2
scambi dei prodotti agricoli in generale, tenendo conto anche di aspetti non
commerciali.
Per tale scopo risulta fondamentale l’avvio di progetti di cooperazione che
riguardino lo sviluppo rurale inteso come sviluppo delle aree rurali attraverso un
approccio integrato che non ha come obiettivo esclusivamente il raggiungimento di
un determinato livello di produzione agricola (anzi si può dire che questa finalità è
messa in secondo piano in tale approccio), ma bensì lo sviluppo in sé del territorio
rurale attraverso una diversificazione dell’economia, l’integrazione tra i vari settori
economici, il miglioramento della qualità della vita e la creazione di reti tra gli
operatori locali per la promozione dell’identità di un territorio sul mercato e il suo
sviluppo sostenibile.
Lo scopo della cooperazione in questa materia sarà quello di cercare di
raggiungere un armonizzazione di prodotti e legislativa che potrà portare alla
promozione dei prodotti tipici e della dieta mediterranea e quindi della Regione
Mediterranea sui mercati globali, risolvendo cosi i contrasti che abbiamo visto in
precedenza. Pertanto in questo lavoro si cercherà nella prima parte di delineare,
innanzitutto quelli che sono gli aspetti e l’evoluzione della Nuova Politica di
Vicinato Europea e del partenariato euro mediterraneo e in seguito le problematiche
che caratterizzano il settore agricolo e rurale all’interno del partenariato
Euromediterraneo.
Nella seconda parte invece si delineeranno dapprima le possibilità di
cooperazione tra territori rurali nella regione euromediterranea e il ruolo
fondamentale che ha la Regione Puglia in quanto unica regione europea ad aver
avviata un partenariato con territori rurali maltesi, turchi, siriani e libanesi mediante
un progetto sperimentale denominato LEADERMED.
Infine verrà analizzato nello specifico proprio tale progetto descrivendo in generale
le sue caratteristiche e toccando nei particolari il caso studio che riguarda la Siria e
il GAL “Terra d’Arneo”. Esperienza quest’ultima che potrebbe essere utile per
capire le prospettive future di questo tipo di cooperazione e i risultati che si
potrebbero raggiungere con i Paesi del Sud Est del Mediterraneo.
3
PARTE PRIMA
Capito I – Wider Europe – Prossimità e Euromediterraneo
L’allargamento dell’Unione europea a dieci nuovi paesi membri,
formalizzato nel maggio del 2004, ha mutato profondamente la geografia
dell’Unione, che ora deve affrontare rapporti con nuovi vicini, i paesi dell’ex
Unione sovietica, e rimodellare in modo coerente le relazioni con i paesi del bacino
mediterraneo, per compensare lo sbilanciamento verso est. La nuova politica di
prossimità costituisce la risposta alle sfide in materia di rapporti con il nuovo
vicinato. Nel marzo del 2003 la Commissione delineò per la prima volta i contorni
della politica di prossimità, proponendo una visione ambiziosa e di ampio respiro.
Gli obiettivi erano infatti di creare una zona di prosperità e buon vicinato ai propri
confini, nella convinzione che, in futuro, “la capacità dell’Unione di garantire ai
suoi cittadini sicurezza, stabilità e sviluppo sostenibile non sarà più dissociabile
dalla sua volontà di intensificare le relazioni con i paesi limitrofi”.
1
In sostanza
l’offerta dell’Unione ai propri vicini consiste nella concessione di una posizione di
privilegio sul mercato interno, e in una maggiore partecipazione alle quattro libertà,
comprendendo anche la libera circolazione delle persone, a fronte dell’adozione, da
parte dei paesi coinvolti, di riforme economiche e istituzionali, e di una
cooperazione efficace in materia energetica, nel settore dei trasporti, nella lotta al
terrorismo.
La sostanziale novità che porta la politica di prossimità sin dai primi passi è
dunque il riconoscimento della forte interdipendenza tra l’Unione europea e i paesi
vicini, da cui deriva il tentativo dichiarato della nuova politica di superare una
distinzione netta tra politica interna e estera, offrendo, a paesi di cui non viene
1
Commission of the European Communities, Communication from the Commission to the Council
and the European Parliament. Wider Europe – Neighbourhood: A New Framework for Relations
with our Eastern and Southern Neighbours, COM (2003) 104, 11.3.2003.
