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Presentazione
Negli ultimi vent’anni si è assistito in pressoché tutti i paesi dell’Unione
Europea all’introduzione di importanti modificazioni della disciplina
dell’attività di intermediazione finanziaria, volte all’imposizione di norme di
condotta, organizzazione e funzionamento degli operatori abilitati,
modificazioni che, agendo in direzioni non proprio confluenti, hanno alla fine
reso necessaria l’affermazione di un “unicum” europeo con la Direttiva
2004/39/CE (MIFID), nata appunto con l’intento di uniformare tutte le
legislazioni vigenti.
Le ragioni di tale fertile produzione normativa nazionale e comunitaria sono
individuabili, da un lato, nell’accresciuto avvicinamento al mercato mobiliare
di un complesso inatteso di investitori “retail”, degni di forme di tutela
consone al loro status “non professionale” (e di conseguenza più sottoposti
alle cosiddette asimmetrie informative del mercato), e, da un altro lato,
nell’eccezionale sviluppo dei sistemi di contrattazione telematica, che ha
portato alla proliferazione dei luoghi di scambio fuori borsa, luoghi non più
fisici, ma logici, non più nazionali, ma globali, e dunque alla nascita degli
ATS (Alternative Trading System) e dell’internalizzazione sistematica,
fenomeni di assoluta complessità, degenerabili se non regolati. A tutto ciò va
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sommata la presenza di intermediari polifunzionali, ossia attivi in più di un
comparto del settore finanziario, dalla produzione di prodotti finanziari al loro
collocamento presso il pubblico, fatto che ulteriormente accresce il rischio di
fallimenti del mercato dovuti a problemi di conflitti d’interesse.
Il presente lavoro focalizzerà tali problematiche sulla parte della disciplina che
interessa la consulenza finanziaria offerta dalle imprese d’investimento.
Facendo riferimento alla più recente disciplina in materia, recata dalla direttiva
2004/39/CE (MIFID), per servizio di consulenza s’intende un’attività di
carattere personalizzato o generale volta alla selezione di un singolo prodotto
finanziario ovvero di un portafoglio di prodotti.
Sebbene il legislatore italiano abbia iniziato a preoccuparsi di tale tema già nel
corso degli anni ’70, tuttavia, in tale sede, constatando che gli attuali fenomeni
finanziari hanno radici non molto lontane nel tempo, si farà riferimento a
periodi più recenti, dai passi mossi a partire dai primi anni Novanta con la
legge n. 1/1991 fino ad arrivare al recepimento nel nostro ordinamento,
avvenuto nel 2007, della più recente Direttiva 2004/39/CE (MIFID),
attualmente, ma chissà ancora per quanto data la crisi dei mercati finanziari, il
riferimento odierno in tema di rapporti tra intermediari e investitori.
Il capitolo primo, infatti, affronterà una preliminare ricognizione di quelli che
sono gli attori del sistema finanziario per poi studiare la disciplina in materia
antecedente alla MIFID.
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Il capitolo secondo si focalizzerà integralmente sulle innovazioni normative
recate dalla Direttiva Mifid, in concerto con l’attività regolamentare di
secondo livello della Consob.
Il capitolo terzo affronterà, da un lato, il tema del conflitto d’interesse e,
dall’altro, analizzerà le tendenze giurisprudenziali italiani concernenti la
prestazione dei servizi d’investimento dei primi anni del Duemila.
Orbene, tali sono gli snodi secondo i quali il presente lavoro s’articolerà, con
uno sguardo ovviamente più intenso alla nuova disciplina recata dalla
Direttiva MIFID.
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Prefazione:
Il ruolo della consulenza nell’economia di un mercato
globale. Consulenza personalizzata e gestioni
patrimoniali: la realtà italiana.
Gli intermediari finanziari sono imprese la cui attività tipica è costituita dalla
creazione, detenzione e negoziazione (acquisto o vendita) di contratti
finanziari (attività o passività finanziarie)1.
