7
questione (tesi formulata per la prima volta da Briegleb).
(2)
Nel Comune medievale il potere politico (e quindi il potere
di creare le leggi) era nelle mani degli stessi soggetti che
detenevano il potere economico, cioè i mercanti, ed è
pertanto ovvio che essi creassero degli strumenti giuridici “
ad hoc” per soddisfare i propri interessi, primo fra tutti
l’interesse ad una più facile e veloce riscossione dei crediti.
Inoltre non c'era, nel sistema comunale, un potere centrale in
grado di impedire efficacemente la realizzazione di tale
progetto ed infine mancavano dei principi pubblici o
costituzionali che lo potessero ostacolare. Per questi motivi
vi erano in pratica tutti i presupposti per la nascita di un
istituto come la condanna con riserva. Tra l’altro, il sempre
maggiore sviluppo del commercio imponeva l’introduzione
di forme accelerate di tutela del credito: la condanna con
(1)
CHIOVENDA, Saggi di diritto processuale civile (1900-1930), Il foro italiano,
Roma, 1930, I, 128, 141. CHIOVENDA, Istituzioni di diritto processuale civile,
Jovene, Napoli, 1935, I, 221-222, 230-231.
8
riserva rispondeva quindi anche ad esigenze di necessità, non
solo ad un desiderio della classe dominante.
Essenzialmente tre erano gli istituti che utilizzavano il
principio della condanna con riserva: il procedimento
documentale – esecutivo, la confessione giudiziale e il
procedimento sommario.
(3)
Prima di passare ad analizzare
uno per uno questi istituti, possiamo già dire una cosa
importante: la condanna con riserva assurse, nel Medio Evo,
a principio di carattere generale.
(4)
(2)
SCARSELLI, In difesa dell’art.648, 1° comma, c.p.c., in Il foro italiano, Il foro
italiano, Roma, 1996, I, 2347.
(3)
SCARSELLI, La condanna con riserva, Giuffrè, Milano, 1989, 12-15, 16.
(4)
SCARSELLI, La condanna con riserva, cit., 53: «Anzi quella era la regola
sovrana: l’applicazione generalizzata […].».
9
1.2 Il procedimento documentale – esecutivo
Il processo documentale – esecutivo era un
procedimento nel quale il creditore, mediante la semplice
presentazione al giudice (che poteva essere, in alcuni casi,
anche un privato cittadino) di un documento che provasse il
suo credito (c.d. “strumento guarentigiato”),
(5)
otteneva da
lui un “praeceptum”, detto anche “mandatum de
solvendo”,
(6)
che gli consentiva l’esecuzione forzata (c.d.
“executio parata”), e ciò senza che il debitore potesse fare
molto per evitarla, essendo posticipata per lui la possibilità di
presentare eccezioni.
Innanzitutto, il creditore poteva presentare al giudice
qualsiasi tipo di documento: secondo numerosissimi Statuti
comunali dell’epoca infatti (es. lo Statuto di Ravenna del
1306, lo Statuto di Perugia del 1342, lo Statuto di Livorno
(5)
SCARSELLI, Brevi note in tema di art.648, comma 1°, c.p.c. e di rapporti
cronologici fra processo a cognizione piena ed esecuzione forzata, in Rivista
trimestrale di diritto e procedura civile, Giuffrè, Milano, 1990, 1373-1374.
(6)
ZANZUCCHI, Diritto processuale civile, Giuffrè, Milano, 1955, I, 152.
10
del 1421), sia l’atto pubblico, sia la scrittura privata
autenticata, sia qualsiasi altra scrittura privata che
testimoniasse con un sufficiente grado di certezza la nascita
del credito (es. le scritture commerciali, le dichiarazioni
sottoscritte dal debitore, ma soprattutto le lettere di cambio)
davano al creditore il diritto di ottenere dal giudice il
precetto esecutivo.
(7)
Il precetto non conteneva alcun
accertamento in ordine all’esistenza o all’inesistenza del
diritto
(8)
e non era frutto di una valutazione discrezionale da
parte del giudice: questi poteva solo controllare che il
documento non contenesse cancellature evidenti, dopo di che
doveva concedere l’esecuzione forzata.
Capiamo quindi che la posizione del creditore era molto
privilegiata: ad essa corrispondeva d’altra parte una
posizione molto svantaggiata del debitore. Infatti, secondo la
maggior parte degli Statuti comunali dell’epoca (lo Statuto di
(7)
SCARSELLI, In difesa dell’art.648, 1° comma, c.p.c., cit., I, 2347.
