confisca non si basi sulla pericolosità sociale del reo, bensì della res, per la tradizionale immagine secondo cui
tramite il possesso “dalle cose la pericolosità passi al soggetto”
6
.
A ben vedere, però, tale “pericolosità oggettiva” è spesso presunta o addirittura inesistente qualora presa a sé
stante: la capacità della cosa di motivare a nuovi delitti va senza dubbio rapportata alla predisposizione del
soggetto condannato, poiché in astratto l’incentivo alla reiterazione del reato è configurabile soltanto per le cose
assolutamente criminose, contemplate al n. 2) dell’art. 240.2 c.p., per le quali infatti la pericolosità è presunta juris
et de jure, non per gli altri beni sottoponibili a confisca. L’esistenza di questa presunzione assoluta di pericolosità,
che prescinde da un accertamento giudiziale, ha fatto pensare piuttosto che a una misura a scopo preventivo (la
quale per definizione richiede un vaglio effettivo della pericolosità in concreto), ad una “proiezione del regime
giuridico di extracommercialità”
7
delle cose stesse.
Eccettuata l’ipotesi di cui al n. 2), l’irrogazione della confisca ha a presupposto indefettibile un
provvedimento definitivo del giudice circa la penale responsabilità del soggetto, che sia un decreto penale, una
sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’art. 444 c.p.p.; in sintesi,
occorre l’accertamento in giudicato della colpevolezza del reo, non bastando il criterio della pericolosità come
invece avviene per le misure di sicurezza personali.
Anzi, anche qualora il giudice riconosca l’assenza di pericolosità del reo e conceda la sospensione
condizionale, permane l’ammissibilità di un provvedimento di confisca, che assume piena valenza punitiva,
essendosi appurato che la pericolosità del legame cosa-reo è venuta meno
8
.
Altri indici della funzione per lo meno “parapenale”
9
, se non spiccatamente punitiva, della confisca si
rilevano nelle norme processuali ad essa inerenti: la competenza a disporla dopo la sentenza, qualora il giudice
della cognizione non vi abbia già provveduto, spetta al giudice dell’esecuzione e non al magistrato di sorveglianza,
organo in generale preposto all’esecuzione delle misure di sicurezza; in aggiunta, il regime delle impugnazioni dei
capi della sentenza relativi alla confisca segue la disciplina ordinaria, al pari dei restanti capi del provvedimento
giudiziale, anche in questo caso diversamente dalla normativa generale in materia di misure di sicurezza, la quale
indica nel Tribunale di Sorveglianza l’esclusiva sede cui ricorrere
10
.
Inoltre, l’essenziale durata perpetua di questa misura ablativa patrimoniale sui generis la porta in contrasto con
la conclamata funzione preventiva, dato che la confisca è totalmente indifferente al comportamento del
condannato successivo alla sentenza di condanna; tutti i richiamati elementi differenziali fanno propendere la
dottrina prevalente per una qualificazione al minimo “ambigua”
11
, o punitiva in senso lato, dell’ipotesi di confisca
di parte generale.
I dibattiti dottrinali e giurisprudenziali sulla natura effettiva della confisca nel diritto penale si sono acuiti
con l’introduzione progressiva di numerose fattispecie speciali, inserite nella parte speciale del codice o, più
frequentemente, in novelle extracodicistiche; l’amplissimo novero di ipotesi particolari di confisca oggi esistente
6
BETTIOL G., PETTOELLO MANTOVANI L., Diritto penale, Padova, 1986, p. 990;
7
GRASSO G., in GRASSO G., ROMANO M., PADOVANI T., op. cit., p. 524;
8
ALESSANDRI A., voce Confisca nel diritto penale, in Dig. d. pen., vol. III, Torino, 1989, p. 46;
9
ALESSANDRI A., voce Confisca, ult. cit.;
10
PADOVANI T., Codice Penale Commentato, Milano, 2005, art. 240, p. 1102;
11
ALESSANDRI A., voce Confisca, loc.cit.;
non consente di reperire aspetti comuni a tutte le frammentarie disposizioni, tali da mantenere valida la
codicistica unità dell’istituto di parte generale.
