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CAPITOLO 2
GLI IMPEDIMENTI ALLA CONCESSIONE
DELL’ESTRADIZIONE
2.1. Gli impedimenti alla concessione dell’estradizione: cenni introduttivi
Come già analizzato nel precedente capitolo, nel valutare la richiesta di estradizione
bisogna tenere conto di vari aspetti, alcuni dei quali potrebbero poi scaturire in un motivo
di diniego della stessa. Infatti, l’analisi dei trattati e delle normative nazionali in materia
di estradizione dimostra la presenza costante di alcune disposizioni che pongono limiti
all’operatività di questo istituto, vietando in taluni casi la consegna della persona per cui
l’estradizione è stata richiesta.
Alcuni impedimenti, che sono alla base dei processi di estradizione, sono già stati
richiamati nel precedente capitolo: il principio del ne bis in idem, che vieta di richiedere
l’estradizione per un fatto che abbia già condotto a una sentenza; il principio di specialità,
che proibisce di procedere nei confronti dell’estradato per fatti anteriori o diversi da quelli
per i quali è stata concessa l’estradizione; e il principio della doppia incriminazione, che
richiede che il fatto posto in essere dalla persona ricercata sia penalmente illecito sia per
lo Stato richiedente sia per lo Stato rifugio.
La maggior parte degli impedimenti alla concessione dell’estradizione che verranno
di seguito analizzati, ivi compresi quelli di cui sopra, garantiscono agli Stati la possibilità
di rifiutare l’estradizione per motivi legati alla tutela dei diritti fondamentali
dell’individuo. Invero, parallelamente alla centralità acquisita dall’estradizione come
principale e più efficace mezzo di contrasto al crimine, anche la tutela dei diritti
dell’individuo ha assunto sempre più rilevanza a livello nazionale e internazionale.
Si tende, dunque, sempre più a includere il rispetto dei diritti umani nel processo di
estradizione e, allo stesso tempo, a raggiungere una collaborazione più incisiva per punire
in modo efficace i crimini. È quindi necessario trovare un bilanciamento tra queste due
istanze affinché si venga a creare un sistema in cui i crimini sono puniti e i diritti umani
rispettati
129
. A tal proposito, vedremo che, nel tentativo di realizzare questo sistema
bilanciato, in alcuni casi se lo Stato di rifugio ottiene assicurazioni adeguate riguardanti
129
J. Dugard and C. Van Den Wyngaert, Reconciling Extradition with Human Rights, in the American
Journal of International Law, vol. 92, no. 2, 1998, p. 187.
30
il rispetto dei diritti della persona ricercata, gli ostacoli vengono meno e sarà
eventualmente possibile procedere con l’estradizione.
2.2. Lo status di rifugiato
Al momento della decisione di consegnare o meno l’individuo per cui è richiesta
l’estradizione, bisogna tenere conto, tra l’altro, dei limiti derivanti dal sistema
internazionale di protezione dei diritti umani.
A questo sistema appartengono, ad esempio, le norme che sanciscono i diritti dei
rifugiati. Ai sensi della Convenzione di Ginevra sullo status di rifugiato, il rifugiato è
colui che “owing to well-founded fear of persecution for reasons of race, religion,
nationality, membership of a particular social group or political opinion, is outside the
country of his nationality and is unable or, owing to such fear, is unwilling to avail himself
of the protection of that country; or who, (…) owing to such fear, is unwilling to return
to it”
130
. Ne consegue che, affinché il richiedente asilo
131
possa essere riconosciuto come
rifugiato, occorre innanzitutto verificare che si trovi al di fuori dello Stato di cittadinanza
o di residenza abituale, che abbia il fondato timore di persecuzione e che non goda della
protezione necessaria da parte dello Stato di origine per il suddetto timore
132
. La
sussistenza del fondato timore di persecuzione può essere accertata prendendo in
considerazione alcuni elementi come sesso, età, stato di salute, situazione sociale, storia
personale e familiare, appartenenza a un gruppo etnico, religioso, nazionale, sociale o
politico, esperienze personali.
