5
INTRODUZIONE
Nell‟attuale epoca di globalizzazione, caratterizzata dalla
mondializzazione dei trasporti, dell‟informazione e dell‟economia, forte è
l‟esigenza di assicurare la cooperazione internazionale di polizia nell‟attività
di prevenzione e contrasto contro fattispecie criminali sempre più
transnazionali.
Di fronte alla facilità attraverso cui i criminali o gruppi criminali si
muovono nel territorio di più Stati diviene inevitabile eliminare o
comunque attenuare quegli ostacoli giuridici ed amministrativi che
impediscono una pronta risposta perpetrata a livello internazionale.
La presente trattazione si pone l‟obiettivo di evincere lo stato attuale
della cooperazione internazionale di polizia attraverso un‟analisi critica dei
maggiori strumenti giuridici utilizzati per instaurare rapporti collaborativi
tra le forze di polizia di diversi Stati.
In particolare, lo studio si limita alla rilevazione, dal punto di vista
formale, dei maggiori strumenti negoziali di diritto internazionale volti a
favorire il coordinamento delle sovranità nazionali nell‟espletamento
dell‟attività di prevenzione e lotta contro determinate fattispecie criminali
aventi rilievo transnazionale.
L‟indagine si sviluppa secondo una prospettiva storico-evolutiva volta
alla rilevazione dei primi strumenti intergovernativi di international policing
sino alla evidenziazione di un sistema più complesso sia a livello universale
che a livello europeo, di cui si tracceranno le principali linee guida.
Prima di definire il percorso argomentativo prescelto è, tuttavia,
necessario chiarire che gli strumenti giuridici di cui si tratta non
costituiscono gli “unici” strumenti volti a favorire tale cooperazione.
A livello soprattutto sub-regionale si riscontrano numerose iniziative,
aventi per lo più rilievo politico, dirette a favorire la cooperazione in esame.
A titolo esemplificativo possiamo menzionare l‟Iniziativa Adriatica-
Ionica sviluppatasi all„interno del Patto di Stabilità per l„Europea sud-
orientale, l‟Iniziativa Centro-Europea, il Gruppo Roma-Lione, il Southeast
European Cooperative Initiative (S.E.C.I).
6
L‟impossibilità di dedicarsi anche a tali strumenti per la mole di lavoro
che ne deriverebbe ha comportato una limitazione dello studio agli ambiti
precedentemente indicati.
Specificamente, il lavoro risulta essere composto da tre parti unite tra
di loro da un filo conduttore storico-evolutivo.
Nella prima parte la trattazione verterà sulla evidenziazione delle tappe
storiche che hanno portato ad una coscienza più generalizzata in materia di
international policing.
A tal proposito si evidenzierà come tale coscienza, consistente
nell‟esigenza di cooperare oltre i propri confini territoriali nell‟espletamento
dell‟attività di polizia, abbia portato dalla negoziazione dei primi strumenti
multilaterali di cooperazione intergovernativa alla costituzione di Interpol,
quale primo strumento di cooperazione istituzionalizzata di polizia operante
a livello universale.
Una volta rilevati i limiti sostanziali e procedurali caratterizzanti
l‟azione di Interpol, strumento per lo più volto a favorire lo scambio delle
informazioni tra le varie agenzie nazionali di polizia, si passerà poi ad
affrontare, nella seconda parte del lavoro, il cammino che ha condotto alla
affermazione di un sistema più complesso ed articolato, caratterizzato da
un uso diversificato degli strumenti tanto bilaterali quanto di quelli operanti
nell‟ambito e sotto l‟egida delle Nazioni Unite, come a tutti ben noto
strumento universale di coordinamento della cooperazione a fini politici
generali. Per tale motivo la nostra indagine non potrà non tener conto
dell‟attività di impulso perpetrata dalla Nazioni Unite in materia.
Nella disamina degli strumenti operanti e/o adottati nell‟ambito Onu,
infine, particolare attenzione sarà pure prestata all‟art.86 dello Statuto della
Corte penale Internazionale.
Sulla base che il trattato istitutivo del primo tribunale penale
internazionale a carattere permanente è stato adottato a seguito della
convocazione da parte delle NU della Conferenza diplomatica di Roma, si è
ritenuto doveroso trattare anche di tale disposizione che pone in capo agli
Stati parte l‟obbligo di cooperare con la Corte nella repressione dei “crimini
internazionali dell‟individuo”, da distinguersi dai crimini transnazionali
7
giustificanti l‟adozione dei precedenti strumenti di cooperazione
intergovernativa di polizia.
