6
INTRODUZIONE
«Non c’è niente di più pratico di una buona teoria».
K. Lewin, Field theory in social science: Selected theoretical papers by Kurt Lewin
L’estate scorsa il noto scrittore portoghese José Saramago, premio Nobel per la
Letteratura nel 1998, è morto nella sua residenza di Lanzarote. Egli era anche un
giornalista ed era solito redigere un blog, un diario su internet che aggiornava
costantemente. Nel suo ultimo post, risalente a pochi giorni prima della sua
scomparsa, scrive: «Penso che la società di oggi abbia bisogno di filosofia. Filosofia
come spazio, luogo, metodo di riflessione, che può anche non avere un obiettivo
determinato, come la scienza, che invece procede per raggiungere i suoi obiettivi. Ci
manca riflessione, pensare, abbiamo bisogno del lavoro di pensare, e mi sembra che,
senza idee, non andiamo da nessuna parte»
1
.
Ho deciso di introdurre il mio lavoro di tesi con questa considerazione sottratta a
Saramago poiché lo spirito che ha animato la mia ricerca è riassumibile in queste
poche, ultime righe del grande poeta. L’idea che la filosofia sia essenzialmente un
modo di vivere è presente in me sin da quando cominciai i miei studi universitari e, se
non ancora perfettamente a fuoco all’inizio del mio percorso, lo diventò via via che
acquisii una sempre maggiore consapevolezza della potenza trasformatrice di questa
disciplina. Permettendo l’oggettivazione di sé e del mondo in cui si vive essa
trasforma, nel corso di questo processo, la nostra visione soggettiva e personale sulle
cose, sul modo cioè che abbiamo di percepirle, di intenderle, di viverle. Questo fa
della filosofia un’attività essenzialmente pratica: come diceva bene Martin Heidegger,
«la filosofia [è] in grado di fare qualcosa di noi, se appena ci impegnamo in essa»
2
.
1
Da un’intervista rilasciata alla “Revista do Expresso” dell’11/10/2008. Cfr. il blog di Saramago
all’indirizzo http://caderno.josesaramago.org/.
2
M. Heidegger, Introduzione alla Metafisica, Mursia, Milano, 1968, p. 23.
7
Alle origini della storia del pensiero filosofico, non c’era distinzione fra la praticità e
la teoreticità di questa disciplina, in quanto era chiaro che una cosa non si possa dare
senza l’altra. Nel tempo, tuttavia, i due elementi hanno iniziato a distanziarsi e si è
stati così portati a identificare la filosofia con la sola storia delle idee e con l’attività
teoretica. A partire dal Novecento, l’accezione pratica della filosofia è però tornata a
emergere, portando con sé una serie di modalità con le quali fare filosofia: ispirate a
quelle in uso nel mondo classico (non tanto nei termini delle loro manifestazioni
concrete, quanto relativamente alla loro essenza), tali modalità possono essere
racchiuse nel termine molto generale di “pratiche filosofiche”. La consulenza
filosofica è una di queste, forse la più famosa, e viene qui presa in considerazione in
quanto è quella più “filosoficamente fondata” di tutte. Nel Capitolo 1 viene infatti
illustrata la nascita di questa pratica per opera del filosofo Gerd B. Achenbach, e
appare così evidente come le altre pratiche si richiamino a essa nei punti che tutte
hanno in comune – il carattere non terapeutico, la presa di distanza verso la filosofia
“accademica” e teoretica, il fatto di stimolare spazi di riflessione e di dialogo – pur
presentandosi secondo aspetti e processi variabili. Il Capitolo 2 mostra poi come il
pensiero di Achenbach si sia sviluppato, nel tempo e nello spazio, dando origine a
modi di concepire e praticare la filosofia a volte del tutto divergenti da come li
intendeva il filosofo tedesco. La comunità di ricerca internazionale ha, in ogni caso,
portato grandi apporti al dibattito in merito, contribuendo anche a superare alcune
delle posizioni più estreme che il concetto di consulenza filosofica presentava agli
