimo, si evita quella che Eco ha definito
“guerriglia semiologica” (Eco, 1973), la quale si verifica quando si dà una
decodifica intenzionalmente divergente rispetto a quella predisposta dall’emittente.
Se il meccanismo dei mass media è tale per cui “il medium trasmette quelle
ideologie a cui il destinatario si rifà sotto forma di codici che nascono dalla
situazione sociale in cui vive, dall’educazione ricevuta, dalle disposizioni
psicologiche del momento” (Eco, 1973: 296), allora il destinatario riceve già
qualcosa che appare in grado di controllare coscientemente.
Inoltre, una più adeguata considerazione e analisi del caso della Walt Disney, mostra,
come sottolineano ancora Eco e Fabbri (1978), che:
- ciò che i destinatari ricevono non sono dei messaggi singoli, ma degli insiemi
testuali;
- gli strumenti che guidano l’interpretazione non sono tanto dei codici perfettamente
strutturati, ma piuttosto degli insiemi di pratiche testuali sedimentati nel corso del
tempo.
È in gioco cioè una competenza intertestuale. L’intertesto è l’insieme dei testi di una
cultura, e come termine suggerisce l’idea di un’organizzazione a rete, in cui ci sia un
continuo collegamento e rimando tra le unità che lo compongono: infatti “nessun testo
viene letto indipendentemente dall’esperienza che il lettore ha di altri testi” (Eco, 1979:
81).
Nel caso di Mulan, la visione si avvarrà del bagaglio di conoscenze costituito in
riferimento agli altri film di animazione Disney (e anche non) fruiti in precedenza.
7
Si forma una rete di testi uniti tra loro da una serie di richiami vari: infatti, in un prima
momento, il film Mulan viene presentato come il terzo lungometraggio della portata di
Aladino e Il Re Leone e come la continuazione di una ricerca di trattazione e
rappresentazione di tematiche più serie ed importanti come è accaduto per Il gobbo di
Notre Dame e Pocahontas.
Nell’interpretazione di un testo la competenza intertestuale interagisce, in quanto parte
costituente, con “l’enciclopedia”, intesa come “sapere massimale, del quale [si
possiede] solo una parte” (Eco, 1994: 110) e come “competenza storica” (Eco, 1975:
143) del lettore.
L’enciclopedia permette ad un testo, per non essere ridondante e noioso, di appoggiarsi
e sfruttare le “presupposizioni circostanziali, [le quali] riguardano ciò che sia il mittente
che il destinatario sono supposti sapere intorno a eventi o entità più o meno codificate”
(Eco, 1975: 155), e le “inclusioni semiotiche, [cioè] analiticamente incluse come parte
necessaria del significato dell’espressione” (1975: 155)
Di fronte ad un film della Walt Disney si attinge dall’enciclopedia in possesso del
lettore per poter procedere ad interpretare e a riempire gli spazi di non – detto presenti
nel testo, ma al tempo stesso si arricchisce e si contribuisce alla formazione del sapere
stesso.
Infatti per le produzioni della Walt Disney c’è da considerare che si è all’interno di un
vero e proprio mondo (che sarà oggetto di analisi specifica nel capitolo sulla marca) in
cui non c’è sempre piena corrispondenza e relazione con quello reale.
Di conseguenza c’è una parte dell’enciclopedia che viene costruita proprio ad hoc e che
si riferisce a principi, regole e mezzi utilizzati nei film: ad esempio la bacchetta magica
in Cenerentola, la trasformazione in essere umano ne La Bella e la Bestia, gli animali
ed oggetti parlanti presenti nella maggior parte dei cartoni animati, ecc.
Come si vedrà nel paragrafo 1.3.3 questa enciclopedia viene attivata per tutti quei testi
che presentano analogie dovute ad elementi del tipo sopracitati.
8
1.2.3 L’APPROCCIO DEGLI USI E GRATIFICAZIONI
Dal punto di vista della teoria delle comunicazioni di massa è utile rifarsi all’approccio
usi e gratificazioni per completare il quadro dell’analisi della lunga tradizione vantata
dalla Walt Disney: ritengo utile trattare questo approccio in quanto esso ha sempre
avuto un interesse persistente al testo, al suo significato e alla sua relazione con il
processo di fruizione.
