PARTE PRIMA
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Capitolo Primo
LE VICENDE DELLA QUESTIONE REGIONALE
SOMMARIO: 1. Il regionalismo nella Costituzione e nella realtà. -2. Dal regionalismo conflittuale al regionalismo
cooperativo. Il modello originale. - 3. Le Regioni partecipano ( nella maniera sbagliata?).
1- Il regionalismo nella Costituzione e nella realtà
Il modello di regionalismo che si ricava dalla lettura delle disposizioni costituzionali è improntato
essenzialmente ad un sistema di ripartizione originaria di attribuzioni fra Stato e Regioni, nel cui
ambito esiste "un controllo di legittimità dello Stato sugli atti delle Regioni e una potestà dello Stato
di limitare mediante leggi-cornice le potestà normative delle Regioni in un quadro di livelli
separati".
1
Una filosofia, quindi, essenzialmente garantista e solo in parte moderata da tendenze
partecipazionistiche.
Ma l'esperienza italiana del modello di relazioni Stato-Regioni dimostra un superamento (o uno
stravolgimento?)
2
dell'ottica codificata nella Costituzione: non può infatti non rilevarsi come nelle
materie di cui all'art.117 Cost. non possa esserci una vera e propria divisione di competenze, ma
concorso di fonti regionali e di fonti statali, in varia misura, a seconda dei tipi e delle specie di
competenza regionale. Inoltre, il coordinamento solo sul piano legislativo (legge-cornice/leggi
regionali, nonché leggi sul finanziamento delle Regioni) appare uno strumento di collegamento
troppo esile per soddisfare le esigenze di coordinamento che, a diversi livelli e in vario modo, si
prospettano, in relazione soprattutto al completamento dell'ordinamento regionale.
3
Si afferma così
un indirizzo che contesta la possibilità che organi centrali dello Stato e Regioni operino come
monadi distinte e separate, ciascuna nel proprio ambito di competenza, collegate soltanto dagli
interventi in ambito regionale che la Costituzione consente al legislatore statale, ed altrimenti
1
M.S. GIANNINI, Rapporto sui principali problemi dell'Amministrazione dello Stato ,1979.
2
"…l'ottica codificata nella Costituzione è ormai travolta" per dirla con il GIANNINI.
3
P.A. CAPOTOSTI, La Conferenza permanente per i rapporti tra Stato e Regioni: una tendenza verso il regionalismo
cooperativo?, in Le Regioni, 1981, pag.897.
3
destinate ad incontrarsi esclusivamente sul terreno dei controlli ovvero nei giudizi davanti alla Corte
costituzionale. Ci si avvede, perciò, che un corretto funzionamento delle istituzioni sembra esigere
l'attuazione di rapporti ispirati ad un principio di collaborazione fra autorità statali e autorità
regionali a più livelli
4
.
Ecco perché via via l'Amministrazione centrale "inventa" e impone norme e moduli procedimentali
( i quali vanno dalla consultazione più o meno vincolante, all'intesa o al concerto, alla codipendenza
funzionale di uffici statali dagli organi regionali, fino al ritaglio delle materie di competenza
regionale)
5
per superare l'originario separatismo garantistico stabilito dai Costituenti, così da
tutelare gli interessi unitari dello Stato in tutti quei casi in cui poteva prospettarsi una forma di
connessione , materiale o funzionale, con l'esercizio delle competenze regionali.
6
Si delinea così
questo assetto: lo Stato e le Regioni hanno, negli stessi ambiti, competenze concorrenti distinte
soltanto in ragione del livello territoriale di riferimento, ovvero della qualità (nazionale o regionale)
degli interessi in gioco
7
. Il criterio informatore dei rapporti tra Stato e autonomie locali diviene
essenzialmente quello della variabile dimensione dell'interesse: da un lato, esigenze unitarie della
comunità nazionale, dall'altro, esigenze locali delle comunità regionali. In tal senso si colloca quella
tendenza della giurisprudenza costituzionale volta a giustificare tutti gli interventi dello Stato
fondati su esigenze unitarie da salvaguardare, e così l'evoluzione che ha caratterizzato gli istituti
dell'indirizzo e coordinamento
8
e del potere sostitutivo
9
. Si può obiettare che quello della
collaborazione non è un principio scritto nella Costituzione e che, quindi, non può imporsi fino a
divenire alternativo ad altri principi disegnati nella Carta fondamentale. Ma in proposito è
opportuno sottolineare che gli Statuti delle Regioni ad autonomia speciale, che sono leggi
costituzionali, nel dettare norme di disciplina dei rapporti tra Stato ed enti autonomi, contengono
4
BARTOLE - MASTRAGOSTINO, Le regioni, ed. Il Mulino, Bologna, 1997, pag.171.
