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Introduzione.
Negli ultimi anni l’Italia ha vissuto una forte pressione migratoria, dovuta
a molteplici fattori. Uno dei principali pull-factors di questo fenomeno è
stato l’acuirsi di alcuni dei conflitti che attanagliano i Paesi del Nord
Africa.
Sempre più spesso, tra le persone arrivate sulle nostre coste, si ritrovano
anche i cosiddetti “migranti economici”, costretti ad affrontare viaggi della
speranza in assenza di vie legali di accesso all’Italia. Vie legali che si
concretizzano spesso nei decreti flussi che permettono ad una determinata
quota di cittadini extracomunitari di fare richiesta di un visto per lavoro,
sia esso stagionale, subordinato o autonomo. Ciò consente, di norma,
l’accesso al nostro Paese in maniera del tutto lecita e permette di espletare
determinate mansioni lavorative per un certo periodo di tempo.
Tuttavia, per quanto riguarda i decreti flussi, i numeri relativi alle quote
pubblicati negli ultimi anni sono davvero molto esigui. Aspetto da non
sottovalutare, poi, è tutto ciò che riguarda il meccanismo di ingresso. In
genere il lavoratore stagionale, subordinato o autonomo fa ingresso in
Italia dopo essere stato chiamato da un datore di lavoro italiano. La
chiamata può essere nominativa o numerica
1
. Ma bisogna guardare ad una
faccia della medaglia che, per molti, resta invisibile. Sempre più spesso
accade che il cittadino che viene regolarizzato tramite decreto flussi risieda
già abitualmente sul territorio italiano, avendo un rapporto lavorativo
stabile, ma in nero. In questo caso, il lavoratore - utilizzando i mezzi più
svariati- fa ritorno al proprio Paese, viene nominalmente chiamato tramite
1
Nel Paese di origine esistono delle speciali liste di collocamento, alle quali si attinge per
la scelta dei nominativi dei lavoratori da impiegare in Italia. Si può chiamare un
determinato cittadino con specifiche competenze oppure chiamare interi gruppi di
cittadini extracomunitari, con o senza particolari qualifiche o abilità lavorative.
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il servizio di collocamento e fa nuovamente ingresso in Italia dove può,
finalmente, ottenere un contratto di lavoro a norma.
In un certo senso, quindi, i decreti flussi sembrano aver sostituito le
sanatorie per la regolarizzazione degli stranieri che risiedono illegalmente
sul territorio italiano. Basti pensare che l’ultima sanatoria è stata emanata
nel 2012. Da allora, si sono rincorse solo voci circa la presunta emanazione
di nuove sanatorie ma, fino ad adesso, nulla è stato ancora pubblicato a tal
proposito.
Si comprende dunque, anche se parzialmente, quanto sia complesso il
quadro dell’immigrazione nel nostro Paese e quanto risulti difficile
accedere al territorio in maniera legale negli ultimi anni.
Ecco, allora, che sulle nostre coste si sono susseguiti numerosi arrivi di
persone extracomunitarie a bordo di barconi. Si tratta di gruppi di migranti
estremamente diversificati: profughi di guerra, richiedenti asilo, persone
scappate dal proprio Paese per motivi di persecuzione a sfondo razziale,
religioso o dovuta al proprio orientamento sessuale, individui venuti per
trovare un lavoro che permetta loro di dare sostegno alla famiglia nel Paese
di origine e di guadagnarsi una posizione sociale migliore rispetto a quella
che si aveva precedentemente.
Le rotte percorse dai migranti, in cerca di salvezza o nella speranza di una
vita migliore di quella condotta nella propria terra, sono state tre le più
svariate.
La rotta balcanica, tra le tante, è stata quella che più a lungo è stata
percorsa. È stata uno dei punti in cui si sono verificati numerosi casi di
respingimenti e di violazioni sistematiche dei diritti umani dei migranti
2
.
Frequenti sono stati gli scontri tra gruppi di migranti e forze dell’ordine o
gruppi armati di diverso genere. Abusi, detenzioni arbitrarie e
2
MOVING EUROPE, Report on Police Violence during Push-Backs from Hungary, 29
June 2016, http://moving-europe.org/report-on-police-violence-during-push-backs-from-
hungary/
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respingimenti dall’Ungheria alla Serbia sono stati pressoché all’ordine del
giorno.
