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INTRODUZIONE
La pronuncia, da parte del Giudice del lavoro, di condotta antisindacale
tenuta dal Gruppo Fiat nei confronti di tre lavoratori. presso lo stabilimento
Sata di Melfi, ha determinato un effetto di primaria importanza nelle
recenti ed innovative relazioni industriali intraprese dal Lingotto negli
impianti italiani ed esteri.
L‟episodio in questione ha ad oggetto il licenziamento di operai, militanti e
attivisti di un‟organizzazione sindacale, che il giudice, con un decreto, ha
definito illegittimo, richiamando in tal senso l‟articolo 28 dello Statuto dei
Lavoratori, che ha obbligato la casa madre al reintegro immediato dei
dissidenti presso il proprio luogo di lavoro, alle stesse mansioni
professionali svolte prima del provvedimento disciplinare.
La vicenda, come facilmente intuibile, ha avuto un considerevole eco
mediatico, coinvolgendo rapidamente istituzioni, dottrina e gente comune,
a testimonianza del delicato fil rouge intercorrente tra gli aspetti economici,
commerciali e finanziari di quella che è considerata la più rilevante
fabbrica italiana, e il suo territorio di appartenenza.
La Fiat ha interdetto ai tre lavoratori l‟accesso al processo produttivo,
limitandoli così a svolgere attività meramente sindacale: in tal senso ci si
chiede se tale posizione ostruzionistica nasconda un (nemmeno troppo
latente) senso di conflittualità verso un‟organizzazione sindacale che in più
di un‟occasione ha manifestato il proprio dissenso nei confronti dei piani
industriali proposti dal Lingotto.
Oggi il caso deve ancora conoscere una sua definitiva conclusione:
l‟amministratore delegato Sergio Marchionne ha presentato ricorso contro
la decisione di reintegro del giudice del lavoro e a metà maggio ci sarà la
4
quarta udienza di un processo che ha le sembianze di una di quelle storiche
lotte operaie tanto diffuse negli anni Ottanta.
Il seguente studio descrive in che modo la condotta antisindacale possa, a
tutti gli effetti, determinare un casus belli nelle relazioni industriali,
incrinate già dai precedenti e discussi accordi di Pomigliano d‟Arco e
Mirafiori: in tal senso è utile osservare come la Fiat sia una protagonista
nella contrattazione sindacale soprattutto per le sue dimensioni di scala, e il
modello industriale proposto oggi fa fatica a uscire dai propri confini e
diventare modello concreto per le altre realtà imprenditoriali mondiali.
Il primo capitolo è dedicato a una disamina delle principali mosse
strategiche compiute del Gruppo Fiat nel corso della sua lunga storia, dalla
fondazione fino alle recenti intese coi sindacati e coi lavoratori: si tratta di
una ricostruzione ad ampio respiro degli accadimenti della casa
automobilistica, sotto forma di riflesso sintomatico nel tessuto sociale,
economico, politico e, soprattutto, sindacale del nostro Paese.
Il secondo capitolo si riferisce all‟argomento centrale della discussione,
ossia la condotta antisindacale nel caso Melfi, intesa come specifica
fattispecie, nonchè sotto il profilo dei suoi determinanti risvolti come
“miccia” nei nuovi equilibri con Rappresentanze Sindacali Unitarie e
organizzazioni sindacali territoriali per la concertazione e contrattatazione
delle relazioni industriali.
Il terzo ed ultimo capitolo analizza invece la tutela giurisdizionale della
condotta antisindacale, concentrandosi in particolar modo sugli ampi
riferimenti giurisprudenziali e dottrinali, orientati a reprimere tale
illegittimo comportamento, su una breve casistica esemplificativa e sui
preminenti profili processuali.
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CAPITOLO 1
LE STRATEGIE FIAT
1. Introduzione
Fin dalla sua origine
1
, la storia del Gruppo Fiat, inteso come gruppo
diversificato, composto cioè oggi da Fiat Auto, Settore Veicoli
Industriali, Settore Macchine per l‟Agricoltura, Prodotti Metallurgici
e Componenti, Altri Settori, si è intrecciata in modo indissolubile
con le vicende sociali del nostro Paese.
