6
dal proprio guscio” e penetrare nuovi mercati con moderni
strumenti associazionistici, facendo leva non più soltanto
sul prezzo ma su diversi fattori come la qualità, il design,
il contenuto tecnologico, il marchio oltre che alle
caratteristiche user friendly quali l’assistenza post-vendita
e l’affidabilità. Vi è, pertanto, l’esigenza di dare agli
imprenditori e ai manager delle imprese di dimensioni
minori la possibilità di riflettere
sull’internazionalizzazione con approcci vicini al loro
modo di operare, uno di questi è sicuramente l’accordo di
collaborazione. Gli accordi di cooperazione tra imprese
trovano ampio spazio sulle pagine delle riviste
manageriali e alcuni segnali lasciano intendere come tale
interesse non sia destinato a diminuire in brevi termini:
l’apertura all’est europeo, i complessi processi di
espansione, la sfida della Cina. Le alleanze tra imprese
costituiscono una risposta, spesso necessaria, a questi
imperativi strategici. Nella prima parte di questo lavoro ci
concentreremo sulla realtà delle Pmi italiane e sui
problemi che queste ultime incontrano di fronte alla sfida
dell’internazionalizzazione. Verrà in particolare posto
l’accento sul capitalismo familiare e come la cultura ad
7
esso connessa possa essere, in determinati casi, un
ostacolo allo sviluppo di realtà imprenditoriali più
importanti ed estese. La trattazione prosegue analizzando
le varie forme con cui si possono esplicare gli accordi di
collaborazione interaziendale, con un occhio di riguardo al
modello Joint Venture. Quest’ultimo è infatti diventato un
importante strumento sempre più utilizzato dalle imprese,
non solo di grandi dimensioni, per il perseguimento di
rilevanti obiettivi strategici.
9
Capitolo primo
L’internazionalizzazione delle PMI
italiane tra capitalismo familiare ed
esigenze globali.
1.1 Il panorama imprenditoriale
italiano: caratteristiche distintive e
specificità.
Il ruolo cruciale giocato dalle Pmi
1
nella struttura
industriale italiana è un fenomeno che risale all’inizio
1
Per Pmi si intendono, osservando l’impostazione ufficiale suggerita
dalla Commissione Europea nel ’96, le imprese con meno di 250
dipendenti, che abbiano un fatturato annuo non superiore ai 40 milioni
di Euro oppure con un totale attivo di bilancio non superiore a 27
milioni di Euro, col vincolo che si tratti di un’impresa indipendente.
Si noti che tali parametri sono validi per le sole imprese industriali,
valendo parametri meno elevati per le imprese di servizi. Cfr.
Commissione Europea, Decreto n. 96/280/CE del 3.4.1996, Art. 1
10
della prima rivoluzione industriale. La piccola e media
impresa ha affermato la sua posizione preponderante negli
anni ’70
2
protraendo il suo dominio sul nostro sistema
industriale fino ad oggi, epoca caratterizzata dalla
competizione tecnologica
3
. Tale situazione è confermata
in pieno dai dati prettamente numerici. Difatti, secondo un
censimento dell’Agosto 2007, risultano attive in Italia
5.785.126 imprese e in particolare
4
:
Società di capitali 1.008.038
Società di persone 1.141.298
Ditte individuali 3.471.882
Altre forme 163.917
2
Già negli anni '60 le piccole e medie imprese raggruppavano il 40%
della manodopera complessiva. Ma solo negli anni successivi
accrebbero il loro peso specifico e le loro capacità competitive tanto
che negli anni '70 arrivarono a rappresentare il 60% dell'intera
occupazione dell'industria manifatturiera. Uno dei motivi della loro
eccezionale espansione fu senz'altro l'aumento dei costi del lavoro
della grande industria
3
Cfr. M. CAROLI, Nuove tendenze nelle strategie di
internazionalizzazione delle imprese minori: le modalità di entrata
emergenti tra alleanze e commercio elettronico, Franco Angeli,
Milano, 2000, pp. 52-53
4
Fonte: “Cerved”, Business Information, Dettaglio delle società
censite nel database Cerved (Agosto 2007) dati tratti dal sito
www.cerved.net
11
La nostra situazione imprenditoriale, sotto il profilo
dimensionale, è quantomeno peculiare all’interno
dell’Unione Europea
5
, come ci conferma la tabella
sottostante
6
:
Fig n°1
Numero di
addetti
Francia Germania Italia Regno
Unito
Spagna
1-9 22,03 21,38 45,81 26,61 29,80
10-19 7,03 10,02 11,18 6,41 12,52
20-99 21,01 17,77 15,48 16,05 23,07
100-499 16,25 17,46 9,88 17,18 14,56
Più di 500 33,68 33,37 17,65 33,75 20,05
Totale 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00
5
Solo la Spagna, all’interno dell’Unione Europea, costituisce un caso
di sviluppo basato sulle piccole imprese.
