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INTRODUZIONE
Lo scorso novembre, il neo-primo ministro Mario Monti, nel suo
discorso programmatico alle Camere, ha sottolineato come
l’inclusione delle donne nel mercato del lavoro sia una questione
indifferibile nella nostra società, in quanto il capitale umano
femminile è ritenuto essere una grande risorsa sprecata
dell’economia italiana.
Il 18 novembre 2011 un approfondimento del Corriere della
Sera a nome di Maurizio Ferrera, riflettendo sul discorso del Primo
Ministro, titolava: “Part time, nidi e fisco: l’agenda per le donne.
Le <<scintille>> da attivare subito”. L’articolo considerava come
fosse stato detto a chiare lettere, che, fra le altre cose, un piano
credibile per i servizi dell’infanzia sul territorio nazionale,
elemento molto importante sul terreno della conciliazione fra
lavoro e famiglia, potesse avere un ruolo fondamentale per
liberare e attivare le risorse femminili presenti nella nostra
società.
L’asilo nido, quindi, alla ribalta dell’attualità per motivi
economici, per contribuire a portare i tassi di attività femminile in
Italia a livello europeo, come uno dei contributi per favorire il
tanto invocato sviluppo che può aiutare il paese a uscire dalla
crisi. Asilo nido, quindi, con tre obiettivi: “maggiori possibilità di
conciliazione, nuovi posti di lavoro, promozione delle capacità e
delle opportunità per i bambini che nascono in famiglie
svantaggiate”
1
.
1
M.Ferrera, Corriere della Sera, 18 novembre 2011
6
Un’altra ricerca di taglio economico sull’asilo nido è stata
recentemente elaborata dalla Fondazione Agnelli
2
. In essa si
sostiene come investimenti fatti nei primi anni di vita diano
rendimenti più elevati rispetto ad investimenti fatti più tardi.
Infatti i primi hanno costi inferiori dal momento che non devono
andare a modificare situazioni problematiche già consolidate e
nello stesso tempo sono più efficaci perché le capacità individuali
sono molto più malleabili e facili da attivare in età precoce
3
. Le
due autrici, Daniela Del Boca e Silvia Pasqua, scrivono che “Il
tempo dedicato ai bambini nei primi anni di vita e la qualità del
tempo stesso, ad esempio, restano variabili cruciali per spiegarne
lo sviluppo cognitivo e comportamentale” (D.Del Boca, S.Pasqua,
2010) e ritengono che l’investimento nei servizi per l’infanzia
risulti effettivamente utile e vantaggioso quando la qualità del
servizio che si prende cura del bambino venga effettivamente
salvaguardata e tutelata.
Ho scelto questo approccio non prettamente pedagogico al
problema della consulenza pedagogica all’asilo nido perché ho
trovato interessante che studi e ricerche di taglio economico
ripropongano come tema fondamentale quello della qualità dei
servizi per l’infanzia. Tema che chiama fortemente in causa il
sapere pedagogico: perché un investimento nei servizi per
l’infanzia risulti proficuo, perché l’ingegno e la capacità produttiva
delle donne sia immessa con profitto nella società, è necessario
che il sapere pedagogico, sapere complesso e multiforme, si
spenda nella realizzazione diffusa di asili nido di qualità.
In quest’ottica la consulenza pedagogica costituisce un supporto
importante che si auspica diventi sempre più esteso nella
gestione dei servizi per l’infanzia. Ciò contribuirebbe a migliorare
2
D.Del Boca, S.Pasqua, Esiti scolastici e comportamentali, famiglia e servizi per
l’infanzia, Fondazione Giovanni Agnelli, 2010
3
Per esempio Shunger e Witt (1989) mostrano che l’IQ si stabilizza entro i 10
anni
7
il benessere di bambini ed educatori e a risvegliare le competenze
implicite nel servizio, in modo da renderlo sempre più capace di
dare risposte adeguate alle continue mutevolezze della realtà,
individuale e sociale, con cui ha a che fare.
