1
Introduzione: pensare globalmente, agire localmente
Ormai da tempo il concetto di globalizzazione si è fatto strada, ha plasmato i
nostri tempi, il nostro modo di vedere il mondo. Esso rappresenta un fenomeno
economico, sociale, politico. Un fenomeno che sicuramente ha comportato grandi
vantaggi, ma che ha determinato anche grandi disparità a livello mondiale,
acuendo spesso situazioni che già apparivano critiche. In nome della libertà e
dello sviluppo sono stati avanzati e imposti modelli che di sviluppo avevano ben
poco.
Anche la cooperazione internazionale, nata per colmare quel divario
esistente tra i Paesi del Nord e del Sud del mondo, ha finito per incanalarsi in quei
modelli che giovavano solo alle logiche dei Paesi ricchi e industrializzati. Più
volte si è cercato di ricalibrare le politiche e gli interventi, spesso di fronte ad
impegni assunti ma mai concretizzati del tutto.
In un momento di difficoltà, negli anni novanta, si è via via cominciato a
diffondere un progressivo interessamento della società civile, è aumentata la
sensibilità verso i temi della crescita e dello sviluppo e, di conseguenza, la
pressione verso i governi centrali. Contestualmente, si è affermata la voglia di
intervenire dal basso, di fronte alle inefficienze e alla scarsa sensibilità verso le
popolazioni destinatarie di progetti pensati e attuati dall’alto.
In questo ambito, in Italia emergevano gli Enti locali, che progressivamente
cominciavano a promuovere interventi che tenessero conto delle esigenze del
territorio. La loro cooperazione ha vissuto momenti di difficoltà iniziale, che
verranno superati con l’acquisizione di nuove competenze ed esperienze, fino a
diventare un pilastro indiscutibile della cooperazione allo sviluppo.
La nostra analisi si concentrerà sui rapporti di questo tipo di cooperazione
nei confronti del Brasile. Analizzeremo i rapporti tra l’Italia e il Brasile per dare
una base storica delle relazioni tra i due Paesi e vedere come esse abbiano
affrontato momenti diversi. Politica, affari, cultura, sono il simbolo di un grande
patrimonio di amicizia che ci unisce l’uno all’altro. La scelta del Paese è stata
determinata da legami personali con la realtà sudamericana ma anche dall’idea di
2
mettere in luce se e come i rapporti definiti attraverso il programma 100 città,
possano evidenziare una nuova forma di cooperazione.
La tradizionale cooperazione, basata su aiuti e grandi obiettivi internazionali,
appare ormai superata in Brasile. Lo stesso Paese è diventato un donatore, per
quanto abbia ancora davanti a sé un cammino di consolidamento democratico,
spesso percorso attraverso la ricerca di un sostegno estero. Il rafforzamento della
crescita interna è stato affiancato dal tentativo di emergere come leader in
America Latina e tenere il passo di Paesi come Cina e India, nuove potenze
emergenti.
Nel corso di questi ultimi anni, le politiche di cooperazione in Brasile si
sono adeguate ai mutamenti in corso. Alcuni Paesi europei, e tra questi l’Italia,
hanno saputo cogliere le nuove opportunità di collaborazione adattando i loro
interventi alla mutevole realtà brasiliana e approfittando delle potenzialità offerte
dalla cooperazione territoriale e decentrata, per passare da un modello d’aiuti ad
un modello di co-sviluppo e reciprocità che si regge sulla partnership tra territori.
Una collaborazione che è favorevole allo sviluppo locale e all’apertura di un
dialogo proficuo tra il Brasile e l’Unione Europea.
Ci poniamo qui come obiettivo di analizzare il Programma 100 città, come
nasce e con quali fini, come contribuisce alle politiche di decentramento
amministrativo del governo brasiliano e di soluzione delle difficoltà economiche e
sociali della popolazione, attraverso quali mezzi e con quali finalità. Lo faremo
attraverso l’analisi del percorso seguito dai partner e delle iniziative promosse per
mezzo dei Tavoli di concertazione e dei gruppi di lavoro. Terremo conto di un
quadro generale della cooperazione in cui si inseriscono azioni locali ispirate dai
principi della cooperazione integrata e da una diplomazia che agisce dal basso.