6
Cfr. V. DESARIO, Il finanziamento delle piccole e medie imprese
tra localismo e globalizzazione, Intervento al convegno “Banche
locali e piccole e medie imprese”, Gennaio 1999
12
Il cosiddetto “nanismo” imprenditoriale italiano è
quindi lapalissiano, oltre che empiricamente, anche a
livello numerico. Una parziale spiegazione di questo stato
di cose è data dalla elevata specializzazione settoriale del
nostro sistema produttivo. Un paese che basa la propria
economia su lavorazioni che necessitano di minori
economie di scala avrà, come logica conseguenza, aziende
mediamente più piccole. L’utilizzo del termine parziale
non è però casuale, difatti la nostra industria ha una quota
maggiore di piccole e medie imprese anche in quelle
tipologie di settori nei quali, per ragioni tecnologiche, la
grande impresa ha un ruolo dominante. In altri termini, vi
sono nel nostro paese una o più ragioni che inducono alla
frammentazione delle aziende in tutti i settori. Le cause
della differenza dimensionale del nostro sistema
produttivo non risiedono tanto nella natalità netta di nuove
imprese, difatti l’economia italiana non presenta, nel
confronto con altri sistemi economici avanzati, un divario
rilevante per quanto concerne la nascita di nuove realtà
imprenditoriali quanto nell’aspetto puramente dinamico
13
della crescita dimensionale: le nostre aziende crescono
poco
7
. Sulla base dei dati e delle osservazioni fin qui
riportate risulta ora utile fare un confronto oltre che
meramente quantitativo anche qualitativo del nostro
sistema imprenditoriale rispetto a quello delle altre
nazioni che compongono l’Unione Europea.
Raffrontando la struttura produttiva italiana con quella del
resto dei paesi Ue si colgono nettamente, come dimostrato
in precedenza, due principali specificità del nostro
apparato produttivo: l’elevato numero di imprese attive e
la loro dimensione media estremamente ridotta. In Italia
trovano posto, infatti, circa un quarto di tutte le imprese
dell’industria in senso stretto dei paesi della comunità e un
quinto circa delle imprese dei servizi. Le imprese
industriali hanno in media 8,7 addetti, un valore
sensibilmente al di sotto dei 15 addetti per impresa
dell’insieme delle imprese europee. Anche fra le attività
dei servizi si riscontrano rilevanti differenze dimensionali,
particolarmente nella distribuzione commerciale, nei
servizi professionali e in quelli alla persona. Tali
7
AA.VV., Proprietà e controllo delle imprese in Italia, Società
editrice Il Mulino, Bologna, 2005, p. 17-18
14
differenze rispetto alla media dei paesi comunitari si sono
parzialmente attenuate in due settori chiave dei servizi:
quello bancario, che dall’integrazione europea ha ricevuto
una spinta alla concentrazione, e quello della distribuzione
commerciale, dove tuttavia ancora sussiste un’elevata
polverizzazione delle attività. Di conseguenza le piccole
imprese italiane assorbono una quota di occupazione
nettamente superiore a quella riscontrabile nella media
Ue: nell’industria manifatturiera, le imprese con meno di
dieci dipendenti generano quasi un quarto degli addetti.
