Premessa
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L’attenzione sarà spostata, nella parte finale del lavoro, sul modus operandi
delle organizzazioni mafiose, con la disamina del riciclaggio dei capitali
illecitamente accumulati, e le politiche di intervento per contrastare
l’accumulazione dei patrimoni mafiosi, con la finalità di fornire una panoramica
completa delle misure politiche di natura afflittiva adottate dal legislatore per la
repressione dei fenomeni territoriali innanzi descritti.
Attraverso il riciclaggio, e sostanzialmente il “reinvestimento” dei capitali, le
associazioni mafiose ottengono il duplice risultato di accumulare ricchezza, da
reintrodurre e “ripulire” nei mercati legali e non, e di “miscelarsi” alle imprese
“pulite”, ottenendo un’effettiva invisibilità e riuscendo, indirettamente, a
condizionare i mercati in cui operano, ottenendone ulteriori vantaggi. In tale
quadro sono stati delineati i peculiari aspetti normativi di riferimento, nonché
evidenziate le più sperimentate metodologie di infiltrazione e di inquinamento
dell’economia poste in essere dal crimine organizzato.
- 8 -
CAPITOLO I
Evoluzione legislativa ed elementi costitutivi della fattispecie ex
art. 416-bis c.p.
Introduzione
Al termine di un lungo e non sempre facile cammino legislativo è stata inserita
nell’ordinamento penale una disposizione precipuamente finalizzata al contrasto
della criminalità di stampo mafioso: la novella entra nel Codice Penale sotto
forma di articolo 416-bis, introdotto dalla legge 646/82 cosiddetta Rognoni La
Torre, punto di arrivo di una gestazione più che ventennale.
I caratteri dell’articolo 416-bis, di cui si approfondirà l’analisi più avanti trattando
della struttura della fattispecie, conducono ad una prima riflessione di merito
circa la portata del disposto normativo: per la prima volta vengono sanzionate
penalmente condotte antisociali caratterizzate da peculiari aspetti, sconosciuti
alla comune associazione per delinquere e propri di quella mafiosa: si parla
quindi di stabile organizzazione, proponente, partecipante, intimidazione,
profitto ingiusto, omertà.
Rilievo in tal senso assume, poi, l’orientamento dalla Corte di Cassazione in
merito all’ultimo comma dell’art. 416-bis, che estende l’applicabilità del reato
associativo in esame prima ai fenomeni mafiosi e, successivamente, a tutte le
manifestazioni criminali di analogo carattere pur se territorialmente allocate in
differenti aree geografiche.
Evoluzione legislativa ed elementi costitutivi della fattispecie ex art. 416-bis c.p.
- 9 -
1. Cenni sul panorama legislativo e sulla dottrina giuridica
antecedente che ha contribuito all’attuale formulazione della
fattispecie incriminatrice
1.1. Dai codici preunitari all’art. 248 del codice Zanardelli
Per una disamina del processo evolutivo della norma, non si può non partire dai
precedenti, legislativi e di interpretazione dottrinale, che hanno contribuito alla
formazione della disposizione incriminatrice.
Opinione consolidata in dottrina è che l’origine storica della fattispecie
associativa sia indissolubilmente legata all’esigenza, fortemente sentita, di una
radicale repressione del fenomeno del banditismo
1
, in che è comprovato dal
disposto della prima fattispecie incriminatrice della societas scelerum, cioè
l’associazione di malfattori configurata dagli arti 265 e segg. del codice
napoleonico del 1810, la quale prevedeva come elemento indefettibile del reato
l’associazione per bande
2
.
Gli illeciti associativi configurati nei codici preunitari italiani erano per lo più
modellati sulle previsioni del codice napoleonico. Tuttavia la dottrina non è
unanime nell’accettare questo orientamento, dal momento che le disposizioni
contenute negli atti legislativi differivano da Stato a Stato: ad esempio nel
codice sardo si riproducevano quasi integralmente le suddette fattispecie degli
articoli 265 e 266; mentre l’articolo 421 del codice leopoldino del Granducato di
Toscana parlava già di associazione a delinquere enunciando quale condotta
tipica “l’associarsi di tre o più persone per commettere delitti di furto, di
estorsione, di pirateria, di truffa, di baratteria marittima o di frode, benché non
ne abbiano ancora determinato la specie od incominciata l’esecuzione”
3
.
