5
piano storico-culturale e pertanto si colloca in modo pertinente entro una dimensione
gnoseologica (come si conosce) piuttosto che ontologica (cosa si conosce).
L’applicazione dei dettami del modello medico comporta pertanto il rischio di far
divenire un’entità fattuale quanto si configura invece come categoria conoscitiva,
ovvero di considerare la “tossicodipendenza” un’entità di fatto quando si tratta di un
comportamento reso significativo dalle categorie conoscitive utilizzate.
In termini operativi la considerazione del “tossicodipendente” come soggetto malato
comporta che gli interventi messi in campo si pongano come obiettivo la
“guarigione”, ovvero il ripristino delle condizioni precedenti la malattia, attraverso
l’individuazione della causa e l’eliminazione della stessa. Ma se a livello di
intervento sanitario è possibile operare a partire da tali assunti, in ambito sociale ciò
comporterà una perdita di efficacia nella misura in cui viene a mancare la possibilità
di stabilire legami di causa-effetto tra gli eventi considerati.
La riflessione epistemologica che ha attraversato la scienza negli ultimi decenni ha
messo in discussione il rapporto di indipendenza tra osservatore ed osservato,
mettendo in luce come l’oggetto di indagine sia predefinito dalle categorie impiegate
per conoscerlo ed operando in tal senso uno spostamento dal paradigma
meccanicistico. Tuttavia quel che si è potuto osservare rispetto all’ambito del
consumo di sostanze è che le teorie psicologiche che si collocano all’interno di tale
cornice epistemologica ed assumono il comportamento di consumo come “malattia”,
si siano sedimentate a livello di senso comune. E’ proprio in virtù della collusione
con il senso comune che tali teorie trovano tuttora legittimazione sociale non
consentendo in tal modo un allontanamento dalle maglie del modello medico.
Sulla base di quanto considerato, diviene quindi fondamentale porre delle basi
paradigmatiche
3
, ovvero stabilire i confini entro i quali conoscere la realtà
“tossicodipendenza” all’interno dei processi sociali che la generano. In altre parole si
pone la necessità di operare uno “scarto di paradigma” che consenta non solo di
3
Per Paradigma si intende l’insieme di assunti fondativi coerenti al loro interno, che costituiscono gli
elementi di cornice per mezzo dei quali si può “produrre” conoscenza
6
collocare l’oggetto di indagine (il consumo di sostanze) entro una cornice
epistemologica adeguata, ma anche di sviluppare prassi operative coerenti, sia in
termini di corrispondenza delle categorie conoscitive utilizzate sia in termini di
fondatezza epistemologica.
Il presente lavoro colloca lo studio della cosiddetta “tossicodipendenza” all’interno
del Paradigma Narrativistico che si situa a livello di realismo concettuale. Secondo
tale prospettiva gli “oggetti” di conoscenza non sono indipendenti dai discorsi che li
generano, ossia la realtà non è data, ma è costruita dalle categorie attraverso cui
viene conosciuta in quanto tale.
Il linguaggio è considerato uno strumento attraverso il quale viene attuato un
processo di reificazione che si esprime con le etichette linguistiche utilizzate dai
parlanti e che trasforma le esperienze delle persone in oggettivazioni reali: il solo
fatto di raccontare/si “tossicodipendente” rende reale ciò che è narrato.
Occupandosi invece di processi di conoscenza/costruzione non è adeguato in termini
epistemologici definire “chi è il tossicodipendente” o “che cosa è la
tossicodipendenza”, ma descrivere i presupposti conoscitivi a partire dai quali si
genera la “tossicodipendenza” in quanto realtà discorsiva, ovvero che individua
processi discorsivi generati e praticati dalla comunità dei parlanti.
All’interno del paradigma narrativistico il modello che si propone è definito modello
dialogico che ha come assunto i processi discorsivi ed individua come strumento
conoscitivo il costrutto di “identità”, intesa come realtà costruita dai processi
discorsivi che la generano in termini diacronici pertanto in costante cambiamento. In
questo senso ciò che chiamiamo “tossicodipendente” appartiene ai processi che
costruiscono l’identità a partire dalle pratiche discorsive utilizzate dai parlanti
all’interno di un contesto simbolico-normativo.