Importante sarà sottolineare come politiche di cooperazione efficienti debbano
rispondere adeguatamente alla massima “pensare globalmente, agire localmente”.
Sarà interessante approfondire, nello specifico, una delle varie tematiche
affrontate dai partner del programma, e che ha ottenuto importanti risultati dal
punto di vista della costruzione di un nuovo approccio alle problematiche della
cooperazione e dello sviluppo. Un approccio fondato sulla conoscenza
approfondita delle difficoltà e del contesto in cui si vuole agire come punto di
3
partenza essenziale per dar avvio a qualsiasi tipo d’intervento. Ci riferiamo al
tema della tutela dell’infanzia e della gioventù in un Paese caratterizzato da una
popolazione molto più giovane di quella italiana. Partendo dalle difficoltà che in
Brasile i giovani vivono, analizzeremo come il programma si è proposto di
intervenire e quali risultati ha raggiunto per mezzo di un’iniziativa specifica
rappresentata dal progetto “Mirando al Mundo”. Utilizzeremo le ricerche
effettuate sul campo dalle città partner, che saranno la base per definire nuove
misure d’intervento che pongano al centro l’armonia tra popolazione e territorio al
fine di promuovere un benessere e uno sviluppo reale e partecipato.
4
Capitolo I
LA COOPERAZIONE DECENTRATA ITALIANA
1.1. Cenni storici e legislazione di riferimento
L’azione italiana nel campo della cooperazione internazionale comincia
negli anni successivi al secondo dopoguerra. L’avvio di questa politica è legato a
due necessità principali: gestire i rapporti con la Somalia
1
e affermarsi tra i
principali Donors impegnati nella cooperazione. Tuttavia, non si può parlare di
una vera politica di cooperazione allo sviluppo fino agli inizi degli anni ’70, a
causa dell’assenza di attribuzione di chiare competenze, allora suddivise tra il
Ministero degli Affari Esteri, il Ministero del Tesoro, quello della Pubblica
Istruzione, la Banca d’Italia e il Ministero della Difesa.
2
I primi anni sessanta sono
segnati da interventi inefficienti
3
e destinati prevalentemente al territorio somalo.
4
Il Parlamento italiano approva una serie di leggi
5
sulla cooperazione tecnica
bilaterale con i PVS il cui contenuto, tuttavia, si rivela inefficace rispetto alle
richieste internazionali contenute nelle risoluzioni dell’Assemblea Generale ONU
nn. 1710 e 1715 del dicembre 1961 che dichiaravano gli anni Sessanta, “decennio
delle Nazioni Unite per lo sviluppo”,
6
alla pressione del volontariato cattolico e
sociale e all’interesse economico dei gruppi imprenditoriali emergenti. In questo
momento storico, alcuni enti locali agiscono a livello internazionale, ma si tratta
1
Paese soggetto a protettorato italiano dal 1889 al 1908, dominio coloniale dal 1908 al 1941 e
amministrazione fiduciaria dal 1950 fino al 1960.
2
ISERNIA, P., La cooperazione allo sviluppo, Bologna, Il Mulino, 1995, p. 76.
3
Le critiche contenute nel Rapporto Peason del 1969 pongono l’accento sulla necessità di
incrementare i fondi stanziati a favore dei PVS, ibidem, p. 80.
4
Nel 1967, viene varata la legge n. 1376 che regola l’invio di personale, la formazione, la fornitura
di mezzi. Inoltre, l’Italia investirà, nel periodo 1961/1971, 59 miliardi per sostegno al pareggio del
bilancio somalo e aiuti, ibidem, p. 78.
5
La legge n. 1.594 del 26 ottobre 1962 e la legge n. 380 del 1968 sulla collaborazione tecnica
bilaterale con i PVS, la legge n. 2 del 1968 che regola l’invio d’insegnanti e la n. 168 del 1969
sull’invio di personale italiano ospedaliero.