Con la seconda previsione legislativa si incriminava la semplice “società per
commettere delitti”, che aveva caratteristiche assai diverse dall’associazione di
malfattori di tradizione francese, sia per il venir meno del requisito
1
G. INSOLERA, L’associazione per delinquere, Padova, 1983, 3 ss.
2
L’art. 265 disponeva: “ogni associazione di malfattori contro le persone o la proprietà è un
crimine contro la pace pubblica” e l’art. 266 precisava: “questo crimine esiste per il solo fatto
dell’organizzazione delle bande, dalla corrispondenza tra queste e i loro capi oppure dei patti
intervenuti per il rendimento dei conti o per la distribuzione o divisione del prodotto dei reati”, in
G. INSOLERA, L’associazione per delinquere, cit., 4.
3
Cfr. G. INSOLERA, L’associazione per delinquere, cit., 5.
Evoluzione legislativa ed elementi costitutivi della fattispecie ex art. 416-bis c.p.
- 10 -
dell’organizzazione, sia per l’ambito più ristretto dello scopo sociale, dal quale
erano escluse alcune attività tipiche del banditismo, come i saccheggi e le
scorrerie armate
4
.
Secondo una recente dottrina, il codice leopoldino costituì il modello cui si ispirò
il legislatore italiano postunitario per la formulazione di fattispecie, come quelle
del’art. 248 del codice Zanardelli e dell’art. 416 del codice Rocco, caratterizzate
da un ambito di applicabilità eterogeneo rispetto a quello dell’associazione di
malfattori ed invece contiguo a quello di concorso di persone nel reato
5
.
L’art. 248 del codice Zanardelli stabiliva: “Quando cinque o più persone si
associano per commettere delitti contro l’amministrazione della giustizia, o la
fede pubblica, o l’incolumità pubblica, o il buon costume e l’ordine delle famiglie,
o contro le persone o la proprietà, ciascuna di esse è punita, per il solo fatto
dell’associazione, con la reclusione da uno a cinque anni”
6
.
Dalla lettura della formulazione normativa si nota un rilevante tasso di
astrattezza, comprovato dall’estrema eterogeneità dei modelli ricostruttivi
elaborati dalla dottrina e dalla giurisprudenza. Il venir meno del requisito
dell’organizzazione per bande, sostituito dall’elemento normativo
“associazione”, privo di concreti riferimenti criminologici, aveva lasciato ampi
margini di intervento alla discrezionalità giudiziale. Tant’è che una parte della
dottrina lamentava che era oramai rimesso all’arbitrio del giudice il determinare,
nei singoli casi, l’esistenza o meno gli estremi costitutivi dell’associazione
7
.
La dottrina era divisa in merito all’analisi degli effetti dell’attribuzione della
funzione “preventiva” della norma, poiché tale attività era finalizzata a
sanzionare il disvalore insito nell’elemento meramente intenzionale dell’accordo
criminoso; di riflesso, invece, si ponevano altri giuristi i quali sostenevano che
l’associazione punibile fosse soltanto quella che, con una qualche attività,
avesse già mostrato di essere idonea a mettere in atto il programma delittuoso
8
.
Analoghi contrasti interpretativi dividevano la giurisprudenza. Secondo un
orientamento, non occorreva “la prova di una perfetta organizzazione” ma era
4
F. CARRARA, L’associazione a delinquere secondo l’abolito codice toscano, in Enciclopedia
giuridica, secondo la direzione di P.S. Mancini, I, IV, Milano, 1884, 329.
5
G. INSOLERA, L’associazione per delinquere, cit., 13.
6
Cfr. A. INGROIA, L’associazione di tipo mafioso, Milano, 1993, 46 ss.
7
A. CAVAGNARI, Delitti contro l’ordine pubblico, Completo trattato di diritto penale a cura di
COGLIOLO, II, Milano, 1888, 720.
8
Cfr. A. INGROIA, L’associazione di tipo mafioso, cit., 9.
Evoluzione legislativa ed elementi costitutivi della fattispecie ex art. 416-bis c.p.
- 11 -
sufficiente il semplice accordo verbale o tacito
9
; mentre, secondo l’opposto
indirizzo, si riteneva necessario accertare che vi fosse stata “un’organizzazione
permanente per congrua durata di tempo”
10
.
Questi conflitti interpretativi costituivano una spia della genericità della
formulazione normativa, dell’indeterminatezza dei suoi elementi.
Lo stesso legislatore temeva che l’ambito di applicazione dell’art. 248 si
sovrapponesse a quello riservato alla disciplina del concorso di persone nel
reato: non a caso, nella Relazione sul progetto definitivo del codice
11
, si
enunciava un criterio discretivo fondato sulla determinatezza o
indeterminatezza del programma criminoso, importante termine di raffronto
utilizzato tutt’oggi dalla giurisprudenza prevalente in tema di art. 416 c.p.