Occupandosi dei processi discorsivi quanto viene ricostruito in questa sede sono
dunque le categorie conoscitive degli operatori e degli utenti in trattamento per
7
consumo di sostanze
4
. All’interno della prospettiva adottata l’“individuo” è inteso in
termini bruneriani come “un sistema complesso culturalmente e storicamente
costruito attraverso le narrazioni”
5
, pertanto al linguaggio dei parlanti viene conferito
il massimo statuto epistemologico. In tal senso affinché sia rispettata l’unicità delle
pratiche discorsive utilizzate, e dunque si possa entrare nella dimensione del mero
processo conoscitivo della realtà, si pone come criterio di scientificità la descrizione
dei processi discorsivi implicati.
A fronte di quanto considerato l’obiettivo generale del presente lavoro è quello di
descrivere come si articola il processo di costruzione dell’identità del consumatore di
sostanze psicoattive in trattamento presso “contesti terapeutici” che derivano
dall’adozione di un modello medico
6
e contesti che rientrano nel cosiddetto “scarto
di paradigma”
7
. A partire da tale obiettivo generale sono stati posti tre obiettivi
specifici:
1) Cogliere le pratiche discorsive che generano la realtà del consumatore di sostanze
psicoattive rispetto al “contesto terapeutico”, al periodo di “trattamento” e alla
sostanza in una prospettiva: passata, attuale, futura
2) Cogliere le pratiche discorsive che generano la “realtà operativa” rispetto al
“contesto terapeutico”.
Questo obiettivo si articola in due sottoobiettivi:
a) descrivere i processi relativi alla relazione tra operatori ed utenza
b) descrivere la realtà “trattamento”
4
Al fine di raccogliere tali categorie conoscitive sono stati somministrati protocolli di indagine ad
operatori ed utenti in trattamento per consumo di sostanze.
5
Bruner J. “la mente a più dimensioni”, Gius Laterza, Bari (2003)
6
Sono stati considerati i contesti terapeutici rappresentati da Ser.T e comunità
7
Sono stati in tal senso oggetto di indagine i servizi denominati “non convenzionali” riuniti sotto tale
dicitura sulla base della condivisione degli assunti epistemologici delineati dal Paradigma
Narrativistico.
8
3) Alla luce delle differenze teorico-epistemologiche ed operativo-metodologiche dei
contesti terapeutici, individuare se le configurazioni colte vanno a generare realtà
definite tipizzate.
Si intende in tal modo individuare quali pratiche discorsive mantengano la realtà
“tossicodipendente” come realtà ontologicamente data e quali invece incontrino tale
realtà in una dimensione processuale e siano in grado di generare un cambiamento
che operi sulla struttura narrativa della persona ovvero in un’accezione biografica.
Il presente elaborato si compone di sette capitoli.
Nel primo capitolo viene innanzitutto argomentata la necessità per la disciplina
psicologica di una riflessione epistemologica che consenta di delineare i confini entro
cui un atto conoscitivo possa essere definito scientifico. Vengono quindi delineati gli
elementi distintivi dei tre livelli da cui si costruisce la realtà e da cui può prendere le
mosse la conoscenza della realtà “tossicodipendenza”: la collocazione di tale realtà
entro un livello di realismo piuttosto che un altro comporta la fondatezza o
l’infondatezza epistemologica delle asserzioni che vengono fatte in merito. Vengono
infine argomentate le linee principali delle teorie di riferimento che si collocano in
un’ottica di costruzione della realtà e che assumono il linguaggio quale oggetto di
studio della psicologia.
Nel secondo capitolo viene messo in luce come le categorie di “normalità” e
“devianza” siano costruite e legittimate socialmente. Si indaga quindi come il
consumo di sostanze sia il risultato di una costruzione sociale e in che modo si
inserisca in quei comportamenti che vengono definiti “devianti”. Vengono infine
descritti i risvolti che comportano tali processi sociali rispetto al mantenimento di
un’identità deviante.
