2
interpretazione restrittiva) diventa il modello sia della vita politica degli Stati
che della vita privata dei cittadini. Naturalmente, l'utopia islamica non è
diretta solo alla costituzione di un insieme maghrebino, ma tende a
raggruppare in un'unica nazione musulmana tutti quei paesi in cui l'Islam è
più o meno maggioritario (dar-al-Islam). Nel Maghreb, la forza
dell'islamismo ha le sue radici in un forte disagio sociale ed in una grave crisi
di legittimità dello Stato maghrebino. Tuttavia, ad un'analisi più approfondita
di tali questioni
1
, risulta che la crisi non riguarda tanto la Stato maghrebino,
che è ampiamente accettato come quadro di riferimento politico, quanto i
regimi maghrebini, che non sono riusciti a mantenere le promesse fatte al
momento dell'indipendenza. La popolazione aveva riposto fiducia nei governi
dell'indipendenza, perché le fosse reso accessibile tutto ciò che le rifiutava il
sistema coloniale: sicurezza, occupazione, mobilità sociale, dignità, rispetto
dell'identità culturale. Nel corso dei decenni però, a cominciare già dalla fine
degli anni '70, la politica di sviluppo degli Stati "nazionali" comincia a
dimostrare i propri fallimenti in tema di giustizia e di identità. Le
disuguaglianze in termini economici e sociali diventano sempre più evidenti,
facendo emergere la classe degli "esclusi", soprattutto i giovani delle periferie
urbane, espressione della crescita demografica e dell'incapacità di
un'integrazione dignitosa nel tessuto economico-sociale. Viene meno quindi il
consenso nazionale a quei regimi, ai quali i cittadini avevano creduto,
rinunciando anche ai propri diritti politici in cambio del soddisfacimento dei
diritti sociali. La situazione degenera negli anni '80, quando scoppiano le
prime rivolte come unico mezzo di espressione (quasi di dolore) di una
società che rivendicava una giusta integrazione. Il governo risponde a tali
contestazioni con una parziale apertura economica, nel rispetto delle formule
previste dal FMI, ma mantenendo una sostanziale egemonia politica; è quello
che viene definito liberalismo autoritario, che, come ha osservato Clifford
1
Lo studio di tali questioni è presente nel testo di Abdelbaki Hermassi, Stato e legittimità nel Maghreb, in
"Stato ed economia del modo arabo" citato nella bibliografia.
3
Geertz, tenta di conciliare "l'idea smithiana del come diventare ricchi e l'idea
hobbesiana del come governare".
In questo contesto, l'islamismo si fa carico della contestazione sociale e delle
rivendicazioni per migliorare le condizioni di vita quotidiana e trova un
linguaggio capace di trasformare l'umiliante lotta quotidiana per la
sopravvivenza in una lotta contro il regime politico responsabile della loro
desolazione. La tattica recente scelta dai governi per superare questa
situazione, sembra essere il ripristino di un gioco politico tradizionale che dà
ai partiti di opposizione una funzione privilegiata di intermediari, per
integrare la classe media urbana, a cominciare dai giovani, e per sottrarre
spazio politico ai movimenti islamici o a eventuali derive populiste.
La vera sfida di questi paesi sta nel rivitalizzare il legame tra Stato e società
civile, riaffermando gli ideali di giustizia redistributiva e di rispetto delle
identità (berbera innanzitutto), che furono la base della spinta indipendentista.
Il cammino verso la crescita economica e verso la democrazia non può essere
che lungo e bisogna adottare molta cautela nel voler imporre a questi paesi ed
alle loro società, categorie e tempi che gli appartengono.
