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l’esame del primo modello di cooperazione internazionale tra
polizie rappresentato dall’OICP-Interpol, per poi analizzare il
sistema Europol (vero oggetto della nostra indagine), l’Ufficio
europeo di polizia che coordina le forze di polizia in Europa;
segue, quindi, una breve analisi del progetto Eurojust, ossia
della creazione di una rete giudiziaria europea. Per concludere,
nell’ultima parte, vengono trattate le novità apportate dal Trat-
tato di Amsterdam, con particolare riferimento al Terzo pila-
stro, e il ruolo dell’Italia nella gestione di Europol.
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CAPITOLO I
LA COOPERAZIONE IN MATERIA DI SICUREZZA
INTERNA: DA SCHENGEN A MAASTRICHT
Premessa
Uno dei più importanti obiettivi raggiunti dall’Unione euro-
pea è senza dubbio la creazione di un grande mercato economi-
co, realizzatosi pienamente con l’abbattimento delle frontiere
tra gli Stati membri e la conseguente apertura dei mercati na-
zionali.
L’eliminazione delle frontiere, prevista dagli Accordi di
Schengen, ha determinato la libera circolazione delle persone
nei territori degli Stati membri e, inevitabilmente, una maggio-
re mobilità del crimine.
In passato, i pochi casi di reati transnazionali che si verifi-
cavano erano per lo più affrontati con lo strumento delle intese
bilaterali. Oggi non è più così.
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In seguito ai Trattati di Roma, Schengen e Maastricht, si è
resa indispensabile una cooperazione e un’intesa assai maggio-
re tra le polizie degli Stati membri dell’Unione europea al fine
di reprimere le attività criminose che si sono sviluppate
all’interno dei loro territori.
In particolare, è emerso il bisogno di portare avanti azioni
sempre più incisive, passando da una forma di cooperazione di
polizia intergovernativa ad una vera e propria forma comunita-
ria che si è realizzata, come si vedrà più avanti, con
l’istituzione dell’Ufficio europeo di polizia (Europol).
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1. IL GRUPPO TREVI
1.1 Costituzione e scopi
Il tema della cooperazione tra polizie, che sta gradualmente
prendendo forma in Europa, non può non essere analizzato
dall’organismo che ha avviato il suo sviluppo fino a portarlo ad
una completa formalizzazione nel Trattato di Maastricht: il
gruppo TREVI.
Esso è l’organismo europeo più antico in tema di “implica-
zioni per la polizia e la sicurezza interna” dopo l’avvio del pro-
cesso di integrazione. Si tratta di un forum tra i Ministri degli
interni e della giustizia degli Stati membri della Comunità isti-
tuito nel dicembre del 1975 a Roma su proposta inglese. Non si
tratta di un organismo comunitario ma costituisce un’iniziativa
informale autonoma degli Stati membri.
Tale gruppo nacque per far fronte alle carenze dell’Interpol
nella lotta al terrorismo e per migliorare la collaborazione tra
polizie anche contro il traffico di stupefacenti ed altri fatti di
criminalità aventi implicazioni di carattere internazionale.
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I Gruppi di lavoro costituiti nell’ambito di tale progetto fu-
rono tre, i primi due dei quali istituiti nel 1976 e finalizzati, ri-
spettivamente, alla lotta al terrorismo ed alla cooperazione di
polizia.
Nel 1985, con la nascita di TREVI III, dedicato specifica-
mente alla repressione della criminalità organizzata e del traffi-
co di stupefacenti, gli interessi e le ambizioni del Gruppo creb-
bero, dando luogo all’assunzione, in ambito comunitario, di i-
niziative autonome e concorrenti con quelle dell’Interpol.
La decisione di istituire TREVI III, a ben vedere, aveva in
sé le basi per la futura istituzione di Europol, cioè di un vero e
proprio Ufficio europeo di polizia che fosse in grado di garanti-
re la cooperazione tra le polizie europee nella lotta al crimine
internazionale. Nell’ambito di tale gruppo, infatti, fu creata una
struttura non esecutiva per lo scambio di informazioni sulla lot-
ta contro il traffico di droga detta EDIU (European Drugs
Intelligence Unit), poi divenuta EDU (Europol Drugs Unit).
Quest’ultima rappresenta la prima tappa per la creazione di Eu-
ropol.
