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Per tutti gli anni sessanta, gli Stati ricchi, quali la Germania, la Francia, la Svizzera,
hanno adottato la politica del benvenuto, hanno incentivato l’immigrazione con vari
programmi di assistenza e semplificando le formalità previste per l’ingresso, avendo
essi bisogno del lavoro straniero (1), che fu anche un ingrediente fondamentale del loro
boom economico.
Agli inizi degli anni settanta, anche i Paesi ricchi sono stati colpiti da una recessione
economica di lungo periodo e di conseguenza hanno cercato di limitare al massimo le
immigrazioni, a causa delle limitatissime capacità di assorbimento: in altre parole, il
mercato è stato considerato saturo e quindi incapace di assorbire altra forza lavoro.
Questa politica è stata perseguita fino ai giorni nostri, ma i problemi sono divenuti
sempre più impellenti per l’aumentata pressione di coloro che vogliono entrare nella
terra promessa.
L’instabilità dei Paesi africani, la caduta del muro di Berlino, hanno provocato una
marea di rifugiati, più per problemi economici che politici; è andata sempre più
aumentando l’immigrazione clandestina.
Per il futuro è prevedibile un’intensificazione del fenomeno ed un acuirsi di conseguenti
problemi di carattere socio-economico e politico, dato dalla presenza di
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1)U.MATTEI, Ai confini della terra promessa.Immigrazione,povertà,razzismo e
limiti del diritto, in Foro ital., Parte V, 1992, pp.458-461.
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stranieri di seconda e terza generazione, dalla loro integrazione nel tessuto sociale,
culturale economico e politico della comunità nazionale.
Avremo società multietniche; sul medesimo territorio vivranno esseri umani di razza,
cultura, religione e costumi diversi; stranieri che andranno ad acquisire la
cittadinanza dei Paesi ospitanti.
Si andrà così modificando anche la nozione originale di nazione e cittadino, essendosi
modificati alcuni elementi, quali, ad esempio, la razza, la religione, la lingua.
Occorre, inoltre, tenere conto di un altro fenomeno importante: la natalità.
Questa è in calo nei Paesi ricchi, mentre è stabile nei Paesi di provenienza degli
immigrati: fra non molto i primi avranno bisogno dei secondi.
Nessuno Stato da solo può dare una soluzione definitiva a questa realtà in movimento.
Seguendo le riflessioni di due eminenti sociologi tedeschi contemporanei sui problemi
causati in Germania dalla presenza di immigrati provenienti dai Paesi dell’Est europeo,
J.Hobermas ed E.Nolte (2), per cercare almeno di arginare questo fenomeno occorre
innanzi tutto una politica immigratoria liberale, che non si trinceri dietro la barricata di
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2) J.HOBERMAS, Morale,diritto,politica , TO,Edizioni Einaudi,1992, pag.126 e
seguenti; E.NOLTE, Intervista sulla questione tedesca ieri e oggi, BA, Ed.Laterza,
1993, pag.128 e seguenti.
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uno sciovinismo del benessere.
Il che significa tener conto delle proprie risorse disponibili, dell’esigenza di non
compromettere gli equilibri su cui poggia la vita dei cittadini e nello stesso tempo
coinvolgere anche i Paesi di provenienza, cercando di inviare mezzi per favorire il loro
sviluppo e frenare così l’emigrazione.
Il fenomeno migratorio è stato contemplato anche nel trattato di Maastricht del 1992
(ratificato dall’Italia con legge n.454 del 3.11.1992).
Esso (art. K. 1) considera, infatti, questioni di interesse comune degli Stati membri la
politica di asilo e di immigrazione, la politica da seguire nei confronti dei Paesi terzi, le
norme che disciplinano l’attraversamento delle frontiere esterne di tali Stati da parte
delle persone e l’espletamento dei relativi controlli, le norme che disciplinano le
condizioni di entrata, di soggiorno e di circolazione dei non cittadini (compresi il
ricongiungimento delle famiglie e l’accesso all’occupazione), fermo restando l’impegno
comune contro l’immigrazione, il soggiorno ed il lavoro irregolari.
b) Il fenomeno migratorio in Italia
L’Italia è stata sempre un Paese di emigranti; essi hanno costituito fiorenti ed importanti
comunità in tutto il mondo: America, Francia, Germania, Svizzera, Belgio,
Lussemburgo.