4
prevista, nel medio periodo, l’adesione, vantaggi e opportunità finora riservati ai
membri dell’Unione.
Per questo la Commissione ha previsto la creazione di uno strumento
finanziario nuovo, che potesse essere utilizzato all’interno e all’esterno dei confini
dell’Unione. A questa ipotesi, nel luglio del 2003, veniva dedicata una
comunicazione specifica
2
,
in cui si prevedeva di articolare in due tempi la creazione
del nuovo strumento, lavorando nel periodo 2004-2006 sul coordinamento degli
strumenti esistenti (per quanto riguarda il Mediterraneo e i Balcani occidentali il
coordinamento di MEDA, CARDS e INTERREG si realizza con i Programmi di
Prossimità) e in seguito, dopo il 2007, dar vita al nuovo strumento di prossimità.
Il 12 maggio 2004 la Commissione ha pubblicato un documento strategico
3
in cui precisa i contorni della politica di prossimità, definendone principi e
contenuti e proponendo un percorso concreto di attuazione. I paesi cui la politica si
rivolge sono, in Europa, Russia, Ucraina, Bielorussia e Moldavia, nell’area
mediterranea tutti i paesi coinvolti nel Partenariato euromediterraneo, o processo di
Barcellona, meno la Turchia, che si trova nella fase di preadesione all’Unione
europea, a cui si sono aggiunti i paesi caucasici Armenia, Azerbaigian e Georgia.
Il metodo proposto dalla Commissione per raggiungere gli obiettivi della
politica di prossimità consiste nella definizione, assieme ai paesi vicini, di una serie
di priorità da inserire in Piani di azione, fondati su un impegno reciproco a
rispettare valori condivisi, quali il rispetto per i diritti umani, compresi i diritti delle
minoranze, la legalità, il buon governo, la promozione di azioni di buon vicinato, i
principi dell’economia di mercato e dello sviluppo sostenibile, oltre ad alcuni
obiettivi di politica estera. I piani di azione si occuperanno inoltre di alcuni settori
chiave, tra questi l’ambiente e lo sviluppo sostenibile rappresentano una tematica
2
Commission of the European Communities, Communication from the Commission to the Council
and the European Parliament. Paving the Way for a new Neighbourhood Instrument, COM (2003)
3939 final, 1 July 2003.
3
Commission of the European Communities, Communication from the European Commission.
European Neighbourhood Policy. Strategy Paper, COM (2004) 373 final,12.5.2004.
5
prioritaria e trasversale. I piani di azione si baseranno sul principio di
differenziazione, per cui saranno elaborati per ogni paese sulla base dell’effettivo
stato dei rapporti di cooperazione tra il paese in questione e l’Unione europea. Il
raggiungimento degli obiettivi previsti dai Piani di azione, che copriranno un
periodo dai tre ai cinque anni dalla loro approvazione, permetterà la stipula di una
nuova relazione contrattuale tra Unione europea e paesi vicini, gli Accordi europei
di prossimità, che sostituiranno gli attuali accordi bilaterali.
Il documento strategico del 12 maggio 2004 definisce in modo più preciso
anche le opzioni per finanziare la politica di prossimità: sono state individuate le
risorse per i Programmi di prossimità nel periodo 2004-2006: 225 milioni di Euro
dei fondi di cooperazione esterna (di cui 45 milioni di MEDA e 45 milioni di
CARDS), e 700 milioni di Euro del programma INTERREG per i confini interni
dell’Unione.
Nel settembre del 2004 la Commissione ha proposto di riorganizzare e di
semplificare radicalmente l’assistenza esterna dell’Unione europea,
4
e
ha conferito
ulteriore rilievo alla politica di prossimità, indicando il nuovo strumento di
prossimità e partenariato (European Neighbourhood and Partnership Instrument,
ENPI) come uno dei nuovi strumenti che sostituirà dal 2007 i programmi MEDA e
Tacis e altre iniziative come quella per i diritti umani e la democrazia. Il nuovo
strumento di prossimità e partenariato avrà due obiettivi principali, di promuovere
l’integrazione economica e approfondire la cooperazione politica tra l’Ue e i paesi
partner, e di affrontare le sfide e le opportunità specifiche che derivano dalla
prossimità geografica dell’Unione e dei suoi vicini.