6
ASSEMBLEA GENERALE, Risoluzioni n. 1710 (XVI) e n. 1715 (XVI) del 19 dicembre 1961.
5
di interventi mossi prevalentemente da un sentimento di solidarietà verso le
situazioni di emergenza in cui vivono i PVS.
7
A partire dal 1971, si comincia a porre rimedio alla frammentazione
normativa mediante l’attribuzione al MAE della sovrintendenza “al
coordinamento, nell'ambito del settore pubblico e tra questo e il settore privato,
delle iniziative e di programmi operativi di cooperazione tecnica”,
8
delineando
così un Servizio autonomo caratterizzato da una maggiore efficienza,
9
dotato di
competenze tecniche e più aperto alla società civile mediante l’ausilio di un
Comitato consultivo misto. Quanto alla cooperazione finanziaria, essa viene
regolata dalla legge sui crediti all’esportazione, mentre la cooperazione
multilaterale è affidata al Ministero del Tesoro, insieme alla Direzione generale
agli affari economici del MAE.
In questo scenario, l’impegno italiano si concretizza prevalentemente
nell’ambito della cooperazione multilaterale, attraverso la devoluzione di fondi ad
organismi internazionali.
10
Il 1979 è l’anno che dà inizio a quella che viene definita come la fase “di
politicizzazione” della cooperazione italiana allo sviluppo.
11
Ciò avviene
attraverso l’approvazione della legge n. 38/79 sulla “Cooperazione dell’Italia con
i Paesi in via di sviluppo” che riafferma gli elementi essenziali della cooperazione
italiana,
12
amplia la definizione di “cooperazione allo sviluppo”
13
e prevede la
creazione di un Dipartimento per la cooperazione allo sviluppo (DCS), la cui
azione, però, viene limitata dallo strapotere del MAE.
7
BARALDI, G., Origine ed evoluzione della cooperazione decentrata italiana, documento
consultabile su: http://www.cooperazioneallosviluppo.esteri.it/pdgcs/documentazione/Report/
2010-01-01_OrigineCoopDec.pdf.
8
Legge n. 1222 del 1° dicembre 1971 sulla “Cooperazione tecnica con i paesi in via di sviluppo”.
9
Servizio per la Cooperazione tecnica con i paesi in via di sviluppo.
10
GALLIZIOLI, P., Breve storia della Cooperazione allo Sviluppo in Italia, La Paz, UTL, 2009, pp.
2-3.
11
ISERNIA, P., La cooperazione allo sviluppo, op. cit. Si veda anche ISERNIA, P., L’evoluzione
della cooperazione allo sviluppo italiana, in IANNI, V., (a cura di) Verso una nuova visione
dell’aiuto, Pomezia, ANCI-MAE/DGCS, 2004, pp. 96-98.
12
Centralità del ruolo del MAE e collegamento tra politica di cooperazione e politica estera (art. 4),
mantenimento del comitato consultivo (artt.7-8) e direzionale (art. 10), distinzione della gestione
tra fondi bilaterali e multilaterali (art. 44).
13
Si comincia a parlare di “cooperazione allo sviluppo” differenziando il concetto da quello di
“cooperazione tecnica” e affermando la necessità di perseguire “obiettivi di solidarietà tra i popoli,
ispirandosi ai principi stabiliti dalle Nazioni Unite” (art. 1 della legge 38/79).
6
Mentre la nuova legge ha l’effetto opposto a quello sperato, creando
conflitti di competenza, confusione ed un blocco degli stanziamenti, nel contempo,
si comincia ad intravedere un’attenzione crescente dell’opinione pubblica, anche
grazie alla campagna del Partito Radicale “contro lo sterminio per fame nel
mondo”.
14
È proprio il coinvolgimento dell’opinione pubblica che porta la
questione del sottosviluppo al centro del dibattito politico, seguito da un
interessamento delle imprese, che a causa di un periodo di crisi delle esportazioni,
vedono sempre più l’aiuto pubblico allo sviluppo come una forma di penetrazione
nei PVS.