Il nostro Paese ha dovuto preoccuparsi per lo più di tutelare i suoi cittadini che
emigravano in cerca di lavoro, piuttosto che di situazioni riguardanti gli immigrati.
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Nel periodo del boom economico degli anni sessanta c’è stata una forte migrazione
interna, dal sud al nord: il grande sviluppo industriale del nord è anche dovuto alla
possibilità di utilizzare a buon mercato la forza lavoro proveniente dal meridione.
La recessione economica degli anni settanta, ha provocato una diminuzione
dell’assorbimento della forza lavoro da parte dei mercati esteri e nazionali e, quindi, un
aumento della disoccupazione.
Contemporaneamente è andata aumentando l’immigrazione proveniente specialmente
dai Paesi in via di sviluppo. Negli anni ottanta si è andata sempre più intensificando
l’immigrazione clandestina, favorita anche dalla posizione geografica del Paese: il
difficile controllo delle coste (data la loro estensione) incentiva l’ingresso clandestino di
africani, asiatici, balcanici, che cercano occasioni di lavoro in Italia e nei Paesi europei.
Attualmente, accanto ad una grande massa di disoccupati italiani, esiste una rilevante
massa di immigrati clandestini, utilizzati in mansioni rifiutate dai primi, senza
l’osservanza di norme previdenziali e di sicurezza (lavoro nero).
Questa situazione sociale causa l’aumento della criminalità di ogni genere, fenomeni di
razzismo, xenofobia, intolleranza.
In altre parole, si sono presentati gli stessi problemi degli altri Paesi europei
industrializzati, con l’aggravante che per l’Italia questa è una realtà nuova e la
popolazione ospitante deve ancora abituarsi a convivere con altri esseri di cultura,
razza, religione e costumi diversi dai propri.
Certamente quella odierna è un’Italia diversa da quella del 1948, quando entrò in vigore
l’attuale Costituzione repubblicana.
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Significativo al riguardo è quanto affermato dall’attuale Presidente della Repubblica,
Oscar Luigi Scalfaro, nel 1985 (all’epoca Ministro dell’Interno), in un documento
ufficiale (3): dopo aver ricordato la tradizione umanitaria dell’Italia, che ha sempre
accolto stranieri perseguitati o in cerca di regolare lavoro, che ha sempre favorito
scambi culturali, flussi turistici, ma che ora deve porre un limite alla politica delle porte
spalancate per impedire abusi e pericoli, conclude:
“la sintesi tra questa visione umanitaria tradizionale che è espressione tipica
della umana civiltà italica, e il dovere dello Stato di garantire libertà e
sicurezza per tutti i cittadini e per chiunque risieda in Italia, è sintesi
difficile, che incontra ostacoli e fatiche, ma che volontà politica chiara e ferma,
vuole riuscire ad attuare.”
2)LO STRANIERO NELL’ORDINAMENTO ITALIANO: EXCURSUS
STORICO FINO ALL’ENTRATA IN VIGORE DELLA COSTITUZIONE
a) Lo straniero nell’Italia preunitaria
L’excursus storico, benché breve, non può che iniziare dal diritto romano.
Il nucleo originario dello Stato romano era la civitas, una città stato: i cives erano i suoi
membri, vivevano su un territorio, uniti per razza, religione e comunanza di valori,
avevano una loro organizzazione, eleggevano il loro capo.
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3) Circolare Ministeriale n.559/443/225388/2/4/6 del 19.08.1985, del Ministero
dell’Interno-Oggetto:disposizioni di massima sull’ingresso e sul soggiorno degli
stranieri in Italia:aggiornamenti..
