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impostato ai vertici, e che le Confederazioni hanno abilmente saputo
incorporare “sindacalizzando la contestazione”, si sono rivelati il più
valido strumento del movimento sindacale in quanto espressione di una
leadership informale emanazione di gruppi spontanei. Il fenomeno
naturale, già noto in sociologia del lavoro ed in psicologia sociale, si è
dunque concretizzato nei nuovi organismi rappresentativi che sono poi,
in ultima analisi i soggetti della contrattazione aziendale. Prima di
tracciare un rapido excursus storico, possiamo peraltro affermare che la
contrattazione collettiva, nata come aziendale, dopo alterne e fortunose
vicende è tornata nella sua sede originaria, riconfermando il proprio
ruolo e rafforzando la propria validità in parallelo con la contrattazione
nazionale. Anche il sindacato ha conservato , fra alterne vicende una
lenta inesorabile crisi non riuscendo più ad interpretare in un mondo in
rapida evoluzione, le reali esigenze dei lavoratori. Da queste brevi
premesse risulta evidente la necessità di approfondire l'argomento,
mettendo in rilievo non solo gli aspetti giuridici, ma anche quelli
economici e sociologici, in una visione interdisciplinare che inquadri la
contrattazione nell'ambito dei fenomeni sociali più complessi e
interagenti del mondo produttivo.
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CAPITOLO I
Genesi storica della contrattazione collettiva
La contrattazione collettiva è la complessa attività che le parti interessate
dal conflitto svolgono seguendo modelli esplicitamente convenuti
oppure prassi sedimentate nel tempo, che delineano determinate costanti
di comportamento delle stesse nel porre in essere la loro attività di
produzione normativa. La contrattazione collettiva è dunque
riconducibile a modelli che tengono a perpetuarsi, fino ad atteggiarsi a
vere e proprie regole che le parti seguono. La stessa struttura del sistema
prevede la possibilità di una contrattazione formale e di una
contrattazione informale.
Attualmente, la contrattazione collettiva si articola su tre livelli:
• il livello interconfederale
• il livello di categoria
• il livello aziendale
Il livello interconfederale
E' un vero e proprio grado di contrattazione, che contiene complete e
specifiche discipline di determinati istituti contrattuali. Gli accordi
interconfederali (o concordati), sono da considerare contratti collettivi a
tutti gli effetti, in quanto ricercano una regolamentazione complessiva dei
vari aspetti del rapporto di lavoro. La contrattazione interconfederale è
indirizzata verso obiettivi rivendicativi di carattere generale, capaci di
suscitare grandi movimenti di massa. I momenti più significativi del
livello interconfederale, si hanno dal 1945 al 1948, periodo caratterizzato
da un forte movimento dei lavoratori (Patto di Roma). Tuttavia fino al
1960 si ha una contrattazione largamente accentrata, gestita da un
sindacato che è prevalentemente fenomeno di vertice e che comunque ha
portato a grandi accordi interconfederali (commissioni interne, disciplina
dei licenziamenti, scala mobile, etc.) ed ai primi contratti di categoria.
Bisogna peraltro rilevare che, in tale epoca, le Federazioni di categoria
erano ancora in fase di costituzione. Negli anni 70 il livello
inteconfederale ha assunto una netta valenza politica, su questioni
economiche e sociali: politica delle riforme, programmazione economica,
legislazione del lavoro, piani occupazionali.
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1.1 Il livello di categoria
Il contratto nazionale di categoria ha il compito di fissare le condizioni
minime di trattamento economico e normativo. La contrattazione di
categoria è un punto di riferimento e di equilibrio: la sua funzione
essenziale è quella di unire tutti i lavoratori e di generalizzare i risultati
più avanzati conseguiti dalla contrattazione aziendale. Agli inizi degli anni
'50, il contratto tradizionale è centralizzato sulla categoria; nel 1954 viene
riconosciuto allo stesso livello il diritto di contrattare le variazioni dei
minimi salariali. Nel periodo dal 1960 al 1967, prende piede la
contrattazione articolata, nel cui ambito tuttavia la contrattazione
aziendale rappresenta una prerogativa dei vertici: soggetti ne sono i
sindacati provinciali, mentre si riscontra un rigido collegamento fra il
contratto di categoria ed il contratto aziendale. Durante l'autunno caldo,
il sistema contrattuale riesce a conquistare il modello integrativo. Dal
1970, infine, si sviluppa una contrattazione permanente e non vincolata,
che si articola su due livelli, il contratto nazionale e quello aziendale, non
coordinati; con piena libertà quindi di scelta di rivendicazioni, anche se
già negoziate in altra sede.