Forse una soluzione alle incertezze classificatorie causate dalla confisca prevista all’art. 240 c.p. e dalle
successive ipotesi speciali potrebbe essere l’abbandono della concezione unitaria della medesima, a favore
dell’individuazione al suo interno di tre tipi funzionali ben distinti tra loro
12
. Innanzitutto, esistono previsioni con
finalità essenzialmente preventiva, in primis la fattispecie di confisca facoltativa all’art. 240.1 c.p., la quale si fonda
principalmente su una prognosi della pericolosità sociale del permanente possesso della cosa in capo al reo
13
; tale
giudizio circa la pericolosità sociale della cosa confiscabile, basandosi sul generico rischio di commissione di
ulteriori reati da parte del condannato, per acquisire determinatezza deve collegarsi all’effettivo nesso causale
diretto tra il reato e l’oggetto della misura ablativa, non fermandosi a riconoscere un’astratta potenzialità
criminogenetica di qualsivoglia bene nella disponibilità dal reo, ma confiscando esattamente quali mezzi o
proventi del reato, in concreto pericolosi, egli possieda ancora.
In secondo luogo, altre ipotesi, soprattutto di parte speciale o contenute in leggi speciali, mirano piuttosto a
reprimere la criminalità economica, prevedendo la comminazione della confisca obbligatoria a titolo di sanzione
accessoria alla sentenza di condanna, senza dar spazio al prudente apprezzamento del giudice e richiedendo scarsi
requisiti di pericolosità per il nesso cosa-reo. Alessandri non ha esitato a definire questo sottoinsieme di figure
speciali di confisca “un reticolo di meccanismi sanzionatori”
14
, al pari di Grasso, il quale invoca una “frode delle
etichette”
15
, finalizzata a disciplinare con la normativa meno garantistica delle misure di sicurezza delle ipotesi
integranti vere e proprie sanzioni patrimoniali, che conseguono obbligatoriamente alla condanna al pari di pene
accessorie. Pure il resto della dottrina, sebbene in toni più pacati, non si discosta dalla qualificazione
prevalentemente repressiva per tali fattispecie, considerate in evidente disarmonia con la definizione codicistica di
confisca a fini preventivi prefigurata dall’art. 240.
Infine, residuano delle previsioni di confisca che hanno tale denominazione solo formalmente, ma in
sostanza della confisca-misura preventiva possiedono soltanto l’esteriore aspetto nominalistico. Vien fatto
riferimento a questo proposito all’oggetto della confisca obbligatoria al n. 2) dell’art. 240.2 c.p., individuato nelle
cose la cui fabbricazione, detenzione, uso etc. integri una fattispecie autonoma di reato; questo ultimo gruppo di
ipotesi si caratterizza per la totale irrilevanza della responsabilità del soggetto o dell’illiceità del suo
comportamento, andandosi a sancire un’illiceità oggettiva in termini assoluti, determinata soltanto dal regime
giuridico della cosa confiscata e per nulla influenzata dalla reale pericolosità del rapporto intercorrente tra il bene
e il soggetto che ne ha la disponibilità
16
.
La confisca, in definitiva, non è né una misura di sicurezza patrimoniale sic et simpliciter, né una misura
punitiva in senso lato, ma chiaramente un genus, che racchiude al proprio interno fattispecie sensibilmente
differenti tra loro sotto l’elemento finalistico di politica criminale, non riducibili in un ordine logico-sistematico
coerente.
12
GRASSO G., in GRASSO G., ROMANO M., PADOVANI T. (a cura di), Commentario Sistematico al Codice Penale, 1994, Vol. III,
art. 240 c. p., p. 525;
13
PADOVANI T., Codice Penale Commentato, Milano, 2005, art. 240, p. 1091;
14
ALESSANDRI A., voce Confisca nel diritto penale, in Dig. d. pen., vol. III, Torino, 1989, p. 49;
15
GRASSO G., in GRASSO G., ROMANO M., PADOVANI T., loc. cit.;
16
PADOVANI T., Codice Penale Commentato, Milano, 2005, art. 240, p. 1089;
Entro tale genus comprensivo di numerose e variegate fattispecie, si segnala per la propria problematicità
un’ipotesi speciale, da poco introdotta nel nostro ordinamento penale: la confisca cd. di valore o per equivalente.
La confisca per equivalente, prevista per determinati delitti carichi di disvalore, supera molteplici problemi
riscontrati nell’applicazione giurisprudenziale della confisca sub art. 240 c.p. a tali reati, in quanto in precedenza si
ordinava la confisca obbligatoria o facoltativa esclusivamente dei beni che avessero un “collegamento eziologico
diretto ed essenziale con il reato commesso”
17
. In particolare, l’art. 240.1 c.p. sancisce che possono essere oggetto
di confisca facoltativa le “cose che servirono” o “furono destinate a commettere il reato”, nonché il “prodotto” o
il “profitto del reato”; viceversa oggetto di confisca obbligatoria ai sensi dell’art. 240.2 c.p. devono essere il
“prezzo” e le cose la cui fabbricazione, detenzione od uso integri di per sé un illecito penale.
