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riferimento alla domanda come e per chi l’impresa deve creare valore
l’evoluzione storica del dibattito sulla corporate governance ha visto il
contrapporsi di due scuole di pensiero, una sostenitrice dello shareholder model e
l’altra dello stakeholder model. La prima, canonizzata da Milton Friedman
premio Nobel per l’Economia nel 1976, pone quale obiettivo unico ed ultimo
dell’impresa la massimizzazione del valore per gli azionisti. La seconda, che nel
corso degli anni ha prevalso sulla prima, si basa su una cultura di impresa
secondo la quale occorre creare valore non solo per gli azionisti, ma per tutti i
suoi stakeholder. Il lavoro che ho portato a termine è strutturato in tre capitoli.
Nel primo capitolo sono stati presi in esame l’evoluzione storica e i profili
generali della corporate governance delle imprese del settore finanziario e non,
analizzando come dal dopoguerra ai giorni nostri il verificarsi di alcuni
avvenimenti abbia contribuito ad accendere il dibattito tra gli esponenti
dell’industria, della finanza e dei rappresentanti del mondo politico. Nel secondo
capitolo ho analizzato gli sviluppi normativi, la privatizzazione del sistema
bancario italiano, l’introduzione dei codici di autodisciplina e le implicazioni di
Basilea 2 e dei nuovi principi contabili internazionali per la corporate governance
delle banche. Infine, nel terzo capitolo ho focalizzato l’attenzione sull’analisi
specifica della disciplina della corporate governance degli istituti di credito
trattando approfonditamente i “temi storici” di governance come la separazione
tra proprietà e controllo, la contrapposizione tra lo Shareholder model e lo
Stakeholder model e la composizione e le funzioni attribuite ai consigli di
amministrazione.
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CAPITOLO 1 Il dibattito storico sulla corporate governance
1.1 Governare l’impresa
Governance è una parola che ha una lunga storia. Essa deriva dalla radice latina
“gubernare”, che significa “guidare” o “governare”, e viene utilizzata in Gran
Bretagna sin dal XIV secolo per indicare saggezza e senso di responsabilità. La
parola “governance” indica sia l’azione sia il metodo di governo, ed è proprio in
questo secondo significato che viene utilizzata con riferimento alle imprese.
Nonostante gli studi sulla corporate governance siano un fenomeno relativamente
recente, che ha conosciuto un rapido sviluppo durante gli ultimi decenni del XX
secolo, gli imprenditori e gli amministratori di azienda hanno sempre dedicato
grande attenzione al tema del governo delle imprese. La progettazione delle
strutture e dei meccanismi di governo ha assunto rilevanza nel momento in cui
tali persone hanno iniziato a condurre i loro affari attraverso entità legali dotate
di personalità giuridica, e ha accresciuto enormemente la sua criticità quando le
dimensioni delle imprese sono diventate così grandi da costringere i proprietari
del capitale di rischio a delegare l’attività di gestione a manager stipendiati.
L’utilizzo dell’espressione “corporate governance” è, viceversa, relativamente
recente e si fonda sull’analogia tra il governo degli enti pubblici locali e nazionali
e il governo delle imprese. Si ritiene che il termine “corporate governance” sia
stato utilizzato per la prima volta da Richard Eells per indicare “la struttura e il
funzionamento della politica aziendale” tale termine inizia ad essere utilizzato
diffusamente solamente nel corso degli anni Settanta quando alcuni avvenimenti
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attirano l’attenzione degli accademici di varie discipline, degli esponenti
dell’industria e della finanza e dei rappresentanti del mondo politico sugli
argomenti che esso sottende.
1.2 Evoluzione storica del dibattito sulla corporate governance
Negli anni che seguono la pubblicazione del lavoro di Berle e Means
1
si contano
solo pochi contributi di rilievo sul tema della corporate governance. In questo
periodo, il dibattito sulle modalità di governo delle imprese rimane di pertinenza
esclusiva degli uomini d'affari e della giurisprudenza. Solo nei primi anni Settanta
gli studiosi iniziano ad affrontare alcune questioni aperte, l’attenzione dell'opinione
pubblica si concentra su tre diversi temi:
1. negli Stati Uniti e in Gran Bretagna i risultati di una ricerca empirica e il
fallimento di alcune grandi società spingono gli organi di vigilanza sulla borsa e
sulle società quotate a richiedere una maggiore indipendenza dei consiglieri e a
incentivare l'introduzione dei comitati di controllo (audit committee)
2
;
2. in Europa il processo di armonizzazione del diritto societario a livello
comunitario è al centro dell'attenzione degli esponenti del mondo industriale e
politico e, in particolare, la proposta di quinta direttiva, che ha per oggetto la
configurazione degli organi di governo, scatena un vivace dibattito tra i
rappresentanti delle diverse nazioni;
1
Nei primi anni trenta realizzarono negli Stati Uniti un 'indagine empirica sulla composizione
dell'azionariato della più grande impresa operante nei settori ferroviario (Pennsylvania Road), dei
servizi pubblici (American Telephone & Telegraph Co.) e industriale (Steel Co.). I risultati indicarono
che in ognuno dei tre casi il maggiore azionista possedeva nel 1929 meno dell'1% delle azioni della
società.
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La cui costituzione era già stata consigliata dal New York Stock Exchange (NYSE) e dalla Securities and
Exchange Commission (SEC) alla fine degli anni Trenta.