Infatti la Fiat, nell‟immaginario collettivo, ha da sempre
rappresentato una realtà imprenditoriale in stretto connubio con le
relazioni industriali ed economiche dell‟Italia: le sue strategie in
materia di composizione del portafoglio delle attività tuttora
costituiscono una singolare costruzione manageriale, piena di
contraddizioni e, forse proprio per questo motivo, così difficile da
leggere e interpretare.
“Il suo sin da subito straordinario successo come esempio
imprenditoriale italiano fu dovuto alla chiara percezione che i suoi
promotori ebbero dell’automobile come un fenomeno nuovo, da
affrontare in una dimensione dinamica, cioè:
con un approccio autenticamente moderno sul piano
produttivo;
con dovizia di risorse umane e materiali e un livello
relativamente elevato di integrazione verticale;
1
Avvenuta l‟11 luglio 1899 su spinta di una decina di aristocratici e professionisti torinesi.
7
con una sensibilità industriale più matura di quella mostrata
da altre esperienze parallele, vincolate alla dimensione
artigianale;
con il desiderio di raggiungere successo nel business e un
livello di eccellenza di natura industriale aperto al confronto
internazionale”
1
.
Pertanto analizzare le strategie di una così complessa realtà
multinazionale, intercorse dalla sua nascita fino ai recenti e tanto
discussi accordi di Mirafiori e Pomigliano d‟Arco, significa
intraprendere un intricato cammino di sinergie tra paradigmi
organizzativi, industriali e sindacali nelle loro molteplici
sfaccettature. Si tratta di un cammino nel quale una ricca dottrina di
economisti, giuristi, sindacalisti, politici, ma anche gente comune, si
è espressa con pareri discordanti e contraddittori: oggi il Lingotto è
la più grande impresa italiana e, proprio per questo motivo, è
costantemente sotto la lente d‟ingrandimento circa le scelte gestionali
e decisionali intraprese dai suoi assetti proprietari e manageriali.
2. La storia delle strategie di portafoglio del Gruppo Fiat dalla sua
fondazione agli anni Novanta
a. Dalla fondazione al secondo dopoguerra
All‟inizio del secolo scorso, in anni di congiuntura economica
favorevole, la domanda del mercato automobilistico appare vivace e i
1
Volpato G., Fiat Auto: Crisi e riorganizzazioni strategiche di un’impresa simbolo, Isedi, 2004,
30.
8
margini di profitto unitario sono elevatissimi per dei prodotti così
immovativi e rivoluzionari nella vita quotidiana degli italiani; la
principale difficoltà è data dalla capacità di adattarsi a questa
domanda così dinamica, con una produzione dal ritmo insostenibile a
causa degli schemi di craft production
1
.
Sin da subito il Management Fiat si rende conto che occorre da un
lato introdurre un approccio industriale nelle scelte strategiche, e
dall‟altro è necessario dar vita a significativi investimenti, in quanto
l‟evoluzione tecnologica dei sistemi di produzione appare
rapidissima, spinta da un mercato americano che cresce a ritmi
esponenziali e rende disponibili anche alle case europee continue
dinamiche innovative nei loro processi di input.
Grazie alla capacità imprenditoriale di Giovanni Agnelli
2
, eletto
Amministratore Delegato nel 1902, la Fiat diventa l‟unica azienda
italiana a giocare un ruolo di leadership nella agguerrita concorrenza
automobilistica internazionale, rilanciando continuamente in termini
di innovazione di prodotto e di processo, in modo da innalzare
gradatamente le barriere all‟entrata di nuovi concorrenti e ridurre in
maniera significativa le possibilità di sopravvivenza di quelli già
presenti.
L‟avvocato ha il merito di accrescere la dimensione internazionale
della casa torinese, perseguendola con strategie lungimiranti e
coraggiose, ad esempio con la progettazione e realizzazione di uno
stabilimento nel fiorente mercato degli Stati Uniti.
1
Per craft production si intende la produzione artigianale, in contrapposizione con quella
industriale di massa.
2
A tal proposito si vedano i verbali dei Cda della Fiat in Progetto Archivio Storico (1987 e
1991).
9
Nel 1939 il professor Vittorio Valletta, uomo di fiducia della
famiglia Agnelli, è nominato nuovo Amministratore Delegato del
Lingotto, e si dimostra sin da subito fiducioso per la crescita del
gruppo, convinto che per alcuni anni la capacità produttiva
dell‟industria automobilistica americana sarebbe stata totalmente
assorbita dalla domanda nazionale e che di conseguenza la domanda
internazionale avrebbe manifestato sempre più la tendenza a
segmentarsi.