11
Todi del 1275, lo Statuto di Firenze del 1325, lo Statuto di
Bergamo del 1457, ecc.), il debitore citato in giudizio non
poteva sollevare alcuna eccezione prima di pagare, poiché
egli poteva far valere le sue ragioni solo successivamente, in
altro e distinto processo. E pure in quei Comuni, che
costituivano la minoranza, nei quali gli Statuti davano al
debitore la possibilità di presentare alcune eccezioni (come a
Bologna, a Cremona o a Tolentino), questa possibilità nella
prassi era vanificata, dal momento che i formulari
contrattuali in uso all’epoca generalmente prevedevano la
rinuncia incondizionata a queste eccezioni prima del
pagamento.
(9)
Se il debitore voleva farle valere, doveva
intentare separatamente un apposito processo di
cognizione.
(10)
Da ciò si coglie la natura di condanna con
(8)
MERLIN, Compensazione e processo, Giuffrè, Milano, 1991, I, 593-594.
(9)
CHIOVENDA, Istituzioni di diritto processuale civile, cit., I, 220-222, 228.
(10)
SCARSELLI, La condanna con riserva, cit., 15-53, 306. CHIOVENDA, Saggi
di diritto processuale civile (1900-1930), cit., I, 130-131.
12
riserva del “praeceptum” giudiziale:
(11)
con questo
provvedimento, il giudice in pratica “condannava” il debitore
al pagamento (o comunque ad eseguire la prestazione, dato
che non sempre si trattava di obbligazioni pecuniarie),
“riservando” l’esame delle sue eccezioni ad un momento
successivo. Se il debitore non pagava, subiva l’esecuzione
forzata. E nemmeno nel processo esecutivo poteva sollevare
eccezioni, per chiederne la sospensione: anche queste erano
riservate al successivo processo di cognizione. Se poi, in
questo apposito processo, le sue eccezioni si rivelavano
fondate, la sentenza di condanna a suo carico cadeva nel
nulla e il creditore era costretto a restituire quanto percepito
in virtù di essa.
(11)
SCARSELLI, Brevi note in tema di art.648, comma 1°, c.p.c. e di rapporti
cronologici fra processo a cognizione piena ed esecuzione forzata, cit., 1373:
«[…]; è inoltre storicamente provato che la condanna con riserva trovò origine
soprattutto nelle procedure documentali-esecutive del basso medioevo […].».
13
1.3 La confessione giudiziale
Il motivo per cui, nel processo documentale – esecutivo
medievale, si riconosceva efficacia esecutiva ai documenti
aventi ad oggetto un credito, era perché essi contenevano in
pratica una sorta di confessione del debitore in merito
all’esistenza ed all’ammontare del debito. In effetti quando
un debitore firmava, ad esempio, una lettera di cambio
(l’antenata dell’odierna cambiale), era come se confessasse il
debito e, dato che la confessione era equiparata alla cosa
giudicata (“confessus pro iudicato habetur”), essa aveva
efficacia esecutiva.
(12)
Ma se la confessione valeva come
titolo esecutivo quando era contenuta in un documento,
doveva valere alla stessa maniera anche quando era resa
oralmente nell’ambito di un ordinario processo di
cognizione. La confessione era quindi trattata in modo
uniforme, fosse o no incorporata in un documento.
14
A seguito della confessione, il giudice emanava un
precetto
(13)
(altra dimostrazione dell’uniformità di
trattamento tra la confessione stragiudiziale scritta e la
confessione giudiziale orale), al quale, se il debitore non
pagava, immediatamente seguiva l’esecuzione forzata, che
tra l’altro non poteva essere sospesa. Ma il precetto non
chiudeva necessariamente il processo di cognizione, che
proseguiva per l’accertamento delle questioni non coperte
dalla dichiarazione confessoria, con conseguente possibilità
per il debitore di sollevare eccezioni, di merito e di rito, su
tali questioni.
(14)
L’unica differenza tra la confessione e il
processo documentale era che in quest’ultimo l’esame delle
eccezioni riservate era compiuto in un altro apposito
processo, mentre nel caso della confessione era compiuto
nello stesso processo, in una fase successiva. Emerge
(12)
CHIOVENDA, Istituzioni di diritto processuale civile, cit., I, 221-222.
SCARSELLI, In difesa dell’art.648, 1° comma, c.p.c., cit., I, 2347.
(13)
SCARSELLI, Brevi note in tema di art.648, comma 1°, c.p.c. e di rapporti
cronologici fra processo a cognizione piena ed esecuzione forzata, cit., 1371-1374.