Occorre prendere in esame, inoltre, le condizioni del Paese d’origine, pur non
essendo sufficiente la sola sussistenza di un rischio generale dovuto a instabilità politica,
conflitto bellico, situazioni di violenza indiscriminata
133
. Vi deve essere, pertanto, un
nesso fondato tra il timore e almeno uno dei cinque motivi elencati all’articolo 1(A)(2)
130
Articolo 1(A)(2) della Convenzione di Ginevra sullo Statuto dei Rifugiati, conclusa a Ginevra il 28
luglio 1951 ed entrata in vigore il 22 aprile 1954.
131
Il richiedente asilo è una persona in cerca di protezione da parte di uno Stato differente da quello di cui
ha la cittadinanza il cui status di rifugiato non è ancora stato determinato e che gode di un certo status di
protezione in attesa o in mancanza del suddetto riconoscimento. A tal proposito si veda: Executive
Committee Conclusion no. 22(XXXII) on Protection of Asylum-Seekers in situations of large-scale influx.
132
A. Del Guercio, La protezione dei richiedenti asilo nel diritto internazionale ed europeo, Editoriale
Scientifica nella collana Ricerche giuridiche 117, Napoli, 2016, p. 17.
133
Ibid., p. 35.
31
della Convenzione di Ginevra sui rifugiati. Il pericolo a cui il rifugiato andrebbe incontro
in caso di rimpatrio dovrà quindi essere di carattere personale.
La Convenzione di Ginevra è il risultato di un processo storico avviatosi da una
situazione in cui non esisteva alcuna forma di accordo internazionale riguardante i
rifugiati
134
. Le prime manifestazioni in questo senso si registrarono nella legislazione e
nella prassi nazionale di un gruppo di Stati, formato da Stati Uniti, Francia e Belgio. Tale
tutela fu successivamente trasferita sul piano internazionale, attraverso la conclusione di
trattati bilaterali di estradizione, che la proibivano per motivi politici. In questo modo,
nella seconda metà dell’Ottocento, il divieto di estradizione di rifugiati politici divenne
una disposizione ricorrente nei trattati in materia di estradizione
135
.
Più in generale, se è vero che l’ingresso e l’espulsione dello straniero rientravano
tradizionalmente nel dominio riservato degli Stati, è solo a partire dal secondo dopoguerra
che il diritto internazionale dei diritti umani ha gradualmente ridimensionato la
discrezionalità statale in questo senso
136
, vietando l’allontanamento e quindi anche
l’estradizione dell’individuo ogni qualvolta quest’ultimo corra un rischio reale di
persecuzione nel Paese di destinazione.
Seguendo la suddetta impostazione, la Convenzione di Ginevra sullo status di
rifugiato sancisce, all’articolo 33, il principio di non-refoulement, in base al quale: “no
Contracting State shall expel or return (“refouler”) a refugee in any manner whatsoever
to the frontiers of territories where his life or freedom would be threatened on account of
his race, religion, nationality, membership of a particular social group or political
opinion”
137
. Esso vincola, inoltre, gli Stati a “not to transfer any individual to another
country if this would result in exposing him or her to serious human rights violations,
notably arbitrary deprivation of life, or torture or other cruel, inhuman or degrading
treatment or punishment”
138
.
134
Si fa riferimento ai primi movimenti di rifugiati, causati dalle guerre di religione tra il XVI e XVII
secolo, che potevano contare esclusivamente sulla solidarietà di correligionari residenti in altri Stati. A tal
proposito si veda G. Ferrari, La Convenzione sullo status de rifugiati aspetti storici, Relazione tenuta
all’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, facoltà di scienze politiche, il 16 gennaio 2004, p. 6.
135
P. Orchard, The Down of International Refugee Protection: States, Tacit Cooperation and Non-
Extradition, in Journal of Refugee Studies, vol. 30, 2016, pp. 283-295.
136
International Law Commission, Expulsion of aliens. Memorandum del Segretariato generale, doc.
A/CN.4/565, 10 luglio 2006.
137
Articolo 33(1) della Convenzione di Ginevra, cit.
138
UNHCR Advisory Opinion on the Extraterritorial Application of Non-Refoulement Obligation under
the 1951 Convention relating to the Status of Refugees and its 1967 Protocol, para B(17).