Nell’ambito del settore, però, un intermediario svolge, ancor prima delle citate
attività, quella di consulente finanziario della propria clientela, data la
superiore competenza dovuta a un più diretto accesso alle informazioni sul
mercato2. L’importanza dei servizi di consulenza finanziaria sta proprio
nell’orientare i comportamenti degli investitori non professionali,
contribuendo a correggere alcuni errori tipici della clientela “retail” (eccessiva
concentrazione della ricchezza sui depositi, scarsa ed erronea diversificazione
del portafoglio per rischio di mercato, per emittente e a livello geografico,
decisioni sulla base di un set informativo inadeguato o incompleto, eccessiva
confidenza nelle proprie capacità e nelle informazioni elaborate, difficoltà di
stima delle proprie capacità ad assunzione di rischi finanziari) e generando,
1
Definizione di M. L. Di Battista data ne “Il sistema finanziario”, Mulino Manuali, 2007, p. 16.
2
Cfr. Onado, Mercati e Intermediari finanziari. Economia e Regolamentazione, Il Mulino 2000, p.
134.
9
quindi, nel complesso, un impatto positivo sull’integrità, sullo sviluppo e
l’efficienza del mercato dei capitali3.
La diffusione presso il pubblico dei servizi di consulenza dipende non solo da
componenti di carattere socio-economico, ma anche dalla percezione della
presenza e dell’intensità di conflitti di interessi in capo all’intermediario e,
soprattutto, dalla percezione delle modalità secondo le quali tale soggetto
intermediario risolve i conflitti evitando che gli effetti negativi siano riversati
sul contraente debole4.
Infatti, la presenza di conflitti di interessi, la struttura degli incentivi e della
remunerazione del servizio possono indurre i consulenti ad effettuare
raccomandazioni che portano i clienti a commettere errori ancora più dannosi.
Gli intermediari potrebbero infatti avere incentivo a consigliare prodotti
troppo costosi o non adeguati al profilo di rischio del cliente, ovvero indurre
ad un’eccessiva attività di trading, ricavando un elevato volume di
commissioni5. Inoltre, il carattere polifunzionale dell’intermediario potrebbe
indurre la raccomandazione di prodotti finanziari “creati” dallo stesso
intermediario, o, ancor peggio, la raccomandazione di prodotti con il solo
3
Cfr. M. Gentile, G. Siciliano, Le scelte di portafoglio degli investitori Retail e il ruolo dei servizi di
consulenza finanziaria, Quaderni di finanza Consob 2009, p. 13.
4
Cfr. Intermediari finanziari, investitori, mercati. Il recepimento della MiFID. Profili sistematici, a
cura del prof. Capriglione, Cedam 2008, p. 199-203.
5
Cfr. M. Gentile, G. Siciliano, Le scelte di portafoglio degli investitori Retail e il ruolo dei servizi di
consulenza finanziaria, Quaderni di finanza Consob 2009, p. 17.
10
scopo di smobilizzarli dal portafoglio dell’intermediario perché divenuti
illiquidi6.
Orbene, invece, la percezione di un sano legame fiduciario con il soggetto
consulente, unita ovviamente alla percezione di in un’elevata qualità del
servizio, accresce notevolmente le probabilità che un investitore “retail” si
avvicini sia al mercato azionario e obbligazionario sia a forme di risparmio
gestito, fatto di assoluto beneficio per lo spessore del sistema finanziario nel
suo complesso.
In particolare, facendo riferimento alla condizione del nostro Paese, una
recente indagine econometrica mostra come, a parità di altre condizioni socio-
economiche, le famiglie italiane che ricevono servizi di consulenza
personalizzata o generica (sono circa il 20% del totale) hanno una probabilità
più alta di circa 22 punti percentuali di detenere prodotti finanziari rischiosi,
probabilità che sale al 26% se si percepisce un’elevata qualità dei servizi
ricevuti e non s’avverte la presenza di conflitti d’interessi. In aggiunta, da
un’analisi dei portafogli che s’avvalgono di consulenza s’evince una migliore
diversificazione per tipologie di prodotto, per profili di rischio e per area
geografica rispetto agli altri portafogli “afflitti” da mancanza di consulenza, e,
in generale, la ricchezza investita in depositi dai primi non supera il 60% (50%
6Cfr. Annunziata F., La disciplina del mercato mobiliare, Giappichelli Torino, ediz. 2004.