1.2. L’associazione a delinquere nel codice Rocco: art. 416
Il quadro sin qui delineato mutò notevolmente nel ventennio fascista. La
funzione di mediazione della mafia non poteva essere tollerata da uno Stato
fortemente accentratore: “lo stato affermò energicamente il monopolio di
coercizione fisica, si appropriò della funzione di protezione dei mafiosi, tolse
loro le funzioni di mediatori, mise sotto controllo e burocratizzò tutti gli organi di
protezione che non fossero statali e distrusse il sistema normativo sub
culturale”
12
.
Un’energica repressione del fenomeno mafioso era così il mezzo più funzionale
alla legittimazione dell’azione dello Stato fascista come unica regolatrice dei
rapporti tra proprietari e contadini.
In tale quadro va inserita l’ulteriore fase evolutiva della fattispecie associativa:
l’art 416 del codice Rocco, strumento più duttile dell’art. 248 del codice
9
Cfr.Cass. 12 dicembre 1894, in Riv. Pen., 1984, XLI, 195.
10
Cass. 5 marzo 1898, in Riv. Pen., 1898, XLVII, 488.
11
Nella Relazione ministeriale al codice Zanardelli (Cfr. Camera dei Deputati, Progetto del
Codice penale per il Regno d'Italia e disegno di legge che ne autorizza la pubblicazione, vol. 1,
Relazione ministeriale, Roma, 1887) si legge: “Il concorso di più persone in uno stesso reato
non costituisce, in generale una specie delittuosa a sé, oppure una circostanza aggravante (…).
Ma se un numero considerevole di individui si associa, non già per commettere questo o quel
reato, ma in generale una serie di delinquenze, per fare quasi, a così dire, il mestiere del
delinquente, sorge lo speciale delitto di cui si tratta e che ha, per i suoi estremi, il concorso di
cinque o più associati e lo scopo di commettere reati, sia pure di specie non ancora
determinata”.
12
H. HESS, Mafia, Bari, 1984, 238.
Evoluzione legislativa ed elementi costitutivi della fattispecie ex art. 416-bis c.p.
- 12 -
Zanardelli, e pertanto meglio utilizzabile nei processi di mafia che si stavano
svolgendo in quegli anni in seguito alle “retate” del prefetto Mori. Tale
previsione costituì la formulazione normativa con la quale il regime fascista
intese imprimere una svolta alla politica di repressione della criminalità
organizzata.
La nuova regolamentazione dell’illecito associativo era ispirata dall’intento di
fornire uno strumento processuale per reprimere in modo più efficace le
associazioni mafiose. Nel suo ambito di operatività estremamente lato, la
suddetta figura di reato consentiva l’instaurarsi di maxiprocessi anche nei
confronti di soggetti, a carico dei quali non vi fossero elementi di prova in ordine
alla commissione di delitti specifici, ma che potessero essere condannati solo
perché ritenuti “mafiosi”
13
.
In definitiva, l’obiettiva evoluzione del fenomeno criminoso e il disegno
governativo di fare della repressione della criminalità organizzata uno strumento
di lotta politica, si intrecciavano nel determinare l’ulteriore trasformazione della
fattispecie associativa.
2. La prima commissione parlamentare antimafia e la legge 31 Maggio
1965 n. 575
Per cogliere appieno le finalità di politica criminale che presiedono l’introduzione
dell’art. 416-bis c.p., esplicitamente destinato alla repressione del fenomeno
mafioso, è preliminarmente opportuno inquadrare la disposizione predetta nel
contesto del processo evolutivo subito dal modello legale dell’associazione per
delinquere.
I precetti normativi che si ritrovano nei codici preunitari, successivamente nel
codice Zanardelli e infine nella fattispecie dell’art. 416 del codice Rocco,
sebbene astrattamente applicabili, risultarono ben presto non completamente
adeguati a contrastare il complesso ed articolato fenomeno mafioso:
quest’ultimo, infatti, non era esclusivamente un fenomeno criminale, ma stava
sviluppando quella propensione al controllo dell’economia che caratterizza
l’attuale struttura; inoltre era dotato di un forte e penetrante potere in grado di
13
A. INGROIA, L’associazione di tipo mafioso, cit., 12.
Evoluzione legislativa ed elementi costitutivi della fattispecie ex art. 416-bis c.p.
- 13 -
operare stabilmente sul territorio, interconnettendosi o sovrapponendosi al
sistema politico ed economico, la cui forza intimidatrice viene sottolineata solo
occasionalmente in coincidenza con episodi aventi diretto rilievo criminale.
La lenta genesi dell’articolo 416-bis c.p. può quindi farsi risalire, volendole dare
data certa, al 20 dicembre 1962 quando, con la legge n. 1720, venne istituita la
Commissione Parlamentare di Inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia, cui
fu attribuito il compito di esaminare l’origine e le caratteristiche del fenomeno
mafia, suggerire le misure più adatte per reprimerne le manifestazioni e, da
ultimo, forse in modo troppo ambizioso, eliminarne le cause.