inizi – come il giudizio negativo e indiscriminato verso ogni tipo di psicoterapia e la
lontananza, percepita e desiderata, dalla filosofia delle Università. Con il Capitolo 3,
si apre un’indagine preliminare sul mondo organizzativo e aziendale, al fine di
introdurre il tema della possibilità o meno di applicazione delle pratiche filosofiche a
questo ambito. Ciò che emerge è che le organizzazioni sono il frutto di una
costruzione sociale composta da un insieme di elementi tesi verso un unico fine
stabilito e normato. Questi elementi, tuttavia, non si muovono indipendentemente
verso lo scopo stabilito ma danno origine a interazioni fra loro stessi e l’ambiente
circostante. In virtù di questo, per approcciare, studiare e gestire le organizzazioni
appare evidente che sia necessario intenderle come sistemi complessi, che non è
possibile modellizzare poiché ogni “metafora organizzativa” è in grado di mostrare
sempre solo una parte dell’insieme e mai la cosa in sé nel suo complesso. L’esigenza
primaria per le organizzazioni e per chi vi opera appare dunque quella di gestire
8
questa complessità o, almeno, di convivere con essa. E’ qui che può entrare in gioco
la filosofia che, grazie al pensiero critico su cui si basa, può entrare nelle
organizzazioni e lì, attraverso le pratiche filosofiche, lavorare per offrire spazi liberi di
riflessione nei quali cercare il senso dell’agire allenandosi a mettere in discussione i
soliti modelli di ragionamento e gli schemi mentali abituali. La filosofia potrebbe
quindi aiutare le organizzazioni a dotarsi dei presupposti utili a far nascere
l’innovazione, della quale oggi più di ieri esse necessitano per sopravvivere. Nel
Capitolo 4 conduco delle interviste per sondare la fattibilità di tali ipotesi, i risultati
delle quali sono esposte nelle Conclusioni. Essi riguardano l’importanza di tornare a
domandarsi in maniera ricorsiva il motivo per il quale si agisce e sollecitano il mondo
accademico a interessarsi a questo processo, prendendone parte in maniera attiva.
Se qualcuno si stesse chiedendo, infatti, perché la filosofia dovrebbe occuparsi di
quanto detto, penso potrebbe trovare la risposta in un passo dei Lineamenti di filosofia
del diritto dove Friedrich Hegel fa ricorso all’immagine della civetta
3
per esprimere la
sua opinione sulla filosofia
4
. Solitamente si tende a interpretare tale allegoria dicendo
che Hegel volesse sostenere che, secondo lui, la filosofia giunge a comprendere le
situazioni solo dopo che queste sono già trascorse; essa quindi non può mai offrire
all’uomo alcuna capacità precognitiva, ma solo entrare in gioco con il senno del poi,
senza avere voce in capitolo nello scrivere il libro della Storia. La stessa frase può
tuttavia essere intesa anche secondo un altro punto di vista e cioè che, a partire dalla
sua origine, il campo di predilezione della filosofia non è mai stato quello illuminato
dalla luce ma precisamente quello del crepuscolo, dell’oscurità della sera e che è
quindi proprio quando il giorno volge al termine e le ombre iniziano ad allungarsi che
essa trova piena realizzazione. E’ là dove gli uomini rischiano di smarrirsi, dove i
confini degli oggetti perdono di nitidezza e la vista tende a confondersi, che c’è più
bisogno di filosofia e della sua azione rischiaratrice, ed è precisamente in questi
luoghi che essa può trovare la sua dimora e il significato della sua esistenza.
3
La civetta, animale sacro alla dea greca Atena, è il simbolo della saggezza: nella rappresentazione
classica, gli occhi e il becco di questo uccello seguono la linea della lettera fi (φ), che nell’alfabeto
greco viene ricondotta direttamente alla filosofia e, in seguito, della sezione aurea, comprendendo
dunque entro di sé armonia, bellezza e amore per la conoscenza e per la ricerca in senso lato.
