6
federale, nel periodo del New Deal; successivamente si sviluppano in Francia
e, sotto l’influenza francese, penetrano, più tardi in Italia.
Il DNA di queste figure istituzionali sta in un binomio: da un lato
l’elevata expertise tecnica dei loro organi di vertice e del personale, d’altro
lato, l’ampia autonomia e indipendenza dell’apparato del potere esecutivo e
della politica, che si concreta nel loro distacco rispetto alla gerarchia
amministrativa e al circuito dell’indirizzo politico; per tale motivo,
costituiscono una novità nel panorama politico continentale caratterizzato da
tradizioni fatte di poteri decisionali concentrati e di burocrazie gerarchizzate.
L’ analisi dell’esperienza italiana, così come quella degli altri Paesi che
hanno visto la creazione di Autorità amministrative indipendenti, mostra che
l’indipendenza nasce dall’esigenza di formulazione di giudizi tecnici nei casi
concreti, e tale formulazione difficilmente può essere espressa da istituzioni
politiche alle quali spetta un compito di indirizzo e controllo.
In Italia le Autorità indipendenti hanno iniziato ad operare in ambito
economico, ma la complessità dell’attuale società ha determinato ben presto
l’esigenza di prevedere il loro intervento anche in ambiti diversi. Questo
motivo induce a ritenere di particolare importanza la concettualizzazione di una
responsabilità politica delle authorities non intesa come limitazione di
autonomia ma come attivazione di modalità conoscitive della loro azione di
modo da essere responsabilizzate dinanzi ai poteri costituiti e dinanzi all’
opinione pubblica. Da tutto ciò deriva il problema emergente di questo studio
che riguarda appunto la definizione (almeno nelle linee generali) di quale sia il
modello auspicabile per lo svolgimento dell’analisi di impatto della
regolamentazione in particolare durante il processo decisionale delle Autorità
indipendenti.
7
CAPITOLO PRIMO
Le nuove forme di regolazione
1. La governance: dall’etimologia dell’espressione al ruolo dei parlamenti
nell’assetto comunitario.
Può essere utile, in via preliminare, tornare alla radice etimologica del
termine governance ed al lungo percorso che l’ha portato a differenziarsi da
quello originariamente sinonimico di governmnet.
Com’è noto, tale termine ha origine – nel XIII secolo – con
l’espressione francese gouvernance , intesa come governo, nel significato di
arte e maniera di governare. A distanza di un secolo questa espressione –
trasformatasi in governance – viene mutuata dalla lingua inglese col medesimo
significato. Essa cade in seguito in disuso, per riapparire in maniera rilevante
alla fine degli anni ottanta del secolo scorso. Momento importante è senz’altro
il dibattito sulla riforma delle strutture e delle istituzioni di governo
metropolitano negli Stati Uniti, a partire dal quale il termine viene
consapevolmente utilizzato in opposizione al concetto di government. Ciò
avviene certamente in un contesto teorico specifico determinato
dall’individualismo metodologico e dal public choice approach
1
. Poco dopo, lo
ritroviamo nel mondo delle imprese dove emerge il tema della corporate
governance, che nei suoi caratteri più generali sarà ripreso nei documenti della
Banca mondiale, del Fondo monetario internazionale e del Programma delle
Nazioni Unite per lo sviluppo (Undp).
E’ successivamente in seno all’Unione europea che tale locuzione
acquista sempre maggiore rilevanza, in particolare con la pubblicazione,
nell’agosto 2001, di un Libro bianco sulla governance europea.
1
Cfr. PARRI L., Le istituzioni nelle scienze economico-sociali: una torre di Babele concettuale,
Università degli studi di Brescia, 1995: << Quanto al filone della public choice di Buchaman e Tullok,
l’idea cardine è che le azioni dello Stato possono essere spiegate come esito del comportamento
razionale degli individui che perseguono il loro interesse personale, anziché quello generale, in risposta
alle regole del gioco politiche. Le istituzioni, quindi, vengono viste come un sistema di norme
indirizzato a una certa costellazione di fini, comprensivo degli strumenti di garanzia delle norme stesse.