Nella terza parte, infine, la trattazione analizzerà il processo evolutivo
che ha caratterizzato la cooperazione internazionale di polizia a livello
europeo.
In tal ambito regionale, particolare attenzione sarà prestata sia al ruolo
svolto dal Consiglio d‟Europa nella promozione e rafforzamento della
cooperazione internazionale di polizia, dal secondo dopoguerra ai giorni
nostri, sia agli strumenti intergovernativi affermatisi dapprima nel contesto
comunitario e poi nel quadro UE a partire dagli anni ‟70.
In tale ultimo contesto verrà nello specifico evidenziato come il
processo di integrazione europea abbia gradualmente coinvolto il settore
della cooperazione di polizia.
A tal riguardo si rileverà come dagli strumenti predisposti dal Terzo
pilastro “intergovernativo” dell‟Unione Europea, si sia giunti, per le
innovazioni apportate dal Trattato di Lisbona, anche in tale materia, alla
utilizzazione degli strumenti tipici del diritto comunitario, quali regolamenti,
direttive e decisioni.
VIII
CAPITOLO I
Dalle Conferenze Anti-Anarchiche alla O.I.P.C-Interpol:
le tappe verso l’affermazione
di una coscienza più generalizzata in materia
1.1. Le origini dell’international policing: il sorgere dell’esigenza di
cooperare oltre i confini territoriali. Verso l’implementazione di
strumenti multilaterali di cooperazione intergovernativa.
L‟esigenza di cooperare oltre i propri confini territoriali nell‟attività di
prevenzione e lotta contro determinate forme di criminalità aventi rilievo
transnazionale 1 non è frutto dell‟attuale epoca di globalizzazione.
Le radici storiche dell‟international policing risalgono, almeno, allo
sviluppo degli Stati nazionali avvenuto a partire dal XIX secolo 2.
E‟, infatti, in tale periodo storico, di innovazione nel sistema dei
trasporti e di vorticosa industrializzazione della società europea, che sorge
1
In tale categoria si annoverano quegli atti criminali, che pur essendo rilevati dal diritto
interno, si propagano in più Stati. Si tratta di crimini che possono effettivamente creare
un allarme nella comunità internazionale perché coinvolgono una pluralità di Stati (il
traffico di droga o di armi), o i cittadini di più Stati (per esempio la tratta degli esseri
umani), oppure perché si svolgono in zone del mare sottratte alla sovranità degli Stati (la
pirateria), o mettono in pericolo valori comuni all‟insieme di Stati (per esempio la
riduzione in schiavitù), o addirittura anche due o più di questi elementi insieme (come
ad esempio il terrorismo internazionale). Tuttavia, al momento, nessuno di questi
crimini è stato attribuito alla giurisdizione della Corte penale internazionale o di altri
giudici internazionali; pertanto sfuggono dall‟ambito della giustizia penale internazionale
in senso proprio e spetta esclusivamente agli Stati il compito di individuare e punire i
responsabili. ZAPPALA‟, La giustizia penale internazionale, Bologna, 2005, p.18.
2
Forme di assistenza reciproca informale fra le polizie di Paesi confinanti si conoscono
sin dal XVII-XVIII secolo. Si ricordi l‟attività consultiva espletata dal Lieutenant General,
Sartine, Comandante d‟Alba, della polizia di Parigi nei confronti del Papa, Maria Teresa
d‟Austria e Caterina la Grande di Russia, nella seconda metà del XVIII secolo. Episodio
tratto da ANDERSON, Policing the world: Interpol and the politics of international police
cooperation, Oxford, 1989, p.148.
IX
l‟esigenza della creazione di una forma diretta e costante di collaborazione
tra le polizia dei vari Stati, per agevolare la cattura e la consegna di criminali
riparati all‟estero dopo la consumazione di fatti delittuosi.