4
Cfr. G. W. F. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, Laterza, Bari, 1965, p. 17: «la filosofia arriva
sempre troppo tardi. Come pensiero del mondo, essa appare per la prima volta nel tempo, dopo che la
realtà ha compiuto il suo processo di formazione ed è bell'e fatta. [...] La nottola di Minerva inizia il
suo volo sul far del crepuscolo».
9
CAPITOLO 1
PRATICHE FILOSOFICHE E CONSULENZA
FILOSOFICA: UNO SGUARDO D’INSIEME
1.1. Filosofare, oggi.
«Si tratta insomma di partire per andare alla ricerca di un'altra filosofia critica: una filosofia non più
interessata a determinare le condizioni e i limiti di una conoscenza dell'oggetto, bensì interessata a
riconoscere le condizioni e le possibilità indefinite di trasformazione del soggetto».
Michel Focault, L’ermeneutica del soggetto
Che cos’è la filosofia?
Se qualcuno ci ponesse la domanda che cos’è la filosofia?, forse il nostro primo
impulso sarebbe quello di rivolgerci alla storia delle idee: ci troveremmo allora
davanti a tante possibilità di risposta quanti sono stati i filosofi. La questione di che
cosa sia la filosofia è, infatti, antica quanto la filosofia stessa e i tentativi di risposta a
questa domanda, più che chiarirne l’essenza, finiscono per lasciarci più confusi di
prima. Scrive a questo proposito Willem Dilthey che «gli uni intendono per filosofia
la fondazione delle scienze particolari; gli altri allargano questo concetto della
filosofia, in quanto a tale fondazione aggiungono il compito di trarne la connessione
delle scienze particolari; altri ancora la definiscono come scienza dello spirito, scienza
dell’esperienza interiore; ed infine v’è chi la intende anche come regola di vita o
10
scienza dei valori universali»
1
. Dal momento che per filosofia si intendono forme di
pensiero differenti, spesso anche in contrasto tra loro, è verosimile tentare di
desumerne un carattere che le unifichi tutte?
Personalmente, credo sia possibile rintracciare in ciò che chiamiamo “filosofia” un
qualche elemento comune a tutte le manifestazioni che di essa si danno e si sono date,
e questo guardando tradizionalmente alla sua etimologia. Come tutti sanno, la
filosofia nasce in Grecia; del resto, greca è la parola φιλοσοφία, composta di φιλεῖν e
σοφία. La filosofia sarebbe dunque, originariamente, “amore per la sapienza”: questo
termine viene fatto di norma risalire a Pitagora che l’avrebbe coniato indicando con
ciò la naturale tensione dell’uomo verso la σοφία, la sapienza. Questa era da lui
concepita come una ricerca senza fine, in netta contrapposizione con la possibilità
divina (e solo divina) di possedere una σοφία certa e totale
2
. Dentro questa parola
sono già racchiusi alcuni elementi importanti che riguardano la filosofia: l’attitudine
originaria dell’uomo a filosofare, attitudine che verrà sempre data per assodata e
successivamente indagata da tutta la storia della filosofia, da Aristotele a Kant e
Schopenhauer; la ricerca del sapere, da taluni inteso come conoscenza dell’essere, da
altri come “vita buona”, da altri ancora come esplicitazione delle regole formali del
discorso, eccetera; la potenziale illimitatezza del discorso filosofico che, per via della
natura stessa e dell’uomo e della sua ragione, non raggiungerà mai la verità definitiva.