15
comunque, e nuovamente, la natura di condanna con riserva
del “praeceptum”: con esso il giudice condannava il
“confessus” al pagamento, a pena dell’esecuzione,
riservando l’esame delle questioni non confessate ad un
momento successivo.
(15)
(14)
SCARSELLI, La condanna con riserva, cit., 53-58.
(15)
SCARSELLI, La condanna con riserva, cit., 58: «Il precetto qui, di nuovo,
svolgeva la funzione di procedimento di condanna con riserva.».
16
1.4 Il processo sommario
Il terzo istituto che sfruttava il meccanismo della
condanna con riserva era il processo sommario. Per la verità,
gli studiosi tedeschi dell’Ottocento non consideravano il
processo documentale – esecutivo e il processo sommario di
cui stiamo per parlare come due processi diversi, bensì due
forme (la prima detta determinata e la seconda detta
indeterminata) di un unico tipo di processo, il processo
sommario appunto. Noi invece, continueremo ad usare la
terminologia, di origine brieglebiana, “processo documentale
– esecutivo” da un lato, e “processo sommario” dall’altro.
Il processo sommario consisteva (e consiste tuttora) in
una semplificazione delle formalità del rito ordinario e
poteva aversi sia in via principale sia in via incidentale. Esso
venne introdotto dapprima nello Stato della Chiesa intorno al
1200 sotto Papa Innocenzo III, e poi, nel secolo XIV, in vari
Comuni dell’Italia centro – settentrionale. Le materie che
17
erano attribuite alla cognizione sommaria erano numerose:
cause possessorie, cause tributarie, questioni ereditarie,
questioni inerenti allo stato delle persone, cause di lavoro
ecc.. Come si vede, non si deve pensare che la procedura
sommaria fosse limitata solo alle cause di minore
importanza. In alcuni Statuti comunali, addirittura, non c’era
un elenco tassativo delle materie sottoposte al procedimento
sommario: era il giudice che, di volta in volta, decideva se la
causa che gli era stata sottoposta doveva essere decisa
secondo il rito ordinario o quello sommario (ci fu quindi
un’esaltazione del ruolo del giudice).
Le differenze tra il procedimento sommario e quello
ordinario vennero puntualizzate per la prima volta in modo
compiuto in un’importantissima decretale (le decretali erano
Costituzioni pontificie redatte in forma di lettera): la
“Clementina Saepe”, promulgata da Papa Clemente V nel
1306. Essa è importante perché costituì la prima
18
fondamentale sistemazione della materia del processo
sommario ed utilizzò per la prima volta la frase: “simpliciter
et de plano, sine strepitu et figura iudicii”, che divenne la
formula tipica del procedimento sommario fino addirittura al
tempo della Rivoluzione Francese. Sulla “Clementina
Saepe” si posò l’attenzione di numerosi commentatori
successivi (es. Fasolus, Bartolo di Sassoferrato, Tartagni).
(16)
Il procedimento delineato dalla “Clementina Saepe” era
scarno e rapido: non c’era il “libellus” introduttivo; la
trattazione della causa era essenzialmente orale; v’erano
limitazioni per gli interventi degli avvocati; il giudice aveva
l’obbligo di emettere la sentenza non quando avesse
raggiunto la certezza, bensì la (convinzione della) probabilità
che il fatto in causa fosse o non fosse avvenuto (“semiplena
probatio”); ecc.. Ma la cosa più importante, dal punto di
vista che a noi interessa, è che dovevano essere rigettate, nel
(16)
SCARSELLI, In difesa dell’art.648, 1° comma, c.p.c., cit., I, 2348-2349.
19
processo sommario, tutte le eccezioni che richiedessero una
lunga indagine: le stesse potevano essere oggetto, però, di un
successivo ed apposito processo ordinario.
(17)
Ciò dimostra
che la sentenza di condanna, emessa al termine di un
procedimento sommario, era sicuramente una vera e propria
“condanna con riserva”.
(18)
(17)
SCARSELLI, La condanna con riserva, cit., 59-75. CHIOVENDA, Saggi di
diritto processuale civile (1900-1930), cit., I, 131-135. CHIOVENDA, Istituzioni
di diritto processuale civile, cit., I, 221.
(18)
SCARSELLI, In difesa dell’art.648, 1° comma, c.p.c., cit., I, 2348: «[…], ed
anche in seno allo stesso diritto canonico, ove commentatori di allora, con
sconvolgente sintonia, ricordavano un principio del tutto analogo al nostro attuale
[…].».