Nonostante l‟esistenza di accordi internazionali in materia di
estradizione, riusciva allora molto difficile pervenire al rintraccio e
all‟arresto di un delinquente riparato in uno Stato estero ed ottenerne la
consegna, sia per le lungaggini burocratiche, in quanto la diplomazia
rappresentava l‟unico canale utilizzabile per la realizzazione di tale finalità,
sia per ragioni legate a contrasti politici esistenti tra Stati e sia, in particolare,
per la mancanza di sicuri ed omogenei dati di identificazione e di tutti
quegli altri elementi di informazione indispensabili per un corretto avvio
delle indagini 3.
L‟esempio più antico in Europa di accordo formale fra Stati per lo
scambio di informazioni nelle indagini di polizia è rappresentato
dall‟iniziativa, avvenuta ad Amburgo nel 1888, di Austria, Belgio ed Olanda,
di avviare una collaborazione contro la criminalità attraverso un fitto
scambio di informazioni 4.
E‟, tuttavia, agli inizi del XX secolo che le attività di international policing
subiscono un impressionante sviluppo, dovuto, in larga misura, alla
depoliticizzazione, avvenuta in numerosi Stati del vecchio continente, della
funzione di polizia 5.
3
BRANCACCIO, voce L‟Organizzazione Internazionale di Polizia Criminale (INTERPOL),
in Enc. Giur. Treccani, Roma, 2006, p. 669.
4
ROMANI, Servizi di polizia internazionale, cooperazione giudiziaria e terzo pilastro dell‟Unione
Europea, Padova, 2009, p. 117.
5
DEFLEM, Wild beasts without nationality, the uncertain origins of Interpol 1898-1910, in
Handbook of Transnational Crime and Justice, California, 2005, p. 275-276.
X
Peraltro, non sarebbe corretto affermare che il cambiamento verso la
criminal police cooperation abbia rappresentato una radicale frattura dai primi
sforzi di political police cooperation.
Al contrario, gli eventi storici a noi disponibili mostrano come lo
sviluppo ed il rafforzamento della cooperazione internazionale di polizia
per “funzioni di polizia criminale” sia stata favorita dalle precedenti
pratiche di cooperazione internazionale di polizia politica.
Ovviamente, l‟ingerenza degli interessi politici impediva l‟elaborazione
di strumenti multilaterali di cooperazione aventi un ampio consenso
internazionale, ma agevolò, soprattutto in Europa, tra Stati ideologicamente
affini e politicamente simili, l‟implementazione dei primi strumenti “stabili”
di cooperazione diretti specificamente alla salvaguardia degli allora regimi
autocratici dagli attacchi provenienti dagli oppositori politici 6, sospettati di
attività sovversive.
Tra i diversi tentativi di sistematizzare la cooperazione internazionale
di “polizia politica” ricordiamo l‟Unione di Polizia degli Stati Germanici, un
organismo internazionale di polizia, attivo dal 1851 al 1866, e frutto
dell‟iniziativa assunta dalle polizie di sette nazioni di lingua germanica unite
in una Confederazione di Stati 7.
Tale Unione, il cui scopo era quello di agevolare lo scambio delle
informazioni aventi ad oggetto tutte quelle attività capaci di minacciare la
stabilità dell‟ordine politico, tuttavia, operava senza una formale base
giuridica, senza un accordo formale firmato dai governi delle polizie
6
Liberali, socialisti, democratici ed anarchici.
7
A seguito di una Conferenza tenutasi a Dresda, il 9 aprile 1851, proposta da Von
Hinckeldey, capo della polizia di Berlino, i rappresentanti delle polizie di Austria, Baden,
Prussia, Hannover, Saschen, Wüttemberg, Baviera, si accordarono sulla istituzione della
Polizeiverein.
XI
partecipanti, sebbene, naturalmente, della sua esistenza gli stessi ne fossero
informati e compiaciuti 8.
Il carattere informale e l‟ingerenza degli interessi politici costituirono,
d‟altronde, il tallone d‟Achille di questo primo tentativo di istituzionalizzare
l‟international policing.
Non solo, infatti, l‟Unione fallì nel progetto originario di dar vita ad
una formula cooperativa coinvolgente tutti gli Stati dell‟Europa occidentale,
ma, altresì, fu riposta nel dimenticatoio quando i rapporti tra gli Stati delle
polizie partecipanti si fecero più complicati, sino al suo scioglimento allo
scoppio della guerra tra Austria e Prussia.