L’ENPI comprenderà oltre alla cooperazione per la lotta alla povertà, misure
per l’integrazione progressiva nel mercato interno dell’Unione europea, la
convergenza normativa e il rafforzamento istituzionale attraverso meccanismi quali
lo scambio di esperienze, accordi di gemellaggio a lungo termine con paesi membri
e partecipazione a programmi e agenzie comunitarie. Questa convergenza dovrebbe
vertere in particolare sulle politiche ambientali e di sviluppo sostenibile,
4
Commission of the European Communities, Communication from the Commission to the Council
ad the European Parliament on the Instruments for External Assistance under the New Financial
Perspectives, 2007-2013, COM(2004) 626 final, 29.9.2004.
6
promovendo una più stretta collaborazione tra i diversi livelli di governo e tra
territori che condividono sfide ambientali simili e risorse naturali comuni. A tale
riguardo il nuovo strumento enfatizza il ruolo della cooperazione transfrontaliera tra
le autorità substatali, e prevede di finanziare programmi comuni che uniscano
regioni ed enti locali di stati membri e di paesi partner, con una decisa
semplificazione delle procedure e dell’efficacia, e con l’utilizzo di meccanismi
analoghi a quelli dei fondi strutturali, quali la programmazione pluriennale, il
partenariato e il cofinanziamento.
La proposta di regolamento per l’ENPI
5
ne definisce con precisione le
caratteristiche, e chiarisce i soggetti e i territori eleggibili posti lungo i confini
terrestri e marittimi, e le risorse disponibili. Per quanto riguarda le risorse da
stanziare per la cooperazione con i Paesi vicini, complessivamente sono previsti per
il periodo 2007-2013 poco meno di 15 miliardi di Euro.
La riorganizzazione dell’assistenza esterna dell’Unione europea chiarisce
anche la collocazione dei Balcani occidentali, che nella fase transitoria erano inclusi
da un punto di vista pratico, ma non politico nella politica di prossimità, attraverso
la messa a punto dei programmi di prossimità CARDS
6
per il periodo 2004-2007.
Le nuove prospettive finanziarie prevedono un nuovo strumento di pre-adesione
(Instrument for Pre-Accession Assistance, IPA), che rimpiazzerà i programmi
Phare
7
, SAPARD
8
, ISPA
9
, Phare CBC
10
e soprattutto CARDS. L’assistenza ai
5
Commission of the European Communities, Proposal for a Regulation of the European Parliament
ad of the Council laying down general provisions establishing a European Neighbourhood and
Partnership Instrument, com (2004) 628 final, 29.9.2004.
6
Il programma CARDS è volto a fornire assistenza comunitaria ai paesi dell'Europa sudorientale in
vista della loro partecipazione al processo di stabilizzazione e di associazione con l'Unione europea.
7
Programma di aiuto comunitario ai paesi dell'Europa centrale e orientale (Phare) che costituisce il
principale strumento finanziario della strategia di preadesione per i paesi dell'Europa centrale e
orientale (PECO) candidati all'adesione all'Unione europea. Dal 1994, le missioni Phare sono state
adeguate alle priorità e alle necessità di ciascun paese PECO. Il programma Phare rinnovato dispone
di un bilancio di oltre 10 miliardi di euro per il periodo 2000-2006 (circa 1,5 miliardi di euro l'anno).
Esso è incentrato essenzialmente su due priorità: il rafforzamento delle istituzioni e delle
amministrazioni ; il finanziamento degli investimenti. Anche se all'origine il programma Phare era
riservato ai paesi PECO, esso sta estendendosi ai paesi candidati dei Balcani occidentali.
8
SAPARD è un quadro di sostegno comunitario per un'agricoltura e uno sviluppo rurale sostenibili
destinato ai paesi candidati dell'Europa centrale e orientale (PECO) nel corso del processo di
preadesione, per il periodo 2000 - 2006. Esso mira a risolvere i problemi di adattamento a lungo
7
Balcani occidentali sarà dunque disciplinata dall’IPA, cui vengono destinate
complessivamente risorse per circa 14 miliardi di Euro.
11
Anche in questo caso una
componente importante dello strumento sarà la cooperazione transfrontaliera. Per
questa cooperazione, sia per l’ENPI che per l’IPA, si prevede un contributo
aggiuntivo da parte del Fondo europeo di sviluppo regionale di 233 milioni di Euro
l’anno.