Nel terzo capitolo vengono illustrati i due modelli in cui si inserisce lo studio della
“tossicodipendenza” in quanto “comportamento deviante” ovvero i modelli del Vizio
9
e della Malattia. Rispetto a quest’ultimo modello in particolare vengono poste in
evidenza le incongruenze sul piano epistemologico e metodologico che derivano
dalla trasposizione del modello medico rispetto ad ambiti che esulano dalla
dimensione organica. Viene infine presentata l’architettura dei servizi che deriva
dall’assunzione di tale modello da parte degli esperti e dalla sua introiezione nella
normativa che riguarda il consumo.
Il quarto capitolo illustra come i contributi teorici presentati in precedenza
consentano un passaggio dalla considerazione della personalità del
“tossicodipendente” determinata passivamente dall’ambiente, alla costruzione
dell’identità in relazione ad un contesto. Tali teorizzazioni tracciano la traiettoria
seguita dal paradigma narrativistico di cui vengono presentati gli assunti, il modello
di riferimento, ovvero il modello dialogico e l’architettura dei servizi che deriva
dall’assunzione di tale modello.
Nel quinto capitolo viene esposto il progetto di ricerca: gli obiettivi della ricerca, la
definizione del gruppo oggetto di indagine, gli strumenti di indagine e infine le
procedure utilizzate per l’analisi dei dati e per la descrizione dei risultati
Nel sesto capitolo vengono illustrati i risultati delle analisi dei dati, le relative
descrizioni e i commenti agli obiettivi della ricerca.
Nel settimo capitolo vengono esposte le considerazioni conclusive e i principali
risvolti operativi che possono essere attuati all’interno di un “contesto terapeutico”
nell’ambito del consumo di sostanze legali/illegali. Tali risvolti sono stati delineati a
fronte dei risultati emersi in termini di costruzione dell’identità rispetto a contesti che
derivano dal modello medico e a contesti che rientrano nello “scarto paradigmatico”.
Nell’Appendice A vengono presentati i criteri per la dipendenza da sostanze del DSM
IV; nell’Appendice B sono riportati i punti salienti della legge antinarcotici
attualmente in vigore in Italia: legge 49/2006 del 21 febbraio 2006;
nell’Appendice C vengono riportati i protocolli di indagine somministrati ad utenti ed
operatori dei servizi considerati; nell’Appendice D vengono riportate le tabelle
10
relative all’analisi delle risposte alle domande chiuse del protocollo riferite ai dati
socio-anagrafici di tutti i rispondenti e all’utilizzo di sostanze da parte degli utenti,
nell’Appendice E viene riportata la tabella che descrive i repertori discorsivi
individuati.
11
CAPITOLO PRIMO
I PRESUPPOSTI TEORICI ED EPISTEMOLOGICI
“La gente non vive in mondi fisici diversi,
bensì in mondi conoscibili diversi”
Piattelli-Palmarini “Livelli di realtà”
In questo capitolo viene presentata una riflessione teorica ed epistemologica, ovvero
una riflessione che consente di fare delle asserzioni che possono attestarsi sul piano
del senso scientifico piuttosto che del senso comune e in un secondo momento di
operare in termini di rigorosità scientifica. Nell’alveo dell’epistemologia e quindi
della riflessione intorno ai criteri che consentono ad una disciplina come la
psicologia di essere annoverata tra le scienze, si delineano differenti posizioni che
vanno ad individuare i possibili rapporti che sussistono tra conoscenza e realtà; in tal
senso si individuano diversi livelli di realismo, ovvero differenti modalità di
conoscere la realtà stessa ed in particolare la realtà “tossicodipendenza”. Dopo aver
illustrato tali modalità si prenderanno in considerazione gli orizzonti teorici che
hanno contribuito al passaggio ad un paradigma
8
alternativo rispetto a quello
meccanicistico.
8
Il paradigma costituisce l’insieme di assunti su cui la conoscenza viene costruita: scegliere di fare
riferimento ad un paradigma piuttosto che ad un altro implica individuare un sistema di riferimento
attraverso cui organizzare la conoscenza e quindi individuare un “mondo” anziché un altro
12
1.1 “IN CHE MODO CONOSCIAMO CIÒ CHE CREDIAMO DI
CONOSCERE?”
