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INTRODUZIONE
Atrocità quali deportazioni, torture, stupri, pulizia etnica, esecuzioni di massa
sono solo alcune delle tematiche che si sono palesate, con crescente virulenza, alla
comunità internazionale, in particolar modo nel XX secolo, di fronte alle quali
quest’ultima ha a lungo stentato a dare significative ed efficaci risposte.
Per tanto tempo è stato complessivamente difficoltoso elaborare delle norme che
affermassero e riconoscessero che certi comportamenti andrebbero universalmente
riconosciuti come crimini internazionali e che tali crimini saranno severamente perseguiti
e puniti, indipendentemente da giustificazioni o circostanze che li rendono leciti nel
diritto interno di uno Stato.
Da ciò nacque l’esigenza di costituire un apparato internazionale di giustizia
penale, articolato ed organizzato. Si sono rese necessarie norme che definiscono quali
siano i crimini internazionali e le conseguenti punizioni per i responsabili; servono,
altresì, regole che disciplinino la competenza dei giudici, nazionali ed internazionali; ed
infine, sono parimenti necessarie delle regole riguardanti il funzionamento dei tribunali
internazionali.
Sin dall’inizio del XX secolo, i passi che si sono mossi nella direzione tanto
auspicata di una Giustizia Penale Internazionale, sono stati pedissequamente intralciati da
numerose difficoltà e principi storicamente intoccabili. Le difficoltà maggiori risiedevano
nel principio di non ingerenza negli affari interni e, inoltre, nell’immunità di cui godono
gli organi apicali di uno Stato che li sottrae alla giurisdizione dei tribunali stranieri. Ci
troviamo di fronte, quindi, ad un delicato equilibrio tra giustizia e meccanismi atti a
screditare la sovranità statale.
Seppur vero che i c.d. crimini internazionali sono generalmente commessi per
decisione degli Organi di vertice di uno Stato, è evidente che, quando si discute di
giustizia penale internazionale ad essere interessata sia una ragguardevole parte del potere
statale con la tacita approvazione delle Autorità.
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CAPITOLO PRIMO
I PRECEDENTI TENTATIVI DI INSTAURARE
UNA GIUSTIZIA PENALE INTERNAZIONALE
Sommario: 1. Il Trattato di Versailles. – 2. La dottrina giuridica degli anni’20 – Commissione di
Alti Magistrati Interalleati . – 3. Comitato Consultivo dei Giuristi. – 4. Norimberga e Tokyo
– La giustizia dei vincitori. – 5. Lo Statuto del Tribunale Militare Internazionale. – 6. Il Tribunale
Militare Internazionale per l’Estremo Oriente. – 7. I Tribunali Speciali in Jugoslavia e Ruanda. –
8. Primacy e complementarietà.
1. Il Trattato di Versailles
Il primo conflitto bellico su scala globale ebbe fine l’11 Novembre 1918, cui fece
seguito la convocazione a Parigi della conferenza preliminare di pace, che provvide a
negoziare la resa della Germania e il relativo trattato di pace.
Il punto di partenza di questa esposizione risale al 15 Novembre dello stesso anno
ed è rappresentato dal Decreto luogotenenziale n.1711, sottoscritto dal duca di Genova
Tomaso di Savoia. Tale decreto aveva il compito di istituire una Commissione, come
indicato all’art.1, incaricata di “constatare le violazioni delle genti e le norme di condotta
della guerra e il trattamento dei prigionieri di guerra (…) commessi dal nemico; di
accertare la consistenza e l’entità dei danni alle persone e alle cose” e, inoltre, di “stabilire
in quanto possibile le collegate responsabilità individuali”.
Nel successivo art.3
1
del decreto si specificava la serie di poteri della
Commissione, ricalcanti lo schema di quelli previsti per le commissioni parlamenti
d’inchiesta, ovvero: citare e sentire testimoni, eseguire ispezioni, istruire perizie,
richiedere e sequestrare documenti e tutte le altre attività riconducibili ai poteri attribuiti
al magistrato dal Codice di procedura Penale e le corrispondenti pene del Codice penale.