Nel 2015 l’Ungheria ha annunciato l’estensione della sua barriera anti-
migranti, già presente in prossimità della Serbia, lungo il confine con la
Croazia. La Croazia, sulla scia di quanto fatto dall’Ungheria, ha chiuso 7
dei suoi 8 valichi di frontiera con la Serbia. Si è innescata una reazione a
catena; è stata chiusa anche la frontiera tra Serbia e Slovenia. Dopo la
chiusura quasi totale di tale rotta i migranti hanno dovuto reinventare nuovi
percorsi.
È stato allora che l’asse si è spostato verso la Libia, territorio estremamente
complesso dal punto di vista geo-politico.
Un aspetto che va sottolineato è che la Libia è uno di quei Paesi che non
ha ratificato la Convenzione di Ginevra sullo status di rifugiato del 1951.
Ciò ha delle forti ripercussioni sulla gestione dei flussi migratori, dato che
la Libia, non avendo un sistema di asilo di riferimento, non riconosce
nessuno dei motivi che garantirebbero lo status di rifugiato politico e
criminalizza i migranti che entrano illegalmente nel Paese.
In Libia non è garantito il rispetto dei diritti fondamentali dei migranti che
qui si trovano a sostare o risiedere, in qualità di prigionieri o lavoratori
forzati, per periodi più o meno lunghi.
Se nel 2016 in Italia sono arrivate 181.436 persone via mare, nel 2017 si
contano 119.369 arrivi e nel 2018 (dati aggiornati al 9 Febbraio 2018)
3
se
ne contano 4.731.
Dal mese di Agosto 2017 si è avuto un drastico calo degli sbarchi.
Questi sono i dati relativi agli ultimi mesi dell’anno corrente: Agosto 3.920
arrivi, Settembre 6.282 arrivi, Ottobre 5.984 arrivi, Novembre 5.641 arrivi,
Dicembre 1.021 arrivi.
3
MINISTERO DELL’INTERNO, Cruscotto statistico giornaliero, 09 Febbraio 2018,
http://www.interno.gov.it/sites/default/files/cruscotto_giornaliero_09-02-2018.pdf
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Comparandoli con i dati dell’anno scorso che vedevano 21.294 arrivi ad
Agosto, 16.975 arrivi a Settembre, 27.384 arrivi ad Ottobre, 13.581 arrivi
a Novembre e 8.428 arrivi a Dicembre si comprende la portata del
fenomeno di riduzione degli arrivi sulle nostre coste. Diverse sono le cause
che hanno portato al ridimensionamento degli arrivi.
Una delle principali è la stipula degli accordi tra Italia e Libia per arrestare
i flussi di migranti verso le porte dell’Europa.
Se, da un lato, tali accordi sembrano aver raggiunto lo scopo di far calare
il numero di arrivi, dall’altro hanno intrappolato migliaia di persone in un
Paese instabile, conteso tra 3 governi di cui solo uno riconosciuto dalla
comunità internazionale, un Paese in cui i migranti sono costretti a subire
violenze fisiche e psichiche di ogni sorta, stupri, percosse, umiliazioni e,
nei casi più gravi, sono destinati alla morte o assistono all’uccisione
brutale di loro amici o familiari.
Nonostante l’art.33 della Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status di
rifugiato sancisca il principio di non-refoulement, che afferma l’obbligo
per gli Stati di non respingimento di un rifugiato – a prescindere
dall’ottenimento di tale status o dalla presentazione della domanda per
ottenere protezione internazionale -, i casi di respingimento di migranti
sono stati piuttosto numerosi. Anche il divieto di espulsioni collettive è
stato spesso infranto, soprattutto nei casi in cui sono stati emanati fogli di
via a gruppi interi di rifugiati ai quali, in diversi casi, non è stato neanche
garantito l’accesso alla procedura d’asilo e, di conseguenza, non è stato
possibile presentare domanda e vedere tale pratica esaminata dagli organi
competenti.
È opportuno fornire alcuni dati relativi alla procedura d’asilo nel nostro
Paese
4
.
4
MINISTERO DELL’INTERNO, Dati asilo 2015 – 2016,
http://www.libertaciviliimmigrazione.dlci.interno.gov.it/sites/default/files/allegati/riepil
ogo_dati_2015_2016_0.pdf
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I dati del 2017 sono ancora in fase di elaborazione ma, se si esaminano
quelli dei due anni precedenti, si ha un quadro significativo ed esplicativo
delle ultime tendenze in materia di procedura d’asilo.
Nel 2015 sono state esaminate 71.117 richieste di protezione
internazionale. Nel 42% dei casi il richiedente ha ottenuto una forma di
protezione: è stato riconosciuto lo status di rifugiato nel 5% dei casi, la
protezione sussidiaria nel 14% dei casi e la protezione umanitaria nel 22%.