Le problematiche sopra accennate, non rimangono naturalmente limitate ad
un piano interno, ma esplicano tutte le loro potenzialità anche su un piano
internazionale. L'Europa svolge indubbiamente un ruolo centrale
nell'evoluzione dei paesi del Maghreb, che rimangono partners indispensabili
per la realizzazione di un'area euromediterranea di pace e di stabilità. Il
Maghreb delimita una frontiera tra Nord e Sud del mondo, ed i suoi rapporti
con l'Europa non rappresentano altro che l'enjeu cruciale di questi anni,
ovvero il rapporto tra Paesi sviluppati e Paesi in via di sviluppo (anche se la
definizione non è del tutto esatta, considerando i paesi maghrebini soprattutto
come "paesi in transizione"). Oltre al "pericolo islamico", che come abbiamo
visto è portavoce di una società emarginata, esiste un forte interesse che lega
l'Europa al Maghreb ed è dato dalla presenza di numerose comunità
4
maghrebine immigrate, soprattutto in Francia. E' necessario che l'Europa
sviluppi tali rapporti, non in un'ottica di chiusura come minaccia della propria
sicurezza, ma su un piano paritario, ponendosi come obiettivo la crescita
globale dell'intera area mediterranea.
5
§ 2. L'Algeria: tra violenza e riconciliazione
Per comprendere l'evoluzione recente dell'Algeria non si può prescindere
dalla sanguinosa lotta di liberazione (1954-62) contro la Francia che ha
condotto il paese all'indipendenza il 25 luglio 1962. Il potere che si è
insediato al momento dell'indipendenza era l'espressione di due forti realtà:
quella dell'esercito e quella di un'ideologia nazionalista che si è incentrata a
lungo e con orgoglio sui sacrifici di tale lotta. I due elementi si sono
intrecciati strettamente, influenzando di continuo la politica interna ed estera,
con risvolti decisivi anche sugli aspetti istituzionali.
L'intreccio tra potere militare e controllo politico si può individuare già al
momento dell'indipendenza, quando il Front National de Liberation (Fln)
cessa di esistere come organismo armato e diventa un partito (unico) e quando
l'esercito impone come Presidente della Repubblica Ben Bella, superando in
questo modo i contrasti tra le elites locali. Con Ben Bella comincia a prendere
forma quella linea politica entrata in crisi all'inizio degli anni '90: un
socialismo caratterizzato da grandi speranze verso l'industrializzazione di tipo
pesante e da un'ideologia capace di unire lo slancio nazionalista per
l'indipendenza ad un atteggiamento di ecumenismo verso gli altri PVS. Ben
Bella riesce ad imporre nei confronti degli altri paesi limitrofi il principio
dell'uti possidetis, bloccando fin dall'inizio le pretese del Marocco sulla zona
di Tindouf, ricca di fosfati. L'avvio della collettivizzazione agricola e più in
generale della nuova gestione economica centralistica, che sfrutta le risorse
nazionali per stimolare lo sviluppo industriale, segnano la nascita dell'Algeria
moderna e del suo tentativo di assumere un ruolo di supremazia coi vicini.
Il metodo giuridico di questo processo di costruzione nazionale è la lenta
emanazione di "Carte", intese come documenti ideologici e dei relativi
Codici, che poco alla volta in assenza di una Costituzione, cominciano a
regolare il nuovo Stato indipendente.
6
La situazione non cambia con il successore di Ben Bella, Hoauri
Boumedienne, che ottiene il potere grazie all'esercito nel 1965. Sul piano
interno l'obiettivo prioritario rimane l'industrializzazione; anche la politica
sociale viene impostata in quella direzione, incoraggiando la natalità per
accrescere la manodopera industriale, senza preoccuparsi delle ricadute di tale
politica sul lungo periodo. Ogni proposta di pianificazione familiare
(intrapresa nel 1966 in Tunisia) veniva accantonata. Boumedienne avvia una
politica trionfale di nazionalizzazioni: il 24 febbraio 1971, dopo aver
rafforzato la Sonatrach (la società nazionale per il petrolio), nazionalizza il
gas ed i mezzi di trasporto ed impone la compartecipazione al 51% nella
compagnie petrolifere francesi. La crisi del 1973 dà all'Algeria la possibilità
di muoversi come paese arabo e leader terzomondista, nonché come possibile
punto di riferimento per un Maghreb unito.
