7
Nota introduttiva
La risoluzione adottata dall’Assemblea degli Stati Parte dello Statuto di Roma
l’11 giugno 2010, al termine della Conferenza di Kampala, munisce la Corte pe-
nale internazionale di giurisdizione sul piø grave e il piø politico crimine inter-
nazionale, discusso nel corso di un processo, per la prima volta, a Norimberga,
dopo la seconda guerra mondiale, e da almeno venticinque anni prima di Norim-
berga al centro dell’attenzione degli studiosi di tutto il mondo. PerchØ possa os-
servarsi in futuro lo svolgimento d’un processo in cui il capo d’accusa consista,
per la seconda volta nella storia, nel crimine di aggressione, dovrà, tuttavia, at-
tendersi qualche tempo. Gli Stati parte dello Statuto di Roma hanno infatti deciso
che tale eventualità non possa ricorrere se non decorso un anno dal deposito di
trenta strumenti di ratifica e condizionatamente all’adozione d’una decisione di
conferma dopo il 2017. ¨ opinione diffusa che il raggiungimento d’un risultato
di questa portata giustifichi la lunga attesa. ¨ in questo tempo d’attesa che si
svolge l’attuale dibattito. Un tempo in cui si ha una definizione del crimine di
aggressione e due disposizioni che, a seconda del trigger mechanism (o meccani-
smo di attivazione), regolano diversamente la giurisdizione della Corte. Un tem-
po in cui, in dottrina, è costantemente avanzato il suggerimento che gli Stati
s’adoprino, prima dell’entrata in vigore, per porre rimedio e fare luce sui punti
piø oscuri e controversi, sulle vere e proprie aporie che residuano all’esito della
Conferenza di Kampala. Il mio contributo, nel suo piccolo, si inserisce
all’interno del dibattito in corso, cercando di stimolare la discussione sui punti
meno approfonditi della definizione del crimine, suggerendo una via per la quali-
ficazione della natura giuridica degli understandings e, rispetto al regime giuri-
sdizionale previsto negli articoli 15 bis e 15 ter, sottolineando quali sono le prin-
cipali questioni aperte e sottoponendo a vaglio critico le soluzioni suggerite in
dottrina.
Il mio lavoro si divide in due parti. Nella prima, opererò una ricostruzione dei
passaggi storici fondamentali e delle problematiche che hanno accompagnato la
definizione di questo crimine nell’evoluzione del diritto internazionale. Questa
parte sarà dunque dedicata al crimine di aggressione prima della Conferenza di
Roma, al termine della quale, in via di compromesso, il crimine di aggressione fu
incluso nella giurisdizione della Corte, attribuendo, tuttavia, ad una futura Confe-
renza di revisione il compito di adottare un emendamento sulla definizione e sul-
8
le condizioni di procedibilità. Tale emendamento sarebbe stato adottato a Kam-
pala, dopo un periodo di gestazione abbastanza breve, se si considera la storia del
crimine di aggressione. ¨ alla drafting history della disposizione richiesta dallo
Statuto di Roma e alle difficoltà interpretative riguardanti, in particolare, la defi-
nizione e gli understandings, nonchØ alle insolubili questioni aperte riguardanti il
regime giurisdizionale che sarà dedicata la seconda parte del mio lavoro.
9
I. Prima parte
0. Introduzione alla prima parte
Una storia del crimine di aggressione coincide con una storia dell’emersione in
diritto internazionale del concetto di responsabilità penale individuale. Come ri-
corda Cassese, l’aggressione fu ricostruita in termini di crimine internazionale
dell’individuo a partire dall’Accordo di Londra dell’8 agosto 1945.
1
Prima di
questo momento, era difficile trovasse consensi l’idea che scatenare una guerra
potesse costituire un crimine dell’individuo. Com’è noto, è sotto prospettive dif-
ferenti che il problema della giustizia o della legalità della guerra si era posto già
in tempi remoti. Diverse elaborazioni di ‘teorie sulla guerra giusta’ furono pro-
poste dai popoli antichi, dai principali esponenti della Glossa e nella tradizione
canonistica.
2
Le teorie sulla guerra giusta furono trasposte all’interno di un con-
testo giuridico dagli studiosi che compongono quella che oggi viene chiamata
convenzionalmente ‘dottrina classica’ del diritto internazionale. Da questa, il ‘di-
ritto alla guerra’ (ius ad bellum) era descritto tra le prerogative degli Stati.