Pertanto, i primi anni ’80 saranno caratterizzati dalla creazione del Fondo
Aiuti Italiani (FAI)
15
gestito dal MAE, ma purtroppo, ricordato spesso per la
scarsa trasparenza delle sue attività.
16
Il momento più importante è segnato dalla legge n. 49, approvata il 26
febbraio del 1987, il cui testo regola ancora oggi la cooperazione internazionale
allo sviluppo dell’Italia
17
e ne definisce le finalità fondamentali.
18
La nuova legge
permette di istituire il Comitato Interministeriale per la Cooperazione allo
Sviluppo (CICS);
19
una apposita Commissione per le ONG;
20
la Direzione
Generale per la Cooperazione allo Sviluppo (DGCS)
21
in sostituzione del vecchio
14
CAPPATO, M., (a cura di), Lotta contro lo sterminio per fame nel mondo. I Radicali contro lo
sterminio per fame nel mondo, 2009. Tratto dal sito: http://www.radicali.it/sintesi-sterminio-fame-
mondo.
15
Previsto dalla legge n. 73 dell’8 marzo 1985 “Realizzazione di programmi integrati
plurisettoriali in una o più aree sottosviluppate caratterizzate da emergenza endemica e da alti
tassi di mortalità”.
16
FANCIULLACCI, D., Corno d’africa: Quale Cooperazione?, da RHI-SAUSI J. L. (a cura di), La
crisi della cooperazione italiana, Rapporto CeSPI sull’aiuto pubblico allo sviluppo, Centro Studi
di Politica Internazionale, Edizione Associate, editrice internazionale, 1994, p. 122-128.
17
L’art. 1 definisce la cooperazione allo sviluppo come: “parte integrante della politica estera
dell'Italia e persegue obiettivi di solidarietà tra i popoli e di piena realizzazione dei diritti
fondamentali dell'uomo, ispirandosi ai principi sanciti dalle Nazioni Unite e dalle convenzioni
CEE-ACP”.
18
Il 2º comma dell’art. 1 sottolinea come essa sia “finalizzata al soddisfacimento dei bisogni
primari e in primo luogo alla salvaguardia della vita umana, alla autosufficienza alimentare, alla
valorizzazione delle risorse umane, alla conservazione del patrimonio ambientale, all'attuazione e
al consolidamento dei processi di sviluppo endogeno e alla crescita economica, sociale e culturale
dei paesi in via di sviluppo. La cooperazione allo sviluppo deve essere altresì finalizzata al
miglioramento della condizione femminile e dell'infanzia ed al sostegno della promozione della
donna”.
19
Si veda l’art. 3 della legge 49/87. Il CICS è stato poi soppresso con la legge 537/1993 e
sostituito dal Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica (CIPE).
20
Ibidem art. 8, par. 10.
21
Ibidem art. 10.
7
Dipartimento (DCS) e del FAI; l’Unità Tecnica Centrale (UTC) “a supporto
dell’attività della DGCS e limitatamente allo svolgimento dei compiti di natura
tecnica”,
22
collegata ad Unità Tecniche di cooperazione nei PVS.
23
Dal punto di
vista delle competenze bilaterali e multilaterali, queste risultano ancora divise tra
il Ministero del Tesoro e il MAE, dal punto di vista tanto politico, quanto
finanziario. Infatti, oltre al Fondo Rotativo per i crediti di aiuto, gestito dal
Ministero del Tesoro,
24
viene creato un Fondo Speciale per la Cooperazione allo
Sviluppo,
25
gestito dalla DGCS.
Nonostante le innovazioni e il nuovo quadro normativo, non mancano i
problemi e le conflittualità che hanno reso più complessa l’azione italiana a livello
di cooperazione. A ciò si aggiunga una situazione di crisi dell’Aiuto Pubblico allo
Sviluppo
26
(APS) che dopo aver raggiunto i suoi massimi livelli alla fine degli
anni ’80,
27
comincia il suo percorso in discesa a partire dai primi anni novanta:
dallo 0,31% del 1990, nel 1994 tocca lo 0,27%, fino a raggiungere il minimo dello
0,11% nel 1997.