I lavori della Commissione si conclusero con la presentazione di una articolata
proposta e la successiva emanazione della legge 31 maggio 1965 n. 575,
recante “Disposizioni contro la mafia”, normativa frutto della rinnovata volontà
repressiva, sebbene tesa a privilegiare lo strumento delle misure di
prevenzione.
In questo atto, per la prima volta, si accenna esplicitamente, anche nel titolo,
all’esistenza del fenomeno delinquenziale mafioso.
Il provvedimento in questione stabilisce che nei confronti degli indiziati di
appartenere alla criminalità organizzata di stampo mafioso, le misure di
prevenzione della sorveglianza speciale, di pubblica sicurezza e dell’obbligo di
soggiorno nel comune di residenza o di dimora abituale, possono essere
proposte al Procuratore Nazionale Antimafia, dal Procuratore della Repubblica,
presso il Tribunale nel cui circondario dimora la persona o dal Questore, anche
senza la preventiva diffida
14
.
Come detto in precedenza, la caratteristica saliente di questa legge è quella di
avere un contenuto prettamente preventivo, mentre le disposizioni di carattere
sostanziale riguardano esclusivamente aggravamenti di pena, sia per la
contravvenzione già prevista dall’art. 12 della l. 27 dicembre 1956 n. 1423
(allontanamento abusivo dal comune di soggiorno obbligatorio), sia per una
serie di reati commessi da persona indicata dall’art. 1 della l. n. 575 del 1965
(gli indiziati di appartenere ad associazioni mafiose), già sottoposta con
provvedimento definitivo a misura di prevenzione
15
.
14
N. POLLARI, Tecnica e inchieste patrimoniali per la lotta alla criminalità organizzata, Roma,
2000, 148.
15
G. INSOLERA, Diritto penale e criminalità organizzata, Bologna, 1996, 25.
Evoluzione legislativa ed elementi costitutivi della fattispecie ex art. 416-bis c.p.
- 14 -
In definitiva, si preferì non affrontare il tradizionale problema della natura
dell’associazionismo mafioso, della sua sussumibilità nella fattispecie prevista
dall’art 416 c.p., della necessità di varare un’autonoma fattispecie incriminatrice
che delineasse i caratteri del sodalizio mafioso
16
.
Questa scelta legislativa trovava, inoltre, conferma nelle conclusioni a cui
perveniva la stessa Commissione antimafia
17
.
Sebbene ciò sia stato sia valso da incentivo alle successive evoluzioni
normative, appare opportuno segnalare come l’emanato provvedimento di
legge recepisse solo parzialmente le proposte formulate.
Malgrado ciò, e considerata anche la sostanziale inefficacia dello strumento
giudiziario nella concreta repressione della mafia, sintomaticamente evidenziata
dalle numerose sentenze assolutorie per insufficienza di prove, era andata
affacciandosi l’opinione che la previsione astratta dell’art. 416 c.p. fosse in se
stessa inadeguata a ricomprendere tutta la fenomenologia criminosa di stampo
mafioso
18
. Oltre tutto, la carenza, nella legge 575/65, di una definizione
normativa di associazione mafiosa creava non poche difficoltà, tant’è che
autorevole dottrina riteneva doversi escludere che “nel pensiero del legislatore
debba parificarsi all’associazione per delinquere: altrimenti, anziché un
processo di prevenzione si dovrebbe aprire un processo penale ordinario”
19
.
D'altra parte, occorreva confrontarsi con l’evoluzione delle organizzazioni
mafiose, le quali erano andate sempre più adeguandosi ai meccanismi ed
all’ideologia del capitalismo, nella ricerca, da una parte, di nuove fonti illegali di
profitto (soprattutto nel traffico di stupefacenti) e, dall’altra, di nuovi mercati ove
reinvestire ‘legalmente’ i capitali accumulati (non più il solo comparto edilizio,
ma anche, ad esempio, quello finanziario), al fine di creare un circuito
16
G. TURONE, Il delitto di associazione mafiosa, Milano, 1995, 4.
17
Nella relazione della Commissione parlamentare antimafia del 1972 (cfr. G. TURONE, Il delitto
di associazione mafiosa, II ed, Milano, 2008, 23) si osservava come per applicare le misure di
prevenzione non occorrono prove sicure di colpevolezza, ma basta una generica pericolosità
sociale desumibile dalla stessa personalità del soggetto e da situazioni concrete. Le misure
preventive, allontanando il mafioso dal proprio ambiente, riescono a spezzare le trame invisibili
e sotterranee che solo nel proprio ambiente egli è in grado di tessere e a troncare le catene di
omertà e connivenza. I mafiosi temono molto di più le misure di prevenzione, appunto, perché,
non percepiscono la maggiore efficacia, per la possibilità di una più facile ed immediata
applicazione e per l’effetto che esse possono comportare di un allontanamento degli indiziati dal
proprio ambiente.