Il loro scopo è di guidare il comportamento individuale in una certa direzione. Le istituzioni strutturano
la nostra vita quotidiana e diminuiscono in questo modo le sue incertezze >>.
8
Il termine governance rappresenta una delle parole chiave della politica
di questi anni. Come detto poc’anzi, è da almeno un ventennio che il termine
governance ha fatto irruzione nei più disparati ambiti istituzionali, (politici,
economici e di ricerca), e con significati e implicazioni differenti nei diversi
contesti d’utilizzo. L’uso indiscriminato che ne viene fatto colloca la gvernance
nel mondo dell’amministrazione e dello Stato (New Public Managment, teorie
della regolazione), nel mondo delle imprese (corporate governance), in quello
del governo locale e urbano (local e urban governance), e per ultimo nella
dimensione della politica internazionale post guerra fredda (global
governance).
In tutti questi contesti il termine esprime un’accezione a volte
descrittiva, altre volte esprime invece una tensione analitica. In altri termini, o
fotografa le articolazioni concrete che assumono i rapporti tra gli attori e i
meccanismi decisionali, oppure coopera come strumentazione tecnica
finalizzata all’interpretazione di mutamenti in atto, tentando di favorire
l’applicazione da parte di attori di norme, principi, standards, codici regolativi
o autoregolativi. Attualmente, il concetto di governance istituzionale fa
riferimento all’individuazione, analisi e attuazione di programmi e politiche
pubbliche, organizzate e gestite nel modo più efficace ed efficiente possibile
2
.
Tralasciando di far riferimento a una dimensione addirittura globale del
fenomeno, l’ambito di applicazione del concetto in esame trova una
dimensione territoriale proprio all’interno dell’Unione Europea, dei suoi Stati
membri e delle autonomie presenti all’interno degli stessi. Si è voluto
prospettare un sistema di governo multilivello strutturato sui principi di
trasparenza, responsabilizzazione ed efficienza, affrontando quindi il problema
della democrazia nella Comunità Europea poiché << la riforma dei metodi di
governo europeo si inquadra a tutti gli effetti nella prospettiva di un
approfondimento della democrazia europea
3
>>.
2
Per un’autorevole analisi della governance “interistituzionale” cfr., MANZELLA A., Il parlamento,
Bologna, 2003, Terza edizione, pp 11 ss.
3
SEC (2000) Un libro bianco sul sistema di governo europeo. “Approfondire la democrazia
nell’Unione europea”. Programma di lavoro, SEC (2000) 1547/7 def.
9
La governance del Libro bianco nasce da questi presupposti,
presentandosi come la trasformazione dell’assetto esecutivo e amministrativo
dell’Unione. Essa è genericamente definita come << le norme, i processi e i
comportamenti che influiscono sul modo in cui le competenze sono esercitate a
livello europeo, soprattutto con riferimento ai principi di apertura,
partecipazione, responsabilità, efficacia e coerenza
4
>>.
I mutamenti proposti vanno innanzitutto nella direzione di garantire
l’apertura delle politiche europee verso i cittadini, attribuendo un più ampio
ruolo consultivo alle parti sociali e garantendo una competente informazione
sui percorsi dell’Unione; perché questo sia possibile è necessario stabilire
standards e buone pratiche di consultazioni sulle proprie politiche, e favorire
l’istituzione di accordi di partenariato e collaborazione con attori extra e para-
istituzionali nell’implementazione delle policies. La partecipazione dei cittadini
è quindi richiesta per il processo di policy-making, ed è resa possibile solo per
via indiretta – attraverso gli strumenti della consultazione allargata – al
processo di policy formulation. In tal senso, la partecipazione dei cittadini
assume le vesti di una expertise allargata più che quella dell’attiva
collaborazione ai processi di formulazione ed esecuzione.
Un secondo obiettivo posto al processo di riforma della governance
europea è quello di migliorare le politiche e gli strumenti di normazione e
legislazione. A tal fine la Commissione s’impegna a diversificare gli strumenti
a propria disposizione, a semplificare il diritto comunitario, ad utilizzare
maggiormente il parere degli esperti, a fissare i criteri per istituire nuove
agenzie di regolazione ed a definire il contesto giuridico nel quale queste
ultime dovranno operare.