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3. nei principali paesi industrializzati si diffonde una corrente di pensiero volta ad
ampliare le responsabilità sociali delle imprese e ad affermare una nozione
allargata di stakeholder che includa, oltre agli azionisti, i dipendenti, i fornitori, i
clienti, i finanziatori, lo Stato e la collettività in senso lato.
Per quel che concerne il primo tema, negli Stati Uniti il dibattito è acceso dalla
pubblicazione di una ricerca empirica, realizzata da Myles Mace, avente per oggetto la
composizione e il funzionamento dei consigli di amministrazione delle grandi imprese.
Lo studio evidenzia che le aziende valutano i propri consiglieri sulla base del loro
prestigio personale (ornaments on a corporate Christmas tree) e non del contributo che
essi possono fornire al funzionamento efficace del consiglio. I membri del consiglio di
amministrazione delle più grandi imprese statunitensi vengono selezionati
dall'amministratore delegato all'interno di un ristretto numero di persone che
comprende manager di fiducia, professionisti esterni, rappresentanti di società che
hanno una relazione d'affari con l'azienda (studi legali, società di consulenza,
banche d'affari ecc), amici e conoscenti che hanno realizzato una brillante carriera
professionale. II consiglio di amministrazione composto da persone così selezio-
nate non è in grado di svolgere con efficacia gran parte dei compiti a esso attribuiti.
Il fallimento di alcune società quotate di grandi dimensioni alimenta il dibattito sul
funzionamento dei consigli di amministrazione, in particolare, si incomincia a
discutere attivamente della necessità di inserire nel consiglio di amministrazione
adeguati meccanismi di controllo e di contrappeso (check and balance) al potere
degli amministratori interni. Tra le numerose proposte avanzate, quelle più
convincenti richiedono l'aumento del numero dei consiglieri esterni indipendenti,
cioè amministratori che non hanno alcuna relazione economica con la società, e la
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costituzione di comitati di auditing composti prevalentemente da amministratori
non esecutivi. Il comitato di audit deve svolgere l'importante compito di rendere
oggettivi e credibili i bilanci delle società e, per svolgere efficacemente tale
funzione, esso deve essere composto prevalentemente da consiglieri esterni
indipendenti. Negli anni Settanta, la Comunità Economica Europea (CEE) è
impegnata a elaborare alcune direttive che hanno l'obiettivo di guidare il processo
di armonizzazione del diritto societario tra i vari Stati membri. La proposta di
direttiva che suscita maggiori tensioni tra i rappresentanti dei vari paesi è la quinta,
elaborata nel 1972, la quale ha per oggetto la configurazione degli organi di
governo economico delle società. Tale direttiva invita le imprese degli Stati
membri della Comunità Europea ad abbandonare la struttura del consiglio di
amministrazione a un livello (unitary o one-tier board) per adottare la struttura a
due livelli (two-tier board) tipica dell'esperienza tedesca e olandese. A differenza
dei consigli di amministrazione a un solo livello, dove tutti i consiglieri
partecipano allo stesso organo e hanno le medesime responsabilità, i consigli a due
livelli prevedono la presenza di un consiglio di sorveglianza (supervisory board),
che ha l'incarico di nominare i membri del consiglio esecutivo e di controllarne
l'operato, e di un consiglio esecutivo (executive board), che ha il compito di gestire
l'impresa. La quinta direttiva non riesce a completare il suo iter procedurale non
solo per l'avversione di alcuni Stati membri all'introduzione di un consiglio di
amministrazione su due livelli, ma anche e soprattutto per l'ipotesi di
codeterminazione che è implicita in essa. La direttiva intende infatti proporre, sulla
base del modello tedesco, la costituzione di una partnership tra capitale e lavoro e,
di conseguenza, prevede che il consiglio di sorveglianza sia composto da un
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uguale numero di rappresentanti degli azionisti e dei prestatori di lavoro. Questa
idea di codeterminazione viene accolta negativamente dalla quasi totalità dei paesi
della CEE, i quali rifiutano un coinvolgimento diretto dei lavoratori nel processo di
governo economico e ostacolano l'approvazione della proposta. Un terzo
fenomeno che accende il dibattito sui temi di corporate governance nel corso degli
anni Settanta ha per oggetto la corrente di pensiero che predomina in quel periodo
secondo cui le imprese devono creare valore per gli azionisti perché, così facendo,
esse contribuiscono ad alimentare lo sviluppo economico e sociale della collettività.
Secondo coloro che contestano questa impostazione, l'orientamento alla
massimizzazione del profitto e alla creazione di valore economico per gli azionisti
incentiva e giustifica il compimento di atti irresponsabili sotto il profilo
dell'inquinamento ambientale, dello sfruttamento del lavoro minorile, della tutela della
salute dei dipendenti, e in generale della collettività in senso lato. Questo atteggiamento
"irresponsabile" del mondo industriale è stato tollerato nei primi decenni del secondo
dopoguerra, perché in quel periodo si riteneva che lo sviluppo economico
rappresentasse l'obiettivo prioritario a cui tutti gli altri dovevano essere sottomessi.
Tuttavia, i soddisfacenti standard di vita raggiunti negli anni Settanta hanno contribuito
ad un inversione di tendenza, spostando l’attenzione non solo agli shareholder ma
comprendano anche il soddisfacimento delle attese di tutti gli stakeholder
dell'impresa. Nei primi anni Ottanta il dibattito sulla corporate governance sembra
perdere lentamente di interesse soprattutto negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, dove i
governi Reagan e Thatcher portano avanti una politica economica liberista che
riafferma la responsabilità dei consiglieri nei confronti degli azionisti e ribadisce il
principio della massimizzazione del profitto come criterio guida delle imprese.