Le maggiori opportunità per i soggetti regionali e locali italiani, dell’Unione
europea e dei paesi partner, risiedono precisamente nell’intersezione tra politiche
interne e politiche esterne che le politiche di prossimità e di pre-adesione
introducono, e nell’adozione dei meccanismi dei fondi strutturali nella cooperazione
transfrontaliera con i paesi prossimi. Utilizzando la propria esperienza di
programmazione e gestione dei fondi comunitari nell’attuazione delle politiche di
coesione economica e sociale, le regioni possono proporsi come soggetti attivi
anche della politica di prossimità, sviluppando con le Autorità substatali dei paesi
mediterranei rapporti di partenariato funzionali alla gestione dei programmi comuni
previsti sui confini terrestri e marittimi dell’Unione.
Gli obiettivi principali della politica di prossimità, e le modalità di
attuazione previste, chiamano dunque in causa il ruolo delle regioni e dei soggetti
substatali in genere, sia all’interno dei paesi membri dell’Ue sia nei paesi del
Mediterraneo.
12
I rapporti di regioni e autonomie locali italiane con soggetti più o
termine del settore agricolo e delle zone rurali e costituisce un sostegno finanziario all'applicazione
dell'acquis comunitario per quanto riguarda la politica agricola comune e di politiche ad essa
collegate.
9
Al fine di preparare l'adesione dei paesi candidati dell'Europa centrale e orientale (PECO) l'Unione
europea fornisce, tramite lo strumento per le politiche strutturali di preadesione, un sostegno
finanziario nel settore della coesione economica e sociale e in particolare in materia di ambiente e di
trasporti per il periodo 2000-2006.
10
Programma di cooperazione transfrontaliera che sostiene azioni a carattere strutturale nelle regioni
di confine fra Ue e Paesi candidati all'adesione
11
Commission of the European Communities, Proposal for a Council Regulation establishing an
Instrument for Pre-Accession Assistance (IPA), COM(2004)627 final, 29.9.2004.
12
La Regione Puglia infatti ha adottato in materia di cooperazione una propria legge regionale (n. 20
del 25 agosto 2003) con la quale tende rafforzare l’azione regionale. L’obiettivo è quello di stabilire
e radicare nel territorio pugliese un processo di buone prassi di partenariato, attraverso “la
costruzione di una coscienza regionale dell’altro, base imprescindibile per una crescita condivisa ed
8
meno omologhi di altri paesi sono chiamati ora a fare un salto di qualità
strutturandosi in una forma più evoluta di cooperazione: i partenariati territoriali.
Questi partenariati tra territori, pur conoscendo un grado di sviluppo diverso
nelle diverse esperienze regionali e locali, e pur essendo ancora in parte in via di
definizione, presentano alcune caratteristiche comuni e principi di fondo, che ne
suggeriscono la validità come strumenti di attuazione della politica di prossimità.
Innanzitutto i partenariati territoriali hanno come quadro di riferimento le
politiche di sviluppo nazionali e internazionali (nel nostro caso la nuova politica di
prossimità). Essi si fondano quindi su una forte integrazione e collaborazione con i
diversi livelli istituzionali, nazionali, comunitario e internazionale, funzionale alla
cosiddetta governance multilivello. In tal senso i partenariati territoriali dovrebbero
trovare una cornice comune di programmazione nei Piani di azione previsti nella
politica di prossimità, così come nelle politiche di cooperazione bilaterale del
Ministero Affari Esteri con i paesi del Mediterraneo.
Il partenariato territoriale si basa su un concetto di cooperazione come
sostegno a processi di sviluppo, invece che come generatrice di sviluppo attraverso
l’elaborazione e la realizzazione di progetti. In termini pratici questo implica il
passaggio da un approccio per progetti (guidati dall’offerta, gestiti da esperti, a
breve termine), a una visione fondata su strategie e programmi (guidati dalla
domanda, che valorizzano le risorse locali, di carattere processuale e a medio-lungo
termine). L’approccio di processo è funzionale anche e soprattutto alla continuità
temporale e alla sostenibilità del rapporto di partenariato.