Queste caratteristiche, seppur in modi diversi, sono state riprese, diventando oggetto
di dibattito, argomentazione, conferma e confutazione nel pensiero dei grandi lungo
tutta la storia della filosofia e l’amore o, meglio, la tensione per il sapere si è
esplicitata ed evoluta in forme diverse nel corso dei secoli. Sono stati così indagati
ambiti che, poco a poco, resi sempre più chiari ed espliciti grazie al lavoro della
filosofia, le sono stati sottratti, divenendo dominio di scienze “specialistiche” dotate
di metodo come la biologia, la fisica, la psicologia, il diritto e via discorrendo. Senza
entrare nel merito della storia della filosofia dall’antichità ai giorni nostri e senza
neppure trattare approfonditamente della divisione (e del relativo dibattito) avvenuta
nel Novecento fra filosofia analitica e filosofia continentale, vorrei semplicemente
soffermarmi sul fatto che, nel corso della sua storia, la filosofia si è in gran parte
ridotta all’identificazione con l’insegnamento della stessa. Questa concezione
“tradizionale” della filosofia come disciplina scolastica o accademica che ha per
1
W. Dilthey, L’essenza della filosofia, trad. it. di G.Penati, Rusconi, Milano, 1999, p. 55.
2
G. Reale, Saggezza antica, Vita e Pensiero, Milano, 2001, p. 9.
11
oggetto la storia del pensiero umano risulta così essere in contrapposizione con il suo
significato originario, quello che si esprime nel synphilosophein, ossia nel “fare
filosofia insieme”
3
. Essa, infatti, non nasce come disciplina teorica ma come
riflessione critica sull’esistenza, che scaturisce dalla meraviglia provata per le cose
del mondo. In questo senso, agli esordi della filosofia è rintracciabile un forte legame
con il mondo e con la vita, in particolare quella comunitaria, che si svolgeva
all’interno delle scuola. Nell’Accademia di Platone e nel Liceo di Aristotele, più che
studiarla, la filosofia si “faceva” discutendo e interrogandosi sul senso e l’origine
delle cose. Prima di allora Socrate, con il suo metodo dialogico, vagava nelle piazze
di Atene fermando le persone che incontrava e ponendo domande sulla loro vita. In
questo suo volgersi verso l’uomo, Socrate crecava di carpirne l’essenza attraverso la
cura della sua anima la quale, passibile di corruzione ieri come oggi, «si cura solo col
dia-logo, ossia col logos che, procedendo per domanda e risposta, coinvolge
fattivamente maestro e discepolo in un’esperienza spirituale unica di ricerca in
comune della verità»
4
. Il “dialogo aperto”, duttibile e modificabile a seconda delle
esigenze di coloro che lo intraprendono, è per il filosofo ateniese l’unica forma per
arrivare alla conoscenza (o, per meglio dire, a sapere di non sapere) mediante l’ausilio
del «processo ironico-maieutico»
5
.
Una “comune” definizione
Amore per la sapienza, dialogo, fare filosofia insieme: se cercassimo questi elementi,
potremmo incontrarli facilmente nella filosofia di oggi? Per l’uso corrente del
termine, sembrerebbe di no: il “Dizionario Garzanti della Lingua Italiana” riporta che
la filosofia è «attività intellettuale che mira a elaborare una concezione complessiva e
razionalmente fondata della realtà del mondo e dell'uomo; (e) studio delle dottrine,
dei movimenti o dei problemi filosofici secondo una prospettiva storica»
6
. Da questa
definizione, è riscontrabile come la filosofia abbia finito per essere associata, nel
3
Nell'Antichità, il concetto di "confilosofare" (Synphilosophein) compare in Platone (Lettera VII, 341
D, 344 B) e in Aristotele (Etica Nicomachea, IX 12, 1172 a 5).
4
G. Reale, Saggezza antica, cit., p. 98.
5
Ivi, p. 100.
6
Garzanti, Garzanti Italiano, Garzanti, Varese, 2006, voce: “filosofia”.