E‟, comunque, con la Conferenza internazionale di Roma del 1898 che
passi in avanti furono compiuti nella cooperazione intergovernativa di
polizia, su base multilaterale, affinché la stessa si spingesse oltre il semplice
scambio di informazioni ed assumesse anche forme operative.
8
A Monaco, ad esempio, il rappresentante austriaco informò il Primo Ministro bavarese
Von der Pfordten del progetto di dar vita all‟Unione. Quest‟ultimo lo comunicò al
Ministro dell‟Interno Von Zwehl, che informò a sua volta il Re Massimo II. Il Re
assicurò il Ministro dell‟utilità dell‟Unione anche se alla stessa non garantì alcuna base
giuridica. L‟episodio è riportato da DEFLEM, International policing in 19th-century Europe:
the Police Union of German States 1851-1866, in International Criminal Justice Review, Boston,
p. 37-38.
XII
1.2. Gli antecedenti storici: dalle Conferenze Anti-Anarchiche di
Roma e San Pietroburgo agli Accordi sulla Tratta delle Bianche.
Il passaggio dalla political police cooperation alla criminal
police cooperation. Luci ed ombre dei primi strumenti giuridici
di collaborazione multilaterale tra le forze di polizia.
Nell‟ultima decade del XIX secolo numerosi attentati, messi in atto da
militanti anarchici, scossero le fondamenta dei regimi autocratici europei ed
accelerarono le attività informali di polizia aventi ad oggetto obiettivi
politici 9.
E‟, parzialmente, in risposta a questo “decennio di regicidio” 10, che
nuovi tentativi furono intrapresi per instaurare la cooperazione
internazionale di polizia a livello multilaterale e dotarla di una forma che
avrebbe dovuto superare gli ostacoli posti dalla sovranità nazionale.
Sebbene, molti di tali tentativi furono caratterizzati dall‟insuccesso 11,
essi diedero l‟avvio ad un importante cambiamento nella cooperazione
internazionale di polizia, le cui conseguenze chiaramente si mostrarono
nella prima metà del XX secolo.
Nel 1890 si assiste alla ripresa delle insurrezioni anarchiche e, in
risposta, all‟intensificazione delle azioni internazionali di polizia dirette alla
loro eliminazione 12, determinate, soprattutto, a livello bilaterale.
Esemplare in tal senso è l‟accordo italo-francese del 1898 grazie al
quale la polizia francese ed italiana intrapresero un fitto scambio di
informazioni, attraverso i propri canali diplomatici, concernenti le possibili
connessioni tra gli attentati di Milano, una rapina in banca a Parigi ed il
furto di materiale esplosivo avvenuto in Svizzera.
9
DEFLEM, Wild beasts, cit., p. 278.
10
Espressione coniata dallo storico Richard Jensen.
11
Si ricordi i negoziati tra il governo francese e quello spagnolo, a seguito degli attentati
di Parigi e Barcellona del 1893, aventi ad oggetto la costituzione di una Organizzazione
internazionale di polizia anti-anarchica. Progetto a cui mostrarono interesse, altresì, il
governo inglese, austriaco e tedesco.
12
Numerosi furono gli attentati messi in atto dagli anarchici, tra il 1890 e il 1898; si
calcola che a causa degli stessi persero la vita più di 60 persone, mentre altre 200 ne
rimasero ferite. Tra il marzo del 1892 ed il giugno del 1894, 11 attentati dinamitardi
arrecarono, nella sola città di Parigi, la morte di 9 persone.
XIII
Fu, peraltro, l‟assassinio dell‟Imperatrice Elisabetta d‟Austria, ad opera
dell‟anarchico Luigi Lucheni, a fomentare le preoccupazioni internazionali
nei confronti della minaccia anarchica.
Naufragato il progetto austriaco, proposto dal Ministro degli Esteri
Goluchowsky al suo collega svizzero, di creare una Anti-Anarchist
International Police League, il governo italiano organizzò a Roma, il 29
settembre del 1898, una Conferenza internazionale al fine, per l‟appunto, di
elaborare una strategia congiunta contro l‟anarchismo 13.
La Conferenza internazionale di Roma per la difesa sociale contro gli
anarchici si tenne dal 24 novembre al 21 dicembre e ad essa parteciparono
54 delegati di almeno 21 Paesi europei, per lo più rappresentanti
governativi, ma altresì ufficiali di polizia.