Il dialogo politico e i rapporti tra i governi substatali si esprimono di
conseguenza in programmi pluriennali di sviluppo comune, fondati sul confronto
delle rispettive politiche e sulla condivisione di obiettivi comuni di co-sviluppo. La
complessità di questi rapporti induce a privilegiare un approccio per piccoli passi,
progressivo e graduale, un percorso di apprendimento e costruzione di fiducia,
capacità e credibilità, attraverso il processo relazionale tra le parti.
equilibrata nell’area geografica”. L’elemento innovativo della legge è il ruolo prioritario
riconosciuto alle comunità locali e alla società civile nei diversi settori d’intervento di cooperazione.
9
Il partenariato territoriale internazionale è caratterizzato da un approccio
“bottom up” allo sviluppo, che si prefigge come obiettivi compatibili la crescita
economica, la sostenibilità ambientale, l’estensione della democrazia e la coesione
sociale. In questo senso, richiamandosi ai principi dello sviluppo partecipativo e
promovendo l’applicazione del principio di sussidiarietà, i partenariati possono
concorrere all’affermazione degli obiettivi della politica di prossimità, fondata sulla
promozione e condivisione di valori comuni. Da questo punto di vista, i partenariati
esprimono una forte proprietà delle politiche di sviluppo da parte delle comunità
locali, in quanto il rapporto di partenariato si fonda su valori condivisi e sul
riconoscimento di una reciprocità di interessi.
L’approccio partecipativo allo sviluppo promosso dai partenariati territoriali
internazionali implica una fitta rete di relazioni di interscambio, materiale e
immateriale, aperto a tutti i soggetti dei territori cooperanti (imprese, associazioni
sociali e di categoria, banche, università e centri di ricerca, ecc.), e si traduce in un
partenariato sistemico all’interno del proprio territorio, basato sulle
proprie vocazioni e sulla reciprocità degli interessi, che assegna ai governi
substatali il ruolo di facilitatori e coordinatori dell’azione dei vari soggetti coinvolti.
L’approccio territoriale e il coinvolgimento di una pluralità di soggetti
permettono la promozione e il rispetto delle diverse vocazioni e identità dei territori
coinvolti, e consentono di seguire percorsi differenti a seconda dei contesti e in
particolare della combinazione di fattori storici e geografici propri dei territori
partner.
Il partenariato territoriale non presuppone un’omogeneità istituzionale dei
partner, ma una condivisione sia dei principi sia soprattutto di una prospettiva di co-
sviluppo.
Il concetto di partenariato può essere perciò inteso sia come una sorta di
esempio normativo che esplicita principi e linee guida della cooperazione
internazionale delle regioni, sia come obiettivo a cui tendere, frutto di un processo a
medio-lungo termine di costruzione di regolazioni comuni e di reti durature di
rapporti “trans-locali” nel quadro globale e della politica estera dell’UE.
10
Le caratteristiche sin qui delineate, quindi, ne evidenziano l’elevato
potenziale rispetto agli obiettivi della politica di prossimità e della cooperazione con
i paesi del Mediterraneo.
I.1 - Il partenariato euro mediterraneo e gli strumenti di cooperazione: la
dichiarazione di Barcellona
I rapporti tra l’UE ed i paesi terzi del Mediterraneo sono nati assieme alla
Comunità Economica Europea, grazie a specifiche disposizioni del Trattato di
Roma del 1957 che fornivano una cornice legale ai preesistenti rapporti tra i paesi
membri della CEE e i paesi del Mediterraneo.
Infatti, il Titolo IV del Trattato istitutivo della Comunità Europea, dedicato
alla cooperazione con i paesi in via di sviluppo, conteneva due articoli che hanno
retto le relazioni e gli scambi commerciali nella prima fase della politica
mediterranea, prima di essere affiancati da strumenti plurilaterali di definizione dei
rapporti.
L’art. 113 prevedeva la stipulazione di “accordi tariffari e commerciali con
i paesi terzi”, mentre l’art. 238 concerneva la possibilità di stipulare “accordi che
creano un’associazione che comporta reciproci diritti e obblighi, azioni comuni e
speciali procedure”.
Quindi, mentre, i rapporti con i territori e i paesi dei Caraibi, del Pacifico e
dell’Africa a sud del Sahara sono subito regolati e gestiti nel quadro plurilaterale
della Convenzione di Lomé (in seguito Convenzione di Yaoundé), in un primo
tempo i rapporti con i paesi dell’Africa del Nord e del Medio Oriente si
svilupparono individualmente ed empiricamente.