1
Art.3 Decreto Luogotenenziale 15 novembre 1918, n.1711: Per la esecuzione del suo mandato è data
facoltà alla Commissione di citare e sentire testimoni (...), eseguire ispezioni, indicare perizie, richiedere e
sequestrare documenti e fare tutte quelle altre indagini.
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L’iniziativa italiana di istituire un’apposita commissione con il precipuo compito
di accertare le violazioni realizzate nel corso della Seconda guerra mondiale ebbe un
importante precedente nell’esperienza francese. La Repubblica Francese aveva anch’essa
istituito
2
, ben 4 anni prima, una commissione “incaricata di accertare nei vari territori gli
atti commessi dal nemico in violazione del diritto delle genti”.
All’interno dei “Rapports et procès-verbaux d’enquête”
3
della Commissione si
sottolineava come soltanto una modesta parte degli accertamenti possibili, che si
sarebbero potuti esperire, venivano presentati e si precisava che si era ritenuto, pertanto,
di mettere in luce “soltanto i fatti che, accertati in modo indubitabile, costituivano
certamente degli abusi criminali nettamente caratterizzati, trascurando invece quelli le cui
prove si manifestavano come insufficienti o che, per danni e crudeli che fossero, potevano
essere conseguenza di atti di guerra propriamente detti, piuttosto che degli eccessi
volontari imputabili al nemico”.
Da ciò si evince come, all’epoca, risultasse gravoso provare e soprattutto
distinguere gli atti di guerra dagli abusi criminali che, in futuro, sarebbero stati inquadrati
in categorie più specifiche come i crimini internazionali.
Successivamente alla Conferenza di Parigi, una nota di rilievo viene assunta dalla
“Commissione per la responsabilità degli autori della guerra e per l’imposizione delle
pene”
4
. Tale Commissione era composta da due membri di ciascuna delle cinque più
importanti Potenze Alleate, ovvero Francia, Giappone, Impero Britannico, Italia e Stati
Uniti e, successivamente, integrata dai rappresentanti di altri Stati. La Commissione
svolse riunioni e indagini all’interno dei margini delineati dagli art.227, 228 e 229 del
Trattato di pace in itinere.
2
Decreto emesso a Bordeaux il 23 settembre 1914 a nome del Presidente della Repubblica Francese B.
Poincaré.
3
Rapport présenté à M. le Président du Conseil par la Commission instituée en vue de constater les actes
commis par l'ennemi en violation du droit des gens, pag.7 - Documents relatifs à la guerre 1914-1915,
Décret du 23 septembre 1914.
4
Per la ricostruzione storica cfr. M. FAVA, Verso l’istituzione di una Corte penale internazionale, Diritti
dell’uomo 1997, 28.
7
L’art. 227
5
aveva previsto la creazione di un tribunale penale internazionale ad
hoc per sottoporre a processo il Kaiser Guglielmo II Hohenzollern, incriminato per aver
iniziato una guerra di aggressione e per violazioni del diritto bellico nella condotta delle
ostilità. Il Primo Ministro Britannico, Lloyd George, riteneva che si potesse affermare la
responsabilità personale penale dell’ex Kaiser e di quanti avevano agito eseguendo i suoi
ordini, sia per i crimini di guerra, sia per l’invasione di Stati neutrali quali Belgio e
Lussemburgo.
La delegazione italiana rilevava, a sua volta, che il processo all’ex Kaiser era
improponibile per l’inesistenza di norme internazionali che stabilissero la punibilità dei
fatti e le pene conseguenti e, inoltre, perché l’organo giudicante sarebbe stato istituito
dagli stessi accusatori dopo la commissione dei crimini. La posizione italiana però rimase
isolata, ancorché in punto di diritto avesse un suo fondamento.
In merito alla possibilità di punire coloro che avevano agito seguendo gli ordini
imposti da autorità superiori, la Commissione chiarì che nella gerarchia delle autorità, il
rango non può mai essere ostacolo alla responsabilità. Intendendo con ciò anche un Capo
di Stato, responsabile de facto.