Sotto la generalizzata vigenza dell’art. 240 c.p., la giurisprudenza si era affannata nel dilatare l’ambito
operativo della confisca obbligatoria circa alcuni reati gravi, per il fatto che, prima della novella apportata dalla
legge 134/03 sul cd. patteggiamento allargato, la confisca facoltativa non era comminabile in caso di applicazione
della pena su richiesta delle parti, poiché l’art. 445 c.p.p. preriforma permetteva solo l’irrogazione della confisca
obbligatoria. Questa espansione è stata compiuta soprattutto reinterpretando il concetto di “prezzo” del reato,
ritenuto non più limitato alle utilità che determinano l’agente alla commissione dell’illecito sul lato motivazionale,
cioè prima del fatto, ma inclusivo altresì delle somme ricevute dopo il fatto, a titolo di corrispettivo (per esempio,
dallo spaccio di sostanze stupefacenti
18
), somme che invece stando alla lettera dell’art. 240 c.p. dovrebbero
rientrare de plano nella definizione di profitto e, di conseguenza, essere sottoponibili a confisca soltanto facoltativa.
La previsione della confisca per equivalente, introdotta dapprima nel codice di rito all’art. 753 bis per il
riconoscimento e l’esecuzione delle sentenze straniere che la disponessero, poi ritagliata per singole fattispecie nel
codice penale e in leggi speciali a partire dal 1996, rende superflui tali sforzi esegetici operati dalla giurisprudenza,
tra l’altro situati al limite dell’analogia in malam partem: per operare la confisca non si richiede più necessariamente
l’individuazione dei beni che esattamente costituivano il prezzo, il prodotto o il profitto del reato, ossia un
accertamento ex post circa l’identità del primo “nucleo storico” del provento illecito
19
.
Il salto di qualità difatti concerne la scomparsa del necessario legame diretto tra la cosa oggetto di confisca
ed il reato commesso: quando non sia più possibile eseguire la confisca dei beni illecitamente posseduti e
direttamente attinenti al fatto di reato (a causa di alienazione, distruzione ovvero occultamento), entra in gioco la
confisca dei beni lecitamente nella disponibilità del condannato, per un valore equivalente all’ammontare del
prezzo o del profitto accertato nel corso del processo penale. Viene dunque a cadere il paradigma della confisca
“classica”, descritta come misura di sicurezza patrimoniale dall’art. 240 c.p. e tesa, almeno di principio, ad
eliminare la pericolosità concreta del bene, in quanto legato al reato da un nesso eziologico diretto ed essenziale
20
.
17
BENUSSI C., in DOLCINI – MARINUCCI (a cura di), Codice penale commentato, Milano, 2006, art. 240, p. 1806;
18
Altrettanto delicata è la qualificazione della utilità economica data o promessa al p.u. nei reati di concussione e corruzione,
secondo parte della giurisprudenza parimenti considerata “prezzo” e non prodotto o profitto del reato, sempre al fine di
evitare l’inapplicabilità della confisca sulla cd. “tangente” in caso di patteggiamento. Il problema è menzionato da PELISSERO
M., in Leg. Pen., 2001, p. 1025;
19
FORNARI L., Criminalità del profitto e tecniche sanzionatorie: confisca e sanzioni pecuniarie nel diritto penale “moderno”, Padova, 1997,
p.39;
20
ALESSANDRI A., voce Confisca nel diritto penale, in Dig. d. pen., vol. III, Torino, 1989, p. 51;
6
La confisca di valore non cerca di sottrarre al condannato il bene immediatamente utilizzato o ricavato dal
reato, bensì è soddisfatta da qualunque altro oggetto di consistenza economica equivalente.
Caduto il presupposto del rapporto essenziale tra il reato e la cosa confiscabile, per opportune esigenze di
effettività della risposta penale, si evidenzia d’altronde la correlata diluizione, o eliminazione in toto, dell’originaria
funzione preventiva connotante la confisca, a favore di una spiccata attitudine punitiva. La tesi della “pericolosità
oggettiva” stigmatizzante la cosa confiscata, infatti, se può parzialmente valere nelle fattispecie tradizionali di cui
all’art. 240 c.p., nei confronti della confisca di valore si presenta decisamente inadeguata, poiché per definizione
tale innovativa misura va a colpire beni completamente svincolati dal reato e privi di ogni connotato di illiceità
intrinseca, beni aggredibili liberamente fino alla concorrenza del valore, predeterminato giudizialmente, del
prezzo o del profitto di reato.