Gli accordi stipulati fino alla prima metà del 1970 erano di natura
prevalentemente commerciale
13
e coinvolgevano sia Israele sia alcuni degli altri
13
Questo perché essi si fondavano sull’idea che la CEE dovesse essere solo una potenza civile, e non
anche politica, e che pertanto potesse esercitare la sua influenza sul commercio e sulle relazioni di
tipo economico, lasciando libera iniziativa in campo strettamente politico ad ogni singolo Stato
membro.
11
Paesi Terzi del Mediterraneo
14
, con i quali l’impianto era invece di tipo “associativo
e cooperativo”. In questo secondo caso erano previsti impegni finanziari da parte
comunitaria nei progetti di sviluppo intrapresi dai partner, nonché una più corposa
componente relativa alle agevolazioni commerciali. Questa componente comunque
non andava molto al di là dell’estensione ai PTM della clausola della “nazione più
favorita” prevista tra i paesi aderenti al GATT, e lasciava quindi intatte molte
restrizioni imposte a tutela di produzioni agricole, tessili, siderurgiche e di
petroliferi trasformati.
I risultati di questi accordi sullo sviluppo, l’integrazione economica e la
crescita del commercio nella regione furono alquanto limitati. Tra i principali
motivi alla base di questo impatto negativo si considera sia la mancanza di
coordinamento tra gli accordi che il loro contenuto. L’approccio frammentario,
infatti, finiva per generare condizioni di conflittualità tra i paesi coinvolti senza
perseguire un progetto organico per l’intera area, mentre sullo sviluppo dei PTM
pesava la chiusura dei mercati comunitari a molti prodotti agricoli e ad alcuni
manufatti di importanza strategica.
Solo a partire dal vertice di Parigi del 1973, la CEE ha imposto un quadro
comune per la gestione dei rapporti con i paesi mediterranei.
15
L’obiettivo di massima del rafforzamento del dialogo euro – arabo e della
presenza della CEE nell’area, da perseguire attraverso la cooperazione orientata al
riequilibrio socioeconomico, l’integrazione e lo sviluppo economico dei partner,
diede corpo alla politica mediterranea globale, articolata in una prima generazione
di accordi di associazione o di cooperazione economico finanziaria.
Pur mantenendo un’ottica commerciale, gli accordi di prima generazione
erano meglio coordinati rispetto alla precedente esperienza. Stipulati sulla base
14
Cipro e i paesi del Machrek erano esclusi.
15
La riconsiderazione della politica mediterranea della Comunità nasceva, da un lato, sotto la spinta
della crescita del numero di membri della CEE e, dall’altro, per le preoccupazioni dovute alle
tensioni politiche addensatesi intorno al mediterraneo ed al Medio Oriente ed alle possibili
complicazioni nell’approvvigionamento energetico.
12
dell’art. 113, per quanto riguarda Israele, e dell’art. 238 per gli altri PTM, essi già
introducevano alcune delle linee che caratterizzano l’attuale partenariato
mediterraneo. La loro durata era illimitata e gli accordi stipulati ai sensi dell’art.
238 prevedevano una parte finanziaria che costituiva oggetto di protocolli
quinquennali per stabilire gli importi dell’aiuto accordato dalla Comunità su base
bilaterale, finalizzato alla fornitura di tecnologie e assistenza. Si trattava di aiuti non
rimborsabili e prestiti della Banca Europea degli Investimenti, sostanzialmente
svincolati da precisi obiettivi di politica economica da parte dei paesi beneficiari.
Già agli esordi della politica mediterranea globale sussisteva una distinzione
rilevante per i PTM settentrionali, con i quali gli accordi erano di tipo associativo e
delineavano stadi successivi di liberalizzazione commerciale fino all’istituzione di
una unione doganale con l’UE.