18
A. INGROIA, L’associazione di tipo mafioso, cit., 52.
19
P. NUVOLONE, voce Misure di prevenzione e misure di sicurezza, in Enc. Dir., XXVI, Milano,
1976, 633.
Evoluzione legislativa ed elementi costitutivi della fattispecie ex art. 416-bis c.p.
- 15 -
complesso nel quale l’intrecciarsi di accumulazione legale ed illegale di capitali
ha comportato l’estensione del potere mafioso, le cui dimensioni hanno finito
sempre più con l’assumere carattere internazionale. Ecco, allora, che le realtà
associative di mafia, delle quali oramai non si negava più la natura criminosa,
sembravano sfuggire al tradizionale modello di incriminazione dell’art 416 c.p.:
e ciò soprattutto allorché, come spesso si verificava, esse non si proponevano
più soltanto finalità illecite
20
.
L’anzidetta carenza della legge 575/65 viene riscontrata specialmente nel
momento in cui i giudici sono chiamati a decidere sulla sussistenza del vincolo
associativo: una parte della giurisprudenza era orientata a privilegiare
l’applicazione delle misure di prevenzione, strumento dimostratosi inefficace, se
non, addirittura, controproducente; all’opposto si poneva un’altra parte della
giurisprudenza la quale aveva talvolta adottato interpretazioni dell’art. 416 c.p.
miranti ad introdurre agevolazioni probatorie mediante il frequente ricorso a
schemi presuntivi
21
. Questi ‘modelli’ erano stati elaborati dalla giurisprudenza la
quale aveva individuato, anticipando la definizione di ‘metodo mafioso’
contenuta nell’art. 416-bis, i primi parametri caratterizzanti l’associazione
mafiosa: “la forza intimidatrice del vincolo associativo”
22
; “l’uso di mezzi
intimidatorii per assicurarsi il monopolio dei trasporti in una determinata zona”
23
.
In questo clima acquistava sempre più peso la convinzione che l’art. 416 c.p.
fosse strumento ormai inadatto per una efficace repressione della criminalità
mafiosa, essendosi quest’ultima trasformata in modo da sfuggire all’ambito di
operatività di tale norma
24
.
La principale ragione, per la quale la suindicata fattispecie appariva inadeguata
rispetto alle nuove realtà associative di mafia, poggiava sulla considerazione
che la “forza intimidatrice”, promanante dallo stesso vincolo associativo, di cui si
avvaleva la cosiddetta “mafia imprenditrice” per perseguire i propri obiettivi,
peraltro non più esclusivamente illeciti, non si concretizzasse necessariamente
in una vera e propria minaccia, e quindi in una condotta penalmente rilevante.
20
A. INGROIA, L’associazione di tipo mafioso, cit., 52.
21
G. TURONE, Il delitto di associazione mafiosa, cit., 20 ss.
22
Cass., Sez II, 23 marzo 1970, Ambrogio, in Cass. pen.mass.ann., 1972, 131, m.157.
23
Cass, Sez I, 25 giugno 1973, Mazzaferro, in Cass. pen.mass.ann, 1974, 1373, m. 2197.
24
R. CHINNICI, Magistratura e mafia, in Dem. e dir., 1982, 87.
Evoluzione legislativa ed elementi costitutivi della fattispecie ex art. 416-bis c.p.
- 16 -
Altra ragione su cui si è fondato l’assunto dell’insufficienza dal punto di vista
probatorio dell’art. 416 c.p. sarebbe derivata dalla previsione normativa del
programma criminoso, e cioè di un requisito non sempre, a rigore, riscontrabile
in una “associazione mafiosa”
25
.
Infine, la motivazione strutturale della non adeguatezza dell’art. 416 c.p. veniva,
individuata nell’attitudine della norma “a fronteggiare fenomeni locali e
circoscritti di delinquenza associata, ma non fenomeni imponenti di criminalità
organizzata”
26
; nonché nella previsione di requisiti, come l’organizzazione e
l’atto di adesione dell’affiliato al sodalizio, difficilmente accertabili
27
.