1.2 Il livello aziendale
Il contratto collettivo nasce come aziendale, agli inizi del secolo e si
occupa principalmente dalla parte retributiva (concordati di tariffa). Nel
1901 il contratto delle Officine S.P.A., gettava le basi per la costituzione
delle prima commissioni interne. Con l'affermarsi dei sindacati, la
dimensione del contratto collettivo coincide sempre più con il livello di
categoria. Nel regime corporativo l'importanza del contratto aziendale
tende a diminuire. Con il ritorno alla libertà sindacale, anche la
contrattazione aziendale riprende spontaneo vigore, fra il
disorientamento dei sindacati confederali. La contrattazione aziendale fu
generata dalla necessità, ma nacque spuria, figlia non riconosciuta del
sindacalismo ufficiale. La contrattazione aziendale è il tentativo di dare
forma e contenuti democratici al rapporto fra spontaneismo ed
organizzazione. Talvolta ambigua e corporativa, tuttavia essa ha
acquistato diritto di cittadinanza nel sindacato, divenendone un supporto
fondamentale. Nelle regioni settentrionali, nel secondo dopo-guerra, era
assai diffusa la pratica della contrattazione salariale aziendale. In tale
ambito, la commissione interna veniva spesso considerata come l'organo
di base del sindacato. Il sindacato, d'altro canto tollerava i reali poteri
delle commissioni interne, ma cercava di controllarne l'operato. La
contrattazione aziendale aveva un carattere informale, non regolamentata
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e spesso non scritta; appariva quasi sempre come una concessione
padronale, riassorbibile. Tale modello, si rivelava come un fenomeno
ambivalente: da una parte era uno strumento efficace per piegare la
resistenza padronale, dall'altro nascondeva il pericolo di una integrazione
lenta, indolore, ma inesorabile. Così il sindacato favorì indirettamente il
corporativismo ed il paternalismo. I premi una tantum, i premi di
incoraggiamento, usati sapientemente dalle direzioni aziendali, assunsero
spesso la forma di incentivi antisciopero e di espedienti di divisione fra i
lavoratori. La contrattazione aziendale si affermò nei grandi complessi
(FIAT, Pirelli, Montecatini), sostenuta da una larga partecipazione dei
lavoratori. Bisogna peraltro sottolineare che, mentre il sindacato
sottovalutava la fabbrica, la commissione interna era sola di fronte ad
una classe padronale più che mai agguerrita ed in ascesa. Nel 1945 la
CGIL rifiutava la commissione interna come base del sindacato e, quindi,
la contrattazione aziendale quale possibile tentazione corporativa. Questa
organizzazione prevedeva come primo livello di contrattazione, quello
“locale”. Nel Direttivo del 1948, Lama condanna i sindacati di azienda,
non solo perché questa istituzione può comportare la degenerazione del
sindacato unitario in un organismo aziendale, ma perché il sindacato
d'azienda porta con se fatalmente il contratto aziendale e “ noi siamo
contrari al sistema dei contratti aziendali”, perché l'adozione di questo
metodo romperebbe la solidarietà tra i lavoratori appartenenti alla stessa
categoria. Per quegli accordi aziendali che la realtà comunque imponeva,
la CGIL investì del potere contrattuale il sindacato di categoria. In
sostanza, i Comitati di fabbrica nati dalla Resistenza e le commissioni
interne, godettero fino al 1949 di una relativa autonomia. Nel periodo
1950-1954, alcuni fra i più importanti accordi aziendali furono siglati dai
sindacati. Chi si fa paladina di questo tipo di contrattazione è la CISL,
che fra aspre polemiche arriva a firmare degli accordi separati. Già dal
1951 questa Confederazione aveva ammesso l'opportunità di procedere
ad adeguamenti salariali di settore e di azienda. Nel Consiglio generale
del 1953, la Confederazione cattolica riteneva l'azienda la sede più idonea
dove realizzare la distribuzione del prodotto nelle condizioni più
favorevoli, mediante lo strumento contrattuale. Era urgente, secondo la
CISL, che la parte economica della contrattazione collettiva, amplificasse
il compito di stabilizzare i livelli minimi di retribuzione e mirasse
all'adeguamento della quota di lavoro agli incrementi di redditività.
Pertanto, la Confederazione era favorevole all'introduzione ed allo
sviluppo di una prassi di accordi integrativi di azienda. La contrattazione
aziendale, in effetti, consente una più equa ripartizione degli utili,
derivanti dalla più alta efficienza delle singole imprese; per cui i
lavoratori, artefici della maggiore produttività aziendale, beneficiano in
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parte dei maggiori utili conseguiti. Tuttavia, secondo la logica degli
imprenditori, il maggior aumento dei salari aziendali porta ad un
aumento nei prezzi dei prodotti e chi ne fa le spese è l'intera collettività.
Nel 1954 la CISL recepisce tempestivamente il clima favorevole alle
proprie tesi e cerca di inserire come agente contrattuale aziendale,
accanto alla commissione interna, la propria Sezione aziendale sindacale.
La CGIL si allarmò nello scoprire che la Confederazione bianca
manovrava nell'azienda audacemente e che prendeva consistenza il suo
tentativo di presa di contatto diretto con la massa dei lavoratori.