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I loro rapporti erano regolati dallo ius civile o ius Quiritium; coloro che non
appartenevano alla civitas erano peregrini, cioè stranieri.
Questo tipo di organizzazione di Stato era del tutto diverso dai regna, le grandi
monarchie barbariche dell’epoca, che livellavano tutti nella condizione di sudditi. Il
territorio era proprietà del monarca, coloro che l’avevano in godimento erano dei
semplici concessionari.
Venendo a contatto con altri popoli, si pose il problema della legge da applicare ai
rapporti che si andavano instaurando tra cives e peregrini, rapporti di natura privatistica,
per lo più commerciali.
Nella sua espansione, Roma usò due sistemi: federatizio e di annessione.
Con il primo (federatizio) stringeva tanti foedera (trattati) con le varie città e faceva in
modo che le varie città alleate gravitassero nella sua orbita (politica commerciale,
difesa): esse, nei loro ordinamenti, conservavano la loro sovranità, propri organi,
propria giurisdizione, leve, censo, moneta.
Con il secondo sistema (di annessione) si aveva l’incorporazione di una comunità nello
Stato romano:questa poteva avvenire con la concessione della cittadinanza piena
(optimo iure) o limitata (civitas sine suffragio).
Con l’incorporazione le singole comunità cessavano di esistere come civitas,però, ai fini
amministrativi, esse continuavano ad avere organizzazioni autonome;furono chiamate
municipia ed i loro membri municipes.
In linea generale si può affermare (4) che l’espansione di Roma e l’affermarsi
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4) G.GROSSO, Lezioni di storia di diritto romano,TO Giappichelli ed.,1965,pag.259.
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dell’impero romano ha seguito il principio della personalità del diritto: i Romani
vivevano secondo le proprie leggi (ius Quiritium), i peregrini (per quanto concerneva i
loro rapporti privatistici ed il loro status) secondo il diritto della loro civitas ( diritto
locale), ma erano sottoposti al diritto romano per quanto concerneva norme e sanzioni
penali,la potestà e il potere di coercizione dei magistrati.
Inoltre esistevano norme che regolavano i rapporti tra i cives ed i peregrini che si
trovavano nel territorio della civitas romana e che prevedevano una certa discrezionalità
dei magistrati nei loro confronti.
Tra i cives ed i peregrini si instauravano rapporti di varia natura,partecipavano allo
stesso sviluppo economico,vivevano in un medesimo contesto sociale: tali rapporti
erano regolati da un complesso di norme costituente lo ius gentium.
Caduto l’impero romano, scompare la legge territoriale e si afferma il principio della
personalità del diritto: nessun re barbaro imponeva una legge comune valida per tutti i
suoi sudditi indistintamente,ma a ciascuno veniva concesso di mantenere la propria
legge d’origine,comprensiva del diritto penale e privato (5).
Il problema della condizione giuridica dello straniero e della individuazione delle norme
che la regolano ente nel ‘200 (6), con il fiorire degli Statuti.
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5) T. BALLARINO, Diritto internazionale privato,PD Cedam,1982,pag.9;
6) C. STORTI STORCHI,Ricerche sulla condizione giuridica dello straniero in
Italia dal tardo diritto comune all’età preunitaria,MI Giuffré,1989,pp.328 ss.
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Essi sono una realtà italiana e divergono da territorio a territorio, da città a città.
L’intenso traffico tra le città dell’alta Italia fa sorgere assai spesso la questione relativa
al diritto locale da applicare ai numerosi rapporti giuridici che ne nascono; si evidenzia
l’esigenza di elaborare criteri di soluzione per i conflitti fra leggi territoriali:in altre
parole, si presentano le stesse situazioni che i romani avevano già regolamentato con lo
ius gentium.