Le denunciate difficoltà applicative dell’art 416 c.p. traevano spunto
dall’osservazione della prassi giudiziaria, da cui emergeva la difficoltà di
provare, in un processo di mafia, gli estremi costitutivi della fattispecie di cui
all’art. 416. Ciononostante, secondo l’opinione comune, tali difficoltà probatorie
avrebbero rivelato ben altro, e cioè che “la mafia, per la sua evoluzione, per i
suoi mutevoli e molteplici aspetti, per i suoi nuovi connotati economici ha finito
con il divenire una realtà criminosa e criminogena di particolare gravità, che
esula dagli stessi ristretti schemi della comune associazione per delinquere”
28
.
Come accennato in precedenza, sulla scorta dell’intervento normativo del ’65 si
sviluppò una copiosa giurisprudenza che costituì, unitamente al mutato senso
della pericolosità sociale del sodalizio mafioso, il pilastro su cui fondare l’articolo
416-bis c.p., fattispecie con la quale il legislatore ha risolto i contrasti
interpretativi e dottrinali in materia, anche grazie all’ausilio degli interventi della
Suprema Corte.
Importante, in merito, è il richiamo alla sentenza del 12 novembre 1974, che
rappresenta una vera pietra miliare soprattutto per come lucidamente individua i
caratteri tipizzanti l’associazione a delinquere di tipo mafioso.
La richiamata pronuncia, infatti, definisce l’associazione mafiosa come: “ogni
raggruppamento di persone che, con mezzi criminosi, si proponga di assumere
o mantenere il controllo di zone, gruppi o attività produttive attraverso
l’intimidazione sistematica e l’infiltrazione di propri membri in modo da creare
25
A. INGROIA, L’associazione di tipo mafioso, cit., 53.
26
C. MACRÌ, V. MACRÌ, La legge antimafia, Napoli, 1983, 3.
27
G. NEPPI MODONA, Il reato di associazione mafiosa, in Dem. e dir., 1983, n. 4, 50 ss.
28
A. PAJNO, Aspetti di diritto sostanziale, in La legge 13 settembre 1982 n. 646: problemi
interpretativi ed applicativi, in Quad. Cons. sup. mag , 1983, suppl., 72.
Evoluzione legislativa ed elementi costitutivi della fattispecie ex art. 416-bis c.p.
- 17 -
una situazione di assoggettamento e di omertà che renda impossibili o
altamente difficili le normali forme di intervento punitivo dello Stato”
29
. Inoltre,
nella definizione “trarre vantaggi personali giovandosi anche indirettamente
della forza di intimidazione che il gruppo esprime”, viene individuato un chiaro
indice di “mafiosità”. Infine, il riferimento al fatto che una simile definizione non
fosse rivolta ad una associazione siciliana ma campana, consente di superare
in via definitiva il dibattito sull’applicazione dell’articolo 416 alle associazioni
criminali aventi caratteri propri, ovunque allocate od operanti
30
.
E’ evidente come ed in quale ampia misura il legislatore del 1982 abbia attinto
dalla sentenza sopra riportata per la costruzione giuridica dell’articolato e come
l’esigenza di adeguare l’assetto normativo fosse effettiva ed incombente. Ciò
avevano ben compreso e sintetizzato in norma gli estensori della legge 646/82,
laddove intesero colpire non tanto il reato sottostante, quanto la stessa
appartenenza del soggetto inciso all’organizzazione di stampo mafioso. Ed è
per questo che, in senso tecnico, “l’articolo 416-bis non si pone come una
trasposizione in chiave giuridica di un allarme sociale, ma come fattispecie
perfetta di reato, caratterizzata cioè da precetto e sanzione”
31
.
3. La formulazione del reato di associazione per delinquere a
“struttura mista” nel quadro della legge n. 646 del 1982
3.1. La proposta di legge “La Torre”
La risposta dell’ordinamento giuridico rappresentata dalla legge 31 Maggio
1965 n. 575 non si è dimostrata idonea a fronteggiare il fenomeno, che anzi -
29
Cass., Sez. IV penale, sentenza 8 giugno 1976, Nocera, in Giust. pen., 1977, 268.
30
Nella medesima decisione si legge infatti che “Il termine mafia non può essere inteso nella
accezione meramente storica di fenomeno nato in alcune zone della Sicilia, proprio in quanto la
legge è diretta a prevenire e perseguire tutte le manifestazioni di antisocialità organizzate che
presentano gli stessi caratteri tipici nell’intero territorio nazionale, prescindendo dalle loro origini
e dalle diversità delle loro denominazioni tradizionali, che anche nel linguaggio hanno ormai
perduto significato e sono state sostituite dal termine omnicomprensivo di mafia. (...) La zona
territoriale in cui il gruppo o l’organizzazione opera e la stessa denominazione che nella zona
medesima l’attività di questo tipo tradizionalmente assume sono inconferenti ai fini
dell’applicazione della legge in esame, poiché è determinante soltanto il livello di pericolosità
sociale che il fenomeno esprime” Così Cass., Sez. IV penale, sentenza 8 giugno 1976, Nocera,
cit., 270.