Individuo e società, la nascita dell’essere umano, forte della sua
individualità e unicità, ma sempre immerso in una società e in
una cultura che condiziona e forma l’individuo (J.Bruner, 1992); il
sapere pedagogico vissuto in un’ottica processuale (Riva, 2004;
Mortari, 2003, 2007; Cambi, 2008) che fa delle capacità
interpretative ed ermeneutiche la sua cifra: questo complesso di
elementi è stato lo scopo di questa ricerca nella convinzione che
la consulenza pedagogica, concepita in questo modo, abbia molto
da dire e da fare per rendere effettivamente l’asilo nido un luogo
educativo, in prima linea rispetto ai problemi della società. Non
ultima la sfida rappresentata dai processi migratori e
dall’inevitabile confronto fra diverse culture.
Avrei potuto introdurre l’argomento di questa tesi partendo da
una nota personale perché il desiderio di riprendere gli studi in
età adulta è nato dall’esperienza di consulenza pedagogica in un
asilo nido milanese, impegnato sul versante dell’integrazione degli
stranieri e partecipe nella tutela dell’infanzia, rappresentata da
figli di stranieri senza permesso di soggiorno. Tutto ciò però
poteva essere riduttivo rispetto alla rinnovata attualità del tema
dei servizi per l’infanzia. In ogni modo la ricerca teorica e
l’impegno professionale si sono intrecciati in modo proficuo,
favorendo nella pratica di consulenza la capacità di “riflessione-
su-l’azione” (Mortari, 2003, p. 29), cioè di saper “ricostruire il
processo, analizzare ogni evento accaduto, individuare quali
erano i desideri che hanno innescato l’azione, come hanno agito
nel contesto” (Mortari, 2003, p. 29).
Nel primo capitolo la riflessione sul lavoro pedagogico è stata
fatta alla luce del discorso clinico in pedagogia. La “clinica della
formazione” è un modo di pensare e di concepire la pedagogia,
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sorto negli ultimi vent’anni ad opera di Riccardo Massa (1992,
1991, 1990), in seguito a una certa insoddisfazione per le
condizioni in cui versava il dibattito pedagogico (Riva, 2005).
Rivendica la necessità del superamento di uno sguardo astratto e
intellettualistico alla pedagogia e ai suoi oggetti a favore di uno
sguardo attento alle dimensioni concrete che presiedono
all’effettivo dispiegarsi di ogni evento educativo (Villa 2008); allo
stesso tempo non ne trascura le latenze, cioè l’ascolto e la
comprensione della parte emotiva che nel lavoro educativo è
sempre presente (Riva, 2004; Palmieri, 2000).
Ciò che contraddistingue lo svolgersi del lavoro pedagogico
nella società contemporanea è il suo realizzarsi all’interno di
organizzazioni complesse, dall’asilo nido fino all’Università e oltre.
Nel secondo capitolo questa realtà e la sua capacità di influenzare
il lavoro pedagogico sono state ricercate (Riva, 2005; Infantino,
2002, 2008; Villa, 2008). Lo studio delle teorie organizzative
(Perini, 2007; Quaglino, 2004,) ne ha analizzato l’evoluzione:
dalla concezione meccanicistica dell’organizzazione all’irrompere
della soggettività, nel suo aspetto imprevedibile e irrazionale nella
realtà dell’organizzazione. L’inconscio (Freud, 1977; Obholzer,
Roberts, 1998) è stato la chiave di lettura di processi e fenomeni
prima di allora inspiegabili; si è riflettuto sulle dinamiche relative
alla gestione dell’ansia e del potere per comprendere meglio
anche ciò che avviene all’interno delle relazioni educative di
secondo livello, come è la consulenza pedagogica (Kets de Vries,
1994).
Il lavoro di gruppo costituisce il normale dispiegarsi del lavoro
educativo all’interno di un asilo nido (Restuccia Saitta in Gandini,
Mantovani, Edwards, 2003). La vita quotidiana al nido si svolge in
una dimensione comunitaria che deve essere capace di rispettare
e valorizzare le individualità di ciascuno pur nella considerazione
delle esigenze del gruppo. Nel terzo capitolo la disamina delle
dinamiche di gruppo (Contessa, 1999; Quaglino, Casagrande,
9
Castellano, 1992) propone al consulente pedagogico gli strumenti
per inserirsi in questa realtà in modo cosciente, senza essere
agito in modo del tutto inconsapevole da dinamiche inconsce a da
fenomeni proiettivi che ostacolerebbero il suo lavoro.