28
Il brusco calo è anche legato allo scandalo di “Tangentopoli” e
alla crisi fiscale che portano alla riduzione delle spese di bilancio e dunque alla
quota assegnata all’APS. I tagli riguarderanno prevalentemente l’ambito degli
aiuti bilaterali, mentre, gli impegni assunti con accordi internazionali e la
necessità di difendere l’immagine dell’Italia all’esterno permettono una maggiore
tutela del canale multilaterale.
29
Gli anni novanta, un momento delicato per quanto riguarda la definizione di
un nuovo assetto legislativo, conoscono un incremento del coinvolgimento delle
ONG, nonché l’emergere di un interesse delle Autonomie locali che, attraverso reti
22
Ibidem art. 12.
23
Ibidem art. 13.
24
Ibidem art. 6.
25
Ibidem art. 14.
26
Per APS (in inglese, ODA: Official Development Assistance), “s’intendono, oltre all'assistenza
tecnica e alla formazione – consistenti in doni sotto forma di risorse umane ed equipaggiamenti
tecnici –, doni o prestiti agevolati a Paesi rientranti in una particolare categoria, che è la
cosiddetta Parte I della lista del DAC/OCSE”. AA.VV., Manuale di formazione. Le nuove
opportunità della cooperazione decentrata, Roma, OICS, 2005, p. 9.
27
Nel 1989 l’Italia destina lo 0.42% del suo PIL all’APS.
28
Dati tratti dal sito del MAE sulla cooperazione allo sviluppo,
http://www.cooperazioneallosviluppo.esteri.it/pdgcs/Documentazione/PubblicazioniTrattati/2011-
05-16_TrendAps1990-2010.pdf.
29
BONITO, E., Cooperazione allo sviluppo e sostenibilità urbana. Un progetto per l’Avana, tratto
dal sito http://digilander.libero.it/emibonit/coop.htm#_ftn25.
8
di cooperazione partenariali, cercano di essere la risposta alla crisi di questi anni,
dando un nuovo input alla politica di cooperazione italiana che assume un’ottica
sempre più attenta alle emergenze umanitarie, ai problemi dello sviluppo
sostenibile, dei flussi migratori oltre che della lotta alla povertà e della crescita dei
PVS.
30
Già la legge 49/87 aveva riconosciuto alle Regioni, alle Province Autonome
e agli Enti locali italiani la possibilità di promuovere e realizzare iniziative di
cooperazione allo sviluppo – oltre che di solidarietà internazionale
31
−
considerandoli come le strutture attraverso le quali realizzare l’attività cooperativa
ordinaria e straordinaria.
32
Le stesse iniziative verranno meglio definite l’anno
successivo con l’adozione delle “Linee di indirizzo per lo svolgimento di attività
di cooperazione allo sviluppo da parte delle Regioni, delle Province autonome e
degli Enti locali”
33
che, ancora oggi – regolando i rapporti tra le Autonomie locali
e l’ambito governativo in materia di cooperazione; riconoscendo il ruolo delle
autonomie locali nel coinvolgimento delle strutture economiche e sociali del
territorio ed evidenziando procedure e modalità operative – rappresentano l'unico
testo organico in materia.
Nel 1990 la legge dell’8 giugno, n. 142 sul nuovo ordinamento degli Enti
locali sancisce il principio dell’autonomia statutaria e finanziaria dei Comuni e
delle Province.
34
La partecipazione delle Autonomie locali e della società civile introduce
novità importanti. Nel settembre 1991 viene creato, per volontà della Conferenza
delle Regioni e delle Provincie autonome italiane, l’Osservatorio Interregionale
sulla Cooperazione allo Sviluppo (OICS), una struttura comune che si adopera in
30
GALLIZIOLI, P., Breve storia della Cooperazione allo Sviluppo in Italia, op. cit., p. 4.
