Il campo nel quale questo dilemma morale si fa più dirompente è la bioetica, assurta a vera e
propria “questione” negli ordinamenti giuridici dell’età della tecnica: la questione bioetica «consiste
nel fatto che, a causa di avanzamenti estremamente significativi nel campo delle conoscenze
biologiche e in particolare genetiche, e di altrettanto significative nuove possibilità tecnologiche
nello stesso campo, tutto un ambito di eventi che nella storia della società sono appartenuti alla
sfera degli accadimenti naturali sono diventati oggetto di scelta, o di artificio, e quindi per ciò stesso
sono entrati nell’orbita del giudizio morale e della decisione politica»
8
La libertà di scegliere, dove prima era solo caso o destino, è per l’uomo eccessiva e spaventosa , ed
egli si rivolge al diritto per trovare rassicurazioni e soluzioni: cadute le leggi della natura, «l’orrore
del vuoto che esse lasciano dev’essere colmato dalle leggi degli uomini».
9
Ma, di fronte alla questione bioetica, per il diritto è tutt’altro che semplice “colmare il vuoto”. Il
campo della bioetica, come forse nessun altro luogo dell’agire politico, è percorso da una frattura
netta. Al centro della questione sta il bìos - la vita che nasce, la vita che muore, la vita che può
essere manipolata - ma opposte e confliggenti sono le etiche che si ergono in sua difesa:
semplificando in modo estremo, l’“etica della sacralità della vita biologica” e l’“etica della qualità
della vita biografica”, formule concise che alludono a complesse prospettive teoriche.
10
Pur non
essendo gli unici, tali modelli etici «sono senz’altro quelli più caratteristici e “combattivi” e, almeno
in Occidente, sono quelli che hanno storicamente qualificato e idealmente monopolizzato i dibattiti
di bioetica».
11
Per l’etica della sacralità della vita, la vita umana innocente in ogni suo frammento biologico - dal
concepimento sino alla morte - è assolutamente inviolabile e indisponibile, e la sua tutela deve
avere la priorità rispetto alla tutela di qualsiasi altro bene o valore: viene senz’altro prima della
tutela della libertà dell’individuo che la vita voglia in qualsiasi modo manipolare. Viceversa, per
l’etica della qualità della vita, la vita umana è sì un valore, la cui tutela può, però, essere modulata
con intensità diversa a seconda degli stadi biologici e delle condizioni biografiche, e talvolta può
dover essere bilanciata e recedere di fronte ad altri valori ritenuti preminenti.
12
In sintesi, l’etica
della sacralità della vita «si affaccia nel piano bioetico con precetti negativi, attenta ai limiti che la
manipolazione della vita non deve oltrepassare. Al contrario l’etica della qualità della vita è più
attratta dalla moltiplicazione delle opportunità che il progresso biologico ha reso possibile».
13
Nella peculiarità del caso italiano - dove la Chiesa Cattolica tende ad avere il monopolio nella
8 Mancina B., Laicità e politica, in Boniolo G. (a cura di), Laicità. Una geografia delle nostre radici, Torino,
Einaudi, 2006, p. 14
9 Rodotà S., La vita e le regole. Tra diritto e non diritto, Roma, Feltrinelli, 2006, p. 15
10 Tripodina C., Dio o Cesare?, cit., p. 2
11 Fornero G., Bioetica cattolica e bioetica laica, Milano, Mondadori, 2005, p.16
12 Tripodina C., Dio o Cesare?, cit., p. 3
13 Viola F., L'etica della qualità della vita: una valutazione critica, in Bioetica, 1996, II, p. 92
difesa del sacro e dove il suo intervento nel dibattito pubblico politico si fa sempre più penetrante e
frequente, soprattutto di fronte agli hard cases della bioetica
14
- la contrapposizione tra queste due
etiche viene tradotta nell'antagonismo tra bioetica cattolica e bioetica laica; «tra cultura
creazionista religiosa, che implica un limite al saper fare dell’uomo, e cultura laica, fondata sulla
convinzione della totale emancipazione dell’uomo da Dio».