5
P.A. CAPOTOSTI, op. ult. cit., pag. 899.
6
P.A. CAPOTOSTI, REGIONE IV): Conferenza Stato-Regioni, voce Enc. Giur., XXVI, Roma, 1991.
7
S. BARTOLE, Ripensando alla collaborazione tra Stata e Regioni alla luce dei principi del diritto, in Giur. cost.,
1982, pag. 2431.
8
Sul quale vedi Parte II, cap. IV, par. 5 per gli aspetti relativi alla Conferenza Stato-Regioni.
9
M. CECCHETTI, La Corte e il modello di rapporto tra Stato e Regioni con particolare riferimento alla tutela
dell'ambiente: il contributo della sentenza n. 116/94, in Rivista giuridica dell'ambiente, 1995, fasc. 1 pag. 7.
4
indicazioni che sottointendono l'esistenza di un principio di collaborazione. Inoltre, alla base
dell'esigenza della collaborazione sta sicuramente il carattere unitario del nostro ordinamento
costituzionale (art. 5 Cost.), il quale non consente che, in presenza di una molteplicità di interessi
eterogenei, riferiti a soggetti diversi e tutti di rilievo costituzionale, l'attività pubblica proceda senza
una loro composizione
10
Ora, questo disegno centralista, che tenta di assicurare la corrispondenza delle scelte regionali con
gli indirizzi politico-amministrativi degli apparati centrali dello Stato, entra in crisi con l'istituzione
delle Regioni ordinarie e con la susseguente formazione di una sorta di "fronte delle Regioni"
11
,
che si atteggia come interlocutore diretto e unitario dello Stato-persona. Questo "gruppo di
pressione"
12
rivendica una effettiva autonomia regionale in un quadro di distinzione di ruoli rispetto
allo Stato: prende forma, perciò, un modello di regionalismo "conflittuale", che tenta di
contrapporsi alla vis attractiva del Governo centrale.
2- Dal regionalismo conflittuale al regionalismo cooperativo. Il modello originale
Potevano le neonate Regioni resistere in questo scontro, muro contro muro, contro la ben
organizzata amministrazione centrale? Senza contare che all'orizzonte cominciavano ad apparire le
inevitabili esigenze di pianificazione e di integrazione politica.
La risposta è no. Non stupisce quindi che, proprio per quelle esigenze, si comincino a manifestare le
prime forme di superamento della fase più acuta di conflittualità tra Sato e Regioni. Inizia, infatti, a
circolare l'idea di un "regionalismo cooperativo", inteso come partecipazione paritaria delle Regioni
all'esercizio delle funzioni dello Stato. Tuttavia, più che indicare una realtà, un modo di essere dello
Stato regionale italiano, l'espressione suddetta indica una "linea di tendenza" lungo la quale si
muove lo Stato-comunità nell'edificazione di un ordinamento autenticamente decentrato
13
.
10
Vedi sent. Corte cost. 27 ottobre 1988 n. 996, in Giur. cost., 1988.
11
P.A. CAPOTOSTI, La_Conferenza_permanente cit., pag. 899.
12
V. CRISAFULLI, Vicende della questione regionale, in Le Regioni, 1982, pag. 495. L'autore affronta tra l'altro, il
problema del rapporto tra leggi-cornice e leggi-quadro.
13
T. MARTINES - A. RUGGERI, Lineamenti di diritto regionale, Milano, 1992, pag. 109.
5
In effetti, il modello cooperativo "puro" (il regionalismo cooperativo, appunto) è un qualcosa di
diverso da quello che si realizza nell'esperienza italiana: esso presuppone un rapporto di partnership
tale per cui la regola del coordinamento orizzontale sostituisce quella del coordinamento verticale,
al quale resta riservata la funzione di risoluzione di conflitti eventualmente insorgenti tra le parti
14
.
