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forma e spirito –a differenza delle donne, natura e materia-
avrebbero affermato i ‘superiori’ valori maschili, e con essi la
famiglia patriarcale, consentendo la nascita dello Stato, termine
ultimo dell’evoluzione di ogni popolo.
Fu questa, dunque, l’ipotesi che per prima configurò il
matriarcato come una realtà storica. Fu questa l’ipotesi originaria
secondo la quale anche in territorio italico sarebbe possibile
trovare traccia della fase ginecocratica.
Sulla scia di questa innovativa visione delle epoche storiche di
ogni popolo, l’ipotesi del potere femminile è stata più volte
evocata e scandagliata.
Anche e soprattutto a proposito dell’evoluzione storico- sociale
di Roma antica.
Alcuni, infatti, sostengono che per capire la condizione delle
donne romane non si debba prendere in considerazione
esclusivamente l’astratta severità delle regole giuridiche in vigore
nei primi secoli – il cosiddetto periodo arcaico- , che ci mostrano
una pressoché totale sottoposizione delle donne al potere e al
controllo maschile.
Per capire la condizione reale delle donne romane, bisognerebbe
basarsi piuttosto sulle leggende, che narrano di personaggi
femminili il cui ruolo e le cui gesta non si conciliano con
l’immagine di una donna sottomessa e dominata.
1
Tali leggende, alla base delle credenze e del mos maiorum della
civitas rivelerebbero, quindi, l’importanza del ruolo femminile, la
dignità, l’onore e i riconoscimenti di cui le donne godevano in
famiglia e nella società.
E proprio in base a queste considerazioni, spesso si è pensato che
il contrasto tra le dure regole giuridiche e la felice condizione
1
Sul punto cfr E.Cicciotti, Donne e politica negli ultimi anni della
repubblica, Milano, 1985.
5
sociale delle donne si spiegasse come il ricordo di un antico, e
ancora latente, potere femminile.
In altre parole, la libertà di movimento, di cui le donne romane
godettero da sempre rispetto per esempio alle donne greche
chiuse nei ginecei, il grande rispetto sociale a loro riconosciuto, il
ruolo centrale da esse ricoperto all’interno della familia, le grandi
figure femminile dell’epoca romana etc. sarebbero stati esempi di
questo ipotizzato potere matriarcale.
A prescindere dalle conclusioni, certamente è molto valido il
metodo di ricerca di costoro che, avvalorando l’ipotesi
matriarcale, hanno prestato la medesima attenzione sia al mondo
del diritto e delle istituzioni sia a quello della società e del
costume, nel tentativo di ricercare le prove del potere femminile.
Ed infatti, nel nostro caso, sarebbe errato ricostruire la
condizione della donna romana solo in base alle norme
dell’antico ius civile sia perché si giungerebbe a una conclusione
parziale non tenendo conto dell’ambito anche sociale e non solo
giuridico in cui la donna visse, sia perché lo stesso ius civile-
soprattutto quello arcaico- essendo stato un diritto fatto di
consuetudini, di mos maiorum, a cui spesso si intrecciarono
credenze religiose e sociali, necessita di una comprensione
‘allargata’, tenendo conto dell’ incidenza della società e del
costume sulle norme e viceversa.
Ma qui , pur proseguendo sul doppio binario di una
ricostruzione dal punto di vista giuridico e di un’altra dal punto
di vista sociale, non si vorrà seguire la linea-guida dell’ipotesi
matriarcale contrastando e avvalorando questa tesi.
Non si prenderanno posizioni cercando di dimostrare o meno
che, come alcuni studiosi asseriscono, anche in epoca romana ci
fu una ‘forte’ presenza della figura femminile tale da far pensare
a un matriarcato, se pur durato per breve tempo e poi magari
rimasto solo in forma latente.
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La prospettiva di questa ricostruzione è,invece, quella di una
evidente differenza tra la condizione della donna così come
‘imposta’ dal diritto e dal costume in epoca arcaica e, invece, la
situazione di profondo cambiamento sociale ma anche giuridico
in cui si trovò la donna in epoca classica.
Non è una visione di parallelismo tra la condizione della donna
secondo il diritto e la condizione della donna secondo la società.
Vuole essere, piuttosto un confronto tra due epoche storiche, e
su come nello scorrere dei secoli si sviluppò la condizione della
donna.
E’ un confronto tra quello che la donna doveva essere secondo il
diritto e il costume dell’età arcaica e quello che la donna in realtà
fu secondo il diritto e il costume dell’età classica.
E’ uno scontro tra dover essere ed essere..
L’intento di questa tesi è solo quello di proporre un altro modo di
osservare le modificazioni e i cambiamenti della condizione della
donna nei secoli.
La donna che nel suo evolversi mostra la sua vera natura, ciò che
è, a dispetto del guscio in cui è sempre vissuta, ciò che doveva
essere.