15
Quale che sia il nome che a esse voglia darsi, concezioni etiche profondamente confliggenti si
scontrano frontalmente sul campo di battaglia della questione bioetica, giacché i latori delle opposte
etiche rivendicano entrambi il diritto di partecipare al dibattito nella sfera pubblica, di influenzarlo e
di informare alle loro istanze assiologiche i contenuti delle leggi: affinché, in nome del principio
della sacralità della vita, esse mantengano e, anzi, rinsaldino disposizioni normative in grado di
garantirne l’inviolabilità e l’indisponibilità assoluta; affinché, all'opposto, in nome della libertà di
coscienza e del principio della qualità della vita, esse rimuovano gli ostacoli di natura giuridica che
impediscono la dilatazione di libertà che l'evoluzione tecnica consente.
16
Il diritto è, per forza di cose, chiamato a comporre il conflitto filosofico-etico che
l'evoluzione scientifica e tecnologica ha, involontariamente, generato. A fronte delle possibili
variabili che si aprono nel momento in cui un Ordinamento decida di intervenire in ambito bioetico,
si possono distinguere due modelli: da un lato, un modello definito”permissivo”, che riconosce il
singolo come agente morale e ne rispetta l'autonomia e l'autodeterminazione e, dall'altro, un
modello definito “impositivo”, che tende, appunto, ad imporre, pure in assenza di evidenti interessi
di natura collettiva, modelli di comportamento individuale tesi al rispetto e alla promozione, anche
contro la volontà del singolo, di quello che l'ordinamento suppone sia il suo bene.
17
L'autonomia e
l'autodeterminazione da un canto e l'imposizione da un altro si riverberano sulle tematiche che
gravitano intorno ai concetti di vita e di morte, così come a concetti quali la vita sessuale, la vita
familiare, et cetera. In tal senso, lo stato impositivo della morte è quello che nega al massimo grado,
oltre che i diritti alla vita e alla libertà personale, la dignità del soggetto; sul versante opposto, il
modello impositivo della vita tende a imporre al soggetto l'esistenza in vita, fin dove è possibile (da
un punto di vista tecnologico, ad esempio), anche contro la sua volontà.
A fronte del modello impositivo (della morte così come della vita) può individuarsene uno
permissivo, in riferimento sia alla vita che alla morte. Qui, il principio individualista, e, in
particolare, la libera determinazione della persona in relazione alla sua esistenza, sono considerati
14 Tripodina C., Dio o Cesare?, cit., p. 3
15 Mazzola R., Chiese cristiane, pluralismo religioso e democrazia liberale, in Bolgiani F..Margiotta Broglio F.-
Mazzola R. (a cura di), Chiese cristiane, pluralismo religioso e democrazia liberale in Europa, Bologna, il Mulino,
2006, p. 47
16 Tripodina C., Dio o Cesare?, cit., p. 3
17 Cfr. Casonato C., Introduzione al biodiritto. La bioetica nel diritto costituzionale comparato, in www.unitn.it, 2007,
p. 130
centrali e, fintanto che il comportamento del soggetto non riflette conseguenze dannose su terzi, non
si configura alcun interesse generale che possa imporsi sulla scelta individuale.
Entrambi questi modelli, così descritti, sono dei modelli considerabili in termini “puri” e astratti, in
quanto la maggior parte degli Ordinamenti contemporanei si colloca da qualche parte all'interno
dello scarto tra il modello permissivo e quello impositivo; ad esempio, se quasi ovunque è
riconosciuto, in termini generali ma non assoluti, un diritto al rifiuto dei trattamenti sanitari (anche
vitali), nessun Ordinamento conferisce al soggetto il diritto di essere padrone incondizionato del
proprio destino biologico.
18
1.1 Il modello adottato dall'Ordinamento costituzionale italiano
Puntando, ora, la lente d'ingrandimento sull'Ordinamento italiano, si può notare come per il
diritto costituzionale italiano la salute sia esplicitamente tutelata dalla Costituzione in termini sia
individuali che collettivi quale «fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività»
(art. 32, primo comma). Perché prevalga la dimensione impositiva su quella permissiva
riconducibile al diritto al rifiuto, tuttavia, è necessario uno specifico intervento legislativo. Il
secondo comma dello stesso articolo, infatti, riconosce, implicitamente ma con formula non
equivoca, un generale diritto di rifiutare ogni trattamento che non sia espressamente previsto dalla
legge.