31
I. GIBILARO, C. MARCUCCI, La criminalità organizzata di stampo mafioso, evoluzione del
fenomeno e degli strumenti di contrasto, in Pubblicazioni della scuola di polizia tributaria della
Guardia di Finanza, Roma, 2005, 211.
Evoluzione legislativa ed elementi costitutivi della fattispecie ex art. 416-bis c.p.
- 18 -
com’è noto - trovò il modo di diffondere i propri sistemi e modalità operative
fuori dai territori tradizionali, grazie all’azione degli appartenenti all’associazione
mafiosa, inviati in soggiorno obbligato in ogni parte della penisola.
Fu così che all’inizio degli anni ’80 si fece strada, nell’opinione pubblica e in
Parlamento, l’idea di rafforzare gli strumenti di lotta alla criminalità mafiosa
anche attraverso il ricorso ad una nuova e specifica fattispecie associativa
32
.
La proposta di legge arrivava in seguito agli studi che erano stati effettuati sulle
dinamiche della realtà mafiosa; in particolare emergeva che essa, non più
caratterizzata da una struttura di vaste dimensioni, si articolava in una
molteplicità di organizzazioni autonome, non necessariamente alleate tra loro,
che si dividono, o contendono, le sfere di influenza, il territorio e il genere di
affari
33
.
Il parlamentare La Torre, sulla base di questi studi, anziché prendere in
considerazione la mafia come organizzazione monolitica di grande consistenza
numerica e di notevole estensione territoriale, si è preoccupato di colpire le
associazioni o piccoli gruppi mafiosi, sia numericamente che con zona di
influenza limitata, le cosiddette “cosche”
34
.
32
G. SPAGNOLO, L’associazione di tipo mafioso, Padova, 1998, 6.
33
Atti preparatori della legge n.646 del 1982, in Quad. Cons. sup. mag., 1982, n. 3, 243. Cfr.
G.TURONE, Il delitto di associazione mafiosa, II ed, cit, 24 ss.
34
La proposta di legge n. 1581 enunciava:
“Chiunque fa parte di un’associazione mafiosa o di un gruppo mafioso, costituiti da tre o più
persone, è punito con la reclusione da tre a sei anni.
Coloro che promuovono o dirigono od organizzano l’associazione o il gruppo sono puniti, per
ciò solo, con la reclusione da quattro ad otto anni.
L’associazione o il gruppo è mafioso quando coloro che ne fanno parte hanno lo scopo di
commettere delitti o comunque di realizzare profitti o vantaggi per se o per altri, valendosi della
forza intimidatrice del vincolo mafioso.
Se l’associazione o il gruppo sono armati si applica la pena della reclusione da quattro a dieci
anni nei casi previsti dal primo comma e da cinque a quindici anni nei casi previsti dal secondo
comma.
L’associazione o il gruppo si considerano armati quando i partecipanti hanno la disponibilità, per
il conseguimento delle finalità dell’associazione o del gruppo, di armi o materiali esplodenti,
anche se occultati o tenuti in luogo di deposito.
Nei confronti del condannato è sempre obbligatoria la confisca delle cose che servirono o
furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prodotto o il profitto.
Decadono inoltre di diritto le licenze di polizia, di commercio, di commissionario astatore presso
i mercati annonari all’ingrosso, le concessioni di acque pubbliche e i diritti ad esse inerenti
nonché le iscrizioni agli albi di appaltatori di opere o di forniture pubbliche o agli albi
professionali di cui il condannato fosse titolare”. Cfr., art. 1, capo I, proposta di legge d’iniziativa
dei deputati La Torre ed altri, recante «Nome di prevenzione e di repressione del fenomeno
dalla mafia e costituzione di una Commissione parlamentare permanente di vigilanza e
controllo», presentata alla Camera dei Deputati il 31 marzo 1980 (n. 1581 dell’VIII legislatura),
in G. CONSO, Commenti ed atti ufficiali, Appendice a G.TURONE, Le associazioni di tipo mafioso,
Milano, 1984, 215-216.
Evoluzione legislativa ed elementi costitutivi della fattispecie ex art. 416-bis c.p.
- 19 -
Nella proposta del deputato La Torre la volontà di prendere in considerazione
non una “macro” organizzazione mafiosa, ma ogni “micro” organizzazione di
quel tipo, risulta subito chiara dal fatto che, per costruire una consorteria
criminale, si ritiene sufficiente un gruppo di tre persone. Siamo però sempre
nell’ambito delle associazione a delinquere tradizionali; non si parla ancora di
associazione di tipo mafioso
35
.