12
linguaggio comune, alla produzione e alla divulgazione di studi e testi e
all’insegnamento degli stessi in ambito accademico. Questa idea, che perdura ormai
da decenni, è alla base delle critiche che filosofi come Pierre Hadot, Max Scheler e
altri rivolsero già molto tempo fa (ancor prima che lo facesse Gerd Achenbach
7
,
filosofo tedesco considerato il padre della consulenza filosofica) alla filosofia. Scrive
ad esempio Scheler, dopo un brevissimo excursus sull’origine della filosofia come
ricerca libera, che essa si sia autolimitata quando, nell’ambito prima del pensiero
cristiano e poi di quello moderno, è stata intesa come ancella della fede o della
scienza, giungendo a rappresentare «l’esatto opposto di ciò che era espresso nella
doppia pretesa della più antica idea di filosofia, l’idea di essere contemporaneamente
libera servitrice della fede (…) e regina delle scienze (…). Da “libera ancella” della
fede, essa divenne, e per molto tempo, usurpatrice della fede, ma
contemporaneamente ancilla scientiarum, e ciò in diversi sensi: o assegnandole il
compito di “riunire” i risultati delle singole scienze in una cosiddetta concezione del
mondo priva di contraddizioni (positivismo), oppure di fissare (…) i presupposti e i
metodi di ques’ultime in modo più esatto di quando non lo facciano esse stesse
(filosofia cosiddetta “scientifica” o critica)»
8
. Scheler identifica quindi nel Medioevo
il punto di svolta nel quale la filosofia, da indagine autonoma mossa da un
atteggiamento morale – uno slancio, per Scheler, orientato all’incontro con ciò che è
essenziale e assoluto – si trasforma in disciplina teoretica. In modo analogo, ma più
preciso, attraverso un testo che ha fatto scuola per lo studio della filosofia antica, si
esprime anche il filosofo francese Pierre Hadot: «nel medioevo, nelle università, si
pone fine alla confusione che esisteva originariamente nel cristianesimo tra la
teologia, fondata sulla “regula fidei”, e la filosofia tradizionale, fondata sulla ragione.
La filosofia non è più la scienza suprema (e) diventa dunque un’attività meramente
teorica e astratta»
9
. Gli esercizi spirituali delle scuole filosofiche ellenistiche e
romane, che Hadot nella sua ricerca individua come vera manifestazione dell’unita di
teoria e prassi tipica dell’antichità, sono così stati fatti “uscire” dalla filosofia e
diventare parte della spiritualità cristiana, venendo inglobati in una sua ritualità (come
testimoniano ad esempio gli “Esercizi spirituali” di Ignazio da Loyola). E’ qui che
7
Cfr. G. B. Achenbach, La consulenza filosofica. La filosofia come opportunità di vita, Feltrinelli,
Milano, 2009.
8
M. Scheler, L’essenza della filosofia, a. c. di C. Amicantonio, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2001, p.
33
9
P. Hadot, Esercizi spirituali e filosofia antica, Einaudi, Torino, 2002, p. 161
13
avviene il cambiamento radicale che riguarda il contenuto della filosofia:
«l’insegnamento non si rivolge più a uomini che s’intende formare affinché siano
uomini, ma a specialisti, perché imparino a preparare altri specialisti» (p. 161-2).
Questo modo di intendere la filosofia, che da allora viene insegnato nelle universita, è
completamente diverso rispetto a quello percepito e vissuto nell’antichità ed è quello
che perdura ancora ai giorni nostri. Non più uno “stile di vita”, che faceva sì che non
solo i grandi pensatori fossero considerati filosofi ma tutti gli uomini che vivevano
secondo il loro pensiero e i loro precetti, bensì una filosofia che «si svolge nelle
lezioni, che si affida ai libri»
10
.
E’ certo vero, come ho cercato di illustrare, che oggi la filosofia sia vissuta come
materia da insegnare, ma non bisogna dimenticare che la filosofia, da Aristotele in
poi, è anche pratica e, come tale, viene da sempre accostata agli ambiti più svariati,
guidandone e sviluppandone la ricerca. Accanto a discipline filosofiche teoretiche (la
filosofia teoretica, la logica, l’ontologia, l’epistemologia e la gnoseologia, la filosofia
della scienza, la filosofia del linguaggio, ecc.), esistono infatti anche molte discipline
filosofiche pratiche o applicate – dalle più “tradizionali”, come l’etica, l’estetica e la
filosofia della storia alle più “moderne”, fra tutte la bioetica e la filosofia della mente.