Nel quarto capitolo si è analizzato il contesto del nido alla luce
del concetto di dispositivo pedagogico, introdotto da Riccardo
Massa nel dibattito pedagogico (Massa, 1987). Il concetto di
dispositivo educativo, ripreso dallo studio appassionato di Michel
Foucault, apre la possibilità di una indagine teorica ed empirica
dei processi formativi. Le dimensioni dello spazio, del tempo, del
corpo e del pensiero (Barone, 2009; Palmieri, 2008) e la loro cura
sono i punti di partenza per proporre esperienze educative
significative fin dai primi anni di vita. Il consulente pedagogico
all’asilo nido realizza in quest’ottica il suo ruolo di mediatore fra i
bambini, le educatrici, le famiglie, favorendone l’incontro
(Gandini, Mantovani, Edwards, 2003; Braga, 2005; Mantovani,
Restuccia Saitta, Bove, 2000).
Il quinto e il sesto capitolo sono propriamente dedicati alla
consulenza pedagogica. Ne delineano le linee guida di fondo,
nell’ottica di un superamento dell’idea del consulente come
esperto che dice agli altri “che cosa fare”, per proporre la figura
del consulente come attivatore di processi e competenze, capace
di superare la posizione narcisistica di chi si sostituisce agli altri
(Schein, 2001; Rezzara, Cerioli, 2004, Massa, Cerioli, 1999).
Nel sesto capitolo la consulenza pedagogica all’asilo nido è vista
attraverso le linee guida portanti di questa ricerca: la concezione
della realtà educativa come evento processuale in continuo
divenire (Cambi, 2008; Mortari, 2007; Riva, 2008; Kaneklin,
2010) e la mediazione come fenomeno culturale capace di
avvicinare i partners educativi e di superare una visione
eulogistica dell’educazione (Nigris, 2002; Castelli, 1996; Braga,
Mauri, Tosi, 1995).
10
Vorrei infine concludere questa introduzione con le intense
parole di Silvia Vegetti Finzi, tratte dalla prefazione del testo di
Françoise Dolto “Le parole dei bambini”
4
, spunto di profonda
riflessione per chi lavora quotidianamente con i bambini:
“L’amore da solo non basta, ci insegna la Dolto, ad accostarci armonicamente ai
bambini. L’amore che noi adulti nutriamo nei loro confronti è intriso di
narcisismo, poggia su aspettative che si radicano nella nostra storia, che
esprimono i nostri sistemi di valori. Non è pertanto sufficientemente rispettoso
della unicità e della autonomia del bambino, del suo essere radicalmente
<<altro>>” (S.Vegetti Finzi, in Dolto, 1988, p.VII).
4
F.Dolto, Le parole dei bambini, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1988
11
1. IL LAVORO PEDAGOGICO
Solo nella specie umana si ravvede la necessità dell’educazione.
Infatti l’essere umano, animale sociale e neotenico, nasce
totalmente indifeso e a lungo dipendente, per la sua
sopravvivenza, dalle cure parentali. E’ attraverso un lungo
processo di apprendimento che l’uomo impara a badare a se
stesso e assimila le regole della propria cultura di appartenenza.
Questo processo avviene nella relazione, nell’incontro con gli altri
e richiede l’impegno di diversi soggetti, dai genitori alle istituzioni
scolastiche ed extrascolastiche. E’ un lungo viaggio che comincia
con la nascita e attraversa diverse fasi, dalla più completa
dipendenza, materiale e psicologica, dall’adulto verso l’autonomia
e la scoperta di sé.
1. LA NASCITA PSICOLOGICA DEL BAMBINO
Esporremo qui, in maniera esplicativa, i punti fondamentali di
due teorie di stampo psicoanalitico che, a nostro giudizio,
illustrano bene la nascita e lo sviluppo dell’identità del soggetto.