In politica estera, sotto Boumedienne, l'Algeria riesce a raggiungere l'apice
della sua influenza internazionale, costruendosi un ruolo attivo nel movimento
dei Non-allineati.
Il 27 giugno 1976 sarà emanata la "Carta Nazionale", che riconosce il FLN
come unico partito, l'esercito come "instrument du développement" e il
socialismo come "opzione irreversibile". La Costituzione sarà approvata con
un referendum il 19 novembre 1976 e poco dopo, alle prime elezioni
presidenziali Boumedienne trionfa come unico candidato, assumendo il titolo
di Presidente, oltre a quello di Presidente del Consiglio della Rivoluzione e
del Consiglio dei Ministri. Questa Costituzione univa ad elementi di
democrazia popolare, elementi parlamentari e presidenziali della Costituzione
francese del 1958, attribuendo al Presidente forti poteri, che gli consentissero
di distaccarsi dalla corporazione militare che voleva controllarlo. Dopo una
prima revisione nel 1989 Il rafforzamento dello statalismo provoca però
fenomeni controproducenti, dalla maggiore corruzione all'aggravamento del
clientelismo ed inizia lentamente a minare i pilastri della stessa società
7
tradizionale. La centralità assoluta dello Stato finisce per trasferire il
malcostume sociale sul bilancio statale; la situazione comincia ad aggravarsi
nel corso degli anni '80, quando le prime avvisaglie del fallimento del
processo di industrializzazione ed il contro-shock petrolifero del 1986,
mettono allo scoperto le difficoltà sociali.
Nel 1978 era salito al potere Chadli Benjedid, "cooptato" dall'esercito,
istituzione che ormai aveva saldamente occupato il potere. Il paese va
incontro ad una lenta trasformazione, il cui aspetto più visibile è la
formazione di correnti di opposizione al partito unico dell'Fln, che seppure
illegali, riscuotono un certo successo. Si sviluppano inoltre una serie di
disordini sociali, motivati dall'impossibilità di mantenere i sussidi statali, che
mettono in serio pericolo il consenso verso il potere centrale.
Il governo reagisce con un'accelerazione riformistica, che si concretizza in
una legalizzazione delle associazioni politiche, che di colpo fa diventare
l'Algeria il paese più pluralista del Maghreb; nel 1989 viene introdotto il
pluripartitismo e viene riconosciuto il FIS (Fronte Islamico di Salvezza).
Tuttavia, il malcontento continuava a crescere e con l'approssimarsi delle
elezioni del dicembre 1991, gli integralisti cercano di capovolgere la
situazione, dando luogo a scontri violentissimi. Benjadid proclama lo stato
d'assedio e rimanda indefinitamente le elezioni. La situazione sembra
calmarsi con la nascita di un governo in cui è presente un membro del FIS, ma
Abbassi Madani, il più famoso tra i fondatori del FIS, proclama la Jihad. In
seguito a ciò viene contestato dagli stessi moderati del FIS e viene arrestato il
30/6/1991. Alle elezioni però il FIS conquista il 44% già al primo turno; il
risultato è che a gennaio l'esercito costringe Benjadid a dimettersi per essere
sostituito da Mohamed Boudiaf, un nazionalista che dirigeva il nuovo
Consiglio di Stato, che stabilisce una linea di opposizione senza tregua ai
militanti del FIS. Si passa da una guerriglia ad una vera e propria guerra civile
guidata da diversi gruppi di resistenza, fra cui il GIA (Gruppo Islamico
8
Armato) è il più sanguinoso ed intransigente.
Lo sconvolgimento è tumultuoso: a febbraio viene proclamato lo stato
d'emergenza (tuttora vigente), a marzo sono arrestati 9.000 militanti ed il FIS
è sciolto.