3
Tale
assetto fu cristallizzato con la Pace di Westfalia del 1648, con cui gli Stati fon-
davano un sistema basato sull’equilibro di potenza, dove ogni Stato era descritto
quale entità sovrana, ossia superiorem non recognoscens e in cui, premesso che
le regole di diritto internazionale hanno solo gli Stati come destinatari, in quanto
soggetti di diritto, quando un atto individuale – poichØ realizzato da un organo di
Stato – è configurabile come ‘atto di Stato, quelli che lo pongono in essere non
sono responsabili personalmente, ma sono protetti dalla dottrina della sovranità
statale’.
4
In questi termini si esprimeva il Tribunale di Norimberga, prima di af-
fermare, com’è noto, il superamento di questa teoria perchØ ‘i crimini contro il
diritto internazionale sono commessi da uomini, non da entità astratte, e solo pu-
nendo gli individui che commettono tali crimini, possono rispettarsi le norme del
diritto internazionale’.
5
La prima parte del mio lavoro illustra la storia del crimine di aggressione attra-
verso un’analisi delle fasi piø rilevanti. Ho definito il crimine di aggressione co-
me il piø ‘politico’. Nel primo capitolo, si osserva l’emersione dei primi ar-
gomenti giuridici e delle prime considerazioni politiche attorno alla possibilità
che aver scatenato una guerra d’aggressione possa comportare conseguenze pe-
nali in capo al leader che ne ha ordinato lo svolgimento. Ciò avvenne nel corso
della Conferenza di pace di Versailles, all’esito della prima guerra mondiale. Nel
10
secondo capitolo, vengono presi in considerazione i casi in cui, tra lo scoppio
della prima e la fine della seconda guerra mondiale, specialmente in alcuni tratta-
ti, gli Stati fecero riferimento all’aggressione come ad un crimine internazionale,
nonostante questa espressione fosse inadeguata per le dottrine tradizionali che
circoscrivono le conseguenze per l’aggressione alla sola responsabilità statale.
Trasformare l’aggressione in un crimine fu uno degli scopi dell’azione politica
delle potenze vincitrici della seconda guerra mondiale. Nel terzo capitolo, sono
descritte le radici dell’idea dei processi di guerra e di come la realizzazione di
quest’idea divenne obiettivo centrale della politica post-bellica degli USA, suoi
principali e piø genuini sostenitori. Il quarto capitolo descrive i negoziati e il
contenuto dell’Accordo di Londra dell’8 agosto 1945, concentrandosi sulla defi-
nizione dei crimini contro la pace. Il quinto capitolo verte sulle questioni princi-
pali dei processi di Norimberga, Tokyo e dei c.d. processi susseguenti celebrati
in Germania in base alla legge n. 10 del Consiglio di Controllo. Alla luce dei fre-
quenti richiami al diritto consuetudinario che sono stati effettuati nei lavori pre-
paratori della Conferenza di Kampala, è particolarmente importante comprendere
per quale ‘tipo di aggressione’ vennero pronunciate le relative condanne a No-
rimberga. A partire dall’inizio della seconda metà del Novecento, fu nelle neona-
te Nazioni Unite (NU) che si svolse la ricerca di una definizione di aggressione.
Nel sesto capitolo, dopo aver dato brevemente conto degli iniziali fallimenti, vi è
un’analisi del testo e dei punti piø oscuri della ‘Definizione di aggressione’ del
1974, primo importante traguardo. L’esame dell’opinio juris espressa in quel do-
cumento è completata, nel settimo capitolo da una breve analisi della prassi dei
principali organi delle NU. Seguono alcune considerazioni attorno all’esistenza
di una norma consuetudinaria sul crimine di aggressione, utili per comprendere
l’importanza del risultato di Kampala. L’ultimo capitolo della prima parte, infi-
ne, riassume i lavori nelle NU al termine della guerra fredda, quando si potØ ini-
ziare a considerare piø realisticamente l’idea della creazione di una corte penale
internazionale, andando verso lo snodo fondamentale della Conferenza di Roma.
1. L’incriminazione del Kaiser nell’art. 227 del Trattato di Versailles: ragioni
giuridiche e politiche nel campo del crimine di aggressione
Alla fine della prima guerra mondiale, nelle fasi preliminari della Conferenza di
Versailles, fu stabilita una ‘Commissione per la responsabilità degli autori della
guerra e per l’applicazione delle sanzioni’ con il compito di fare luce sulle cause
11
della guerra, ancora oggi peraltro dibattute tra gli storici, e di appurare se vi fosse
la base giuridica per condannare i responsabili.