In particolare faremo riferimento al processo di separazione-
individuazione descritto da Margaret S. Mahler e dai suoi
collaboratori e all’area transizionale di Donald Winnicott. Come
sottolinea Ammaniti nell’introduzione al volume La nascita
psicologica del bambino di M. Mahler, F. Pine, A. Bergman nel
1978, queste teorie hanno modificato e arricchito il quotidiano
12
lavoro educativo con i bambini molto piccoli, e sono entrate a far
parte del sapere pedagogico.
1.1 IL MODELLO DI MARGARET MAHLER
“La nascita biologica del bambino e la nascita psicologica dell’individuo non
coincidono nel tempo. La prima è un evento drammatico, osservabile e ben
circoscritto; la seconda un processo intrapsichico che si svolge lentamente”
(Mahler, 1978, pag.39).
La nascita psicologica del bambino rappresenta la più organica
sistemazione teorica delle ricerche del gruppo coordinato da
Margaret Mahler (Mahler et al., 1978) e più in generale delle
ricerche in campo infantile sviluppate dalla psicologia dell’Io.
Dopo il 1940 Margaret Mahler e i suoi collaboratori effettuarono
delle ricerche longitudinali con lo scopo di definire le fasi di
sviluppo del bambino nei primissimi anni di vita e di stabilire dei
criteri predittivi per lo sviluppo successivo. La Mahler si concentra
su quella dimensione dello sviluppo psicologico che segue la
nascita del neonato da uno stato di non-differenziazione tra l’”Io”
e il “non Io” che culmina nell’acquisire la propria identità corporea
e psicologica autonoma, nel funzionare in maniera separata nel
mondo e nell’esperire le proprie caratteristiche individuali.
Secondo l’autrice, la nascita biologica precede la nascita
psicologica dell’individuo; la prima è un evento drammatico,
osservabile e ben circoscritto, invece, la nascita psicologica è un
processo intrapsichico che avviene lentamente. Secondo la Mahler
(1978), lo sviluppo dell’individuo è caratterizzato da diverse fasi
sequenziali. Esse sono influenzate dall’interazione madre-bambino
e, in particolare, da fattori, quali la prima gratificazione simbiotica
e la disponibilità emozionale della madre.
La prima fase che caratterizza lo sviluppo dell’individuo è stata
definita “fase autistica normale”, nella quale il neonato non
reagisce agli stimoli esterni ed è essenzialmente un essere
fisiologico che “sembra trovarsi in uno stato primitivo di
13
disorientamento allucinatorio, in cui la soddisfazione dei bisogni
appartiene alla propria sfera autistica, incondizionata e
onnipotente” (Ferenczi, 1913). Per descrivere questa fase, la
Mahler fa riferimento al paragone, proposto da Freud, con un
uovo di uccello, considerato come sistema psicologico chiuso.
Inizialmente, il bambino ritiene che egli sia in grado di provvedere
a ciò di cui ha bisogno e, soltanto successivamente, acquisisce
una vaga consapevolezza che ad occuparsi della soddisfazione dei
propri bisogni è un agente esterno, ovvero la madre. La meta
della fase autistica consiste nel raggiungimento di un equilibrio
fisiologico dell’organismo inserito nel nuovo ambiente.
Questa fase è seguita da quella “simbiotica”, che inizia a partire
dal secondo mese di vita dell’individuo ed è contrassegnata da
una profonda coscienza dell’oggetto capace di soddisfare il
bisogno. In questo periodo il neonato non ha ancora acquisito una
propria differenziazione e si trova in uno stato di totale fusione
con la madre; infatti, l’elemento essenziale che caratterizza
questa fase è l’illusione di un confine comune tra sé e la madre.
L’”autismo” e la “simbiosi normale” sono i prerequisiti per la
comparsa della fase successiva, definita di “separazione -
individuazione”, quale dimensione principale dello sviluppo
psicologico dell’individuo. Tale fase è caratterizzata da due
percorsi di sviluppo intrecciati tra loro: uno è costituito
dall’individuazione, che concerne l’evoluzione di un’autonomia
attraverso la percezione, la memoria, il pensiero e l’esame di
realtà. L’altro è il percorso evolutivo della separazione, che si
realizza attraverso la differenziazione, l’allontanamento e lo
svincolamento dalla madre. Un fattore d’importanza critica
nell’influenzare la separazione-individuazione è l’equilibrio che la
madre dovrebbe raggiungere tra l’essere disponibile in senso
fisico ed emotivo durante la “schiusa” del bambino e
l’incoraggiare la separazione e l’autonomia.