L’identità del bene non svolge, dunque, il ruolo di limite applicativo alla confisca; tale compito viene invece
assolto dalla “disponibilità” dell’oggetto in capo al reo, in maniera simile a una sanzione patrimoniale. L’unico
confine invalicabile dalla confisca di valore è quindi la titolarità della cosa in capo a terzi innocenti, effettivi
proprietari del bene. Salvo tale clausola di salvaguardia, ricopiata peraltro dalla fattispecie generale di cui all’art.
240.3 c.p., posta a difesa degli estranei al reato (intesi nel senso più garantistico possibile, ossia tutte le persone
diverse dal condannato e dai concorrenti nello stesso reato
21
), la confisca per equivalente presenta un contenuto
estremamente dilatabile a fini repressivi, nonché denso di profili dubbi, così che non cessa di provocare contrasti
giurisprudenziali, solo di rado sciolti dalla Suprema Corte.
L’intento principale del legislatore è quello di privare il condannato di qualsiasi beneficio economico
derivante dalla propria attività criminosa, in un’ottica sia deterrente sia punitiva, senza dubbio assai efficace nei
confronti del reo, ma lontana dalla qualificazione formale di misura di sicurezza, della quale, in fondo, la confisca
per equivalente mantiene soltanto il nomen. Meno incoerente sarebbe stato classificarla tout court tra le pene
accessorie, in modo da sottoporla al regime garantistico previsto per le sanzioni penali e da evitare i rischi di
“frode delle etichette”, già paventati in merito alla confisca di diritto comune e incrementati dalla nuova ipotesi
speciale per equivalente.
È pacifico che quest’ultimo istituto sia incompatibile con il paradigma della misura di sicurezza patrimoniale
“pura”, presentando la value confiscation altri aspetti peculiari, di carattere squisitamente repressivo, come detto
sopra, ma senza che le sia estranea, allo stesso tempo, una valenza perequativa o reintegratoria, se solo si
consideri che, ai sensi dell’art. 644 c.p., ultimo comma, in materia di usura, e dell’art. 19.1 d.lgs. 231/01, sulla
responsabilità degli enti, dal quantum della confisca di valore si debbano sottrarre le restituzioni o i risarcimenti
eseguiti dal condannato prima della misura ablativa.
Tenuto conto della natura sfaccettata della confisca per equivalente, un’alternativa percorribile potrebbe
essere allora ometterne ogni qualificazione esplicita, sul modello tedesco, secondo cui essa consiste in un’
“acquisizione pubblica del valore corrispondente” ai vantaggi economici da illecito penale (Wertersatzverfall: § 73a
StGB). Si taglierebbero di netto le annose questioni definitorie penalistiche, a favore di una misura che sottragga,
a favore della collettività, qualsiasi arricchimento patrimoniale oggettivamente conseguito dal reo a seguito dalla
commissione del fatto, prescindendosi sia dalla colpevolezza del soggetto (richiesta se si trattasse di una sanzione
21
GRASSO G., in GRASSO G., ROMANO M., PADOVANI T., op. cit., p. 530;
7
patrimoniale) sia dalla pericolosità sociale dell’oggetto (necessaria se fosse una misura di sicurezza reale). Viene
quindi rimarcato il profilo di riequilibrio compensativo dell’istituto
22
, a ben vedere unico tratto comune alle varie
discipline nazionali della value confiscation
23
.
L’esigenza, unanimemente avvertita in Italia, di rivedere ab imis la disciplina della confisca di valore, al fine di
renderla coerente con le proprie molteplici funzioni (preventive – repressive - reintegrative), non vuol dire
tuttavia che si voglia o si possa eliminare questa misura patrimoniale dalla natura “ibrida”; invero, la sua
introduzione negli anni Novanta è stata solo in parte decisa in base ad autonome politiche criminali nazionali.
Tale scelta legislativa è dipesa maggiormente dalla circostanza che l’adozione interna della value confiscation
rappresentasse oggetto di obbligo pattizio per lo Stato italiano, pertanto – si vedrà al capitolo d’apertura - la
persistenza della confisca di valore nel nostro ordinamento è comunque necessitata da alcune convenzioni
internazionali legally binding. Sempre al capitolo primo si riconoscerà come, tanto dalle fonti internazionali, quanto
dall’esperienza delle legislazioni straniere, si possano ricavare i fondamenti comuni ai diversi ordinamenti
nazionali: principi-cardine che guideranno nell’addentrarci, al capitolo secondo, tra le numerose ipotesi di
confisca di valore vigenti nel diritto penale italiano. La produzione legislativa interna, in effetti, è quanto mai
frammentaria e asistematica, dato che, nonostante i tentativi di razionalizzare il settore, ancora non si rinviene
un’unica fattispecie a coordinare le tante disposizioni in materia, tuttora sparse tra parte speciale del codice
penale e novelle extracodicistiche.