La discussione su tali temi, dal ‘400 all’800, portò lentamente alla formulazione ed al
consolidamento di alcuni importanti principi, che si possono così
sintetizzare:l’ordinamento giuridico territoriale si applicava a tutte le persone ed i beni
esistenti nel suo territorio ed ai sudditi espatriati; i beni immobili erano disciplinati
esclusivamente dalla legge territoriale; le norme relative alla capacità generale ed
astratta erano efficaci esclusivamente nei confronti dei sudditi (anche extraterritoriali);
le norme relative al godimento dei diritti speciali (es.successione ab intestato) erano
territoriali ed applicabili anche agli stranieri.
I suddetti principi non erano codificati in leggi specifiche,ma furono dedotti dagli
studiosi e dalla giurisprudenza interpretativa delle norme di diritto comune.
Nello stesso periodo si erano andati consolidando altri due importanti principi:
l’albinaggio (7) (che venne abolito nelle codificazioni dell’800) e la
reciprocità.
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7) G.FUSINATO,”insieme delle incapacità legali cui vanno soggetti gli stranieri, sia
per ciò che riguarda la loro capacità di disporre dei propri beni,con atto di ultima
volontà, sia per ciò che riguarda la capacità di raccogliere successioni”,in
Digesto Italiano,vol.II,Parte II,TO Utet, 1893,pag.235ss.
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Questo secondo principio riguarda il trattamento dello straniero che è strettamente
connesso con il trattamento del cittadino all’estero.
Per l’epoca era uno strumento che superava il principio del beneficium statutorum (che
era prerogativa dei sudditi) e con il quale agli stranieri potevano essere riconosciuti più
ampi diritti.Il principio di reciprocità è presente non solo in diverse disposizioni di Stati
italiani dell’epoca (8), ma anche nella vigente legislazione, anche se, come appresso si
vedrà,in via di superamento.
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8) Codice civile per gli Stati del Re di Sardegna
Art.26:”Gli stranieri, se vorranno godere di tutti i diritti dei sudditi, dovranno fissare il
loro domicilio nello Stato, impetrare il privilegio di naturalità e giurare la fedeltà al
sovrano.In difetto, essi non godranno che di quei diritti civili che nello Stato, cui essi
appartengono, sono conceduti ai sudditi regii, salve le eccezioni che per transazioni
diplomatiche potrebbero aver luogo.La reciprocità non potrà però mai invocarsi dallo
straniero per godere di diritti maggiori o diversi da quelli di cui godono nello Stato i
regii sudditi, né applicarsi a quei casi pe’ quali la legge in modo speciale ha disposto
altrimenti”.
Art.29: “Gli stranieri non abitanti nello Stato e quelli che abitandovi non avranno
ottenuto il privilegio di naturalità,saranno incapaci a succedere ai sudditi così ab
intestato, come per qualsivoglia atto di ultima volontà, salvo che tra questo Stato e
quello cui appartengono gli stessi stranieri, sia stabilita in forza di pubblici trattati la
reciprocità delle successioni”.
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Una fondamentale svolta nella normativa sulla condizione giuridica dello straniero fu
impressa dalla rivoluzione francese.
Con essa si ebbe l’affermazione delle teorie cosmopolite (che propugnavano la
parificazione della condizione giuridica di tutti gli uomini, in nome della comunanza del
genere umano) e di quelle che affermavano l’esistenza di principi di carattere generale e
sovranazionale, che imponevano il rinvio alla legge personale circa lo stato e la capacità
giuridica dell’individuo.
Essa portò inoltre all’affermazione dello Stato di diritto ed alla moderna concezione di
cittadino:una persona che gode oltre che dei diritti civili anche di quelli politici, che
prende parte alla vita politica dello Stato, contribuisce all’erario, difende la patria con le
armi.
Questa nuova concezione di cittadinanza comprende anche comunanza di etnia,
cultura, tradizioni storiche, legame ad una terra, ad una patria.
Fu quindi a partire dalla rivoluzione francese, con il trasformarsi delle strutture politiche
e sociali sul fondamento dello spirito nazionale, che si formarono gli Stati moderni
nazionali; con esso si afferma anche il carattere personale della situazione giuridica
degli individui, per cui lo Stato li segue nelle loro migrazioni, svolgendo un’attività
protettiva.