14
Questo processo è caratterizzato da quattro sotto-fasi: quella di
differenziazione e sviluppo dell’immagine corporea, di
sperimentazione, di riavvicinamento, di consolidamento
dell’individualità e di inizio della costanza dell’oggetto emotivo.
L’inizio della sottofase della differenziazione coincide con i 4 - 5
mesi di età, periodo in cui il bambino comincia a distinguere il
proprio corpo da quello materno e a sviluppare una propria
immagine corporea. Tale processo è favorito dallo svezzamento
del bambino, che determina un vero e proprio cambiamento nella
relazione simbiotica con la madre, e dalla maturazione delle sue
abilità motorie. Il bambino, infatti, si sgancia dalla completa
passività dello stare in braccio alla madre, vuole scendere dal suo
grembo e inizia ad esplorare il volto della madre. E’ sempre più
interessato a lei e sembra paragonarla “ all’altro”; acquisisce una
maggiore familiarità con ciò che la madre è e con ciò che gli dà la
sensazione della presenza della madre, ovvero il suo odore e la
sua voce.
Dai 9 mesi in poi ha inizio la sottofase della sperimentazione,
caratterizzata dall’acquisizione da parte del bambino della
locomozione. Il bambino sembra spostare il suo interesse dalla
madre agli oggetti inanimati, in particolare a quelli forniti da lei,
quali una coperta, un pannolino, un giocattolo. Uno tra questi
potrà divenire il suo oggetto transizionale, con l’aiuto del quale, in
particolar modo quando si avvicina il momento di andare a
dormire, il bambino potrà separarsi dalla madre. La caratteristica
principale del periodo di sperimentazione è il grande investimento
narcisistico del bambino nelle proprie funzioni; in particolare, la
deambulazione ha un significato simbolico sia per il bambino sia
per la madre, in quanto segna l’avvio verso una propria
indipendenza e autonomia. Tuttavia, il caregiver continuerà ad
essere un punto di riferimento per il bambino, al quale ricorrere
per cercare un rifornimento affettivo.
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Questa sottofase è seguita da quella del riavvicinamento (15 -
18 mesi di vita), durante la quale il bambino acquisisce una
maggior consapevolezza della sua separatezza dalla madre. Egli
sperimenta l’angoscia nei momenti di separazione dalla madre e
manifesta un forte desiderio di condividere ogni sua esperienza
con lei. Secondo Margaret Mahler e i suoi collaboratori, il modo in
cui è gestita la fase di riavvicinamento è estremamente
importante per lo sviluppo successivo del bambino. È in questo
periodo, infatti, che la madre, oltre a fornire una continua
disponibilità emozionale, deve incoraggiare suo figlio verso
l’indipendenza, in quanto essa è una condizione necessaria,
affinché l’individuo acquisisca una propria identità.
All’inizio del terzo anno di vita compare l’ultima sottofase, in cui
si assiste al consolidamento dell’individualità e all’inizio della
costanza dell’oggetto. In questo periodo si delinea una più
organizzata strutturazione dell’Io, un consolidamento dell’identità
sessuale e la formazione del Super–Io. A differenza delle sottofasi
precedenti, quest’ultima non ha una conclusione temporale ben
definita, in quanto è caratterizzata da compiti evolutivi che
continuano nel corso dello sviluppo dell’individuo.
Pertanto si può concludere che la nascita psicologica
dell’individuo si realizza attraverso l’evolversi del processo
intrapsichico di separazione – individuazione del bambino dalla
madre ed il suo progressivo adattamento attivo a un più ampio
contesto sociale (Mantovani, Restuccia Saitta, Bove, 2000).