Infatti bisogna considerare che la Disney ha compiuto una sorta di fidelizzazione presso
il suo pubblico non solo attraverso la regolarità con cui presenta i cartoni animati sul
mercato e la relativa qualità artistica e tecnica, ma anche perché ha saputo individuare e
soddisfare certi bisogni che inducono all’uso dei media.
Katz, Gurevitch e Haas (v. Grandi, 1992) hanno indicato delle classi di bisogni, quelle
cioè che portano al consumo dei mezzi di comunicazione di massa e che, se appagate,
recano gratificazione presso il pubblico. Di seguito riporto quelle categorie di bisogni
che sono pertinenti al caso della Walt Disney, e cioè:
- i bisogni cognitivi, ovvero l’acquisizione e il rafforzamento delle conoscenze e
della comprensione;
- i bisogni affettivi estetici, ovvero il rafforzamento dell’esperienza estetica o
emotiva;
- i bisogni integrativi a livello sociale, ovvero il rafforzamento delle relazioni
interpersonali, con la famiglia e con i componenti dei gruppi di riferimento;
- i bisogni di evasione, ovvero l’allentamento delle tensioni e dei conflitti (Grandi,
1992: 42).
Mentre
le gratificazioni non derivano solo dal contenuto dei media, ma anche
- dal tipo di esposizione a un dato medium e
- dal contesto sociale in cui si consuma la fruizione (Grandi, 1992: 42).
Precedentemente ho parlato di fidelizzazione in quanto alla sua base, secondo i principi
del marketing, si trova un consumatore soddisfatto: da questa prospettiva, quindi,
considerando il suo successo, la Walt Disney di anno in anno, di film in film, ha saputo
incontrare i bisogni e suscitare gratificazione nel suo pubblico.
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Da ciò deriva una certa fiducia e legittimità riconosciute nei confronti dell’autore che
rendono più facile e immediata l’instaurarsi della cooperazione che ogni testo implica
tra lettore e autore: per coloro che da parecchio tempo seguono i cartoni animati della
Walt Disney c’è un abbandono quasi totale al testo nuovo che di volta in volta gli viene
presentato, in quanto esso gode di un rapporto consolidato e già sperimentato tra i due
soggetti.
1.3 LA DREAMWORKS: FAMILIARITÀ ED ESTRANEITÀ
Il Principe d’Egitto è invece il film epico della DreamWorks , la quale è stata fondata
nell’ottobre del 1994 da Steven Spielberg, Jeffrey Katzenberg e David Geffen. La
società produce film, pellicole e programmi televisivi d’animazione, programmi per reti
televisive e televisioni via cavo, dischi, libri, giocattoli, articoli vari e prodotti destinati
all’intrattenimento interattivo.
Nonostante sia in aperta competizione con la Walt Disney, sono numerosi gli agganci a
quest’ultima casa di produzione.
1.3.1 WALT DISNEY E DREAMWORKS: DENOTAZIONE E
CONNOTAZIONE
Innanzitutto la scelta del nome. Mentre la Walt Disney non ha alcun significato, se
tradotto letteralmente, in quanto è nome e cognome del fondatore della casa di
produzione, la DreamWorks ha voluto, già sul piano denotativo significa qualcosa, e più
precisamente, “opere da sogno” ma anche “fabbrica del sogno”: rende in questo modo
evidente il voler addentrarsi nel mondo magico, ideale e fino a questo momento
incontrastato della Disney, la quale, invece, esprime tutto il suo significato unicamente
sul piano connotativo.
Roland Barthes definì la connotazione come un secondo significato, aggiunto a quello
della denotazione, spesso di carattere emotivo, un alone semantico, una comunicazione
parassita.
Inoltre:
10
I significanti di connotazione, che chiameremo connotatori, (…) sono
sempre dei segni discontinui, “erratici”, naturalizzati dal messaggio
denotato che fa loro da veicolo. Dal canto suo, il significato di connotazione
ha un carattere ad un tempo generale, globale e diffuso: è, se si vuole, un
frammento di ideologia. (…) Questi significati comunicano strettamente con
la cultura, il sapere, la storia, ed è attraverso di essi, se così si può dire, che
il mondo penetra il sistema (Barthes, 1964; tr. it. 1966: 81).