Tanta disarmonia nei testi di legge non poteva non causare incertezze interpretative alla dottrina e,
soprattutto, alla giurisprudenza di merito e di legittimità: le pronunce “creative” non mancano (soprattutto circa
l’applicazione dell’ipotesi principale di confisca per equivalente, introdotta nel 2000 con l’art. 322 ter c.p.) e sono
quasi sempre discordanti tra loro. L’andamento oscillante della prassi giurisprudenziale, oggetto del terzo e
ultimo capitolo, è emblematico delle discrasie insite nel nuovo istituto della confisca di valore o per equivalente.
Da una parte, infatti, essa ha ereditato le questioni irrisolte ex art. 240 c.p. e in preesistenti ipotesi speciali di
confisca, dall’altra va aggiungendo nuovi e intricati nodi esegetici, la cui soluzione, per ora affidata agli
orientamenti giurisprudenziali volta per volta prevalenti, non potrà mai essere definitiva, finché non
sopraggiungerà un deciso intervento di riforma organica da parte del legislatore.
In ogni caso, nonostante le gravi difficoltà applicative inerenti la value confiscation, viene sempre ribadita in
ambito nazionale e soprattutto in consessi più ampi, quali l’UE, l’ONU o l’OCSE, la sua insostituibilità nella
strategia di attacco agli interessi economici e finanziari del reo, in particolare se esponente della cd. “criminalità
da profitto”
24
. Proprio di questo diffuso “movimento internazionale” pro value confiscation, suo sostenitore nella
lotta alla criminalità economica ed organizzata, daremo conto alle pagine immediatamente seguenti.
22
FORNARI L., Criminalità del profitto, op. cit., p.95, il quale, tuttavia, non omette di descrivere le aspre critiche cui pure la
Wertersatzverfall va incontro in Germania;
23
Il fondamento compensativo della confisca per equivalente è difatti ritenuto il trait d’union che lega la maggioranza delle
legislazioni nazionali in materia; su di esso ci si soffermerà meglio al Capitolo 1, § 2;
24
Espressione per la prima volta coniata da Fornari (1997) e da allora acquisita nel linguaggio giuridico moderno, per indicare
contemporaneamente la criminalità d’impresa e la criminalità organizzata, in quanto negli ultimi anni assimilabili per
l’identico fine di accumulare profitti illeciti.
8
Capitolo Primo
Fondamenti comuni della “value confiscation” sul piano internazionale
§1. La necessità di un attacco agli interessi economici della criminalità transnazionale
Le fattispecie di confisca di valore presenti nel nostro ordinamento sono quasi tutte “figlie” di un diffuso
trend internazionale, da circa venti anni affermatosi nel contrasto alle organizzazioni criminali e incentrato
sull’aggressione ai patrimoni illeciti; secondo il ripetuto “slogan” di tale tendenza, occorre “colpire dove fa più
male”
25
la criminalità organizzata, ossia sottrarle i profitti, in quanto essi costituiscono il primario fine del suo
agire. È evidente, quindi, come in quest’ottica la confisca per equivalente assuma un particolare interesse, dato
che essa, spogliando il condannato di beni non necessariamente collegati al reato commesso, purché di valore
corrispondente ai proventi illeciti accertati, consente l’annullamento della ricchezza accumulata illegalmente e
trasmette il messaggio che “il crimine non paga”.
La value confiscation può, inoltre, soddisfare le esigenze avvertite dal capillare “movimento internazionale” di
offensiva al crimine transnazionale; perciò, si è intensificata la cooperazione giudiziaria transfrontaliera in materia
di confisca per equivalente, onde consentire il riconoscimento e l’esecuzione di tali provvedimenti ablatori anche
oltre i confini nazionali. Lo sforzo congiunto contro i fenomeni criminali globali è poi confermato da
recentissimi documenti internazionali, i quali, accanto alle tradizionali forme di assistenza giudiziaria interstatuale,
sanciscono sostanzialmente obblighi di penalizzazione, volti a introdurre negli ordinamenti interni la confisca di
valore, almeno per determinate tipologie di reati gravi.
È in corso, insomma, una duplice integrazione tra gli ordinamenti penali nazionali: da un lato si infittiscono
le maglie della collaborazione giudiziaria, dall’altro si armonizzano le normative interne concernenti la confisca;
tutto ciò sta avvenendo sia al livello universale, per mezzo delle Convenzioni stipulate in ambito Nazioni Unite
ed OCSE, sia soprattutto al livello regionale, più vicino al diritto italiano, grazie al particolare impegno profuso
da istituzioni quali il Consiglio d’Europa e l’Unione Europea.