19
Dunque, l'Ordinamento costituzionale italiano non può farsi rientrare nel modello
impositivo tout court, in quanto l'individuo sarebbe titolare di un diritto costituzionale al rifiuto di
ogni terapia, anche salva-vita, la cui obbligatorietà non sia prevista da uno specifico atto legislativo,
il quale, in ogni caso, deve rispettare la persona umana.
Nonostante l'art. 5 del Codice civile vieti gli atti di disposizione del proprio corpo «quando
cagionino una diminuzione permanente della integrità fisica», non si può parlare di un generico
dovere di curarsi o di mantenersi in salute ed il soggetto che non voglia essere sottoposto a
trattamenti anche vitali risulta titolare di un preciso diritto costituzionale, sovraordinato alla norma
ordinaria contenuta nel Codice civile, a che quei trattamenti non vengano iniziati o vengano
interrotti.
20
Tuttavia, se osservato dal punto di vista della pratica giudiziaria, il modello adottato
dall'Ordinamento italiano evidenzia delle ambiguità. La giurisprudenza, ad esempio, non ha ancora
potuto chiarire, in maniera definitiva, se nutrizione e idratazione artificiali possano essere
18 Casonato C., Introduzione al biodiritto, cit., p. 143-44
19 Caravita B., La disciplina costituzionale della salute, in Diritto e società, 1984, p. 53 ss.
20 Casonato C., Introduzione al biodiritto, cit., p. 145
propriamente considerate trattamenti sanitari o meno. Se quindi, le pratiche di nutrizione e
idratazione artificiali non rientrassero nella categoria dei trattamenti sanitari (quale contenuto del
diritto al rifiuto), ma in quella degli atti eticamente e deontologicamente doverosi, si potrebbe
argomentare per una loro esclusione del bene protetto dal diritto costituzionale al rifiuto dei –
appunto – trattamenti ai sensi dell'art. 32. In occasione di una pronuncia relativa al c.d. caso
Englaro,
21
in particolare, la Corte di Appello di Milano, con decreto del 10 dicembre 2002, rigettava
la richiesta del padre-tutore tesa ad ottenere l'interruzione della nutrizione e idratazione artificiali
sostenendo di non potersi dire certa nel definire la nutrizione e idratazione artificiali come mezzo
terapeutico (e quindi legittimamente rifiutabile) piuttosto che come «normale mezzo di
sostentamento», e quindi cura sempre proporzionata e moralmente e giuridicamente doverosa.
22
Un
altro esempio della “indecisione” sul piano operativo dell'Ordinamento italiano è dato dal principio,
di frequente rivendicazione nella prassi giudiziaria, secondo il quale il medico che, di fronte al
rifiuto consapevole e attuale di emotrasfusioni da parte di Testimoni di Geova maggiorenni,
imponga coattivamente la trasfusione, non incorre in alcuna conseguenza penale.
23
Su queste basi, de iure condito, il sistema italiano, quanto meno sotto il profilo della pratica
giudiziaria, sembra porsi in una posizione più prossima al modello impositivo, e quindi lesivo della
libera determinazione e dell'autonomia del cittadino, piuttosto che al modello permissivo.
Tuttavia, alcune recenti pronunce – si veda, ad esempio, la sentenza del GUP del Tribunale di Roma
di assoluzione del dottor Riccio del 23 luglio 2007, in relazione al “caso Welby”, ovvero la sentenza
di rinvio della Corte di Cassazione del 16 ottobre del 2007 e la conseguente sentenza della Corte
d'appello di Milano del 9 luglio 2008, in relazione al “caso Englaro”
24
– sembrano sconfessare
l'orientamento appena descritto; vi è cioè una tendenza di senso contrario.
In sostanza, è in corso un “braccio di ferro” tra le diverse Autorità giudicanti. Nelle pagine seguenti,
e, in particolare, nel secondo capitolo del presente elaborato, si tenterà di far emergere le differenti
posizioni dei Giudici in merito alla dimensione impositiva o permissiva riconducibile al diritto al
rifiuto dei trattamenti sanitari life-saving.
21 Le cui peculiarità saranno esaminate nei paragrafi seguenti
22 Casonato C., Introduzione al biodiritto, cit., p. 146
23 Idem
24 Per un'accurata analisi dei Provvedimenti menzionati si veda il Cap. II di questo scritto