31
I commi 4 e 5 dell’articolo 2 della Legge 49/87 sottolineano come “Le attività di cui alle lettere
a), c), d), e), f), h) del comma 3 possono essere attuate, in conformità con quanto previsto dal
successivo articolo 5, anche utilizzando le strutture pubbliche delle regioni, delle province
autonome e degli enti locali. Le regioni, le province autonome, gli enti locali possono avanzare
proposte in tal senso alla Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo di cui all'articolo
10. Il Comitato direzionale di cui all'articolo 9, ove ne ravvisi l'opportunità, autorizza la stipula di
apposite convenzioni con le suddette strutture pubbliche”.
32
Art. 11, comma 1.
33
Approvate con delibera n. 12 dal Comitato Interministeriale per la Cooperazione allo Sviluppo
nella riunione del 17-3-89.
34
Successivamente integrata e modificata con Legge n. 265 del 3 agosto 1999 “Disposizioni in
materia di autonomia e ordinamento degli enti locali”.
9
materia di cooperazione decentrata allo sviluppo e di sostegno ai processi di
internazionalizzazione economica territoriale, mentre Regioni, Province e Comuni
mostrano il loro progressivo impegno attraverso l’istituzione di appositi Uffici.
Il nuovo approccio di tipo decentrato permette una comunicazione tra
soggetti istituzionali, sociali ed economici diversi, esaltandone le diverse
caratteristiche, basandosi sull’asse portante del territorio.
35
Nel 1993 viene adottata la legge n. 68
36
che, all’art. 19, individua
l’Associazione nazionale dei Comuni italiani (ANCI) e l’Unione delle Province
italiane (UPI) quali “soggetti idonei a realizzare programmi del Ministero degli
Affari Esteri relativi alla cooperazione dell’Italia con i Paesi in via di sviluppo”,
autorizza la DGCS “a stipulare apposite Convenzioni che prevedano uno
stanziamento globale da utilizzare per iniziative di cooperazione da attuarsi
anche da parte dei singoli associati”, mentre attribuisce ai Comuni e alle Province
il potere di “destinare un importo non superiore allo 0,80 per cento della somma
dei primi tre titoli delle entrate correnti dei propri bilanci di previsione per
sostenere programmi di cooperazione allo sviluppo ed interventi di solidarietà
internazionale”. Ciò significa che Comuni e Province possono avere, nei loro
bilanci di previsione, dei capitoli specifici dedicati alla cooperazione allo sviluppo
e dunque disporre di risorse relativamente autonome. E ancora, il 31 marzo 1994,
viene emanato il Decreto del Presidente della Repubblica sull’attività all’estero
delle Regioni e delle Province autonome, che ne definisce caratteristiche e
procedure.
37
Fino a giungere alla Legge 131/2003
38
che ha permesso di sviluppare
35
Secondo la visione di Pinilla, la centralità del territorio come “fine” e “mezzo” per lo sviluppo
locale è un elemento di novità introdotto dalla cooperazione decentrata. Uno sviluppo equo e
sostenibile del territorio da tutelare anche in quanto fonte di risorse. Tale progetto deve essere
realizzato senza ridurre l’interazione con attori nazionali e sovranazionali per la creazione di un
partenariato tra territori del Nord e del Sud del mondo. AA.VV., La cooperazione decentrata allo
sviluppo: riflessioni teoriche e spunti dall’esperienza della Toscana nel campo della salute
globale, CeSPI Working Papers, 76/2010, Roma, Ottobre 2010.
36
Si tratta della conversione in Legge con modificazioni, del decreto-legge 18 gennaio 1993, n. 8,
recante disposizioni urgenti in materia di finanza derivata e di contabilità pubblica.