32
Il divieto di non-refoulement si applica sia nelle ipotesi di espulsione o
respingimento, sia per qualsiasi altra forma di allontanamento, tra le quali rientra anche
l’estradizione verso un territorio non protetto. Esso proibisce non solo il rimpatrio nello
Stato di origine, o nel caso di apolidi, nello Stato di residenza abituale, ma anche in
qualsiasi altro luogo in cui la persona abbia motivo di temere per la propria vita
139
. Infatti,
qualora la richiesta di estradizione di un rifugiato provenga da un Paese diverso dallo
Stato di persecuzione, lo Stato di rifugio deve ottenere garanzie efficaci di protezione
della persona ricercata da un rischio di respingimento a catena dallo Stato richiedente
verso un altro Stato, fino a giungere nel territorio in cui rischierebbe la propria vita
140
.
Come precedentemente affermato, alcuni Stati richiedono l’esistenza di un trattato per
garantire l’estradizione: questo potrebbe essere un modo per assicurarsi che lo Stato
richiedente rispetti alcuni requisiti previsti dagli strumenti in materia di tutela dei diritti
dei rifugiati e di estradizione
141
.
Tale principio costituisce il principale elemento che definisce il quadro giuridico
entro cui interagiscono estradizione e asilo
142
. Da un lato, esso impone determinate
condizioni alla legittimità dell’estradizione; dall’altro lato, le informazioni che emergono
durante il processo di estradizione possono compromettere la credibilità della domanda
di riconoscimento dello status di rifugiato e, conseguentemente, dar luogo
all’applicazione di una clausola di esclusione previste dalla Convenzione di Ginevra, o
comportare la cancellazione o revoca dello status precedentemente concesso
143
.
Secondo quanto stabilito dall’Executive Committee dell’Alto Commissariato delle
Nazioni Unite per i Rifugiati (in seguito, anche UNHCR)
144
, nel momento in cui lo Stato
procede con la valutazione della richiesta dello status di rifugiato è tenuto a rispettare in
modo scrupoloso il principio di non-refoulement, ammettendo innanzitutto l’individuo
139
UNHCR Advisory Opinion, cit., para. A(i)(7).
140
Si veda, ad esempio, la decisione della Swiss Asylum Appeals Commission (AAC), EMARK 2001/4 del
28 Dicembre 2000, che ha ribaltato una decisione dell’Ufficio Federale per i Rifugiati sulla consegna di un
nazionale tunisino al Marocco sulla base dell’esistenza del rischio che questi sarebbe stato estradato dalle
autorità marocchine in Tunisia, dove avrebbe corso il rischio di subito una persecuzione politica.
141
P. Orchard, The Down of International Refugee Protection: States, Tacit Cooperation and Non-
Extradition, cit., pp. 283-295.
142
A conferma di ciò, in diversi Stati, la giurisprudenza ha confermato che il principio di non-refoulement
è applicabile all’estradizione. In Slovenia, ad esempio, la Corte Costituzionale ha stabilito che una decisione
sul riconoscimento dell’asilo impedisce qualsiasi espulsione forzata o consegna di una persona, e, pertanto,
anche l’estradizione. Per un’analisi approfondita, si veda decisione no. Up-78/00 del 29 giugno 2000.
143
S. Kapferer, The Interface between Extradition and Asylum, cit., p. X.
144
L’Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, istituito in qualità di organo
sussidiario dell’Assemblea Generale, con la risoluzione delle Nazioni Unite 428 (V) del 14 dicembre 1950.
33
nel territorio statale in attesa dell’esito della domanda e garantendogli una procedura “fair
and effective” durante la valutazione della stessa, assicurando quindi all’individuo uno
standard di trattamento conforme al regime di protezione dei diritti umani
145
. Gli Stati
sono, infatti, tenuti in base alla Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati a
predisporre nell’ordinamento interno adeguate leggi ed organi al fine di garantire la
corretta applicazione della stessa
146
. A tal proposito, vari Stati hanno previsto, nella loro
legislazione interna in materia di estradizione o di asilo, alcune disposizioni speciali che
prevedono l’inammissibilità delle richieste di estradizione riguardanti i rifugiati
147
.