6
Dopo solo nove settimane, la
Commissione asseriva che ‘la responsabilità per la guerra era da attribuire com-
pletamente alle Potenze che avevano dichiarato guerra in esecuzione di una poli-
tica aggressiva’ in una ‘oscura cospirazione’ contro la pace dell’Europa. Per
quanto riguarda la responsabilità degli individui che avevano ideato ed attuato
quella politica aggressiva, e anzitutto il Kaiser Guglielmo II Hohenzollern, la
Commissione concludeva dicendosi contraria a un processo per il crimine di ag-
gressione, dato che non vi era alcuna norma di diritto internazionale che lo pre-
vedesse ex ante. Auspicava, però, che il crimine fosse introdotto e perseguito per
il futuro, mentre il Kaiser avrebbe dovuto essere processato, al piø, per crimini di
guerra.
7
Le discussioni che seguirono tale parere si spostarono dal piano giuridico al pia-
no politico, segnando quella che viene descritta come la peculiarità del crimine
di aggressione.
8
Per ragioni politiche, all’idea del processo si oppose la Gran
Bretagna,
9
mentre ad essa aderirono Clemenceau, interessato a ottenere ripara-
zioni e garanzie di non reiterazione, e Wilson, mosso dal desiderio di dar vita ad
una Società delle Nazioni per il mantenimento della pace in Europa. Da tale con-
trasto, derivò la strana formula dell’art. 227 del Trattato di Versailles, che preve-
deva l’incriminazione di Guglielmo II Hohenzollern ‘for a supreme offence
against international morality and the sanctity of treaties’.
10
Il riferimento alla
‘santità dei trattati’ è evidentemente un’espressione di compromesso, definita,
condivisibilmente, ora piø religiosa che giuridica,
11
ora priva di una base lega-
le,
12
ora puramente retorica.
13
Come ricorda Schabas, gli stessi Alleati dovettero
rassicurare il Governo tedesco che non si trattava di una disposizione di carattere
giuridico, ma di una norma stabilita per un’esigenza di ‘alta politica internazio-
nale’.
14
Ed infatti, il Kaiser si rifugiò in Olanda e alla richiesta di estradizione per
il processo avanzata da Clemenceau in nome degli Alleati (accompagnata dalla
rassicurazione che si trattava di un ‘atto pro forma’)
15
seguì un rifiuto spiegato
con l’osservazione che tale fantomatico ‘illecito’ non trovava alcuna descrizione
tra i reati previsti dalle leggi olandesi o dai trattati conclusi dall’Olanda.
16
Il fallimento del tentativo di processare il Kaiser, come anche l’idea di proces-
sare esclusivamente il Kaiser (che, in qualità di capo di Stato, rappresenta lo Sta-
to nella comunità internazionale), confermavano l’opinione tradizionale secondo
12
cui, se vi doveva essere responsabilità per la violazione di una norma di diritto
internazionale, questa non poteva essere che statale, fonte di obblighi ‘seconda-
ri’, cioè di riparazione (restituzione in forma specifica, risarcimento e soddisfa-
zione).
17
Questa era l’unica responsabilità che gli Stati potevano fare valere in un
sistema che riconosceva illimitato ius ad bellum ai capi di Stato. Ma le fonda-
menta d’un tale sistema iniziarono a traballare, a seguito delle devastazioni che
comportò la prima guerra mondiale.
2. Il concetto di aggressione nella prassi e nell’opinione degli Stati fino al ‘39
Il crimine di aggressione fu oggetto d’un processo, per la prima volta, a Norim-
berga, dopo la seconda guerra mondiale. L’esposizione dei casi in cui gli Stati,
prima di tale processo, si sono riferiti al crimine di aggressione nella loro prassi è
effettuata, all’interno di questo capitolo, cercando di comprendere cosa gli Stati
abbiano potuto significare in un tempo in cui al concetto di responsabilità penale
individuale non si pensava, se non in termini astratti. L’analisi è circoscritta ai
documenti che hanno avuto influenza decisiva sull’atteggiamento che il Tribuna-
le di Norimberga ha assunto attorno alla questione sollevata da chi denunziava la
violazione del principio di irretroattività della legge penale.