Di conseguenza, il modello cooperativo generalmente applicato prevede un sistema di conferenze e
di organismi di collegamento che non sono incorporati in organi statali, ma formano una sorta di
"terzo livello" fra Stato ed enti locali; inoltre, tali conferenze non deliberano atti giuridicamente
impegnativi, ma elaborano accordi politicamente rilevanti, da discutere poi nelle sedi
giuridicamente competenti
15
.
La vicenda italiana ha invece mostrato una tendenza verso una cooperazione di tipo organicistico
16
:
la partecipazione regionale all'esercizio di funzioni dello Stato si è realizzata attraverso organi o
organismi vari, strutturalmente (e saldamente) incardinati nell'organizzazione costituzionale o
amministrativa dello Stato e aventi, nella maggior parte dei casi, carattere settoriale e puntuale;
oppure attraverso procedimenti misti, in seno ai quali però, la presenza o l'intervento di soggetti od
organi esponenziali di interessi regionali non è riuscito a svolgere un ruolo politicamente
significativo
17
.Si è preferito realizzare, insomma, un coordinamento "non per atti, ma per organi."
18
3. Le Regioni partecipano (nella maniera sbagliata?)
Preso atto della strada intrapresa dal regionalismo italiano, la dottrina non si è mostrata compatta
nel giudicare e valutare i risultati di questa esperienza; anzi, esaminando i contributi degli studiosi è
facile rinvenire una spaccatura
19
: vediamo perché, analizzando in maniera più approfondita i tipi di
collegamento che si sono via via instaurati.
14
A. BALDASSARRE, Rapporti tra Regioni e Governo: i dilemmi del regionalismo, in Le Regioni, 1983, pag. 47.
15
A. BALDASSARRE, op. ult. cit., pag. 50.
16
"Il modello organicistico è stato definito in Germania "Stato cooperativo", BALDASSARRE, op. ult. cit., pag.48.
17
T. MARTINES - A. RUGGERI, op. ult. cit., pag. 110.
18
Per tale affermazione cfr. P.A. CAPOTOSTI, op. ult. cit., pag. 900.
19
Per un giudizio negativo sul continuo ricorso agli organismi a composizione mista cfr. D'ATENA, voce REGIONE,
in Enc. Giur., XXXIX, Roma, pag. 343, che pone anche alcune interessanti questioni di legittimità costituzionale, sia di
ordine sostanziale che formale (n. 153); contra V. CRISAFULLI, op. ult. cit., pagg 507 e ss., che lamenta "una certa
6
Il coinvolgimento delle Regioni nell'esercizio di compenze statali avviene mediante raccordi di tipo
"procedimentale" e "organizzativo".
La prima soluzione riconosce alle Regioni poteri di iniziativa nell'ambito di procedimenti
amministrativi nazionali, oppure subordina l'adozione di atti statali alla previa audizione degli
organi regionali competenti, o, ancora, al raggiungimento di intese tra questi e organi dello Stato.
La soluzione di tipo organizzativo trova invece espressione nell'istituzione di sedi collegiali
(interregionali o "miste"), dotate di competenze prevalentemente, ma non esclusivamente,
consultive.
La dottrina favorevole a questi strumenti
20
non scorge in essi tendenze degenerative o
contraddittorie rispetto al modello costituzionale. Anzi, sposta il problema sul concetto di
integrazione "per supremazia" dello Stato, nell'ambito del quale la cooperazione regionale non può
divenire un elemento condizionante l'azione di quest'ultimo.