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In quest’ambito collaborativo tra polizie, vi fu un’importan-
te svolta ad Atene quando, il 9 dicembre 1988, nacque il
sottogruppo TREVI 1992 che rappresentava il perno attorno al
quale avrebbe dovuto realizzarsi la cooperazione di polizia
necessaria per sostenere la difficile situazione creatasi in
seguito all’abolizione dei controlli di frontiera. TREVI 1992
nacque, sia per sopperire alla perdurante inadeguatezza
dell’Interpol nei confronti di alcune forme di criminalità orga-
nizzata sia per realizzare un’effettiva cooperazione tra le poli-
zie degli Stati membri in vista dei potenziali pericoli conse-
guenti all’abbattimento delle frontiere all’interno della Comu-
nità. L’importanza che il gruppo Trevi cominciava a ricoprire
all’interno dell’Unione poteva essere intuita quando, da un li-
vello di informalità notevole che caratterizzava il suo lavoro i-
niziale, si passò a discussioni politiche vere e proprie sul mi-
glioramento della sicurezza interna, arrivando a ricevere dal
Consiglio europeo di Maastricht il mandato ufficiale per la co-
stituzione di Europol.
I ministri Trevi proposero quattro settori prioritari di inter-
vento: ai già citati temi del terrorismo, del traffico di stupefa-
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centi e della criminalità organizzata, si aggiunse infatti la novi-
tà dell’immigrazione illegale. L’inclusione dell’immigrazione
illegale tra gli obiettivi del gruppo, più che un semplice am-
pliamento dell’area d’intervento, venne considerata
un’esigenza fondamentale, una sorta di banco di prova da supe-
rare per arrivare alla realizzazione del processo di unificazione
europea conseguente all’abbattimento delle frontiere avutosi
con l’accordo di Schengen.
Dunque, i Ministri Trevi hanno gettato le basi per la costitu-
zione della Polizia Europea (Europol), quale strumento di coo-
perazione tra forze di polizia nazionali. Tale progetto si realiz-
zerà attraverso la creazione, in tutti i Paesi dell’Unione Euro-
pea, di Uffici nazionali di intelligence nel settore della crimina-
lità, con l’esclusione, almeno nella fase iniziale, di compiti o-
perativi. Interverranno, nel tempo, accordi ulteriori tra i Paesi
membri per individuare di quali forme di criminalità Europol
dovrà occuparsi, nonché relativi alla configurazione delle rela-
tive strutture organizzative.
Sarà, peraltro, il Trattato di Maastricht, del quale parleremo
nel capitolo seguente, con le disposizioni relative alla Coope-
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razione nei settori della Giustizia e degli Affari Interni rac-
chiuse nel Titolo VI, a dare il via definitivo alla creazione della
Polizia Europea nelle sembianze di Europol.
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1.2 La natura giuridica
La struttura Trevi può essere considerata come un meccani-
smo parallelo rispetto alla Comunità Europea. Su di essa non
hanno alcun controllo né la Commissione europea, né il Parla-
mento.
In Trevi la concertazione si colloca su tre livelli:
1. Ministeriale;
2. Comitato degli Alti Funzionari;
3. Gruppi di lavoro.
La concertazione a livello ministeriale ha luogo in occasione
della riunione, tenuta all’inizio del semestre di Presidenza, ro-
tante fra i Paesi membri.
E’ a livello di Comitato degli Alti Funzionari che si prepara
la riunione ministeriale sulla base delle proposte dei Gruppi di
lavoro.
Dopo L’ Aia (1986), in cui il Gruppo di lavoro TREVI III fu
incaricato di avviare un’effettiva cooperazione di polizia per
combattere la crescente criminalità internazionale, si è ugual-
mente deciso di fare coordinare e valutare le attività dei Gruppi
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di lavoro e del Comitato degli Alti funzionari dalla c.d. Troika,
costituita dai Presidenti in carica, uscenti ed entranti
1
.
La Troika ha, per altra via, promosso contatti esterni con
Paesi terzi in tema di cooperazione fra polizie. Trevi, infatti, e
questo è uno dei suoi meriti, ha permesso lo sviluppo dei con-
tatti nel settore della cooperazione di polizia con un gran nu-
mero di Paesi, europei e non, fra cui gli USA, la Repubblica
popolare Cinese, la Thailandia e il Giappone, con i quali sono
stati stipulati Accordi nelle materie di interesse Trevi.
Attualmente, si annoverano tra i Paesi osservatori di mag-
gior rilievo gli USA, il Canada, l’Austria, il Marocco, la Nor-
vegia, la Svezia e la Svizzera.
1
Per approfondimenti vedi R. Russotto “La cooperazione europea di polizia”, in Rivista Tri-
mestrale della Scuola di Perfezionamento per le Forze di Polizia, n. 1/2 gennaio-giugno 1993.