37
L’“Atto di indirizzo e coordinamento in materia di attività all'estero delle regioni e delle
province autonome” pubblicato su Gazzetta Ufficiale del 19 luglio 1994, n. 167, distingue tra
“attività promozionali all'estero” e “attività di mero rilievo internazionale”, definisce la
“collaborazione dello Stato e degli enti pubblici con le regioni” e i “rapporti delle regioni con la
Comunità europea”.
38
Legge del 5 giugno 2003, n. 131 concernente le “Disposizioni per l'adeguamento
dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3”.
10
un quadro normativo in cui verranno adottate numerose leggi regionali,
39
programmi nazionali e comunitari specifici che permetteranno, durante l’ultimo
decennio, lo sviluppo di importanti iniziative di cooperazione decentrata,
prevalentemente destinate al tentativo di sviluppare politiche di solidarietà,
ricostruzione e cooperazione nell’area dei Balcani.
In questo contesto, non possono essere dimenticati una serie di eventi
internazionali, che sempre più hanno sottolineato il ruolo importante degli attori
locali nelle tematiche relative allo sviluppo e che hanno permesso un’ulteriore
discussione a proposito della cooperazione decentrata. Basti ricordare la
Conferenza di Rio de Janeiro del 1992 su “Ambiente e Sviluppo”;
40
quella di
Barcellona del 1995 sul partenariato Euro-mediterraneo la cui Dichiarazione,
fondata sullo sviluppo reciproco nell’ottica della costruzione di un partenariato
politico, economico e umano,
41
pone l’accento sul rafforzamento della
cooperazione fra istituzioni regionali e locali e tra organismi della società civile
del Nord e del Sud del mondo; l’interessamento dell’OECD-DAC circa la
tematica del coinvolgimento degli attori locali quale elemento importante nei
processi di sviluppo
42
; il programma multilaterale PRODERE,
43
all’interno del
quale si giunge ad una prima definizione chiara della cooperazione decentrata.
44
39
“Nella seconda parte del 2002, solo tre delle 20 Regioni […] presenti nell'ordinamento dello
Stato italiano, sono ancora prive di una propria legge regionale sulle attività di cooperazione allo
sviluppo. […] Molte si presentano dotate anche di leggi che disciplinano specificamente gli
interventi d’emergenza o quelli a favore di una cultura di pace”. Cfr., IANNI, V., Rapporto sulla
cooperazione decentrata italiana. Peculiarità e tendenze, novembre 2002, tratto dal sito:
http://appi.nazioniunite.it/download/rappdec_%20italia_it. pdf.
40
All’interno della conferenza venne sottolineato l’importanza del ruolo dei governi locali nello
sviluppo sostenibile.
41
Si veda la Dichiarazione finale della Conferenza ministeriale euromediterranea di Barcellona del
27 e 28 novembre 1995, consultabile sul sito: http://europa.eu/legislation_summaries/external_
relations/relations_with_third_countries/mediterranean_partner_countries/r15001_it.htm.
42
OECD, Participatory Development and Good Governance, Development Co-operation
Guidelines Series n. 78840, OECD Publications, Paris, 1995, p. 11.
43
Programa de desarrollo para desplazados, refugiados y repatriados en Centro América, Si trata
di un programma multilaterale avviato tra Italia, UNDP e UNOPS.
44
La cooperazione decentrata viene definita come: “un sistema organizzato di partenariati
territoriali di sviluppo e solidarietà tra comunità locali del sud e del nord, che hanno lo scopo di
far lavorare insieme i propri attori, in modo coordinato, per gli obiettivi e con i metodi dello
sviluppo umano, sia a livello locale che cercando collegamenti a livello nazionale ed
internazionale”. I “soggetti decentrati” protagonisti sono, in particolare, “i soggetti pubblici
(amministratori, funzionari, tecnici, docenti, operatori ecc.) e privati (cittadini, imprese, società,
ONG, associazioni di volontariato, cooperative, imprese sociali ecc.) che si fanno portatori
coscienti ed attivi, nei processi di sviluppo, delle capacità e delle potenzialità delle comunità
locali cui appartengono”. CARRINO, L., Cooperazione decentrata, partecipazione e sviluppo