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I
DOVER ESSERE: IL MODELLO IDEALE FEMMINILE
“Per indurre le donne a tenere i comportamenti che si pensava
dovessero tenere, i Romani erano soliti prospettar loro degli
esempi: veri o leggendari che fossero, di personaggi femminili
dalle virtù integerrime, riproposti all’ammirazione della
cittadinanza da un’abilissima e continua propaganda e
circondati da un rispetto che li poneva con le loro virtù al
centro della storia della città. In non pochi casi, infatti, la
propaganda nazionale faceva ruotare attorno questi personaggi
femminili gli avvenimenti fondamentali della storia patria”.
2
Virginia, la figlia.
Virginia era così bella che fece perdutamente innamorare di sé il
decemviro Appio Claudio. Egli cercò in ogni modo di
conquistarla e quando aveva visto che le sue proposte venivano
sdegnosamente respinte, aveva escogitato un inganno.
In assenza di Virginio, padre della ragazza, incaricò un suo
cliente di affermare che la ragazza era sua schiava.Poichè a
giudicare se l’affermazione di tale cliente rispondeva o meno a
verità sarebbe stato lo stesso Appio Claudio, la riuscita del piano
era assicurata. Dopo aver dichiarato Virginia come schiava,
Appio avrebbe potuto soddisfare le sue voglie.
2
E.Cantarella, Passato Prossimo, Milano, 2003, pag 53.
8
Nonostante tutto il popolo parteggiasse per Virginia, per il
fidanzato di lei e per il padre Virginio precipitosamente rientrato
in città per salvare la figlia, Il decemviro non si curò di alcuna
preghiera. Forte del suo potere, dichiarò la fanciulla schiava del
suo cliente. Ma il padre della puella, Virginio, vista perduta ogni
speranza non ebbe esitazioni e impugnando un coltello trafisse il
petto di Virginia dicendole :”Figlia mia, ti rendo la libertà
nell’unico modo che mi è possibile”.
E’ importante notare non solo che per gli uomini la pudicizia
vale più della vita ma che, nel racconto di Livio, Virginia non
proferisce parola, non esprime mai i suoi sentimenti. Quel che
Virginia non può che desiderare è che una morte pietosa la
sottragga al disonore.
La sua morte, il suo sacrificio cambiarono la storia di Roma. I
decemviri furono cacciati a furor di popolo.
Lucrezia, la moglie.
Durante l’assedio posto dai Romani alla città di Ardea, i giovani
figli del re, insieme ai più nobili degli assedianti, trascorrevano
piacevolmente le serate banchettando nella tenda di Sesto
Tarquinio, uno dei figli del re Tarquinio il Superbo. Una sera il
discorso cadde sulla virtù delle rispettive mogli, diventando ben
presto un’accesa discussione. Ciascuno dei presenti sosteneva
che, senza dubbio, nessuna della altre mogli meritava più lodi
della propria. Per stabilire chi aveva ragione,il giovane
Collatino, figlio di Egerio, fece una proposta:essendo la città,
Collazia, molto vicina avrebbero tutti potuto constatare con i
propri occhi che nessuna donna eguagliava in virtù la sua
Lucrezia.
Detto, fatto. Tutti ebbero modo di ammirare Lucrezia, che
ancora a notte fonda sedeva tra le ancelle intenta a filare la lana
al lume di una lucerna.
9
Collatino aveva vinto la scommessa , ma la sorte di Lucrezia era
segnata. Tarquinio, infatti, preso da una passione incontrollabile
della donna tanto virtuosa quanto bella, all’insaputa di Collatino
alcuni giorni dopo tornò a Collazia.Penetrato nella stanza di
Lucrezia con un pugnale in mano le intimò di concedersi a lui.
Di fronte alla resistenza di Lucrezia la minacciò che se non
avesse ceduto l’avrebbe uccisa ponendo poi accanto al suo
cadavere quello di uno schiavo nudo, in modo che tutti
avrebbero pensato essere stata uccisa in vergognoso adulterio.
Non fu il timore della morte ma la minaccia del disonore che
indusse Lucrezia a cedere.
Ma una volta sola, Lucrezia mandò a chiamare padre e marito.
Accorsi questi ella proruppe in un gran pianto rivelando
l’episodio.
Nonostante tutti cercassero di convincerla che solo l’anima può
peccare non il corpo costretto, ella si conficcò un pugnale nel
cuore con queste parole:” Perché in futuro, seguendo il mio
esempio, nessuna donna viva disonorata”.
Così morì Lucrezia e così finì il regime monarchico.
Non sopportando l’offesa fatta a una donna simbolo di tutte le
spose romane, il popolo insorse e si liberò dal giogo dei re
etruschi.
Fu la morte di Lucrezia che consentì la nascita della Repubblica,
e con essa della libertà.
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Volendo poi tratteggiare il ritratto della donna ideale in eta’
romana, possiamo leggere il cosiddetto elogio di Claudia,
epigrafe sepolcrale del II secolo a.c.
Questa iscrizione ben rappresenta il perfetto modello femminile
romano, proprio della nobilitas che si ripropone costantemente
per tutta la storia romana, a dispetto del cambiamento della
3
E. Cantarella, Passato prossimo, Milano 2003.