Malgrado i problemi in cui versa l‟Italia nell‟immediato dopoguerra,
Valletta è mosso da entusiasmo e garantisce una visione
“autocentrica” incentrata sulla produzione di massa, senza rinunciare
tuttavia a dar vita a esplorare nuove opportunità di business, creando
ad esempio una società a capitale misto con la Trans World Airlines
(TWA) e un‟altra con uno dei giganti Usa del petrolio, la Caltex.
Valletta si distingue per pragmaticità e attenzione ai conti di bilancio:
al centro dei suoi pensieri c‟è soprattutto il rilancio del Settore Auto
Fiat, cercando di minimizzare i costi per poter tornare a competere
nell‟esportazione. Nella struttura interna impone infatti una riduzione
del 25% sul complesso delle spese, mentre all‟esterno chiede ai
propri fornitori una percentuale di ribasso per le merci.
I risultati di tale politica non tardano ad arrivare: nel 1948 il fatturato
è vicino a 90 miliardi di lire, con un utile netto superiore agli 800
milioni di lire e con una produzione auto vicina alla soglia storica di
50000 unità.
Tra il 1949 e il 1963 vengono aperti numerosi stabilimenti all‟estero,
con operazioni straordinarie che vedono la Fiat espandersi attraverso
10
società affiliate, joint-venture
1
e accordi che prevedono la cessione di
licenze di produzione
2
: in effetti il Gruppo risulta diversificato e
quasi senza confini di business, in quanto appare costituito da un
vasto numero di partecipazioni, molte di controllo, classificate in ben
undici gruppi di attività strategiche.
Al di là delle cifre, è comunque evidente come il vasto e complicato
“sistema Fiat” ruota fondamentalmente attorno al perno del suo core
business
3
, cioè quello di fabbricare automobili: la diversificazione è
importante, ma la sua dimensione relativa al core business è ancora
limitata.
b. Anni Cinquanta e Sessanta
Tra il 1950 e il 1965 la produzione di automobili segna una crescita
esponenziale (da 80.000 a 500.000), collocandosi al secondo posto
nel ranking europeo, seconda solo alla Volkswagen: la Fiat si
configura come la più dinamica casa automobilistica europea e nel
1968 detiene il 6,6% della produzione automobilistica mondiale.
L‟impennata vortiginosa è dovuta a investimenti temerari richiesti da
Valletta, coadiuvato dal progettista Dante Giacosa, agli azionisti, pari
a 300 miliardi di lire per la progettazione e costruzione di due
vetture, la Cinquecento e la Seicento, che letteralmente
automobilizzano l‟Italia, portando il fatturato Fiat a sforare quota
1
Contratti con cui una o più imprese collaborano per realizzare un investimento, dividendo rischi
e utili derivanti dall‟attività.
2
Cfr. Contini G., The Rise and Fall of Shop-Floor Bargaining at Fiat 1945-1980, in Tolliday S.
e Zeitlin J., 1986.
3
“Rappresenta l’area strategica di affari di maggior rilevanza pe un’azienda multi-business: la
sua performance di lungo periodo può condizionare la disponibilità di risorse
economiche da parte dell’azienda e, quindi, il conseguimento dei suoi obiettivi
complessivi” (cit. L’Universale, Economia, Milano, 2003, 316).
11
1000 miliardi di lire, con utili netti molto buoni. La posizione viene
ulteriormente rafforzata dall‟assorbimento sia del marchio
Autobianchi, nel 1968, sia di quello, assai più prestigioso, della
Lancia, nell‟autunno del 1969.
Nel 1965, cioè poco prima dell‟uscita di Valletta, la Fiat ha ultimato
il processo di diversificazione, con molti e vasti interessi, ad esempio
nel trasporto pubblico, navale, nell‟editoria e nell‟ingegneria civile,
ma rimane un gruppo prevalentemente automotoristico.
Tuttavia va anche sottolineato che, se gli anni Sessanta rappresentano
un periodo di grande successo per la Fiat, le linee strategiche
implementate evidenziano un quadro destinato a peggiorare
rapidamente.
Infatti Valletta stesso non tarda a rendersi conto che sta costruendo
una Fiat potente per la capacità produttiva, ma fragile nei suoi
meccanismi interni: e così sul finire del decennio si verificano le
prime avvisaglie di una crisi intestina che caratterizzerà il periodo
successivo.