11
nel 2007 prima dell’attuale crisi finanziaria), mentre quella dei secondi
s’attesta a percentuali superiori al 75%7.
Se, infine, si considera che questo limitato quadro d’investitori soggetti a
consulenza fa parte di una realtà, la nostra, caratterizzata da una scarsa
dinamicità dei mercati finanziari e dall’affermazione di un modello di tipo
bancocentrico, che fa perno su depositi e titoli di stato, con uno scarso accesso
diretto al mercato, sia dal lato azionario che obbligazionario, si può ben
comprendere come una maggiore cultura e diffusione dei servizi di consulenza
potrebbe contribuire fortemente allo sviluppo del mercato italiano dei capitali,
proprio attraverso l’avvicinamento degli investitori retail.
Infatti, sebbene l’Italia condivida con il resto dei paesi dell’Unione Europea
questa filosofia bancocentrica, contrapposta a quella mercatocentrica di
stampo anglosassone, tuttavia non ne condivide parimenti le motivazioni alla
base: pare, appunto, che le motivazioni degli italiani non siano legate
principalmente a fattori di ricchezza o di eccessivi costi d’accesso e di
transazione, come avviene per la maggior parte dei concittadini europei,
quanto più a fattori di background della società (carattere familiare della
maggior parte delle attività imprenditoriali, gestite finanziariamente solo con
mezzi propri, il che potrebbe configurarsi già come un investimento rischioso
in una partecipazione azionaria), a fattori di educazione finanziaria, al grado di
fiducia nel sistema finanziario, ad una certa preferenza per gli investimenti in
7
Stime su dati del sondaggio Gfk Eurisko effettuato tra il 2006 e il 2008 su un campione di 2500
famiglie italiane.
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attività reali8; altri studi, effettuati su un campione di 26 paesi, Italia inclusa,
mostrano, invece, che il tasso di partecipazione al mercato azionario è
correlato positivamente con il grado di protezione degli azionisti di minoranza,
fatto da cui si possono trarre importanti conclusioni se si considera che la
nostra realtà societaria è tra quelle più vessate da appropriazione di benefici
privati del controllo9.
Ci sono, però, da fare delle considerazioni speculari. Le caratteristiche
finanziarie del nostro paese, ossia la forte presenza degli intermediari
finanziari, le peculiarità della clientela retail che predilige forme
d’investimento di tipo bancario e non forme d’investimento diretto sul mercato
dei capitali, l’imposizione come principio fondamentale della stabilità degli
intermediari da cui poi far discendere quella del mercato, hanno portato ad un
contesto italiano di minore volatilità, rottura e vulnerabilità alla crisi
finanziaria del 2007/2008, che magari non si sarebbe altrimenti avuto.
A sostegno di tale tesi si riportano alcuni dati. In Italia, dalla fine del 2007 alla
fine del 2008, le quote di ricchezza investite in Depositi e Titoli di Stato sono
aumentate del 6,7%, e del 5%, le quote investite in obbligazioni, azioni e nei
prodotti del risparmio gestito sono scese rispettivamente del 2,7%, del 3,7% e
del 5,3%: circa l’11,7% della ricchezza finanziaria complessiva, dunque, si è
spostata da prodotti e strumenti più rischiosi a quelli a rischio quasi nullo.
8
Cfr. Gentile M., Linciano N., Siciliano G., Le scelte di portafoglio delle famiglie italiane e la
diffusione del risparmio gestito, Quaderni di finanza Consob 2006.
9
Cfr. Giannetti e Koskien (2003).
13
Tralasciando di riportare i medesimi dati americani, inglesi e giapponesi, si
assicura il lettore dell’irrisorietà dei dati italiani in confronto a quelli dovuti ad
andamenti market-oriented.