I lavori di tale Conferenza si svolsero in due commissioni, la prima
delle quali dedicata allo studio dei problemi legislativi, la seconda alle
questioni amministrative 14.
La prima commissione affrontò, soprattutto, il problema della
necessità di una definizione universale di anarchismo, avulsa da ideologismi
politici, da porre alla base della cooperazione, nonché la determinazione di
tutti i provvedimenti normativi interni, in un‟ottica di armonizzazione
normativa, che gli Stati partecipanti avrebbero dovuto adottare per
assicurare e rendere effettiva la cooperazione multilaterale tra le forze di
polizia 15.
La seconda commissione, invece, si dedicò, tra le varie questioni
amministrative, alla agevolazione della cooperazione tra le forze di polizia
dei Paesi partecipanti, attraverso l‟inclusione, nel Protocollo finale, di
disposizioni che incoraggiavano i governi partecipanti alla costruzione di
13
TAMBURINI, La Conferenza per la difesa sociale contro gli anarchici, in Rivista Trimestrale di
Studi Storici,n.2, Roma, 1992, p. 228.
14
ROMANI, op.cit., p. 118.
15
Nel Protocollo finale, firmato da tutti i Paesi partecipanti, ad eccezione dell‟Inghilterra,
troviamo, infatti, la definizione di anarchismo, secondo la quale: “l‟anarchismo è
qualsiasi atto, perpetrato tramite l‟uso della violenza, diretto alla distruzione di tutto
l‟ordine sociale”; nonché disposizioni pattizie in cui gli Stati si impegnano a
criminalizzare, mediante norme nazionali, determinate condotte come l‟uso ed il
possesso illegittimo di materiale esplosivo, l‟appartenenza ad una organizzazione
anarchica e la propaganda anarchica.
XIV
una Agenzia Speciale di Sorveglianza e alla elaborazione di un Sistema di scambio
di informazioni diretto tra le stesse.
Inoltre, i Paesi firmatari il Protocollo si accordarono sull‟utilizzazione
del portrait parlè 16, quale metodo comune di identificazione criminale e sulla
adozione della cosiddetta Clausola Belga, attraverso cui si prevedeva
l‟estradizione di persone accusate di aver tentato di assassinare o rapire un
sovrano o Capo di Stato.
Qualche anno dopo, nel novembre del 1910, venne dal governo russo
istituita una seconda Conferenza anti-anarchica a San Pietroburgo, che si
concluse con la firma, da parte di 10 Paesi partecipanti, del “Protocollo
segreto per la guerra internazionale contro gli anarchici”.
Benché l‟anarchismo venne formalmente depoliticizzato, tale da
favorire un‟ampia partecipazione internazionale alle Conferenze di Roma e
San Pietroburgo, le persistenti differenze ideologiche-politiche tra i poteri
governativi impedirono alle norme pattizie di trovare traduzione negli
ordinamenti nazionali e, di fatto, ostacolarono le implicazioni pratiche del
relativo progetto volto al rafforzamento della cooperazione internazionale
di polizia 17.
In particolare, gli Stati, ancorati al carattere assoluto della sovranità
nazionale, abbandonarono il progetto di istituire un “ufficio centrale di
intelligence anti-anarchico” nel territorio di uno Stato membro, competente
nella direzione e coordinamento dello scambio delle informazioni rilevanti
in materia di lotta contro i movimenti anarchici.
Tuttavia, è da evidenziare come tale incontri multilaterali
contribuirono ad intensificare lo scambio diretto delle informazioni tra le
varie forze di polizia nazionali, traducendo in impegni giuridicamente
rilevanti una esigenza da tempo sentita, soprattutto dagli addetti ai lavori 18 .
16
Il Portrait Parlè (spoken picture) è una versione più sofisticata del “sistema
Bertilloniano” di Alphonse Bertillon. E‟ un metodo di identificazione che classica i
sospetti criminali sulla base delle dimensioni di alcune parti del corpo e del capo.
17
DEFLEM, Policing world society: historical foundations of international police cooperation,
Oxford, 2002, p. 24.
18
Indicativo, in tal senso, è l‟intervento di Howard Vincent, ex capo della Criminal
Investigation division of Scotland Yard, alla Conferenza di Roma: “if only by forming reciprocal
friendship leading to greater cooperation”.