Questa domanda, incipit di un volume curato da Paul Watzlawick
9
, si pone come il
filo conduttore che va a percorrere la struttura argomentativa di tutto l’elaborato, allo
stesso modo in cui dovrebbe essere tenuto ben presente lungo tutto il percorso
professionale di ogni psicologo. Porsi una domanda di questo tipo, significa
introdurre la riflessione epistemologica all’interno del proprio lavoro, sia sul versante
teorico che, conseguentemente, su quello metodologico.
L’ “Epistemologia” (dal greco “episteme”, scienza e “logos”, discorso) o filosofia
della scienza è lo studio critico dei principi, delle strutture e degli esiti della scienza
in generale e delle diverse scienze in particolare, allo scopo di appurare i loro
fondamenti logici e il loro valore in termini di verità
10
.
Le domande a cui risponde l’epistemologia sono varie, per esempio: esiste un
criterio, e se esiste qual è, per distinguere, all’interno della massa infinita di
proposizioni che il nostro linguaggio costituisce momento per momento, quanto
possiamo definire scientifico e quanto invece dobbiamo definire non scientifico, per
esempio filosofico, poetico, religioso o morale? E una volta riusciti a distinguere le
proposizioni scientifiche da quelle non scientifiche, cosa vuol dire “spiegare
scientificamente un fenomeno naturale? Quale deve essere il rapporto tra teorie e
fatti? Cosa significa l’oggettività della scienza?, ecc.
11
Epistemologia e scienza sono state spesso considerate settori disciplinari separati. La
prima viene intesa comunemente come il momento di riflessione teorica, volto alle
speculazioni circa gli standard scientifici, i fondamenti, i principi che lo scienziato
applica alla prassi operativa. La seconda viene intesa come il momento pratico in cui
lo scienziato segue le regole che consentono di definire la sua prassi scientifica.
Questa suddivisione non dovrebbe tradursi in professioni e competenze diverse,
9
Watzlawick P. “La realtà inventata”, Feltrinelli, Milano (1988)
10
Marhaba S., “Introduzione alla psicologia” seconda edizione, Upsel Domeneghini Editore, Padova,
(2003) p. 18
11
ibidem
13
quanto andare a porre la necessità per lo scienziato di essere esperto sia della prassi
scientifica che dell’argomentazione epistemologica. La prassi operativa infatti, non è
un mero riflesso di un’assunzione teorica, ma ne riproduce i presupposti
epistemologici entro i quali è stata generata. Infatti, come afferma Agazzi, la
questione dell’oggetto e del metodo di una scienza sono “in un tutt’uno
indestricabile”
12
. Ogni scienza si presenta come un linguaggio che parla di quello
che, nel gergo tecnico dell’epistemologia, viene detto un universo di oggetti
13
. La
parola “universo” denota il fatto che una scienza considera sempre un insieme
strutturato di oggetti di cui indaga le proprietà, le relazioni e i legami funzionali che
sussistono tra questi oggetti. A costituire l’oggetto di una scienza è l’assunzione di
un punto di vista piuttosto che un altro sulle “cose”, aspetto che determina anche la
collocazione all’interno di una scienza piuttosto che un’altra. Questo punto di vista si
traduce in quello che Agazzi chiama “criterio di verità”: “data una “cosa” ogni
scienza precisa un certo numero di criteri in base ai quali si possa rispondere circa la
verità o falsità di proposizioni formulate a proposito di essa. Le proposizioni non
immediatamente controllabili mediante tali criteri non sono oggetto di quella data
scienza, mentre possono magari essere oggetto di un’altra”
14
. In ogni scienza sono
presenti delle proposizioni che si devono ritenere immediatamente vere definite
“criteri di protocollarità” in base ai quali una scienza decide in via immediata sulla
verità o falsità delle proposizioni che riguardano i suoi oggetti. Sono quindi tali
criteri a ritagliare l’oggetto all’interno di una “cosa” di cui intende occuparsi una
scienza. Il legame tra momento teorico ed operativo, tra oggetto e metodo di una
scienza, starebbe proprio nella natura metodologica dei criteri che ritagliano gli
oggetti di una scienza; pertanto potremmo dire che l’oggetto scientifico nasce quando
una “cosa” viene investigata secondo certi metodi e che una cosa è un fascio di
oggetti potenzialmente infiniti, proprio perché è indagabile mediante sistemi di
12
Agazzi E., “Criteri epistemologici fondamentali delle discipline psicologiche” in AA. VV.