A tal proposito, la scuola giuridica italiana espresse il suo pensiero tramite
l’Onorevole Scajola, il quale riteneva che quando si parla di responsabilità de jure
6
, non
significa irresponsabilità secondo la legge in generale; se così fosse, l’espressione sarebbe
incomprensibile, perché nel diritto ci può essere responsabilità de facto solo se c’è anche
responsabilità de jure. Ciò che si intendeva dire è, piuttosto, che nei reati in questione non
c’è privilegio o immunità a causa della posizione della persona. La Commissione accolse
questa interpretazione supponendo che, seppur un Sovrano sia esente da procedimenti
giudiziari nel proprio paese, la sua responsabilità penale si pone in ogni caso in modo
assai diverso dal punto di vista internazionale.
Ben più articolare era la disciplina degli articoli successivi, i quali concernevano
rispettivamente “le persone accusate di avere commesso atti in violazione delle leggi ed
5
Vedi l’art. 227 Trattato di Versailles: "The Allied and Associated Powers publicly arraign William II of
Hohenzollern, formerly German Emperor, for a supreme offence against international morality and the
sanctity of treaties".
6
La Paix de Versailles, Responsabilité des auteurs de la guerre et sanctions, Paris, 1930, p. 425.
8
usi di guerra” e “le persone colpevoli di reati contro i cittadini di una delle Potenze
Alleate”.
In merito alle prime, l’art. 228
7
riconosceva il diritto delle Potenze Alleate di
condurre tali persone “davanti a corti militari”, per l’eventuale condanna alle pene
previste, con due opportune precisazioni: la prima prevedeva l’applicazione di questa
disposizione prescindendo da eventuali procedimenti ed indagini sottoposti alla
giurisdizione di tribunali tedeschi o nel territorio dei suoi alleati; la seconda, invece,
prevedeva che “il Governo tedesco consegnerà alle Potenze Alleate tutte le persone
accusate di aver commesso un atto in violazione delle leggi ed usi di guerra, purchè
indicate per nome o per ruolo, ufficio o impiego che esse avevano sotto l’autorità
tedesca”. Quanto alle persone “colpevoli di reati contro i cittadini di una delle Potenze
Alleate”, l’art.229
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prevedeva che esse venissero processate dal tribunale militare dello
Stato interessato, facendo salvi i diritti e le garanzie difensive in sede giudiziale.
Quanto ai responsabili di atti contrari al diritto bellico, la Commissione affermava
il diritto dello Stato belligerante di giudicare dinanzi ai propri tribunali i militari che erano
stati fatti prigionieri. Inoltre stabiliva che i criminali di guerra, nei cui confronti non fosse
possibile attuare tale procedimento fossero giudicati da un tribunale speciale istituito con
i trattati di pace e che, a tal fine, le Potenze Alleate ne chiedessero l’estradizione agli Stati
neutrali, ove tali criminali avevano trovato rifugio.
Il Presidente del Consiglio italiano Orlando dichiarava, al riguardo, che “non
abbiamo il diritto di infliggere punizioni. (…) il crimine è essenzialmente una violazione
della legge all’interno di ogni unità nazionale, una violazione da parte del soggetto del
suo dovere verso il sovrano. Creare un precedente diverso è un fatto grave.
9
”
Il Presidente Statunitense incalzava Orlando ribadendo che i due casi, in
questione, sono del tutto differenti. Il primo è una violazione delle leggi di guerra
7
Art. 228 Trattato di Versailles: “The German Government recognizes the right of the Allied and
Associated Powers to bring before military tribunals persons accused of having committed acts in
violation of the laws and customs of war. Such persons shall, if found guilty, be sentenced to punishments
laid down by law. This provision will apply notwithstanding any proceedings or prosecution before a
tribunal in Germany or in the territory of her allies.”
8
Art. 229 Trattato di Versailles: “Persons guilty of criminal acts against the nationals of one of the Allied
and Associated Powers will be brought before the military tribunals of that Power.”
9
Mantoux, Paris Peace Conference 1919. Proceedings of the Council of Four, Ginevra, 1964, p. 148.