Le concessioni commerciali erano asimmetriche, a favore dei PTM, e solo
Turchia, Cipro, Malta e Israele garantivano alle esportazioni comunitarie alcune
concessioni reciproche. Gli altri PTM godevano di agevolazioni di tipo
unidirezionale e si limitavano ad offrire alla Comunità il regime NPF
16
ed un
generico impegno ad introdurre misure di preferenza. Le preferenze avevano
l’obiettivo esplicito di favorire un processo di specializzazione produttiva tra le due
sponde del Mediterraneo: il duplice flusso commerciale atteso avrebbe visto
esportazioni di prodotti agricoli di tipo mediterraneo e manufatti a tecnologia
matura, oltre alle tradizionali materie prime, dai PTM verso l’Unione, ed
esportazioni in senso contrario di prodotti agricoli di base, manufatti a tecnologia
avanzata e beni d’investimento in generale. In tale ottica, si giunse ad esplicitare
l’idea della creazione di un’area di libero scambio (ALS) da realizzarsi entro il
1977. Tale idea, tuttavia, si rivelò incompatibile sia con la Politica Agricola
Comunitaria che per altri settori, con le limitazioni imposte per alcuni dei prodotti
16
Clausola della nazione più favorita (NPF). Principio di base che regola la riduzione della
protezione commerciale su base multilaterale. La clausola NPF garantisce l’automatica estensione a
tutti i paesi membri WTO di qualunque concessione commerciale accordata da un paese: «tutti i
vantaggi, benefici, privilegi o immunità accordati da una parte contraente ad un prodotto originario
o destinato a qualsiasi altro paese saranno, immediatamente e senza condizioni, estesi a tutti i
prodotti similari o destinati al territorio di tutte le altre parti contraenti» (art. I, GATT).
13
ritenuti “sensibili”, per i quali i produttori europei erano considerati vulnerabili
dalla concorrenza estera.
Di conseguenza si prevedevano singole concessioni di vario genere per le
esportazioni di prodotti agricoli dei PTM, sebbene subordinate alle linee fortemente
protezionisti della PAC.
L’accesso preferenziale per l’agricoltura fu quindi limitato a prodotti non
concorrenziali (frutta tropicale) e a produzioni tipiche mediterranee, tra cui
soprattutto ortaggi, frutta e agrumi. Le riduzioni tariffarie per tali prodotti erano
abbastanza consistenti, ma in genere applicate a limitati contingenti che
rispettavano i vincoli della PAC.
Nel periodo successivo alla tornata di accordi della seconda metà degli anni
’70, la politica mediterranea della CEE si è andata progressivamente risolvendo
nella gestione corrente delle relazioni tra la Comunità ed i PTM.
17
Dovranno passare molti anni prima che emerga una nuova iniziativa politica
euro – mediterranea. In effetti, tra la metà degli anni settanta e la metà degli anni
ottanta i rapporti europei con i paesi arabi e Israele sono messi in grave difficoltà
dai forti dissensi transatlantici relativi a questa regione quali la diversa valutazione
delle implicazioni della pace fra Egitto e Israele
18
e del ruolo dei palestinesi, nonché
le diverse percezioni nei confronti dell’ondata di violenza e terrorismo dei
palestinesi e degli islamisti che a quella pace consegue.
19
17
Basile E., Cecchi G., “Modelli commerciali e scambi agricoli. Un’analisi dei rapporti tra CEE e
paesi mediterranei”, Franco Angeli, Milano, 1988, citato da Velazquez B., “La Politica Mediterranea
dell’UE e le questioni del commercio agricolo con i PTM”, in “L’Unione Europea e i Paesi Terzi
del Mediterraneo”, INEA (Istituto Nazionale di Economia Agraria), 2002, pp. 65 – 67.
18
I negoziati di Pace tra Israele ed Egitto, avviati alla metà degli anni ’70, hanno condotto alla
stipulazione di un Trattato di pace il 26 Marzo 1979. Il trattato è stato firmato a Washington dal
Primo Ministro israeliano Begin e da Presidente egiziano Sadat alla presenza del Presidente
Americano Jimmy Carter. L’accordo tra i due paesi prevede il ritiro israeliano dalla penisola del
Sinai (conquistata da Israele dopo la guerra dei sei giorni del 1967), il ritorno di quest’ultima sotto la
Sovranità egiziana, e la normalizzazione delle relazioni diplomatiche. Il trattato è stato il primo
siglato tra Israele ed un paese arabo e per la prima volta l’esistenza di Israele viene riconosciuta da
un paese arabo.