I diritti costituzionali vengono sospesi ed anche l'Assemblea nazionale è
sciolta. Boudiaf però mostra determinazione nella gestione politica e
dell'esercito, nonché nella lotta contro la corruzione; questo nuovo approccio,
attaccando i poteri personali soprattutto nell'esercito e nei partiti, minaccia
interessi consolidati da tempo ed un sistema di relazioni pronto anche a
trattare con gli estremisti. Così Boudiaf muore assassinato pochi mesi dopo
aver ottenuto l'incarico, nel giugno '92, ma dopo aver costretto gli integralisti
a venire allo scoperto con attacchi indiscriminati, mostrando quindi che
l'uscita dalla crisi dipende proprio dal buon governo.
Ma la crisi continuava, cancellando interi villaggi, e facendo pagare al popolo
algerino il suo quasi quotidiano tributo di sangue.
La schiacciante vittoria di Liamine Zeroual, generale dell'esercito in pensione,
alle elezioni presidenziali del novembre '95, non ha modificato i rapporti di
forza all'interno del paese, mantenendo la democrazia ad un livello "virtuale".
Tassi di astensione e brogli record portano all'egemonia parlamentare dell'Rnd
(Raggruppamento Nazionale Democratico), sorta di neo-Fln creato da e per
Zeroual; tuttavia, alcuni democratici riescono ad entrare nelle istituzioni
parlamentari, comunali e prefettizie, ma solo in maniera secondaria. Un
nuovo testo costituzionale è adottato il 28 novembre 1996, e rappresenta un
importante tentativo di riforma, diretto ad accentuare la costituzionalizzazione
di un patto politico. Nonostante le innovazioni, questa nuova revisione
mantiene le caratteristiche dei tesi precedenti: la preminenza di una
presidenzializzazione del potere ed allo stesso tempo la consacrazione di un
processo di parlamentarizzazione del regime politico algerino.
La violenza però rimane lo strumento principale della politica, un modo di
9
legittimazione del potere. La popolazione è ricattata, soggetta alla
disoccupazione, al crollo del sistema scolastico ed all'impossibilità di lasciare
l'Algeria (un tempo i visti per la Francia erano 800mila, oggi sono meno di
50mila).
I recenti sviluppi di questa situazione sono stati segnati dalle dimissioni di
Zeroual in un'atmosfera di lotta fra i clan del potere e dall'ascesa di Abdelaziz
Bouteflika, eletto presidente nell'aprile '99 come candidato unico, dopo il
ritiro all'ultimo momento degli altri candidati per protesta.
Bouteflika è stato eletto con l'appoggio dei tradizionali poteri politico-
finanziari, ma, grazie ad una propaganda impeccabile, appare l'artefice della
"concordia nazionale", un avversario della corruzione ed un costruttore di
pace. Il referendum del 16 settembre '99 ha visto l'approvazione popolare a
stragrande maggioranza (85% di votanti e 98,6% di favorevoli) della legge
sulla concordia civile, che prevede l'amnistia (solo per i sei mesi successivi,
quindi fino al gennaio 2000) per i militanti islamici che si consegnano alle
autorità e che non si sono macchiati di reati di sangue o di stupro.
Questo referendum ha legittimato Bouteflika, che ha fatto grandi promesse al
popolo algerino, tra le quali combattere la corruzione ed il mercato parallelo,
risanare il sistema giudiziario, "restaurare" il sistema scolastico, pacificare il
paese.
Queste sfide potranno essere realizzate nell'interesse del popolo, che il
presidente sembra voler chiamare spesso in causa, solo se Bouteflika vorrà e
riuscirà a liberarsi veramente dalla tutela dei décideurs ("detentori dei poteri
decisionali"), quel governo occulto che viene presentato come il vero potere e
che agisce dietro la facciata delle leggi e delle istituzioni. L'Algeria si è
incamminata verso la strada della democrazia e delle riforme economiche, ma
solo una svolta chiara e definitiva potrà far decollare questo giovane paese
dalle grandi risorse, territorio cruciale per uno sviluppo stabile dell'intera area
maghrebina.