Il Patto della Società delle Nazioni. La proposta di istituire un giudice con giu-
risdizione su crimini internazionali, presentata nel 1920 da un Comitato Consul-
tivo di Giuristi,
18
venne respinta nell’ambito della Società delle Nazioni per la
sua natura ‘esotica ed utopica’
19
per essere approfondita e studiata in altre sedi.
Nel Patto della Società delle Nazioni,
20
si individuò una soluzione diversa. L’art.
10 (il ‘cuore pulsante’ del Patto, in un famoso discorso di Wilson)
21
prevedeva
gli obblighi di rispettare (respect), e, in caso di aggressione di terzi nei confronti
di uno Stati membro, di ‘preservare’ (preserve) l’integrità territoriale e
l’indipendenza politica degli Stati. Il secondo inciso chiarisce che, in caso di ag-
gressione o pericolo o minaccia di aggressione, l’adempimento di tali obblighi
sarebbe avvenuto secondo i modi indicati dal Consiglio (potere di advise). Come
osservano diversi commentatori,
22
il Patto, limitandosi a stabilire una procedura
di soluzione pacifica delle controversie,
23
non escludeva il diritto sovrano degli
Stati di fare guerra.
Contro chi, come Wilson esprimeva la convinzione che l’art. 10 ‘colpisse la
guerra alle sue radici’,
24
potevano avanzarsi diverse osservazioni. Come notano i
13
detrattori della sua portata ed effettività, i termini adoperati nell’art. 10 sono va-
ghi (‘indipendenza politica’, ‘integrità territoriale’, ‘preserve’).
25
Inoltre, l’art. 10
doveva interpretarsi alla luce della procedura stabilita negli art. 12-16 e, in parti-
colare, doveva coordinarsi con l’art. 15 para. 7. L’art. 15 del Patto prevedeva an-
zitutto che in caso di controversia internazionale, il Consiglio avrebbe adottato a
maggioranza un rapporto contenente raccomandazioni dirette agli Stati coinvolti.
Se il rapporto era votato all’unanimità, gli Stati membri si impegnavano a non
fare guerra nei confronti di quegli Stati parte della controversia che obbedivano
alle raccomandazioni del Consiglio. Se il rapporto non era votato all’unanimità
(para. 7), gli Stati mantenevano il diritto di ricorrere alle azioni che ritenevano
necessarie per fare rispettare ‘il diritto e la giustizia’. La portata dell’art. 10 di-
pendeva da una scelta interpretativa. Esso poteva essere inteso come norma volta
a stabilire obblighi il cui contenuto era precisato dall’art. 15 (come sostenne il
Primo Comitato nel 1921, che al rispetto della procedura di soluzione pacifica
delle controversie subordinava la validità del mutamento territoriale per effetto di
una guerra,
26
e come risulta da un esame dei ‘lavori preparatori’);
27
ma poteva,
altresì, essere interpretato come norma di piø ampio respiro concernente un so-
lenne divieto di ricorso alla guerra (come riteneva l’Assemblea in diverse risolu-
zioni).
28
Negli anni che seguirono la firma del Patto, l’art. 10 ebbe scarsa effica-
cia e mai fu utilizzato dal Consiglio della Società delle Nazioni. Anzi, nel 1923
veniva adottata nel corso della quarta riunione dell’Assemblea una risoluzione
che consentiva direttamente agli Stati di determinare quando ricorresse un caso
di aggressione o di sua minaccia.
29
Quattro anni prima era lo stesso Wilson, en-
tusiasta promotore del Patto, che doveva rassicurare, nel discorso ricordato, che
il Consiglio della Società delle Nazioni era stato dotato del semplice potere di
‘dare pareri’ (advise) e che quindi gli Stati Uniti avrebbero subito al minimo
l’interferenza della comunità internazionale nella determinazione delle loro poli-
tiche nazionali
30
(timore che derivava dalla ripresa novecentesca della dottrina
Monroe, e per il quale, ironicamente, come rileva Kemp, poi gli USA non diven-
nero parte del Patto).
31
Trattato di assistenza reciproca del 1923 e il Protocollo di Ginevra del 1924.
Numerosissimi patti di non aggressione, di neutralità, di soluzione pacifica delle
controversie furono stipulati prima che scoppiasse la seconda guerra mondiale.
32
In particolare, prendiamo in esame il progetto di un Trattato di assistenza reci-