19
Aliboni R., “ I rapporti tra Europa e Mediterraneo: il quadro istituzionale e politico”, in “Le
economie del Mediterraneo”, Banca d’Italia, 2000, p. 21
14
In questo periodo viene dunque alla luce lo squilibrio tra il forte ruolo
economico che la CEE esercita e la scarsa rilevanza politica che è in grado di
mettere in campo, a causa della mancanza di una politica comune e di un esercito
che la possa sostenere a differenze di altre potenze internazionali come gli Stati
Uniti. Per questo motivo i tentativi della CEE a contare politicamente a livello
internazionale e soprattutto nel Bacino Mediterraneo furono continuamente delusi.
Di questi tentativi i principali sono:
o il summit di Copenaghen del 1973, in cui viene avviato il dialogo euroarabo,
per tentare di arginare le agitazioni sul fronte petrolifero e rafforzare le
relazioni bilaterali;
o il vertice di Venezia del 1980, che ha visto la CE impegnata sul principio
dell’autodeterminazione dei palestinesi e il ruolo negoziale dell’OLP
20
;
o l’accordo di cooperazione con il Consiglio di Cooperazione del Golfo del
1988 per la realizzazione di una zona di libero scambio doganale con i sei
Paesi Arabi del Golfo.
Perciò, solo nella seconda metà degli anni ottanta, con la fine della
presidenza Reagan negli Stati Uniti, si riapre un dibattito europeo e comunitario sui
rapporti con il Mediterraneo, che porta prima all’istituzione di un raggruppamento
di paesi europei e arabi del Mediterraneo occidentale
21
e poi, nel 1990, alla proposta
italo – spagnola di istituzione di una Conferenza sulla sicurezza e cooperazione nel
Mediterraneo (CSCM). Queste due iniziative furono però travolte dalle crisi
scatenate dalla guerra del Golfo del 1990-1991.
Sia all’interno dei paesi arabi, sia nei rapporti tra questi e l’Occidente,
l’obiettivo di un rapporto euro – mediterraneo plurilaterale e strutturato si fece
nuovamente strada sotto l’impulso di due processi nati nel frattempo:
o il Processo di pace in Medio Oriente, che mette politicamente al margine
l’Europa e l’UE;
20
Organizzazione per la Liberazione della Palestina.
21
Chiamato il Gruppo dei “cinque + cinque”.
15
o il processo di allargamento dell’UE ai paesi dell’Europa Centro Orientale,
che rischia di creare squilibri politici all’interno dell’Unione stessa,
spostando troppo a Est il baricentro degli interessi europei.
Infatti, nel 1989 la Commissione Europea emise un’importante
comunicazione denominata “Verso una politica mediterranea rinnovata” che è stata
adottata nel dicembre 1990, con l’intento di dare un nuovo impulso agli interventi
della Comunità. Tale rinnovamento prevedeva la creazione di una cooperazione a
due livelli, invece che a uno solo. Il primo livello consisteva nei progetti individuali
già finanziati dagli accordi bilaterali esistenti, il secondo livello, quello realmente
innovativo, era basato su una cooperazione di tipo multilaterale, legata al principio
del co-sviluppo.
Tali due livelli di cooperazione dovevano facilitare la creazione di una zona
di prosperità nella regione e rafforzare il processo di democratizzazione e di
cooperazione regionale tra i PTM. L’elemento innovativo di tale politica è
rappresentato dal coinvolgimento dei PTM e dell’UE in questioni d’interesse
collettivo. L’introduzione in tali relazioni della cooperazione culturale, riconosciuta
all’interno di ogni progetto di cooperazione regionale nell’aspetto denominato
“dimensione culturale dello sviluppo” fa parte della strategia globale per
l’integrazione. Lo scopo fondamentale di tale politica è quello di rendere i PTM
interdipendenti.
Ancora nel 1992 la Commissione Europea istituisce tutta una serie
d’interventi, denominati programmi MED. Questi programmi sono basati sui
principi innovativi suddetti, che qualche anno dopo, ancora meglio strutturati,
daranno luogo all’iniziativa del partenariato. Lo scopo dei programmi MED è
quello di creare una rete trans mediterranea decentralizzata che agevoli le relazioni
tra attori sociali pubblici e privati dell’UE e dei PTM.
Sempre nel 1992 abbiamo il vertice di Lisbona durante il quale il bacino
mediterraneo viene riposizionato al centro della politica estera e di sicurezza
comune, come area in cui intervenire con un’azione congiunta.