1.1. Il piano globale, sotto l’egida delle Nazioni Unite e dell’OCSE. Andando per ordine, occorre
iniziare la disamina delle normative sovranazionali dalla dimensione più generale, quella tendenzialmente
universale dei trattati conclusi in sede Nazioni Unite e OCSE. Il primo documento internazionale (dotato di
efficacia obbligatoria per gli Stati contraenti
26
) ad occuparsi dell’ablazione di quanto utilizzato per o derivante da
un reato è la Convenzione delle Nazioni Unite contro il traffico illecito di sostanze stupefacenti e psicotrope,
adottata a Vienna il 20 dicembre 1988. La Convenzione di Vienna sulla lotta al traffico di stupefacenti prevede
25
L’espressione originale inglese, diffusasi negli Stati Uniti a partire dai primi anni Novanta, afferma che il vero obiettivo
della confisca è “to hit the crims where it hurts” ed è riportata da FORNARI L., Criminalità del profitto e tecniche sanzionatorie: confisca e
sanzioni pecuniarie nel diritto penale “moderno”, Padova, 1997, p.10;
26
Non sono mancate anteriormente al 1988 dichiarazioni dell’Assemblea Generale circa la necessaria considerazione
dell’elemento patrimoniale in un’effettiva strategia contro il moderno crimine organizzato; tali atti, tuttavia, hanno valore di
soft law e non istituiscono alcun obbligo giuridico in capo ai Paesi che diano voto favorevole alle risoluzioni ivi contenute.
un doppio obbligo per gli Stati parte: dapprima criminalizzare le condotte correlate a tale fenomeno criminale
27
,
quindi “adottare i provvedimenti necessari” a consentire la confisca dei beni ricavati dal narcotraffico o “di beni
il cui valore corrisponde a quello di tali proventi”
28
.
Dopo questo primo intervento settoriale delle Nazioni Unite, limitato al fenomeno del traffico di
sostanze stupefacenti, la strategia globale di contrasto al “crimine da profitto” tramite l’utilizzo di misure ablative
segna un notevole passo in avanti con la Convenzione ONU sulla criminalità organizzata transnazionale, adottata
il 15 novembre 2000 a Palermo, ma ratificata ed eseguita nel nostro ordinamento con sensibile ritardo, soltanto
nel 2006, con la legge del 16 marzo n. 146. Il trattato stipulato a Palermo nel 2000 dedica maggior spazio, rispetto
al documento del 1988, alle previsioni in materia di confisca, includendovi la forma per equivalente: in particolare,
gli artt. 12-14 ne enucleano i principali profili sostanziali e procedurali
29
, ritenuti essenziali per applicare
efficacemente la confisca nei confronti di “gruppi criminali organizzati”, definiti all’art. 2 lettera a) della
Convenzione
30
.
La norma della Convenzione di Palermo che riguarda più da vicino la confisca per equivalente è, senza
dubbio, l’art. 12, il quale istituisce a carico degli Stati parte l’obbligo di adottare, stavolta “nella più ampia misura
possibile”, nell’ambito dei loro ordinamenti interni, “le misure necessarie” alla confisca degli instrumenta delicti
(lettera b) e dei proventi derivanti dai reati oggetto della Convenzione (i cd. reati “transnazionali”, nuova qualifica
coniata dal trattato stesso), oppure dei “beni il cui valore corrisponde a quello di tali proventi” (lettera a).
Per introdurre risposte patrimoniali effettive contro il traffico di stupefacenti, ai sensi della Convenzione
di Vienna, nonché contro il crimine organizzato transnazionale, in conformità alla Convenzione di Palermo, i
Paesi ratificanti devono provvedere alla confisca obbligatoria dei beni, mentre le cose di valore corrispondente
sono confiscabili a discrezione del legislatore statale. Si noti che in entrambi i testi si parla di “provvedimenti”
ovvero di “misure necessarie”, senza fornire una definizione esatta dell’istituto, permettendosi perciò qualsiasi
conformazione interna della confisca, penale o amministrativa, preventiva o punitiva.
Le due Convenzioni delle Nazioni Unite individuano l’oggetto della confisca di valore nei “beni il cui
valore corrisponde a quello dei proventi”, impiegando la medesima formula a dodici anni di distanza; cruciale
diventa definire esattamente il termine “proventi”, sul quale si parametra la quantificazione della misura ablativa.