“Problemi epistemologici della psicologia contemporanea” a cura di Giovanni Siri
13
ibidem
14
ibidem
14
metodi il cui numero è potenzialmente infinito e ciascuno di tali sistemi di metodi dà
luogo ad una scienza diversa che si occupa di quella “cosa”.
L’individuazione degli oggetti e dei metodi di una scienza è il presupposto su cui si
può innestare un discorso di “dati”, “ipotesi”, “teorie”, “modelli”. Dal punto di vista
epistemologico all’interno del discorso scientifico modelli, ipotesi, teorie sono
“cose” diverse. Con il termine modello si indicano gli aspetti operativi di un
approccio teorico: ha una funzione prettamente euristica e di solito viene introdotto
come ipotesi di lavoro, che se vera, o meglio, reificata, diventa teoria
15
.
L’ipotesi è, invece, un asserto che sta alla base di un ragionamento. Nella ricerca
scientifica, è un asserto che viene assunto come spiegazione di uno o più fatti e che
necessita controlli osservativi e/o sperimentali. Una volta tratte le conseguenze ed
effettuati i controlli, se il suo contenuto informativo e la sua forza previsiva e/o
esplicativa risultano convalidati e solidi, sia pur provvisoriamente, di solito viene
elevata a teoria e a legge
16
.
La teoria è un asserto che descrive, spiega e/o predice in maniera schematica,
generalizzata e coerente un pezzo di realtà. E’ controllabile, provvisoria e da essa si
possono dedurre delle conseguenze anche per ulteriori applicazioni
17
.
Uno degli aspetti problematici presenti in psicologia però è dato dal fatto che non
esistono fatti ontologicamente dati nella sua conoscenza scientifica. Fatti e
spiegazioni emergono attraverso l’uso di una teoria e dei suoi modelli esplicativi o
interpretativi, metodologicamente organizzati
18
. Questo non significa che la
rappresentazione dell’evento non sia adeguata rispetto alla sua specificità, ma
introduce il rischio della “letteralità”, ovvero di far perdere di vista che certe
configurazioni concettuali e linguistiche, non sono realtà ontologiche, ma
rappresentazioni ed espedienti teorico-metodologici. D’altro canto il modello non è
esplicativo, è un’applicazione metaforica e/o analogica della teoria, pertanto una
rappresentazione della realtà non una sua descrizione. Il rischio è di sostituire alla
15
Gava G., “Lessico epistemologico”, CLEUP, Padova (1992), p. 43.
16
ibidem, pp. 37-39
17
ibidem, pp. 56-57.
18
Salvini A., “Argomenti di psicologia clinica”, Upsel Domeneghini, Padova, (1998), p. 35
15
teoria il modello, assumendo come costitutivi della prima gli elementi metaforici
propri della seconda e utilizzandoli anche a livello esplicativo senza tener conto del
loro carattere di espedienti teorici.
A questo proposito, in ambito psicologico, Salvini afferma che “la riflessione
epistemologica non è per lo psicologo un lusso da lasciare alla speculazione dotta ed
occasionale, dal momento che egli è comunque implicato in atti conoscitivi che lo
rinviano a diverse configurazioni della realtà: a quelle del suo interlocutore e alle
proprie in quanto ricercatore o clinico”
19
. La discussione a carattere epistemologico
ha sempre accompagnato lo sviluppo della psicologia, dal momento in cui essa ha
inteso costituirsi come una “scienza”, ossia da un secolo circa a questa parte, ed è
stata mantenuta in vita da due ordini di aspetti
20
. Il primo aspetto è di ordine esterno
alla psicologia e fa riferimento alle questioni che essa ha dovuto affrontare nel
momento in cui si è costituita come scienza attraverso l’assunzione dei metodi di
ricerca delle scienze fisiche, sentendo in un secondo momento l’esigenza di
salvaguardare la sua autonomia dalle altre scienze. Il secondo aspetto di ordine
interno è legato al primo, in quanto, stabilita l’esigenza della psicologia di munirsi di
strumenti metodologici propri, restava da verificare se questi fossero in grado di
soddisfare “le esigenze di rigore, esplicitezza, di intersoggettività, di verificabilità e,
magari anche, di misurabilità e di quantificabilità che erano il tradizionale
contrassegno, ad esempio, della fisica”
21
. Da questo aspetto nascono i contrasti tra le
varie scuole psicologiche. La tendenza verso il riduzionismo, ovvero la tendenza ad
affrontare e risolvere i problemi psicologici nei termini delle scienze naturali
tradizionali (fisiologia, biochimica, ecc..), mostra tuttavia come la psicologia abbia
ancora la necessità di precisare il suo “oggetto” specifico e di conseguenza i metodi
con cui si prefigge di affrontarlo.