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1.3 Riserve e critiche
Analizzando i lavori portati avanti dai successivi Gruppi
Trevi, sicuramente, le attività e le realizzazioni dei Gruppi di
lavoro I e II presentano un bilancio positivo. Questi Gruppi
hanno, tra l’altro, avuto il merito di aver realizzato una benefi-
ca armonizzazione negli interventi delle unità speciali antiter-
rorismo dei differenti Paesi.
Le realizzazioni del Gruppo III, invece, sono maggiormente
soggette a critiche. Esso è stato incolpato di non avere studiato
sufficientemente la criminalità organizzata nel suo insieme, di
avere discusso troppo a livello teorico e di non avere preso al-
cuna decisione importante.
La critica delle polizie è stata influenzata dalla linea di de-
marcazione che separa le delibere Trevi dal campo d’azione
delle polizie stesse. Anche se Trevi è generalmente considerata
come una forma utile di cooperazione internazionale, che può
portare un miglioramento nelle attività di ricerca al di là delle
frontiere, tuttavia, si stima che tale miglioramento si collochi
prevalentemente nel settore giudiziario.
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Un’altra critica concerne i duplicati esistenti fra Trevi e gli
altri Organismi che trattano i medesimi problemi. Questa sem-
bra essere una critica fondata, soprattutto, per quei Paesi in cui
i rappresentanti di tali Organismi sono molti e manca coordi-
namento interno.
Infine, alcuni ambienti hanno rimproverato a Trevi il suo ca-
rattere segreto e la mancanza di controllo esterno sullo stesso.
Essi hanno stimato che per svilupparsi in quanto struttura poli-
tica a lungo termine, con un ruolo importante in materia di co-
operazione giudiziaria e di polizia, Trevi avrebbe dovuto aprir-
si verso il mondo esterno.
Cionondimeno, è da dire che la creazione di Trevi è stato un
fatto significativo per la cooperazione europea fra polizie. Es-
so, infatti, ha costituito un luogo di incontro privilegiato ove
gli Alti livelli delle polizie hanno potuto conoscersi e meglio
apprezzarsi. Il mondo politico e istituzionale, da parte sua, ha
cominciato a conoscere meglio, assumendo le proprie respon-
sabilità, settori che prima erano maggiormente trascurati.
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2. IL SISTEMA SCHENGEN
2.1 Genesi e contenuto
L’accordo di Schengen sviluppa le stesse finalità
dell’accordo di Saarbrucken del 1984, allorchè Francia e Re-
pubblica federale di Germania rafforzarono l’idea
dell’eliminazione bilaterale dei controlli delle comuni frontie-
re. Questa novità fu subito appoggiata dal Benelux
2
che, insie-
me a Francia e Germania, il 14 giugno 1985 firmarono un ac-
cordo
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a Schengen (Lussemburgo). La portata innovatrice
dell’accordo fu, appunto, il libero attraversamento, senza con-
trolli, delle frontiere interne da parte dei cittadini di tutti gli
Stati membri della Comunità e la libera circolazione delle mer-
ci.
Per effetto di questa liberalizzazione dei confini europei, pe-
rò, si dovette puntare ad un maggior rafforzamento dei controlli
alle frontiere esterne con i Paesi extra-europei, nonché al mi-
glioramento dei livelli di sicurezza dei porti e degli aeroporti
2
Belgio, Olanda e Lussemburgo.
3
Ratificato in Italia con la legge n. 388 del 30 settembre 1993.
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con traffico internazionale. Si cercò, inoltre, di armonizzare la
politica dei visti d’ingresso agli stranieri, negando l’ingresso o
il soggiorno, in un qualsiasi Stato membro, ad uno straniero se-
gnalato da uno qualsiasi dei Paesi membri della Comunità.
L’accordo, così come presentato, disegnava un programma
ambizioso di obiettivi da raggiungere anche attraverso negozia-
ti successivi. In realtà, è subito apparso che la soppressione dei
controlli interni alle frontiere, per essere una novità sulla quale
porre le basi della nuova Europa, abbisognava di una serie di
misure parallele (soprattutto in materia di sicurezza) realizzabi-
li attraverso una ben più stretta collaborazione nei settori della
giustizia, della polizia e dell’immigrazione, settori in cui le
leggi e le politiche sono tradizionalmente nazionali.
Schengen è così diventato il banco di prova dell’Europa sen-
za frontiere auspicata dall’Atto Unico Europeo del 1986. Sulla
scia dei risultati ottenuti in attuazione di quell’Accordo, prose-
guirono e si svilupparono sempre più le trattative, tra Francia
Germania e Benelux, che si concretizzarono nella stesura della
Convenzione di applicazione firmata a Schengen il 19 giugno
1990.