Tuttavia, seppur attenta in qualche modo a questioni attuali e concrete, la filosofia
pratica non si può certo identificare con la filosofia antica della quale parla Hadot, che
si riferisce ad essa come a una filosofia praticata poiché e in quanto “vissuta”.
Secondo quanto ci viene proposto dal medesimo in questo passo, «Per meglio capire
in quale maniera la filosofia antica potesse essere un modo di vivere, forse è
necessario ricorrere alla distinzione che proponevano gli stoici fra il discorso della
filosofia e la filosofia stessa. Secondo gli stoici, le parti della filosofia, ossia la fisica,
l’etica e la logica, in realtà non erano parti della filosofia stessa, ma parti del discorso
filosofico. Volevano dire che, quando si tratta di insegnare la filosofia, si deve
proporre una teoria della logica, una teoria della fisica, una teoria dell’etica. Le
esigenze del discorso, insieme logiche e pedagogiche, obbligano a fare queste
distinzioni. Ma la filosofia stessa, e cioè il modo di vivere filosofico, non è più una
teoria divisa in parti, ma un atto unico che consiste nel vivere la logica, la fisica e
l’etica. Allora non si fa più la teoria della logica, ossia del ben parlare e del ben
10
Ivi, p. 162. Secondo Hadot, è proprio a causa di questa evoluzione della filosofia nel medioevo e
nell’età moderna che gli storici della filosofia solitamente prestano scarsa attenzione alla tradizionale
essenza della filosofia come modo di vivere.
14
pensare, ma si pensa e si parla bene, non si fa più la teoria del mondo fisico, ma si
contempla il cosmo, non si ha più la teoria dell’azione morale, ma si agisce in maniera
retta e giusta»
11
. La filosofia era quindi qualcosa di personale, nel senso che era legata
intimamente al progetto di vita e al modo di vivere di una persona.
Filosofia antica e pratiche filosofiche
Che cosa è rimasto di quella filosofia? E’ davvero sparita per sempre dall’accademia
o sopravvive ancora da qualche parte, in una qualche forma? Le pratiche filosofiche
potrebbero essere la risposta a questo interrogativo.
Affermatesi come fenomeno culturale nella seconda metà del Novecento, le pratiche
filosofiche si configurano non tanto come filosofia pratica quanto come attività che,
sotto una varietà di contesti e un’apparente disuguaglianza di riferimenti e procedure,
rivela una concezione della filosofia in quanto “esercizio filosofico praticato” su base
dialogica e in maniera autonoma rispetto alla tradizione. Per meglio chiarire la
differenza fra filosofia pratica e pratiche filosofiche, Alessandro Volpone, rileva
l’esistenza di almeno due punti sostanziali di distinzione fra queste ultime e le varie
forme nelle quali la prima può esprimersi: «In primo luogo, non v’è un sistema
privilegiato di principi da mettere alla prova in situazioni specifiche, sebbene sia
possibile in entambi i casi discutere di diverse prospettive possibili. In secondo luogo,
non si hanno di mira problemi di vasta portata, come quelli menzionati, ma si parte da
questioni personali, le quali possono ovviamente fare da sfondo a problemi di ampio
respiro»
12
. In questo senso, le pratiche filosofiche si configurano come pratiche
democratiche e essenzialmente comunitarie. Dello stesso parere è anche Shlomit
Schuster, che in Israele si occupa di consulenza filosofica e alla fine degli anni ‘90 ha
pubblicato il primo vero manuale sull’argomento
13
, quando scrive che, nonostante il
coinvolgimento dei filosofi nei dibattiti pubblici sui problemi impellenti di oggi
(come la pervasività tecnologica, l’eutanasia, gli organismi geneticamente modificati,
11
Ivi, p. 158.
12
A. Volpone, L’orizzonte variegato della consulenza filosofica:una discussione generale della pratica,
“Phronesis”, 0, 2003, p. 35. Citazione leggermente modificata.
13
S. Schuster, La pratica filosofica. Una alternativa al counseling psicologico e alla psicoterapia,
Milano, Apogeo, 2006.