Nel 58% dei casi si è avuto, invece, un diniego.
Nel 2016 sono state esaminate 91.102 richieste di protezione
internazionale. Nel 40% dei casi il soggetto che ha formulato la domanda
di protezione si è visto riconoscere una forma di protezione: al 5% dei
soggetti richiedenti è stato garantito lo status di rifugiato, al 14% è stata
accordata la protezione sussidiaria e al 21% l’umanitaria. Vi è stato un
diniego per il 60% degli individui che hanno presentato domanda.
Fonte: Eurostat (http://ec.europa.eu/eurostat)
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La tabella, pubblicata sul sito EuroStat
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, indica quante domande sono state
rifiutate, qual è la percentuale di concessione di protezione umanitaria,
sussidiaria e la percentuale del riconoscimento dello status di rifugiato
politico in base al Paese che ha esaminato la domanda d’asilo.
Bisogna evidenziare che, sebbene i flussi si siano momentaneamente
ridotti, le morti in mare durante l’anno 2017 non sono calate di molto. Tale
fenomeno è dovuto soprattutto al fatto che, negli ultimi periodi, i trafficanti
libici hanno iniziato ad usare imbarcazioni sempre più precarie e a
“stipare” sempre più persone su di esse con quantità di carburante sempre
più esigue aumentando, inevitabilmente, il rischio di naufragi.
Nel Capitolo 1 sarà possibile trovare una panoramica sui flussi migratori
verso l’Italia negli ultimi decenni. Vi sarà un confronto tra i modelli
migratori dei decenni passati e i modelli migratori utilizzati negli ultimi
anni: si cercherà di capire quale sistema adottano i migranti per spostarsi
dal loro Paese di origine, se queste persone si spostano individualmente,
in nuclei familiari, con amici, con gruppi di persone provenienti dalla
stessa etnia o popolo, se una volta arrivati nel Paese di destinazione hanno
determinati modelli comportamentali e di integrazione (assimilazione,
integrazione, negazione della propria cultura di origine). Si analizzerà la
cosiddetta “emergenza migranti”, denominazione indicativa del fatto che
del sistema accoglienza in Italia, nonostante una storia migratoria ormai
non più recentissima, si parli ancora sempre e solo in ottica emergenziale,
senza neanche pensare di adottare politiche migratorie di lungo periodo,
così come è successo in altri Paesi Ue.
Il Capitolo 2 tratterà del famoso Caso Hirsi, primo caso di respingimento
collettivo in alto mare riguardante 24 cittadini extracomunitari.
5
EUROSTAT, Distribution of first instance decisions on (non-EU) asylum applications,
2016 (%), http://ec.europa.eu/eurostat/statistics-
explained/index.php/File:Distribution_of_first_instance_decisions_on_(non-
EU)_asylum_applications,_2016_(%25)_YB17.png
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Nel primo paragrafo si parlerà del trattato Italia-Libia di amicizia,
partenariato e cooperazione, firmato a Bengasi nell’agosto 2008.
Saranno poi enunciati i fatti relativi all’episodio verificatosi nel caso Hirsi,
verrà illustrato il contenuto della sentenza della Corte Europea dei Diritti
Umani la quale ha condannato l’Italia per gravi violazioni della
Convenzione CEDU, nello specifico violazione dell’art. 3
6
, art.4 del
Protocollo N. 4
7
e art. 13
8
in combinato disposto con gli art. 3 e 4 Prot.4.
Vi sarà anche una breve delucidazione sul concetto di giurisdizione e sui
modelli attuati all’interno della giurisprudenza della Corte EDU.
Il Capitolo 3 sarà incentrato sulla Libia dei giorni nostri. Ampio spazio
sarà dato al Memorandum d’intesa Italia-Libia al fine di contrastare
l’immigrazione clandestina e la tratta di esseri umani.
Un particolare accento sarà posto sulle violazioni dei diritti umani alla luce
dei rapporti internazionali e sulla recentissima condanna del Tribunale
Permanente dei Popoli nei confronti di Ue e Italia, proprio in merito
all’accordo stipulato con la Libia.
6
L’art. 3 della CEDU prevede il divieto di tortura, pene o trattamenti inumani o
degradanti.
7
L’art. 4 del Protocollo n.4 prevede il divieto di espulsioni collettive.
8
L’art. 13 della CEDU sancisce il diritto ad un ricorso effettivo.