Analizzando il rapporto tra le procedure di estradizione e la determinazione dello
status di rifugiato, si nota come gli Stati abbiano adottato approcci diversi. In alcuni Stati,
una volta che le autorità competenti hanno riconosciuto lo status di rifugiato, questo
diventa a tutti gli effetti vincolante anche per le autorità competenti in materia di
estradizione. Questo è il caso, ad esempio, della Svizzera
148
. In altri Stati, la procedura di
estradizione è sospesa fino a quando non è stata presa una decisione in materia di
concessione della protezione. Questo è il caso, ad esempio, di Argentina, Danimarca,
Germania. Diversamente, in altri Stati ancora, le due procedure sono condotte in parallelo
anche se la decisione sull’estradizione non potrà essere presa fino a quando la domanda
di riconoscimento dello status non sarà analizzata. Questo è il caso, ad esempio, del Regno
Unito. Infine, ci sono alcuni Stati in cui le autorità competenti per le richieste di
estradizione e la concessione della protezione procedono indipendentemente l’una
dall’altra
149
.
È necessario sottolineare che la Convenzione di Ginevra non obbliga gli Stati a
riconoscere lo status di rifugiato, che, come sottolineato in precedenza, è subordinato a
tre condizioni di eleggibilità.
145
A. Del Guercio, La protezione dei richiedenti asilo nel diritto internazionale ed europeo, cit., p. 30.
146
Articolo 35(2)(c) della Convenzione di Ginevra cit.
147
Tra i tanti, si può menzionare l’Austria. L’articolo 19(3) della legge sull’estradizione e la mutua
assistenza giuridica stabilisce il divieto di estradizione qualora si riscontri un timore di persecuzione o
pregiudizio per motivi legati a origini, razza, religione, appartenenza a un determinato gruppo etnico o
sociale, o opinione politica. L’articolo 34 della medesima legge dispone che il Ministro della giustizia deve
tenere in considerazione gli obblighi derivanti dal diritto internazionale e in particolar modo quelli relativi
al diritto dei rifugiati. Un altro esempio in questo senso proviene dal Belgio. L’articolo 56(2) della legge
del 15 dicembre 1980 sull’accesso al territorio, il soggiorno, la residenza e l’espulsione degli stranieri
stabilisce che, in nessun caso, un individuo cui sia stato riconosciuto lo status di rifugiato può essere fatto
ritornare nello Stato che ha lasciato perché la sua vita o libertà vi erano minacciate.
148
Bundesgericht, decisione del 13 marzo 1989, BGE 115 V 4, pp. 6-7.
149
P. Orchard, The Down of International Refugee Protection: States, Tacit Cooperation and Non-
Extradition, cit.
34
La valutazione dello status di rifugiato potrà, infatti, avere esito positivo o negativo.
In caso di esito positivo, come visto supra, tale riconoscimento comporterà un ostacolo
alla concessione dell’estradizione. Parimenti, in caso di esito positivo della valutazione
della domanda ma di inadeguatezza dello Stato ad accogliere l’individuo, sarà possibile
effettuare il trasferimento in uno Stato terzo sicuro, in cui l’individuo non rischierebbe
una violazione dei suoi diritti
150
.
Oltre alle sopracitate condizioni di eleggibilità, la Convenzione di Ginevra
all’articolo 33(2) prevede alcuni casi in cui il principio di non-refoulement “may not,
however, be claimed by a refugee whom there are reasonable grounds for regarding as
a danger to the security of the country in which he is, or who, having been convicted by
a final judgement of a particularly serious crime, constitutes a danger to the community
of that country”
151
. In tali casi sarà quindi possibile procedere con l’estradizione. Ciò si
verifica, ad esempio, se un rifugiato adotta comportamenti volti a rovesciare il governo
ospitante con mezzi violenti o illegali, o intraprende attività politiche che potrebbero
suscitare ritorsioni da parte di altri Stati nei confronti dello Stato ospitante oppure atti
terroristici o di spionaggio rivolti contro quest’ultimo. Il divieto non sussiste, inoltre,
quando l’individuo costituisce un rischio per il futuro nella società dello Stato ospitante
sulla base di una condanna definitiva per un crimine particolarmente grave. Infine, come
specificato dall’articolo 1F della Convenzione di Ginevra, il divieto non troverà
applicazione quando si hanno seri motivi di temere che l’individuo “has committed a
crime against peace, a war crime, or a crime against humanity, (…); (…) has committed
a serious non-political crime outside the country of refuge prior to his admission to that
country as a refugee; (…) has been guilty of acts contrary to the purposes and principles
of the United Nations”.