Ai primi dell’800 l’Italia è ancora divisa in vari Stati autonomi o sotto dominazione
austriaca (lombardo-veneto), ma i sudditi di questi Stati hanno caratteristiche comuni:
razza, lingua, cultura, religione, radici storiche.
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Personaggi di spicco della scienza giuridica italiana sostennero i principi già proclamati
dalla rivoluzione francese e che in Italia si arricchirono di altre motivazioni: desiderio di
uniformare la condizione giuridica degli italiani soggetti a dominazioni
straniere;opportunità di attrarre nel suolo italiano uomini e capitali stranieri per
rilanciare l’economia dei singoli Stati; trattamento degli esuli, spesso personaggi di
spicco nella lotta per l’unificazione nazionale.
In contrapposizione all’orientamento dottrinario e delle corti giudiziarie sabaude (di
ispirazione francese), si imposero i giuristi di scuola napoletana, tra cui il Rocco (9),
che considerava l’applicazione dello statuto personale dello straniero discendente da
norme di diritto internazionale universale e obbligatorio.
Si imposero inoltre, sempre in tema di parificazione giuridica degli stranieri, le teorie
sostenute dal Savarese, Pisanelli, Mancini (10).
Essi negavano rilevanza giuridica alla distinzione tra la condizione generale dell’uomo
e quella particolare della persona, portatrice di un carattere speciale (appartenenza ad
una determinata collettività statale); criticavano la concezione della sovranità dello
Stato (che ritenevano di concezione feudale), in quanto anteponeva gli interessi della
conservazione del patrimonio immobiliare e del territorio all’esigenza di tutelare la
persona e di riconoscere la sua dignità ed i suoi caratteri originali e naturali.
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9) N.ROCCO, Dell’uso e autorità delle leggi del Regno delle due Sicilie considerate
nelle relazioni con le persone e col territorio degli stranieri, NA,Stamperie reali,1837;
10) MANCINI P.S.-PISANELLI G.-SCIALOJA A. (a cura di), Commentario del
codice di procedura civile per gli Stati sardi, con la comparazione degli altri codici
italiani e delle principali legislazioni straniere,TO, Società editrice, 1855/1863.
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b) Lo straniero nel Regno d’Italia
Sorto il primo Stato italiano unitario, il Regno d’Italia, proclamato nel 1861, compiutasi
l’unificazione politica, si avviarono i lavori preparatori per il nuovo codice civile
italiano, che fu emanato nel 1865.
All’art:3 esso disponeva: “Lo straniero è ammesso a godere dei diritti civili attribuiti ai
cittadini”.Viene così sancita l’equiparazione completa, incondizionata, tra cittadini e
stranieri, che si contrapponeva al principio della parificazione condizionata alla
reciprocità di trattamento, accolto nella codificazione napoleonica.
La norma di cui all’art.3 c.c. 1865, molto ardita nel tempo, rappresentava il trionfo
completo dei principi giuridici di uguaglianza e personale, i quali riconoscono l’uomo
soggetto di diritti come uomo e non come cittadino; non fanno dipendere il godimento
dei diritti civili dalla cittadinanza, ma dalla personalità giuridica che riconosce in ogni
uomo, a qualunque nazionalità appartenga.
Con questa disposizione il nuovo Stato italiano si faceva portatore di principi di civiltà e
promotore di un rivoluzionario rinnovamento nei rapporti internazionali; si riteneva che
questo principio sarebbe stato accolto in tutti gli Stati.
Questa speranza andò in parte delusa, poiché solo pochi Stati accolsero un’analoga
disposizione.
Ma anche nel nuovo Stato italiano il principio dell’art.3 c.c.,nel tempo, subì una
graduale ed inesorabile limitazione.