Nella veloce evoluzione dei procedimenti decisionali è da sottolineare la
trasformazione del ruolo dei Parlamenti nazionali, i quali da soggetti
disciplinatori di ogni settore della vita pubblica si sono trasformati in soggetti
regloatori degli imponenti flussi normativi che provengono (o almeno
dovrebbero provenire) dagli altri attori presenti sulla scena istituzionale
4
COM (2001), Libro Bianco sulla Governance Europea, COM (2001) 428, 25.07.2001
10
nazionale (in particolare – in Italia – dal Governo e dalle Regioni). La
legislazione parlamentare si sta orientando verso una legislazione di principio,
programmazione e di indirizzo politico, anche in attuazione delle vincolanti
norme comunitarie. In tale ottica si inseriscono l’uso quantitativamente e
qualitativamente significativo della delegazione legislativa e i provvedimenti di
delegificazione e di deregolamentazione (c.d. deregulation).
Gli attori, pubblici e privati coinvolti nell’attuazione dei predetti
programmi e politiche sono molteplici: si pensi solo alle varie Autorità
amministrative indipendenti (c.d. Authorities), alle quali sono attribuite dalla
legge funzioni di regolazione, controllo, indirizzo, gestione, e talvolta anche di
sanzione, in delicati settori della vita pubblica ( telecomunicazioni ed editoria,
concorrenza, protezione dei dati personali, servizi pubblici e così via). Ma si
pensi anche alla moltitudine di amministrazioni ed enti pubblici e privati che
istituzionalmente partecipano a tale “gestione” pubblica, ai sindacati, agli
organismi consultivi e così via. Giorgio Giraudi, in uno studio sulla nascita di
una politica dell’antitrust in Italia, ha messo in evidenza come essa sia stata <<
un importante esempio di policy change che avviene in un contesto di
transizione sistematica sotto la spinta di un vincolo esterno >>. I mutamenti
nella governance europea avviati con l’approvazione dell’Atto Unico Europeo
avrebbero accentuato le spinte provenienti dall’interno dell’arco politico ed
economico italiano, convogliandole verso una legislazione in materia di
antitrust. Legislazione, peraltro, che si è mossa a favore dell’istituzione di
un’autorità amministrativa indipendente attraverso la legge 297/90 sulla scia
delle scelte europee
5
.
Il processo di armonizzazione degli ordinamenti amministrativi dei
singoli stati all’ordinamento europeo è oggi condizionato anche da altri temi
cruciali, quali l’applicazione dei principi di proporzionalità e sussidiarietà –
nelle sue varianti verticale e orizzontale – che sono tra i fattori di maggiore
trasformazione e riassetto dello spazio politico comunitario. Il principio di
5
GIRAUDI G., Europeizzazione delle politiche pubbliche e mutamento istituzionale: la politica
antitrust italiana,«Rivista Italiana di Scienza Politica», 2000 a.XXX, n. 2, pp. 257-294
11
sussidiarietà, previsto espressamente nella nostra Costituzione a seguito della
modifica del Titolo V della seconda parte della stessa, presiede al riparto di
competenze tra i vari organi locali, regionali, nazionali, definendo i livelli di
intervento per l’individuazione dei soggetti che di volta in volta dovranno farsi
carico del policy-making e della produzione legislativa su temi specifici
6
. Tutto
ciò ha importanti ricadute sulla tenuta della democrazia rappresentativa.
Un ulteriore piano problematico è offerto proprio dall’ampliarsi e dal
rafforzarsi del ruolo svolto dalle authorities o agencies. Lo stesso Giraudi,
insieme con Maria Stella Righettini, ha sottolineato come, sul piano
dell’amministrazione, la governance richiami l’idea di un insieme di sub-
sistemi di governo basati sull’interdipendenza e la co-decisione tra attori
nessuno dei quali in una posizione di assoluto predominio nel controllo di una
determinata risorsa. << Le autorità indipendenti possono essere considerate tra
i fenomeni più rilevanti dell’evoluzione dei sistemi di governance delle
democrazie occidentali. Esse rappresentano il passaggio da sistemi istituzionali
di governo, prevalentemente fondati sulle istituzioni della rappresentanza
(partiti e parlamenti) e orientati alla centralità delle funzioni di inputs, a sistemi
di governo orientati alla rivalutazione di modalità di azione più orientate
all’efficacia degli outputs
7
>>.