10
§ 2. Marocco: l'alba di un nuovo regno
La situazione socio-politica del Marocco è contrassegnata in modo
determinante dalla presenza della Monarchia, con la dinastia alauita, e ciò gli
ha permesso di conservare unite due figure che nella tradizione musulmana
hanno sempre sofferto di numerosi conflitti a causa della loro separazione:
l'imam (il capo religioso) e il califfo (il capo politico).
Hassan II, che ha regnato sul Marocco dal 1961 fino alla sua morte il 23
luglio 1999, è riuscito a mantenere un parlamentarismo di fatto, anche se la
corona è rimasta sempre l'ago della bilancia della politica marocchina. Il
sistema politico ha conosciuto comunque fasi nettamente diverse, che sono
andate dall'esclusione del dialogo parlamentare alla riforma istituzionale. In
particolare è da ricordare la creazione nel 1996, di una Camera Alta ("dei
Consigli"), eletta a suffragio diretto per tre quinti da delle assemblee regionali
(anche queste di nuova creazione) e per gli altri due quinti dalle associazioni
di operai ed industriali. Questo nuovo organo rafforza il carattere
parlamentare del regime, poiché oltre a funzioni consultive, può anche votare
la sfiducia al governo con una maggioranza di tre quarti.
Il Marocco è però ancora lontano da un'effettiva democratizzazione, anche se
la corona è riuscita a mostrare lucidità sia come arbitro dei rapporti Nord-Sud,
che specificatamente euro-maghrebini. Solo in tale prospettiva si può
spiegare, per esempio, la creazione di un Ministero per i Diritti umani in un
paese richiamato più volte dallo stesso Parlamento Europeo per patenti
violazioni in questo campo
2
. Così si spiega anche la spettacolare richiesta,
avanzata nel 1987, di aderire alla Comunità Europea, naturalmente respinta,
ma che esprimeva bene la volontà di stabilire un aggancio diretto con
l'Europa. La Comunità fece allora presente che il Trattato di Roma pone dei
limiti geografici all'espansione della Comunità; quest'ultimo punto verrà
2
Parlamento Europeo e Commissione Europea: Violazione dei diritti dell'uomo e aiuti umanitari, 1996,
Bruxelles.
11
abrogato con il Trattato di Maastricht che non prevede infatti alcuna clausola
limitativa, tanto meno geografica, che escluda qualsiasi paese che chieda di
far parte della Comunità.
Il Marocco presenta inoltre forti legami col mondo arabo, soprattutto con la
monarchia saudita, che a sua volta lo sostiene per motivi istituzionali.
La politica estera del Marocco, settore di dominio riservato al Capo di Stato, è
fondata su una visione utilitaria e strumentale che ha espresso la sua
tradizionale vocazione a svolgere un ruolo dominante nell'area mediterranea,
presentandosi come garanzia di stabilità e terra di tolleranza. Il dominio
riservato, che è la determinante principale di tutta la politica estera, vuol dire
che le azioni intraprese da questa politica dipendono direttamente dal sovrano,
ovvero saranno realizzate solo se il potere centrale ne trae diretto interesse o
se lo rafforzano all'interno. Quindi, la politica estera è caratterizzata da un
forte pragmatismo, che, pur senza negare una scelta ideologica a favore
dell'occidente, le ha fatto ottenere appoggi politici ed aiuti finanziari
consistenti (come la cancellazione del debito con l'Arabia Saudita in
occasione della guerra del Golfo).