Nascevano così le Sezioni sindacali aziendali (SSA), mentre la UIL, per
non rimanere tagliata fuori, partoriva in fretta e furia i Nuclei aziendali. Si
veniva così riscoprendo il ruolo e l'importanza dell'azienda. La CGIL
rimaneva pur sempre dell'avviso che gli accordi aziendali
rappresentassero un passo indietro rispetto ai contratti collettivi di
categoria, ma la sconfitta del 1955 nelle lezioni delle commissioni interne
presso le maggiori fabbriche, la convinse a rivedere la sua politica
sindacale ed a tener conto dei mutamenti avvenuti. D'altro canto anche la
Confindustria paventava la contrattazione aziendale, presagendo una
perdita del proprio peso contrattuale. Con la nuova articolazione, i
rapporti fra i vari livelli dell'organizzazione sindacale si fecero meno
rigidi. La nuova strategia si fondava sulla condizione operaia in azienda.
Il sindacato si veniva rinnovando, con l'emergere di una nuova figura di
lavoratore specializzato dalla meccanizzazione crescente e dalle nuove
tecniche di organizzazione. Le lotte del 1955, 1956 ebbero carattere
difensivo, in quanto il sindacato era ancora alla ricerca di quel rapporto
organico con i lavoratori, base della sua forza contrattuale. Comunque la
contrattazione aziendale del salario ricominciò a diffondersi. Ritornò il
paternalismo, mentre il nuovo sistema differenziava le conquiste
sindacali, in base ai diversi andamenti della produttività e dei profitti.
CISL e UIL facevano del legame tra salario e risultati aziendali, il perno
di tutta la loro elaborazione teorica. La logica del “sindacato di marca
americana”, faceva nascere correnti sindacali aziendalistiche (sindacati
autonomi). La Confindustria, intanto, si mostrava sempre più
insofferente a qualsiasi forma di decentramento contrattuale a livello di
azienda. Il contratto nazionale, secondo l'organizzazione degli
imprenditori, impegnava fino alla sua scadenza. E nel 1958 si
intensificarono i pubblici richiami, per le aziende associate, alla disciplina
comune. L'iniziativa rivendicativa aziendale veniva in pratica assunta
dalla commissione interna, qualche volta interveniva il sindacato
provinciale, raramente l'accordo veniva raggiunto da una Sezione
sindacale aziendale. Nel Convegno sui rappresentanti di azienda, indetto
nel 1958 dalla CISL, i poteri assegnati alle Sezioni aziendali sindacali
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furono notevolmente ridotti: “la funzione contrattuale compete al
sindacato provinciale”. Alla S.A.S. Rimaneva il compito di concorrere a
realizzare “la massima convergenza possibile dei lavoratori”, formando
una volontà contrattuale unitaria. Si tentava di fissare le competenze e le
materie proprie a ciascun livello di contrattazione. La CISL si proponeva
inoltre, di ottenere, nei contratti di categoria, l'inserimento di clausole di
rinvio a livello aziendale. Nella concezione CISL, la contrattazione era un
fatto essenzialmente autonomo dalla classe e, quindi, il sindacato si
veniva configurando come l'esecutore burocratico, di una linea
contrattuale calata dall'alto e non come l'organo dirigente delle autonome
lotte operaie. Il movimento articolato di fabbrica rimaneva tuttavia una
visione schematica, essenzialmente meccanicistica della connessione delle
scritture sindacali. Le sezioni aziendali sindacali erano soprattutto la
proiezione del sindacato nella fabbrica, operata dall'esterno e dall'alto. I
nuovi organismi di base visti come riflesso del sindacato e non dei
lavoratori, non potevano trovare nelle aziende uno spazio sufficiente per
sopravvivere. Le S.S.A. e le S.A.S. Furono sperimentazioni abortive:
erano necessari più validi strumenti sindacali unitari, che fossero diretta
espressione dei lavoratori di “quella” fabbrica. L'unico strumento
unitario restava la commissione interna, che aveva subito
l'invecchiamento dei quadri ed il logoramento prodotto da una guerra
difensiva e che, il sindacato rifiutava come propria struttura di base.
1.3 La Contrattazione Articolata
Nell’accordo degli elettromeccanici e l’Intersind del 1960 viene sancito
“il diritto del sindacato a stipulare accordi integrativi rispetto al contratto
di categoria e a trattare in seconda istanza le vertenze non risolte a livello
aziendale”. Il costo pagato per questo accordo è nella clausola di pace
sindacale. Intanto la lotta per l’articolazione della contrattazione a livello
aziendale provoca le prime agitazioni, che si espandono a macchia d’olio.
La stessa CISL si preoccupa e propone di regolare tutta la materia della
formazione dei contratti, mediante un accordo interconfederale (accordo
quadro). Il tentativo fallisce. La Confindustria peraltro invita il
sindacato, a scegliersi il livello contrattuale che ritenesse più
soddisfacente, fra quello aziendale e quello nazionale. Frattanto, i
sindacati denunciano anticipatamente il contratto dei metalmeccanici. La
Confindustria nelle trattative pone come pregiudiziale l’interruzione degli
scioperi: è la rottura. Nel “protocollo” Intersind del 1962 viene sancito
definitivamente il diritto a negoziare presso le aziende alcune materie:
cottimo, mansioni, premi di produzione. Di fatto, la contrattazione
aziendale investì l’orario, gli organici, i diritti sindacali. Insomma si