Importante diviene, quindi, porre al centro di questi nuovi processi il
singolo. E’ da una diversa attenzione alla complessità dei singoli, ed a partire
dai loro contesti di vita, che è forse possibile tentare di definire una più
compiuta partecipazione politica e civile. A partire da qui, ogni
sperimentazione e percorso d’innovazione delle istituzioni sociali e politiche
diviene forse possibile
8
.
6
La riforma attuata con la legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3, ha introdotto il principio di
sussidiarietà, di derivazione comunitaria, agli artt. 118, commi 1 e 4 e 120, comma 2 della
Costituzione.
7
GIRAUDI G. / RIGHETTINI M.S. Le autorità amministrative indipendenti. Dalla democrazia della
rappresentanzaalla democrazia dell’efficienza, Roma-Bari, 2002, Laterza p 202
8
BORRELLI G., Dal cittadino immaginario della modernità alle politiche di singolarità, in Singolari
Intrecci. Modi di patire e pratiche di libertà, a cura di G. Borrelli e F.C. Papparo, 2001, Napoli,
Filema, pp. 9-41
12
2. Il perchè delle regole di qualità: dal “Regulatory Reform” al “Rapporto
Mandelkern” passando per Lisbona.
Nel corso del Novecento i Governi hanno ottenuto notevoli risultati nel
campo della protezione di molteplici valori sociali ed economici grazie
all’espansione normativa. Come è noto, infatti, le norme giuridiche sono
fondamentali per la vita di uno Stato democratico.
Attualmente, tuttavia, le tradizionali forme di produzione normativa non
appaiono adatte a garantire che i crescenti poteri regolatori siano utilizzati in
maniera efficace dal punto di vista dei costi e coerente rispetto al
raggiungimento di quei risultati.
Per ovviare a ciò occorrono allora, interventi di “miglioramento della
regolazione” (c.d. better regulation) volti alla semplificazione “giuridico-
amministrativa” di fasi procedimentali e all’elevazione della “qualità della
regolazione”, con un’analisi più sistematica, anche sotto il profilo economico,
dei suoi effetti. La soppressione delle norme, la deregulation, può ovviamente
far parte di questo processo, ma altrettanto ovviamente non può assorbirlo
interamente. In quest’ottica, una strategia di better regulation costituisce un
fattore decisivo per la competività di un sistema. Il tema della better regulation
è diventato un obiettivo prioritario per la Comunità europea. Con il piano di
rilancio strategico dell’economia europea varato dai Consigli di Santa Maria da
Feira e di Lisbona è stato affermato che una politica per la migliore regolazione
è uno strumento irrinunciabile per favorire lo sviluppo del mercato europeo,
rendendo l’economia europea la più competitiva e dinamica “knowledge-based
economy” del mondo. Sulla base di tale constatazione, il dibattito europeo sulla
migliore regolazione nasce quindi con la necessità di trovare un rimedio a una
eccessiva produzione normativa che rischia di delegittimare l’intero quadro
dell’azione comunitaria.
Altri campi d’intervento per una migliore regolazione sono:
1- L’attuazione da parte della Commissione europea di programmi di
semplificazione, modernizzazione, abrogazione, codificazione o revisione della
legislazione esistente
13
2- La formulazione di nuove proposte di legislazione, per le quali sono
previste l’analisi di impatto e la consultazione degli stakeholder e degli esperti,
e per le quali è curato il rispetto della proporzionalità e della sussidiarietà
Tutto ciò è stato percepito inizialmente dall’OCSE, che ha istituito un
gruppo di lavoro ad hoc sulla “Regulatory Reform” segnalando ai Governi dei
Paesi membri l’esistenza e la rilevanza della questione
9
.