Tali eccezioni al principio di non-refoulement non si applicano, tuttavia, qualora
l’individuo in questione, ove espulso o estradato, sarebbe esposto al pericolo di tortura o
di trattamento crudele, inumano o degradante. In questi casi, il divieto di estradizione è
assoluto
152
. Infatti, come si vedrà nel prossimo paragrafo, tale principio ha acquisito una
portata ben più ampia, non limitata al respingimento di rifugiati.
150
Si considera sicuro il territorio di uno Stato nel quale l’individuo non subisca persecuzioni o minacce, e
dal quale non rischi di essere allontanato verso una situazione a rischio. Si veda A. Del Guercio, La
protezione dei richiedenti asilo nel diritto internazionale ed europeo, cit., p. 47.
151
Articolo 33(2), della Convenzione di Ginevra, cit.
152
S. Kapferer, The Interface between Extradition and Asylum, cit., p. 87.
35
2.3. Il rischio di violazione dei diritti umani dell’estradando
I richiedenti asilo, qualora non abbiano diritto allo status di rifugiato, beneficiano
in quanto individui di una serie di diritti
153
, sanciti in vari trattati adottati a livello
internazionale ed europeo, che si applicano indipendentemente dalla cittadinanza e dallo
status giuridico
154
. Tali diritti includono, ad esempio, il diritto alla vita
155
e il divieto di
subire tortura e trattamenti e pene inumani o degradanti
156
.
Si rammenti, infatti, che lo Stato è tenuto a concedere almeno l’ingresso
temporaneo al richiedente asilo per far sì che sia “respect scrupulously the fundamental
principle of non-refoulement, which is not subject to derogation”
157
. A tal proposito, è
opportuno segnalare, ad esempio, che il Comitato dei diritti umani ha fatto derivare il
principio di non-refoulement dal diritto alla vita e dal divieto di tortura
158
, che sono norme
di diritto internazionale consuetudinario. Questo elemento avvalora la tesi secondo cui il
principio di non-refoulement, nel precludere agli Stati qualsiasi misura di allontanamento
e dunque anche qualsiasi decisione relativa all’estradizione dell’individuo interessato se
esiste il rischio che egli venga esposto al pericolo di subire torture o una privazione
arbitraria della vita, “is in the process of becoming customary international law”
159
.
Il diritto internazionale dei diritti umani impone, quindi, alcune restrizioni e
condizioni alla discrezionalità degli Stati di concedere l’estradizione, vietando la
consegna dell’individuo ricercato, a prescindere che si tratti o meno di un rifugiato, se
questo rischia gravi violazioni dei suoi diritti umani.
153
Tra i diritti garantiti dalla Convenzione di Ginevra del 1951 ai richiedenti asilo troviamo ad esempio: il
divieto di discriminazione in ragione di razza, religione o Paese d’origine (art. 3), libertà di religione (art.
4), il diritto di adire i tribunali (art. 16), e molti altri.
154
G. Cataldi, L’immigrazione tra universalità dei diritti umani e particolarità culturali, in M. Carta (a cura
di), Immigrazione, frontiere esterne e diritti umani, Profili internazionali, europei ed interni, Roma, 2009,
p.68.
155
Il diritto alla vita è garantito ai sensi dell’articolo 6 della Convenzione internazionale sui diritti civili e
politici (di seguito anche ICCPR), conclusa a New York il 16 dicembre 1966 ed entrata in vigore il 23
marzo del 1976, dell’articolo 2 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle
libertà fondamentali (di seguito anche CEDU), conclusa a Roma il 4 novembre 1950 ed entrata in vigore il
3 settembre 1953.
156
Il diritto di essere esenti dalla tortura è garantito dall’articolo 1 della Convenzione contro la Tortura o
Altre Pene o Trattamenti Crudeli, Inumani o Degradanti, dall’articolo 7 dell’ICCPR, e dall’articolo 3 della
CEDU.
157
Office of the United Nations High Commissioner for Refugees: risoluzione A/RES/51/75, adottata
dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 12 febbraio 1997, para. 3.
158
A. Del Guercio, La protezione dei richiedenti asilo nel diritto internazionale ed europeo, cit., p. 20.
159
UNHCR Advisory Opinion, cit., para. B (21-22).