Se scienze come la fisica, la chimica, la biologia molecolare possono non interrogarsi
sui loro presupposti epistemologici, in quanto il loro discorso viene praticato su di un
19
ibidem, p.15
20
Agazzi E., “Criteri epistemologici fondamentali delle discipline psicologiche”, op. cit.
21
ibidem
16
referente empirico, “lo psicologo incontra oggetti che sono il risultato delle attività
mentali e comportamentali di chi li riproduce (l’osservato), ma anche dei concetti e
delle teorie che egli adotta in qualità di osservatore”
22
.
Pertanto, all’oggetto di cui si occupa la psicologia, (costituito dalle parole greche
“psiche” e “logos”, traducibile con discorso sulla psiche, sull’anima), non è
attribuibile lo statuto di fattualità empirica. La riflessione epistemologica rispetto al
rapporto teoria-fatto ha messo in luce un rapporto più complesso di quello
prospettato dalla scienza di impianto positivista, in particolare ha messo in evidenza
come i presupposti teorici possono condizionare lo statuto del “dato” scientifico.
Questo comporta il fatto che non si possa prescindere dalla posizione
dell’Osservatore per quanto riguarda gli eventi psicologici. Come afferma Maturana
l’esistenza dipende costitutivamente dall’osservatore e ci sono tanti domini di verità
quanti sono i domini d’esistenza che questi realizza nelle proprie dimensioni”
23
.
Queste riflessioni costringono a rivedere la trasposizione del concetto di oggettività
dalle “scienze naturali” alle “scienze psicologiche” ed il modo in cui “si erano
trasposti alcuni criteri e schemi di “scientificità” dal campo delle discipline fisiche a
quello della psicologia, e ciò non soltanto per quanto concerne i temi più scoperti
della misurazione, della quantificazione, della matematizzazione, ma anche per
quanto riguarda le cautele da assumere quando si applicano alla psicologia delle
codificazioni metodologiche pur collaudatissime (…) senza una preliminare
consapevolezza del tipo di oggetti e di metodi cui questi generalissimi schemi
vengono fatti inerire”
24
. Vi è quindi per la psicologia, la necessità di individuare un
livello adeguato entro cui collocare il proprio oggetto di indagine. Come afferma
ancora Salvini, “se si guarda alla molteplicità dei livelli e delle configurazioni
ritagliabili nel comportamento umano, non è sempre possibile stabilire delle
connessioni tra eventi categorialmente diversi, per esempio concettuali piuttosto che
22
Salvini A., “ Argomenti di psicologia clinica” op.cit., p. 15
23
Armezzani M., “Esperienza e significato nelle scienze psicologiche” Gius Laterza, Bari, (2002) p.
155
24
Agazzi E., “Criteri epistemologici fondamentali delle discipline psicologiche”, op. cit.
17
fattuali, culturali piuttosto che biologici, morali piuttosto che medici”
25
. La
trasposizione di concetti e metodi appartenenti ad ambiti non psicologici, in
particolare medici, si può cogliere anche nell’ambito della “tossicodipendenza”.