L’interesse del’Unione Europea arriva decisamente più tardi sotto la spinta
degli Stati Membri. Più precisamente, è dai Consigli di Goteborg e di Laken
che si è iniziato a dare maggiore strutturazione al tema della valutazione della
regolazione. Lo storico rapporto Mandelkern sulla better regulation del 2001,
infatti, deriva da un’iniziativa dei Ministri nazionali per la funzione pubblica.
Si tratta di un piano d’azione per la qualità della normativa comunitaria
redatto da una commissione di esperti, per lo più provenienti dalle unità
centrali per la better regulation esistenti nei vari Stati membri.
Il Rapporto individua quelli che sono i principi o gli obiettivi la cui
promozione/attuazione è strumentale alla “migliore regolazione”.
Tali principi sono:
1- il principio della necessità della nuova regolazione, il quale comporta
la valutazione della legittimazione e dell’effettività dei vari strumenti di azione
pubblica, che vanno scelti secondo proporzionalità e sussidiarietà (principi
quindi correlati a quello della necessità).
2- il principio di trasparenza, il quale implica la partecipazione e la
consultazione con le parti durante la preparazione della proposta legislativa.
3- il principio di responsabilità, in riferimento al quale il Rapporto
raccomanda che ogni parte coinvolta nella negoziazione possa identificare e far
riferimento alle autorità che hanno generato quella regola, anche per poter
riferire a queste le eventuali difficoltà riscontrate nell’applicazione della regola.
4- il principio di accessibilità, con l’attuazione del quale il Rapporto
vuole indicare come sia fondamentale che i cittadini possano far riferimento a
9
AA.VV. (a cura di F. BASILICA), La qualità della regolazione – Politiche europee e piano nazionale
(volume pubblicato dal Dipartimento della funzione pubblica), Bologna 2006.
14
norme coerenti e anche congruamente comunicate, in modo tale da evitare che
le persone coinvolte in una regolazione non siano in grado di far valere i propri
diritti a causa di una carenza di informazione.
5- il principio di semplicità, con il quale il Rapporto sottolinea
l’importanza di una normativa che non sia più dettagliata del necessario.
Sulla base del suddetto Rapporto, quindi, è stato progettato un piano
d’azione che ha avuto come protagonista principale la Commissione europea.
Più precisamente, l’attuazione del rapporto è stata possibile in varie tappe.
La 1° tappa, nel giugno 2002, si è sostanziata in una serie di
comunicazioni della Commissione sul miglioramento della regolazione. La
comunicazione 275 del 2002 (Governance europea: legiferare meglio) prevede
infatti a sua volta l’adozione di 3 ulteriori comunicazioni, di cui: la
comunicazione 278/2002 sulla semplificazione, che costituisce un piano di
azione per migliorare e semplificare la regolamentazione; la comunicazione
276/2002 sull’analisi di impatto; la comunicazione 704/2002 sulla
consultazione.
Tutte queste azioni, congrue con il Libro bianco sulla governance,
hanno dato avvio a un sistema di valutazione ex ante della normativa
comunitaria, ed hanno e provveduto alla semplificazione progressiva del diritto
comunitario.
La 2° tappa, nel 2003, si è sostanziata nell’approvazione da parte delle 3
Istituzioni comunitarie (la Commissione, come organo al quale è attribuita in
via pressoché esclusiva l’iniziativa legislativa ; il Consiglio e il Parlamento in
qualità di organi che approvano gli atti comunitari) di un Accordo
interistituzionale sulla migliore regolamentazione. Attraverso tale accordo, si è
convenuto di migliorare la qualità della normativa attraverso una serie di
iniziative e procedure previste dall’accordo stesso in applicazione dei principi
di sussidiarietà e proporzionalità, autoimponendosi delle regole di leale
cooperazione per il migliore coordinamento nell’iter legislativo, nella garanzia
di maggiore trasparenza e accessibilità, nella scelta dello strumento legislativo
15
e della base giuridica, nell’utilizzazione di metodi di regolamentazione
alternativi, nella semplificazione.
La 3° tappa, nel 2005, si è sostanziata nella comunicazione 97/2005, con
la quale la Commissione ha richiamato la necessità di una migliore regolazione
nel contesto di una rinnovata strategia di Lisbona più centrata su crescita e
occupazione.