Un ulteriore elemento di differenziazione della struttura
dell’economia italiana rispetto agli altri maggiori paesi
dell’Unione è la forte specializzazione produttiva e
commerciale dell’industria manifatturiera nei settori
tradizionali e metalmeccanici, con una presenza rilevante
in alcuni comparti di “nicchia”. In questi grandi ambiti, le
imprese mostrano una notevole integrazione di filiera e
una concentrazione territoriale importante. L’Italia si
caratterizza in particolare per una elevata specializzazione
soprattutto nei comparti del cuoio, tessile e abbigliamento,
nei quali il nostro paese concentra un’ampia porzione del
fatturato e degli addetti europei. Una significativa
15
specializzazione può essere notata anche nell’industria
meccanica, nella lavorazione di minerali non metalliferi
(settore legato alla filiera delle attività dell’edilizia) e in
altri comparti manifatturieri, soprattutto nella produzione
di mobili. In tutti questi settori l’Italia si distingue per una
forte presenza di piccole imprese. Diverso è il tipo di
specializzazione dei maggiori paesi del vecchio
continente. La Germania vanta una maggiore
specializzazione nell’industria meccanica e in quella
automobilistica; la Francia nell’industria aeronautica, nei
generatori di vapore e nel trattamento di combustibili
nucleari; il Regno Unito nell’industria aeronautica, nella
produzione di macchine per ufficio e nella raffinazione
8
.
Più simili all’Italia sono i settori di maggiore
specializzazione degli altri paesi dell’area mediterranea,
mentre l’Irlanda e gli altri paesi del Nord Europa appaiono
specializzati sia in settori considerati tecnologicamente
avanzati (per esempio l’industria elettronica e quella che
produce apparati per le telecomunicazioni) sia in settori di
antica vocazione (come il settore cartario nei paesi
8
Cfr. www.istat.it, struttura, risultati economici e aspetti
organizzativi delle imprese italiane.
16
scandinavi). L’analisi testé dipanata non vuole essere una
mera e statica constatazione della nostra situazione
industriale ma intende dare un’idea di fondo del panorama
imprenditoriale italiano al fine di analizzarne più in
dettaglio le ragioni e le ripercussioni, sia positive che
negative, a cui conduce tale modello di fare impresa nel
corso del lavoro. Se da una parte tale modello di crescita è
vincente laddove sia possibile adottare strategie di nicchia,
dall’altra penalizza lo sviluppo economico quando i
concorrenti hanno a disposizione fattori produttivi a costo
notevolmente più contenuto, oppure quando possono
accedere a elementi della competizione che sono
inavvicinabili per l’impresa di dimensioni minori
9
. Negli
anni addietro, il nostro capitalismo è riuscito ad ottenere
importanti risultati malgrado la ridotta dimensione delle
imprese grazie anche ad una forte tendenza alle
esportazioni e all’ausilio di una moneta debole rispetto
alle altre realtà europee ed internazionali. Ma le
congiunture che favorivano tale tipo di situazione stanno
rapidamente cambiando. La crisi dei mercati asiatici che
9
Cfr. G. FORESTIERI, Impresa, banche e mercati finanziari, Egea,
2005, Milano, p. 190
17
costituivano uno sbocco importante per i nostri prodotti; il
rapido sviluppo della Cina che sta raggiungendo
importanti performance nei settori in cui il nostro paese
era leader incontrastato (tessile, calzature, abbigliamento);
la presenza di una pressione fiscale tra le più alte
d’Europa; la chiusura del capitale a nuovi soci e la
conseguente, cronica mancanza di capitale per lo
sviluppo; gli scarsi investimenti in formazione e ricerca da
parte delle imprese stesse, unito all’impossibilità di
periodiche svalutazioni competitive della moneta, fanno sì
che anche il nostro “tradizionale” modello di sviluppo
debba essere rivisto sia da un punto di vista dimensionale,
che da un punto di vista “culturale”
10
.
10
Cfr. G. CORBETTA, Le medie imprese alla ricerca della loro
identità, Egea, Milano, 2000, p. 19