21
Chi invece si schiera contro la proliferazione di organismi misti
22
afferma che essi sono lungi dal
ristabilire l'equilibrio sul piano delle garanzie: innanzitutto perché, rimanendo nella piena
disponibilità dello Stato, sono da questo liberamente modificabili. Inoltre, non è da sopravvalutare
l'incidenza della partecipazione regionale assicurata per il loro tramite. I raccordi di tipo
procedimentale presentano una carica collaborativa piuttosto modesta: sia per quanto riguarda le
competenze di tipo propositivo o consultivo (il cui definitivo apprezzamento è sempre riservato agli
organi di Stato chiamati ad adottare l'atto finale della sequenza); sia per quanto riguarda i
confusione di idee" in proposito e che giustifica lo "stretto rapporto tra lo Stato e le Regioni di cui si discute" con "la
sempre maggiore complessità dei problemi economici che lo Stato deve attualmente affrontare e la maggiore ampiezza
del decentramento di funzioni alle Regioni". Sulla medesima linea anche E. D'ALESSIO, Ridefinizione dei rapporti
Stato-Regioni alla luce del d. lgs. N. 418 del 1989, in Nuova Rassegna di legislazione, dottrina e giurisprudenza, 1991,
fasc. 1, pagg. 1-8, che però lamenta come non si sia "agito sulla base di un disegno coerente ed unitario, ma, piuttosto,
facendo di volta in volta fronte alla situazione del momento con soluzioni parziali e mal coordinate". Comunque, per
un'attenta panoramica sull'evoluzione del modello cooperativo in Italia cfr. CASSESE-SERRANI, Regionalismo
moderno: cooperazione tra Stato Regioni e tra Regioni in Italia, in Le Regioni, 1980, pagg. 398 e ss
20
V. CRISAFULLI, op. ult. cit., pag. 511.
21
Per questa singolare interpretazione, in forte controtendenza rispetto alla linea pressochè comune degli altri studiosi,
vedi ancora V. CRISAFULLI, op. ult. cit., pag. 512.
22
Su tutti vedi l'analisi di D'ATENA, op. ult. cit., pagg. 343-345.
7
meccanismi incentrati sulle intese (perché il diritto positivo stabilisce che, qualora l'intesa non si
realizzi, lo Stato possa procedere unilateralmente).
Lo stesso risultato simbolico è raggiunto dalle soluzioni di tipo organizzativo, e questo per tre
ragioni: innanzitutto la presenza regionale nel collegio è "collettiva", cosicchè si appiattiscono le
diverse esigenze delle singole Regioni; in secondo luogo queste sedi sono dominate da una logica di
tipo maggioritario, la quale conduce inevitabilmente a conclusioni che non rispecchiano i punti di
vista di tutti i partecipanti, in una logica incompatibile con la necessità del pluralismo a base
territoriale
23
; infine, tali collegi operano al di fuori di ogni collegamento con l'organizzazione
costituzionale delle Regioni, poiché viene recisa la relazione fiduciaria che lega i titolari di organi
regionali agli enti di appartenenza.
24
Infine, va rilevato come la maggior parte degli organismi creati in quel periodo risulti essere, come
già detto, a carattere settoriale e specifico, tanto che nel loro ambito si verificano prevalentemente
negoziazioni e trattative quasi private tra assessorati regionali e amministrazioni centrali di settore
25
Tale peculiarità non fa altro che aumentare la frammentarietà delle attività delle amministrazioni e
rendere più difficile il raccordo Stato-Regioni per un proficuo confronto dei rispettivi interessi, sotto
il profilo degli indirizzi generali di carattere politico e dell'azione amministrativa.
26
Stando così le cose, è evidente la degradazione dell'originaria funzione delle formule collegiali
adottate nel quadro dei rapporti fra Stato e Regioni: queste strutture avrebbero dovuto, quanto
meno, costituire la sede per un confronto di ampio respiro e di indubbia valenza politica, anziché
ridursi a centri di sterili e riduttivi contatti fra assessorati regionali e ministeri di settore. La
necessità della fissazione consensuale degli obiettivi di programmazione nazionale da parte dello
23
Le medesime obiezioni verranno sollevate con riguardo all'istituzione della Conferenza stessa: vedi M. DI
RAIMONDO, Istituzione della Conferenza Stato-Regioni, in Nuova rassegna, 1984, pagg. 1057 e ss. (infra cap. II).
24
Tutte queste considerazioni sono tratte da D'ATENA, op. ult. cit., pag.345.
25
P.A. CAPOTOSTI, op. ult. cit., pag. 901.
26
P. NUMERICO, Verso un disegno di legge governativo in ordine ad una Conferenza permanente per i rapporti tra
Stato, regioni e province autonome, ne Il Foro Amministrativo, 1982, fasc. 1, parte II, pag. 73.
8
Stato e delle Regioni comporta, quindi, un superamento di questo tipo di sedi d'incontro, strutturate
secondo raccordi di tipo verticale e gerarchico
27
.
Ma qual era la strada giusta da seguire?
27
P.A. CAPOTOSTI, op. ult. cit., pag. 902.