Nei testi ufficiali di lingua inglese si adotta la parola “proceeds”, la quale si può tradurre in italiano
indifferentemente con “ricavo”, “provento”, “profitto”. Sebbene le due Convenzioni ONU, come d’altronde
tutti gli altri testi internazionali adottati in argomento, sia su scala globale che europea, utilizzino volutamente un
lessico atecnico, adattabile ai vari ordinamenti interni, l’atecnicità di “proceeds” desta dubbi applicativi non
irrilevanti, poiché entra in gioco il criterio di determinazione di una misura patrimoniale altamente afflittiva qual è
la confisca per equivalente.
27
Oltre alle condotte di produzione, vendita e distribuzione delle sostanze psicotrope, pure il riciclaggio dei proventi
derivanti dal narcotraffico deve essere previsto dalle legislazioni nazionali come reato, ai sensi dell’art. 1 lettera b) della
Convenzione di Vienna.
28
Convenzione di Vienna, Art. 5. Confisca, comma 1, lettera a);
29
Articoli rispettivamente rubricati come segue: Art. 12. Confisca e sequestro; Art. 13. Cooperazione internazionale ai fini della
confisca; Art. 14. Destinazione dei beni o proventi di reato confiscati;
30
Convenzione di Palermo, Art. 2. Terminologia, lettera a): "Gruppo criminale organizzato" indica un gruppo strutturato, esistente per un
periodo di tempo, composto da tre o più persone che agiscono di concerto al fine di commettere uno o più reati gravi o reati stabiliti dalla
Convenzione, al fine di ottenere, direttamente o indirettamente, un vantaggio finanziario o un altro vantaggio materiale;
10
Si può ridimensionare il problema sottolineando il fatto che, da una lettura attenta della legge italiana in
ratifica alla Convenzione di Palermo, la confisca di valore ha soltanto un’applicazione residuale
31
nei confronti
della criminalità organizzata, destinataria delle previsioni pattizie contenute nei due trattati ONU: prima della
value confiscation, in effetti, verrà irrogata la confisca obbligatoria cd. per sproporzione, che va a colpire tutti i beni
sproporzionati alle attività lecite del condannato, membro di un’organizzazione criminale, beni dei quali egli non
sia in grado di dimostrare la provenienza lecita.
In forza di tale inversione probatoria, auspicata prima dal settimo comma dell’art. 5 Convenzione di
Vienna, poi dal settimo comma dell’art. 12 Convenzione di Palermo, si restringono decisamente i margini per
applicare la confisca ai beni del condannato, per il valore corrispondente ai proventi da reato. In realtà, grazie alla
presunzione relativa di illiceità, che grava sui beni sproporzionati al reddito legittimo del reo, molto
probabilmente il soggetto avrà già subito un’ablazione patrimoniale ben superiore all’ammontare dei “proventi”
del reato per il quale è stato condannato, comunque si voglia intendere l’estensione semantica del termine proceeds.
Fino a questo punto i due trattati di matrice ONU dimostrano una pressoché totale omogeneità di
disciplina riguardo la confisca di valore, nonostante si occupino di fenomeni criminali ben distinti tra loro,
collegati solo eventualmente nella prassi criminologica. Tuttavia, una differenza esiste tra i due documenti
internazionali, circa l’onere legislativo imposto a carico dei Paesi ratificanti: difforme è difatti l’aggiunta di una
clausola iniziale all’art. 5 della Convenzione di Palermo, allo scopo di incitare le Parti a prevedere forme di
confisca “nella più ampia misura possibile”, compatibilmente con i principi dell’ordinamento nazionale.
Se non si vuol elidere completamente il significato di tale requisito (riducendolo a mera espressione
retorica), il senso potrebbe essere allora quello di spingere gli Stati a una celere introduzione delle ipotesi speciali
di confisca contemplate all’art. 5, tra le quali la confisca per equivalente ricopre una posizione centrale,
ammettendosi soltanto riserve fondate sul contrasto con norme inderogabili di rango costituzionale.
Se, in definitiva, nel tema della confisca per equivalente la Convenzione ONU del 2000 si distacca dal
precedente trattato del 1988 più nei toni che nei contenuti, altre considerazioni vanno tratte dall’analisi di un altro
trattato a vocazione universale, concluso però non nel contesto delle Nazioni Unite, bensì dell’Organizzazione
per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico.