Inoltre la proposta La Torre, mentre faceva riferimento sempre all’uso della
forza intimidatrice sotto l’aspetto strumentale, identificava più sinteticamente il
fine dell’associazione nello “scopo di commettere delitti o comunque realizzare
profitti o vantaggi per sé o per altri”.
3.2. Il testo definitivo dell’art 416-bis c.p.
Le modifiche apportate durante i lavori preparatori ed in particolare il passaggio,
nel testo e nell’intitolazione dell’art. 416-bis, dall’incriminazione della
“associazione mafiosa” all’incriminazione della “associazione di tipo mafioso”
inducono a ritenere che il legislatore del 1982 abbia colto l’occasione che gli si
presentava per incriminare un tipo di associazione illecita, decisamente più
ampio di quello che aveva ispirato, con le sue gravissime e sistematiche azioni
criminose, l’intervento legislativo. Questa linea conduttrice, seguita in sede di
stesura della norma, la si nota anche dall’estensione, operata nell’ultimo
comma dell’articolo, alle altre associazioni comunque localmente denominate
che, valendosi della forza intimidatrice del vincolo associativo, perseguono
scopi corrispondenti a quelli dei sodalizi di tipo mafioso
36
.
Nei lavori preparatori della nascente normativa antimafia si legge infatti che la
nuova figura di reato mira “a colmare una lacuna legislativa non essendo
sufficiente la previsione dell’art. 416 c.p. a comprendere tutte le realtà
associative di mafia che talvolta prescindono da un programma criminoso
35
G. SPAGNOLO, L’associazione di tipo mafioso, cit., 7.
36
Tale interpretazione è stata seguita dalla Suprema Corte sin dalle sue prime decisioni: Cass,
Sez. VI, 12 giugno 1984, Chamonal, in Foro It., 1985, II, fasc. 4, 169, con nota di C. RAPISARDA,
Sui limiti di estensione dell' associazione di tipo mafioso.
Evoluzione legislativa ed elementi costitutivi della fattispecie ex art. 416-bis c.p.
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affidando il raggiungimento degli obiettivi alla forza intimidatrice del vincolo
mafioso in quanto tale”
37
.
In definitiva, l’introduzione della nuova figura criminosa dell’associazione di tipo
mafioso ha alla base più di una ragione giustificatrice; se da un lato la
configurazione di una fattispecie incriminatrice ad hoc mira al più volte
richiamato obiettivo pratico di rimediare alla lamentata inadeguatezza della
tradizionale fattispecie associativa, dall’altro l’art. 416-bis intende anche
simbolicamente evidenziare il particolare disvalore della criminalità mafiosa,
quale fenomeno socialmente dannoso a diversi livelli
38
.
Alla fine del lungo iter parlamentare, l’art. 1 della legge 13 settembre 1982 n.
646, intitolata “Disposizioni in materia di misure di prevenzione di carattere
patrimoniale ed integrazioni alle leggi 27 dicembre 1956 n. 1423, 10 febbraio
1962 n. 57 e 31 maggio 1965 n. 575. Istituzione di una commissione
parlamentare sul fenomeno della mafia” ha inserito nell’ambito del Titolo V del
codice penale, comprendente i delitti contro l’ordine pubblico, l’art. 416-bis,
rubricato “associazione di tipo mafioso”.
Ad una sommaria lettura, la nuova norma appare poco coerente rispetto al
processo evolutivo del modello di incriminazione dell’associazione per
delinquere finora osservato: mentre questo processo è infatti caratterizzato da
una progressiva astrazione generalizzatrice, correlata al venir meno di specifici
riferimenti criminologici e culminante nella formulazione normativa
estremamente lata ed onnicomprensiva dell’art. 416 c.p., la nuova fattispecie
sembrerebbe “meno astratta”, in quanto modellata su un fenomeno criminoso
ben determinato
39
.
Sennonché, l’inversione di tendenza si rivela soltanto apparente se si considera
che l’art 416-bis viene introdotto non già per sostituire l’art. 416, ma per
affiancarlo; il fine è di rimediare alla ritenuta inadeguatezza della tradizionale
figura dell’associazione mafiosa ed a fronteggiare le nuove dinamiche delle
consorterie criminali.
37
Atti preparatori della legge n.646 del 1982, in Quad. Cons. sup. mag., 1982, n. 3, 243. Cfr.
G.TURONE, Il delitto di associazione mafiosa, II ed, cit, 24 ss.
38
G.FIANDACA, E.MUSCO, Diritto penale Parte speciale, Vol.I, III edizione, Bologna, 2006, 358.
39
A. INGROIA, L’associazione di tipo mafioso, cit., 56.