1.2 IL MODELLO DI DONALD WINNICOTT
Donald Winnicott, psicanalista inglese di formazione pediatrica,
grazie alla sua grande esperienza clinica, osservò a lungo i
bambini e la loro interazione con la madre e questo gli permise di
elaborare originali teorie sullo sviluppo psicologico ed emotivo del
bambino.
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All’inizio, un neonato non può esistere senza sua madre, dato
che il suo potenziale innato non può rivelarsi senza le cure
materne. La madre del neonato è dapprima preda di quella che
Winnicott chiama una malattia normale: la preoccupazione
materna primaria. Questa preoccupazione materna primaria dà
alla madre la capacità di mettersi al posto del suo bambino e di
rispondere ai suoi bisogni. Più tardi la madre guarisce da questo
stato che poi dimentica, accetta di non essere totalmente
gratificante per il suo bambino: diventa semplicemente una
madre sufficientemente buona, cioè una madre con mancanze
passeggere che però non sono mai più grandi di quelle che il suo
bambino può sopportare.
Winnicott distingue nella funzione materna tre ruoli che
definisce holding, handling e object-presenting. Il termine holding
si riferisce alla capacità della madre di fungere da contenitore
delle angosce del bambino. Lo holding è la capacità di
contenimento della madre sufficientemente buona, la quale sa
istintivamente quando intervenire dando amore al bambino e
quando invece mettersi da parte nel momento in cui il bambino
non ha bisogno di lei. All'interno dello holding il bambino può
sperimentare l'onnipotenza soggettiva, ovvero la sensazione di
essere lui, con i suoi desideri, a creare ogni cosa. Questa
esperienza è necessaria ed indispensabile per il sano sviluppo
dell'individuo, e può verificarsi soltanto all'interno di uno spazio
fisico e psichico (uno holding environment) che possa permettere
la sua espressione.
Il termine handling, invece, si riferisce alle manipolazioni del
corpo: cure di pulizia, abbigliamento, ma anche carezze,
molteplici scambi cutanei. Winnicott sostiene che attraverso il
contatto fisico con la madre, il bambino inizia a comprendere i
confini del proprio corpo e che quest’ultimo si differenzia da quello
della madre.
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Con il termine object-presenting, infine, si fa riferimento “[al]
modo in cui le figure di accadimento presentano al bambino il
mondo della realtà condivisa” (Applegate, Bonovitz, 1998, p.31),
ove per oggetto non si intende solo l’oggetto materiale, ma tutto
ciò che è esterno al sé, quindi anche le persone. La realtà esterna
viene mostrata al bambino pian piano seguendo la sua capacità di
comprenderla ed integrarla col proprio sé. Si alterneranno quindi
sentimenti di separatezza e di vicinanza con gli altri attraverso i
quali il bambino acquisirà la capacità di essere solo in presenza di
un altro.
Per quanto teoricamente si auspichi la presenza di un
ambiente di sostegno adeguato capace di facilitare lo sviluppo del
bambino, concretamente non è possibile crearne uno senza
traumi, piccoli o grandi che siano. A questo proposito Winnicott
riteneva che la perfezione non fosse necessaria dal momento che
è grazie al fallimento dell’adulto, ai suoi errori, al suo non essere
in sintonia che il bambino abbandona l’illusione di onnipotenza per
entrare nel mondo della realtà condivisa.
Secondo Winnicott il bambino inizialmente vive in una realtà
costruita soggettivamente, dove tutto, compresa la madre, è
sotto il suo controllo onnipotente, in questa realtà il bambino
crede di costruire la madre con i suoi desideri. Gradualmente
dovrà abbandonare questa visione edonistica per abbracciare una
visione dello spazio oggettivo condiviso, dove la madre esiste
indipendentemente dalla volontà egoistica del bambino. Il
bambino si adatta attivamente ad una disillusione moderata,
rimpiazzando l’illusione primitiva con un’area intermedia, area di
creatività primaria: è ciò che Winnicott chiama l’area transizionale
il cui rappresentante più caratteristico è l’oggetto transizionale.
Per l’autore l'esperienza transizionale è una sorta di luogo
psichico dove il bambino può giocare creativamente, e per questo
motivo Winnicott assimila le esperienze culturali umane alle
esperienze transizionali.