Il Marocco ha affrontato notevoli contrasti con l'Algeria, a cominciare dalla
guerre des Sables del 1963 per motivi territoriali, ma soprattutto
relativamente al problema del Sahara occidentale. Nel 1972 era stato
raggiunto un accordo tra i due paesi che tracciava le rispettive frontiere in
modo definitivo, ma proprio la questione sahariana ha determinato la rottura
delle relazioni diplomatiche nel 1976, dopo l'invasione marocchina, ed ha
ritardato l'entrata in vigore dell'accordo fino al 1989. Abbiamo visto che, nello
stesso anno, la buona volontà politica ed il realismo sono prevalsi ed hanno
portato alla firma del Trattato di Marrakech che ha costituito l'Unione del
Maghreb Arabo. La questione della Repubblica Democratica Saharaoui, che
ha determinato l'abbandono marocchino dall'OUA, rimane tuttavia ancora
irrisolta, nonostante le Nazioni Unite abbiano previsto un referendum
12
attraverso il quale la popolazione di quel territorio possa decidere del proprio
futuro.
La vocazione euromediterranea del Marocco, come messo in evidenza, è la
naturale conseguenza della sua situazione geostrategica e delle sue scelte
ideologiche; quest'opzione richiede però un maggior dinamismo delle sue
strutture diplomatiche ed un rafforzamento delle istituzioni interne che
consenta una posizione internazionale ottimale.
Il futuro del paese dipende ora dal nuovo monarca Mohamed VI, che dovrà
affrontare una situazione sociale profondamente iniqua, dove il 6% della
popolazione dispone del 50% delle ricchezze, e dove il più grande gruppo
privato, l'Omnium Nord Africain (ONA, che è anche il maggior gruppo
privato africano) è controllato dal re e dalla sua famiglia. Il Marocco del 2000
è formato da due paesi: meno di un quarto dei suoi abitanti, qualche milione
di persone, vive nella modernità, più dei tre quarti, venticinque milioni di
persone, sono stati dimenticati dal progresso.
Il nuovo re, sensibile alle problematiche della cooperazione con l'UE
3
, ha già
dimostrato coi fatti di volersi incamminare sulla giusta strada. Nel 1998,
Hassan II, rispettando il risultato delle elezioni, aveva nominato a capo del
governo il socialista Abderrahmane Youssoufi, un primo ministro
dell'opposizione, con una lunga esperienza di carcere e di esilio. Tuttavia, il
primo governo marocchino "di alternanza" era limitato, nell'attuazione del suo
programma di riforma, sia dall'eterogeneità della coalizione che dalla
presenza di Driss Basri, ministro dell'Interno dal 1981, il cui nome è associato
alle pagine più buie della storia moderna del regno. Il 9 novembre del 1999 il
re lo ha destituito, compiendo un passo che era da tempo necessario. Tra le
altre misure che Mohamed VI ha già adottato è da ricordare l'emanazione
della legge che vieta la poligamia ed il matrimonio forzato per le ragazze tra i
3
Il suo debutto sulla scena internazionale è stato infatti segnato proprio da un libro intitolato "La
cooperazione tra l'Unione Europea e i paesi del Maghreb", citato nella Bibliografia.
13
14 e i 16 anni (1 settembre '99), e il ritorno dall'esilio del principale
oppositore di Hassan, Abraham Serfaty.
Nuove sfide aspettano il giovane re, tra cui le più pressanti sono: la lotta
contro la povertà, la lotta contro la corruzione, la riforma della giustizia e del
sistema sanitario, lo sviluppo dell'alfabetizzazione
4
.
4
Ufficialmente il tasso di analfabetismo è al 55%, alcuni esperti lo stimano invece al 74%.
14
§ 3. Tunisia: un'eccezione politica
Con l'indipendenza, proclamata il 20/3/1956, la Tunisia è diventata una
repubblica presidenziale, con un forte accentramento di potere, secondo uno
schema tipico della regione. A dare questa connotazione personalistica del
potere, è stato il primo presidente, Habib Bourghiba, che secondo alcuni
aveva accumulato più influenza dello stesso Hassan II, che aveva anche il
primato di autorità religiosa. Nonostante l'originaria connotazione del
movimento neo-desturiano fosse socialista, Bourghiba se ne allontanò ben
presto e nel 1974 un emendamento della Costituzione lo trasformò in
presidente a vita. La base popolare che ha sostenuto Bourghiba è stata quella
delle elites borghesi, organizzate nel Neo-Destour ("Destour" significa
"costituzione") e le politiche attuate sono state di tipo sostanzialmente
liberale, consentendo la formazione di un tessuto socio-economico abbastanza
avanzato rispetto al resto della regione.