Innanzi tutto occorre osservare che esso estendeva agli stranieri i soli diritti civili dei
cittadini; inoltre l’equiparazione non era assoluta, in quanto la residenza dello straniero
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in Italia era resa precaria dall’inesistenza del diritto di incolato, per cui egli poteva, per
ragioni di ordine pubbblico, essere espulso dal territorio.
Ragioni economiche e politiche connesse ai fenomeni migratori, l’avvento di regimi
sempre più autoritari fino all’avvento del regime fascista,portarono all’accoglimento
generalizzato del principio opposto, di cui all’art.3 c.c., come si evidenzia da vari testi
legislativi di Pubblica Sicurezza (11) (che subordinavano l’ingresso,il soggiorno e
l’esercizio di attività lavorative autonome e subordinate a limitazioni e controlli) e con
il proliferare di leggi contenenti la condizione di reciprocità (12).
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11) - art.9 e 73 della legge di P.S. del 20.3.1865,all.B, sulla unificazione
amministrativa del Regno d’Italia;- art.86 del Regolamento di esecuzione della legge
n.2248 del 2o.3.1865, approvato con R.D. n.2236 del 18.5.1865; - art.90 e 92 del T.U.
leggi di P.S.,approvaro con R.D. n.6144 del 30.6.1889; - artt.da 142 a 152 del
T.U.L.P.S. n.733 del 18-6-1931; - artt. da 261 a 271 del Regolamento di esecuzione del
T.U.L.P.S. n.733 del 18,6,1931,approvato con R.D. n.635 del 6,5,1940.
12) - R.D.29,7,1909 n.710 e R.D. n.811 del 2.7.1944: Regolamento per veicoli
senza guida di rotaia ( reciprocità per la circolazione delle vetture estere);
- Legge n.455 del 1o.7.1900 sugli Ordini sanitari (reciprocità per l’iscrizione all’albo
con diploma conseguito all’estero);
- R.D.n.577 del 28.7.1910,sui dazi doganali ( reciprocità per l’esecuzione a favore di
autorità estere);
- R.D. n.1178 del 5.10.1913 sul casellario giudiziale (reciprocità per la comunicazione
di condanne a stranieri);
- R.D. n.3269 del 30.12.1923 sulla tassa di Registro (reciprocità per l’agevolazione
degli istituti stranieri).
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In particolare, per quanto attiene alle norme di pubblica sicurezza, sono da fare due
precisazioni.La prima riguarda il T.U.L.P.S. del 1865: le norme sugli stranieri erano
collocate nel capo relativo “alle classi pericolose della società”.La seconda riguarda la
dottrina prevalente dell’epoca e la giurisprudenza.
Si riteneva che le norme di pubblica sicurezza non fossero in contrasto con l’art.3 c.c.,
poiché il diritto di soggiorno nello Stato (diritto di incolato) era un diritto politico,
derivante dallo Stato pubblico e, perciò, diversamente dai diritti civili,non riconosciuto
agli stranieri,i quali attentando alla pubblica sicurezza o offendendo in altro modo il
diritto pubblico avrebbero potuto essere espulsi dal territorio dello Stato.
In conclusione: per rendersi conto di quanto sia cambiato l’atteggiamento del legislatore
nei confronti dello straniero,basta confrontare l’art.3 c.c. del 1865:
“lo straniero è ammesso a godere dei diritti civili attribuiti ai cittadini”
e l’art.16 delle preleggi del c.c. del 1942:
“lo straniero è ammesso a godere dei diritti civili attribuiti al cittadino a condizione di
reciprocità e salve le disposizioni contenute in leggi speciali.Questa disposizione vale
anche per le persone giuridiche straniere”.
E’ evidente il passaggio da un’ampia visione liberale ad un’altra più limitata, frutto
dell’autoritarismo e del nazionalismo imperante nell’epoca.
c) Lo straniero nella Costituzione italiana
Il primo gennaio 1948 entra in vigore la Costituzione repubblicana:è caduta la
monarchia dei Savoia e,dopo un secolo di vita, cessa lo Statuto Albertino,che era la