Più precisamente, la Commissione ha annunciato l’intenzione di varare
un’ampia iniziativa al fine di “garantire che il quadro normativo dell’UE sia
conforme alle esigenze del XXI secolo”. Tale iniziativa si dovrebbe cimentare
ancora col tema della migliore regolamentazione e rafforzare “il modo in cui
quest’ultima contribuisce a creare crescita e posti di lavoro, continuando
contemporaneamente a tener conto degli obiettivi sociali e ambientali e dei
benefici derivanti ai cittadini e alle Amministrazioni nazionali da una migliore
gestione della cosa pubblica”.
Nella comunicazione del 2005, inoltre, la Commissione intende coinvolgere
attivamente Stati e istituzioni nella politica per la migliore regolazione. A
questo scopo, la comunicazione in questione ha previsto l’istituzione di un
gruppo ad alto livello di esperti nazionali in materia.
3. Le principali caratteristiche dell’Analisi di Impatto della Regolazione
(Air).
L’AIR ha lo scopo di “rendere consapevoli” le scelte del regolatore
(europeo, statale, regionale, locale, di un’autorità indipendente, etc.) sulle
possibili opzioni di intervento e sul loro impatto. Pertanto, nei modelli più
evoluti l’AIR non si configura come un semplice bilancio “aritmetico” di costi
e benefici, ma come un’indagine più articolata. Un’indagine che deve costituire
parte integrante del processo di regolazione e deve considerare non solo un
numero significativo di opzioni di regolazione, ma anche di interventi
alternativi a quello normativo – che si concentrano, ad esempio, su una
migliore attuazione in via amministrativa delle norme esistenti, sulla
formazione, sulla comunicazione istituzionale – ivi compresa la cd. “opzione
16
zero”, quella di non intervenire affatto. L’analisi deve poi tener conto del punto
di vista dei destinatari, attraverso un’adeguata consultazione che contribuisca a
diminuire l’asimmetria informativa del decisore
10
.
L’esperienza sta dimostrando che vi sono almeno tre gravi rischi che
l’AIR si trasformi in un nuovo “onere burocratico”, inutile se non dannoso. In
primo luogo, l’AIR è spesso concepita come una “giustificazione ex post” di
scelte già compiute in precedenza. Un secondo rischio è quello che l’AIR
fornisca un quadro alterato poiché può porre al centro dell’attenzione
esclusivamente le strutture amministrative che propongono l’intervento,
laddove invece si deve compiere uno sforzo nel valutare l’“intera dimensione”
di ciascun problema e l’impatto su tutti i destinatari. In altri casi si fraintende il
ruolo dell’analisi, fino a farla considerare come “sostitutiva”della scelta
politica finale (che, invece, con l’AIR deve solo informare meglio), o come
sede di concertazione delle istanze sociali (laddove, invece, il processo di
consultazione serve principalmente ad assumere elementi informativi, non a
negoziare scelte).
L’AIR deve essere avviata all'inizio del processo di produzione della
norma. Ciò non solo consente l’individuazione di più opzioni alternative ed
evita di giustificare ex post un’unica scelta, ma favorisce anche un senso di
“condivisione” dell’intervento (l’OCSE parla di sense of ownership), che nasce
dal coinvolgimento dei destinatari delle regole (i cd. stakeholders). Aiuta poi a
chiarire quale sia l’obiettivo effettivamente desiderato, al di là di quelli
comunicativi e mediatici. Alcune best practices hanno dimostrato che un’AIR
svolta per tempo ha evitato di predisporre un nuovo intervento normativo,
dimostrandone la non necessarietà.
Quanto all’oggetto della valutazione, l’AIR è sorta, nelle prime
esperienze anglosassoni, per valutare l’impatto sulle imprese e sul mercato.
10
F. BASSANINI, S. PAPARO, G. TIBERI, Qualità della regolazione: una risorsa per competere.
Metodologie, tecniche e strumenti per la semplificazione burocratica e la qualità della regolazione, in
Sviluppo e declino. Il ruolo delle istituzioni per la competitività del paese (a cura di L. TORCHIA e F.
BASSANINI), Firenze 2005