Nel 1981, il Presidente si è ritirato dalla vita pubblica per motivi di salute, ma
ha continuato a controllare lo Stato dalla propria casa, accentuando perciò il
carattere personalistico del potere. La situazione sociale ha mostrato i primi
segni di crisi (1984, guerra del pane) e sono scoppiati tentativi di rivolta a
sfondo islamico, soprattutto nel 1986, che hanno messo in evidenza le
difficoltà di Bourghiba nel guidare il paese. Il 7 novembre ’87 c'è stato un
"colpo di Stato costituzionale", un passaggio di consegne quasi indolore, in
cui Ben Ali, ex-ministro di polizia proveniente dall'esercito, si è sostituito a
Bourghiba nella conduzione della Tunisia. All'inizio Ben Ali ha attuato una
cauta liberalizzazione, con amnistie, soppressione della carica presidenziale a
vita, e soprattutto miglioramento dei rapporti con il resto del mondo arabo.
Il "nuovo corso" ha mantenuto la gestione personalistica del potere, tanto che
il partito di maggioranza, il PSD, è stato ricomposto nel Rassemblement
15
Constitutionnel Démocratique nel 1988; questo partito è talmente grande da
svolgere anche le funzioni dell'opposizione, privando gli altri (sei) partiti di
un'efficacia politica. L'unica vera alternativa è un'alternativa sistemica, cioè
all'intero sistema politico, ed è costituita dalla "Ennahda" ("Rinascita"), il
partito fondamentalista diretto da Rashid Gannouchi, oggi in esilio, che ha
cambiato il vecchio nome di Mouvement de la Tendence Islamique (MTI),
dopo la ratifica della legge che vieta l'uso di titoli religiosi nei nomi dei
partiti.
Nel 1988, Ben Ali ha ridotto il mandato presidenziale a non più di quindici
anni (cioè tre mandati di cinque anni ciascuno), tentando una limitazione della
centralizzazione del potere. L'autoritarismo e la centralizzazione, appaiono a
volte in questi paesi, come una necessità, soprattutto per combattere gli
estremismi; le risposte istituzionali servono a volte a difendere misure liberali,
ma spesso i metodi autoritari, inseriti nella quotidianità della politica,
finiscono per essere utilizzati in modo improprio ed illiberale. La ferma
risposta agli attacchi islamici, ha comunque permesso un controllo della
situazione sociale, consentendo alla Tunisia di diventare lo Stato più laico e
stabile della regione (al-balad al-amin, ovvero il paese sicuro, come recitava
lo slogan elettorale alle presidenziali del 1994), in posizione privilegiata con
l'Europa. La Tunisia però, potrà essere un valido referente per l'Unione
Europea, solo se sarà in grado di trasformare un regime poliziesco, che ignora
i diritti umani, censura la stampa e l'editoria, sorveglia la cittadinanza e
reprime ogni opposizione, in un governo democratico. Mentre ad Algeri ed a
Rabat, siamo di fronte ad un'apertura politica, in cui la stampa si può
esprimere con vitalità critica verso i regimi, in Tunisia regna il silenzio.
La Tunisia ha stretto con l'Unione Europea il primo di quegli accordi di
partnership euro-mediterranea che i Quindici vogliono estendere a tutto il
Mediterraneo; si spiega senz'altro così la remissività dell'UE nel condannare
la repressione e la corruzione del "sistema Ben Ali", che è destinato a
16
continuare anche dopo le recenti elezioni del 24 ottobre '99, in cui è stato
riconfermato con il 99,4 per cento dei voti. Ma questo stato di cose non può
continuare a lungo, poiché la Tunisia appare ogni giorno di più come
un'eccezione poliziesca in un Maghreb sempre più libero.