Infatti dopo anni di produzioni cinematografiche si può constatare come alla Walt
Disney si associ immediatamente “un mondo dedicato all’immaginazione, alla fantasia,
ai sogni per un domani migliore” (Smoodin, 1994: 119; tr. mia).
Quindi il piano denotativo del segno “Dreamworks” già vuole esprimere ciò che la Walt
Disney significa grazie alle sue produzioni e le attività di comunicazione accumulate da
più di 70 anni.
Nella scelta del nome, inoltre, si può notare come in DreamWorks ci siano le due
consonanti, le prime di ogni parola, invertite rispetto a Walt Disney; si ha, cioè,
utilizzando le rispettive abbreviazioni: DW e WD.
Per cui sul piano del significante, prendendo come riferimento lo schema della proposta
di Saussure (1949; tr. it. 1970), c’è un tentativo di costituire un’analogia, cioè un
rapporto di somiglianza tra gli elementi linguistici dei due nomi.
Rispetto al valore del segno “DreamWorks” è importante rilevare l’intenzione di non
creare una netta opposizione con il segno “Walt Disney”: perciò si tratta, in questo caso,
di un’arbitrarietà che non ha come requisito fondamentale la distinzione e la costruzione
di differenze; il segno va considerato all’interno di un sistema di segni: ogni segno è
simile a quelli che potrebbero sostituirlo ed è contiguo a quelli che gli sono vicini.
La DreamWorks, nel differenziarsi, cerca di essere familiare: infatti ogni volta che
interpretiamo un testo, attingiamo liberamente dal repertorio delle nostre conoscenze
precedentemente acquisite per controllare se non vi sia un modo economico per
conferire senso ad un determinato oggetto, testo o espressione.
Nel suo essere apparentemente più innovativa, la DreamWorks, che sembra rompere
con la tradizione di Walt Disney, in realtà condivide con quest’ultima una grossa parte
di presupposti e di regole implicite.
La condizione indispensabile affinché un testo acquisti un significato, è quella di
contenere un numero sufficiente di elementi conosciuti per consentire al destinatario di
“appendervi” le informazioni nuove: si offrono pertanto delle scorciatoie interpretative,
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proprio perché l’interpretazione vive nello spazio che si apre tra familiarità ed
estraneità.
1.3.2 EVOCAZIONE DELLA WALT DISNEY
Nel presentare Il Principe d’Egitto sono ripresi altri elementi noti al pubblico Disney.
Il responsabile della DreamWorks Animation è Jeffrey Katzenberg, ritenuto come colui
che diede grande impulso al settore animazione della Disney realizzando, tra gli altri, La
Sirenetta, La Bella e la Bestia, Aladino e Il Re Leone.
Di lui, ad esempio, si legge:
Jeffrey Katzenberg è l’ex cervello della Disney ed artefice del suo immenso
revival, culminato nel fortunatissimo “Il Re Leone” (Farkas, 1998).
Le immagini sono commentate da sei nuovi brani scritti da Stephen Schwartz, il quale
vinse il premio Oscar per le canzoni originali composte per Pocahontas, e dalla colonna
sonora del compositore Hans Zimmer, anche lui vincitore della prestigiosa statuetta per
Il Re Leone e presentato come
Uno dei tanti artisti “rubati” alla Disney (Farkas, 1998).
A questi agganci, che hanno come intento l’avvalersi della connotazione preziosa della
Walt Disney, si accompagna anche l’utilizzo del paragone, cioè un confronto istituito
fra più elementi allo scopo di far rilevare e valutare al pubblico la diversità:
Il Principe d’Egitto è all’avanguardia nello sfruttamento delle nuove
tecnologie, in 90 minuti ci sono infatti ben 600 riprese in computer grafica
(lo stesso che in Titanic, ma il film dura molto di più del cartone), mentre il
ritmo della narrazione è dato dall’affastellarsi di ben 1192 sequenze, di cui
1180 contengono effetti speciali di vario genere (Roger Rabbit era costituito
da 1335 sequenze e “solo” 1035 erano caratterizzate da effetti speciali)
(Cosulich, 1998).