A cambiare radicalmente è l‟atteggiamento operaio nei confronti del
lavoro, dell‟azienda e delle relazioni verso la struttura gerarchica:
spariscono numerose funzioni specializzate, incorporate in un
processo di fabbricazione più meccanizzato, la qualificazione del
personale si sostanzia nel saper fare individuale, secondo una logica
pre-fordista basata su un apprendistato lungo e metodico.
Il clima di turbolenza e disordini sociali si manifesta in diverse aree
del gruppo (tecnologica, organizzativa, di mercato, sociale, politica,
culturale, ecc..), senza che il management riesca a mettere su sistemi
di argine a tutela delle complesse dinamiche imprenditoriali della
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casa automobilistica: e così inevitabili si muovono i primi passi verso
una fase del rifiuto della gerarchia.
A complicare la già precaria situazione, vi sono le debolezze delle
organizzazioni sindacali in tutto il Paese e soprattutto al Gruppo Fiat,
dove Valletta promuove una politica di discriminazione sindacale,
distinguendo tra operai “costruttori” e operai “distruttori”,
alimentando tra gli operai una diffusa carica di risentimento e di
antagonismo latente.
Con il senno di poi, è stato sostenuto a tal riguardo che “limitandosi
ad analizzare la questione sotto l’angolatura degli interessi aziendali
di lungo periodo, appare lecito ritenere che un atteggiamento più
duttile da parte di Valletta, e più aperto a riconoscere il ruolo
dell’interlocutore sindacale, avrebbe favorito una evoluzione delle
relazioni industriali idonea a ridurre pericolosi accumuli di
tensione, spesso di natura più politica che propriamente sindacale”
1
.
Con la rivoluzione del 1968, gli attriti si iniziano a manifestare con
evidenza, attraverso violente forme di scioperi, assenteismo, e in
generale di disaffezione al lavoro: ne risente l‟utile Fiat, che scende
di 21 miliardi di lire nel 1969, pur registrando un lieve aumento di
fatturato.
Sul finire del decennio, Fiat s‟impegna nel suo primo grande sforzo
d‟investimenti al Sud, pari a 250 miliardi di lire, da realizzarsi nel
successivo triennio: il programma prevede la progressiva creazione
di circa 19000 nuovi posti di lavoro diretti e, potenzialmente,
altrettanti indiretti.
Secondo la dottrina “il programma Mezzogiorno sembra un segnale
forte: fiducia nella crescita dei suoi business (gli investimenti
1
Volpato G., op. cit, 74.
13
riguardano diversi dei settori di attività in cui la società è
impegnata: automobili, macchine movimento terra, carrelli
elevatori, meccanica e componentistica) e fiducia nella ripresa del
Paese. [..] Gli anni successivi però porteranno cattive notizie:
deterioramento economico-finanziario e rimescolamento
organizzativo dilanieranno la società”
1
.
c. Anni Settanta
Il nuovo decennio si apre con la nomina di Umberto Agnelli ad
Amministratore Unico del Gruppo: la famiglia Agnelli, per la prima
volta dai tempi della sua fondazione, comanda in presa diretta la Fiat,
e ciò accadrà fino al 1976.
Il nuovo programma strategico non può certo ignorare i tumulti della
classe operaria, perciò si basa su alcune priorità insindacabili, come
la riorganizzazione dell‟apparato industriale, la ricognizione
dell‟assetto societario, il processo di ammodernamento di tutte le
dinamiche organizzative e decisionali e il ricucire lo strappo con le
associazioni sindacali.
Agnelli ha ben chiaro che è chiamato a un compito difficile e
delicato, in quanto il nuovo organigramma è finalizzato a “realizzare
una struttura più governabile, assumere una struttura societaria più
flessibile, anche in un’ottica di scorpori e acquisizioni, allentare i
vincoli finanziari allo sviluppo delle attività del gruppo”
2
.
Appare logico che la riorganizzazione del Gruppo Fiat non implichi
soltanto una semplice redistribuzione delle responsabilità e dei poteri
1
Scotti G., Fiat, auto e non solo, Donzelli, 2003, 47.
2
Studio realizzato da Antonio Mosconi, Direzione Studi, Pianificazione e controllo della Fiat
Spa.