XV
La peculiarità di tali Conferenze fu, inoltre, rappresentata
dall‟adozione delle proposte operative ed amministrative elaborate dagli
ufficiali di polizia, che informalmente si riunivano al fine di individuare le
strategie operative più opportune nella lotta contro una realtà criminale
senza frontiere.
Il passaggio dalla cooperazione politica a quella di polizia criminale,
peraltro, si esplicitò in una serie di accordi multilaterali, firmati a Parigi tra
il 1902 ed il 1910, aventi ad oggetto the suppression of white slavery, ossia la
eliminazione della tratta delle bianche 19.
I movimenti anarchici e la tratta delle bianche avevano in comune la
caratteristica di essere stati percepiti dalle autorità governative e di polizia
come fatti aventi rilevanza internazionale 20, bisognosi di una risposta
perpetrata a livello internazionale.
In materia di lotta congiunta contro il fenomeno della
commercializzazione internazionale delle donne al fine di avviarle alla
prostituzione, importanti furono l‟Accordo multilaterale firmato a Parigi nel
1904 e quello successivo del 1910.
Invero, mentre il primo Accordo del 1902 affrontava il primo passo
verso la cooperazione, quello della criminalizzazione del fatto ad opera di
tutti i soggetti internazionali impegnati nell‟attività di contrasto, l‟accordo
del 1904, firmato da 12 Paesi europei, prevedeva al suo art. 9 tanto
l‟obbligo, da parte degli Stati membri, di controllare, mediante le proprie
forze di polizia, tutte le persone sospette presenti nelle stazioni ferroviarie e
nei porti, quanto l‟impegno ad istituire, in ogni Paese firmatario, uffici di
intelligence anti-prostituzione in contatto diretto tra di essi 21.
Il successivo accordo del 1910 si limitava a riaffermare le disposizioni
del precedente accordo del 1904 e, in aggiunta, in materia di operazioni di
19
DEFLEM, Wild beasts, cit., p. 283-284.
20
Il Ministro degli Esteri austriaco, Goluchowsky, si riferì agli anarchici come a delle wild
beasts without nationality who were a manace to all persons.
21Inoltre l‟accordo sanciva l‟obbligo di elaborazione di un rapporto, indicante le
prostitute straniere presenti nel proprio territorio, da consegnare ai Paesi d‟origine,
nonché l‟obbligo di rimpatriare le proprie connazionali su richiesta delle autorità
straniere.
XVI
polizia, disciplinava all‟art. 6 un sistema di scambio di informazioni tra i
Paesi partecipanti, lasciando però gli Stati liberi di determinare il canale,
diplomatico o amministrativo, più opportuno per assicurare la diffusione
delle informazioni stesse.
L‟importanza di tali accordi multilaterali è da ravvisare, più che nella
predisposizione di nuove strategie operative di polizia, frutto altresì della
professionalità degli ufficiali di polizia, come accadde per i Protocolli finali
delle Conferenze anti-anarchiche 22, nel cambiamento dell‟oggetto della
cooperazione intergovernativa multilaterale.
E‟, infatti, con tali strumenti giuridici che gli Stati, di fronte alla
percezione transnazionale di un fenomeno criminoso, impossibile da
contrastare con i singoli strumenti nazionali, si avvalgono di quei nuovi
strumenti giuridici, gli accordi multilaterali, tendenti alla realizzazione a
livello collettivo di interessi individuali, in tal caso associati alla necessità di
contrastare in maniera efficace un fatto criminale scevro da problematiche
politiche.
Il primo passo verso la cooperazione di polizia criminale era stato
fatto, ma l‟originale iniziativa per una sistematica cooperazione
internazionale in materia di criminalità ordinaria nasce a Monaco nel 1914
per iniziativa del Principe Alberto I, che convocò, nel suo Principato, il
I Congresso di Polizia Giudiziaria Internazionale 23.
22
Mentre alle Conferenze anti-anarchiche di Roma e San Pietroburgo parteciparono
anche ufficiali di polizia, favorendo così la formazione di una cultura internazionale di
polizia relativa al diffondersi del fenomeno anarchico e alle strategie operative più
opportune per una efficace lotta contro lo stesso; agli incontri multilaterali, dai quali
vennero promulgati gli Accordi contro la tratta delle bianche, intervennero solo i
rappresentanti governativi.
23
ANDERSON, op.cit., p. 38.