Uno dei testi fondamentali nella normativa sovranazionale sulla confisca è difatti la “Convenzione
OCSE sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali”,
adottata il 17 dicembre 1997 e oggetto di ratifica italiana nella l. 300/00, la quale, inter alia, ha introdotto nel
codice penale l’art. 322 ter, forse la più importante delle species di “confisca per equivalente” presenti nel nostro
ordinamento, come si preciserà al prossimo capitolo. Bisogna annotare in questa sede il fatto che il Relatore alla
legge 300/2000 invocò proprio questa fonte pattizia per sostenere la necessità di una nuova ipotesi di confisca
obbligatoria per equivalente; sebbene non abbia tanto tenore cogente il contenuto letterale del trattato
anticorruzione, di certo nei fatti esso è riuscito nel proprio obiettivo, quello di condizionare, in modo decisivo, le
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LAUDATI A., Nasce la confisca per equivalente, Commento alla Legge n. 146 del 16 marzo 2006, in Guida Dir., 2006, n. 17, p.71;
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opzioni di politica criminale interna, per un’effettiva risposta sanzionatoria ai delitti dei p.u. contro la Pubblica
Amministrazione
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Più precisamente, la Convenzione OCSE non prevede un obbligo diretto di introdurre la confisca di
valore nelle legislazioni nazionali; l’art. 3.3 richiede agli Stati parte di adottare “le misure necessarie” affinché la
“tangente” e i “proventi” derivanti dalla corruzione di un p.u. straniero, oppure “i beni il cui valore corrisponde a
quello di tali proventi”, siano soggetti o a confisca o a sanzione pecuniaria “di analogo effetto”. Il Paese
adempiente alla Convenzione OCSE ha dunque la facoltà di scegliere tra due alternative: o la via della confisca
oppure quella della sanzione pecuniaria “a effetti comparabili”; a differenza dei due trattati ONU, però, l’art. 3.3
sembra stabilire che la discrezionalità statale si fermi al tipo di misura da intraprendere, mentre imprescindibile
appare l’adozione di un provvedimento ablativo per equivalente, sia esso di confisca o sanzionatorio in senso
stretto.
Il salto di qualità è dunque importante, perché per la prima volta un trattato internazionale, seppur
limitato al settore della lotta alla corruzione di funzionari stranieri o di organismi sovranazionali, impone agli Stati
ratificanti di intraprendere “ogni misura necessaria” alla sottrazione definitiva di utilità economiche del
condannato, svincolate dal requisito del nesso pertinenziale con il reato, fino a coprire il valore corrispondente ai
“proventi” ottenuti dal reato stesso.
Considerata la rilevanza assunta dalla confisca (e da qualsiasi altro genere di misura ablativa) nella forma
per equivalente, il Rapporto Esplicativo alla Convenzione OCSE si premura di definirne il parametro
quantitativo, vale a dire il controverso termine “proceeds”, già rinvenuto nei due patti conclusi dalle Nazioni Unite.
I contorni semantici tracciati nel Rapporto Esplicativo comprendono: “i profitti o gli altri benefici derivati al
corruttore dalla transazione”, oppure “gli altri vantaggi ottenuti o mantenuti attraverso la corruzione”.
Nonostante la chiarificazione operata in merito alla corretta accezione di “proventi” si riferisca al solo reato di
corruzione, questa spiegazione si rivela comunque utile per guidare la lettura di altri trattati inerenti la confisca e,
contestualmente, per interpretare alcuni significati oscuri dell’art. 322 ter c.p. alla luce dei principi comuni
consolidatisi nella comunità internazionale.
1.2. In ambito regionale le Convenzioni del Consiglio d’Europa. A livello europeo si assiste alla
progressiva affermazione di un “doppio binario” nella lotta coordinata al crimine organizzato: anzitutto, la prima
direttrice è il contrasto alla circolazione dei capitali illeciti; di conseguenza, la seconda linea tende a impedire
l’accumulo di tali ricchezze illecitamente possedute
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In primo luogo, quindi, le due maggiori istituzioni regionali, ovvero il Consiglio d’Europa e l’Unione
Europea, hanno concentrato gli sforzi di cooperazione giudiziaria e di armonizzazione normativa in direzione del
riciclaggio dei proventi da attività criminale, in modo da bloccarne o rintracciarne la circolazione, con l’obiettivo
ultimo di risalire all’organizzazione criminale a capo delle operazioni di money laundering.
Il secondo orientamento sovranazionale si sviluppa poi in parallelo al precedente: una volta istituiti
obblighi di collaborazione fattiva e di criminalizzazione antiriciclaggio, la risposta penale al fenomeno deve
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FONDAROLI D., Le ipotesi speciali di confisca nel sistema penale, Bologna, 2007, p. 92;
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LAUDATI A., Nasce la confisca per equivalente, Commento alla Legge n. 146 del 16 marzo 2006, in Guida Dir., 2006, n. 17, p. 69;
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