Nell’ambito delle cosiddette “tossicodipendenze” si assiste infatti ad un
proliferazione teorica psico-sociologica sulle quali si basano gli interventi nei
confronti del consumo, le cui teorie condividono l’adozione di un paradigma
meccanicistico
26
. Si può osservare infatti come, generalmente, nel momento in cui
viene infranto uno stato di normalità, ci si interroghi sul perché ciò sia potuto
accadere. Il porsi una domanda di questo tipo, significa porre una questione di
conoscenza. Il fatto stesso che ci si ponga la domanda perché, è già una precisa
opzione conoscitiva, che nasce all’interno di un paradigma ben preciso. Tale
paradigma denominato dalla filosofia della scienza “meccanicistico”, presuppone una
realtà esterna data ed indipendente dall’osservatore e pone il comportamento umano
all’interno di relazioni causa-effetto vincolando in questo modo la prassi operativa a
questo tipo di visione.
Gli esseri umani sono in grado di manipolare per via cognitiva o farmacologica la
loro attività cerebrale, coniugando spesso l’azione di sostanze psicoattive, con la
forza ingiuntiva di qualche sistema simbolico e dei suoi generi narrativi.
27
Altro elemento in comune tra coloro che modificano i propri stati mentali per via
endogena, e coloro che la modificano tramite l’assunzione di sostanze psicoattive, è
ricompensa biologica e psicologica
28
. Si può dire pertanto che “gli stati endorfinici
25
Salvini A., “Psicologia clinica delle tossicodipendenze”, Lombardo Editore, Roma, (1998)
prefazione.
26
Il paradigma meccanicistico può essere adottato laddove l’oggetto di indagine sia un ente fattuale,
indipendente dunque dalle categorie conoscitive utilizzate dall’osservatore. Il riferimento al piano
empirico-fattuale consente di individuare nessi causali tra gli enti in virtù dei quali diviene possibile
agire sull’ente causa per eliminare l’ente effetto o fare della previsioni basate sui medesimi legami di
tipo causa-effetto.
27
Salvini A., Testoni I., Zamperini A., “Droghe, tossicofilie e tossicodipendenza” Utet, Torino,
(2002), p. 5
28
Seppure con diversa intensità, la maggior parte delle droghe è accomunata dalla capacità di generare
una protoesperienza di piacere e di benessere. L’attivazione di questo meccanismo di ricompensa si
aggiunge agli specifici effetti di ogni sostanza. Il meccanismo biochimico che innesca la sensazione di
piacere/benessere consiste nell’azione di alcuni neurotrasmettitori sui circuiti cerebrali della
ricompensa dove sono concentrati i recettori specifici (tronco dell’encefalo e centri limbici del
18
dei maratoneti hanno qualcosa in comune con quelli dell’eroinomane”
29
. Tuttavia
solo nel caso di modificazioni tramite sostanze, si attribuisce il consumo ad una
qualche mancanza patologica, mentre una persona che si lanciasse con il paracadute
sarebbe probabilmente ritenuta “coraggiosa”. Questa però è una questione di giudizio
morale che appartiene al senso comune, non alla scienza. Quel che si può osservare,
infatti, è che quanto dicono gli esperti del settore e la gente comune è molto simile,
ed è accomunato dal tentativo di collocare il fenomeno di “uso/abuso” di sostanze
all’interno di un modello che si rivela inadeguato, quando l’oggetto di studio non
trova riscontro nella realtà “naturalmente” intesa.
Questo tipo di discorsi tuttavia, sono quelli che si sono imposti in maniera dominante
a livello culturale, per cui è ora il senso comune a conservare questa visione
meccanicistica dei comportamenti.
Da qui deriva l’esigenza di inserire elementi di distinzione tra senso comune e senso
scientifico, tramite la rigorosa analisi dei presupposti fondanti le teorie.
In riferimento a questa riflessione teorico-metodologica, la filosofia della scienza ha
individuato tre modalità, che vanno a tracciare tre tipi differenti di rapporto tra
conoscenza e realtà. Queste modalità saranno l’argomento di cui tratterà il prossimo
paragrafo.
1.2 IN CHE MODO CONOSCIAMO LA “TOSSICODIPENDENZA”?: LE 3
MODALITÀ DI CONOSCENZA
1.2.1 Realismo monista.
Le teorie che si collocano all’interno dell’orizzonte epistemologico definito monista,
assumono la realtà come unica, oggettivamente data, conoscibile ed esterna
all’osservatore.
diencefalo). Salvini A., Testoni I., Zamperini A., “Droghe, tossicofilie e tossicodipendenza” op.cit.,
pp. 12-13
29
ibidem