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Invece, in una situazione di monopolio, tutta l’offerta di un
bene o di un servizio è accentrata nelle mani di un solo operatore.
Rispetto a ciò che avverrebbe se una merce o un servizio
fossero messi a disposizione del pubblico in regime di
concorrenza, l’affermarsi di una posizione monopolistica provoca
generalmente la diminuzione della quantità offerta e il
contemporaneo aumento del prezzo relativo.
Il monopolista ha la possibilità di agire sul prezzo o sulla
quantità, nel senso che egli può fissare il prezzo e lasciare che il
mercato stabilisca la quantità da acquistare, oppure fissare la
quantità e affidare al mercato la decisione sul prezzo.
L’art. 43 della Costituzione pone una serie di limiti, formali
e sostanziali al riconosciuto potere statale di creare monopoli
pubblici: la riserva di attività deve essere disposta con legge
ordinaria e il sacrificio della libertà di iniziativa deve rispondere
a fini di utilità generale. Inoltre i settori nei quali può essere
legittimamente istituito un monopolio pubblico sono
predeterminati in modo tassativo.
Derogando al principio generale della libertà di contrattare,
l’art. 2597 del Codice Civile pone un duplice obbligo a carico di
chi opera in regime di monopolio: l’obbligo di contrattare con
chiunque richieda le prestazioni che formano oggetto
dell’impresa; l’obbligo di rispettare la parità di trattamento fra i
diversi richiedenti.
La libertà di iniziativa economica privata e la conseguente
libertà di concorrenza sono libertà disposte nell’interesse
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generale e non possono svolgersi “in contrasto con l’utilità
sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla
dignità umana” (art. 41, 2° comma della Costituzione). E sia la
Costituzione (art. 41, 3° comma), sia il Codice Civile (art. 2595)
consentono che tali libertà possano essere compresse e limitate
dai pubblici poteri, con la duplice condizione che i relativi
interventi devono rispondere a fini di utilità sociale e devono
essere disposti da parte del legislatore ordinario.
Le limitazioni della libertà di concorrenza si traducono in
controlli sull’accesso al mercato di nuovi imprenditori, attuati
subordinando l’esercizio di determinate attività a concessione o
ad autorizzazione amministrativa (art. 2084).
La libertà di concorrenza è concepita come strumento che
realizza un interesse individuale e, perciò, come una libertà della
quale l’individuo, che ne è titolare può disporre.
L’art. 2596 ammette la possibilità di limiti contrattuali alla
concorrenza, puntualizzando solo che “il patto che limita la
concorrenza deve essere provato per iscritto”, che “è valido se
circoscritto ad una determinata zona o ad una determinata
attività, e non può eccedere la durata di cinque anni”, mentre “se
la durata del patto non è determinata o è stabilita per un periodo
superiore a cinque anni, il patto è valido per la durata di un
quinquennio”.
In aggiunta alle limitazioni di natura pubblicistica, la libertà
di concorrenza è soggetta ad altre restrizioni stabilite dallo stesso
legislatore a tutela di interessi patrimoniali e privati.
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Nel Codice Civile vi sono norme che pongono a carico di
soggetti legati da particolari rapporti contrattuali l’obbligo di
astenersi dal far concorrenza alla controparte e questo per
garantire il corretto svolgimento o la corretta esecuzione di quel
determinato contratto.
Per garantire la libera concorrenza ed il corretto
funzionamento del mercato fu istituita con la legge n° 287 del
1990 l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, organo
collegiale composto dal Presidente e da quattro membri, che
durano in carica sette anni, nominati con determinazione adottata
d’intesa dai Presidenti delle Camere tra persone di notoria
indipendenza appartenenti a categorie prefissate per legge.
In questo lavoro, prenderò in considerazione una particolare
visione del concetto di concorrenza, quella di F.A. von Hayek,
premio Nobel per l’economia nel 1974 e figura preminente nel
campo delle scienze sociali per quasi tutto il Novecento.
Secondo Hayek la teoria dell’equilibrio concorrenziale non
considera quelle attività di scoperta che sono il compito
principale del processo competitivo. Non è possibile che le
circostanze della scelta del consumatore siano “date”: non si può
sapere come un consumatore reagirà a una situazione di scelta
fino al momento in cui quella situazione non gli si presenta.
Inoltre, Hayek ritiene che sia irrealistica anche l’ipotesi che
ogni prodotto sia completamente omogeneo, vale a dire che i
consumatori siano completamente indifferenti circa l’origine
dell’offerta.
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La funzione della concorrenza è proprio quella di
differenziare i produttori nel tentativo di convincere gli
acquirenti che essi sono meglio dei concorrenti.
Le ipotesi della concorrenza perfetta portano a supporre che
si conseguirebbe un uso più vantaggioso delle risorse se le merci
“identiche” esistenti fossero prodotte mediante una obbligatoria
collaborazione piuttosto che con la “duplicazione” della
concorrenza; le ipotesi portano a suggerire che la
standardizzazione obbligatoria di prodotti leggermente differenti
fornirebbe vantaggi ulteriori.
Tale posizione non è condivisa da Hayek il quale riflette sul
modo in cui la concorrenza effettivamente stimola l’introduzione
di nuovi prodotti e permette la soddisfazione di una grande
varietà di gusti.
La funzione della concorrenza è precisamente quella di farci
apprendere chi ci servirà meglio: quale droghiere o quale agenzia
di viaggi, quale grande magazzino o albergo, quale medico o
avvocato ci si può aspettare che fornisca la soluzione più
soddisfacente a qualsiasi particolare problema personale che ci si
trovi a dover affrontare.
I produttori sono spinti proprio dalla concorrenza a ricercare
e sperimentare nuove aree di domanda e a soddisfare gusti e
domande che possono non essere stati considerati da altri
concorrenti.
Secondo Hayek, la concorrenza non è soltanto l’unico
metodo conosciuto per utilizzare le conoscenze e capacità che
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altri possono avere, ma è anche il metodo con cui si è arrivati ad
ottenere gran parte delle conoscenze e capacità esistenti.
Ciò non è compreso da coloro che sostengono la tesi
secondo la quale la concorrenza si basa sul presunto
comportamento razionale di chi vi partecipa. L’agire razionale
degli agenti non è una premessa della teoria economica ma, il
contenuto fondamentale della teoria è che la concorrenza rende
necessario agire razionalmente per poter rimanere sul mercato.
Il tentativo di fare meglio di quanto si faccia normalmente è
il processo in cui si sviluppa quella capacità di pensare che poi si
estrinseca nella capacità di inventiva e di critica.
Nell’ultima parte di questo lavoro, analizzerò le
caratteristiche della legge n° 287 del 1990.
La normativa, come dispone l’art. 1, è emanata in attuazione
dell’art. 41 della Costituzione a tutela e garanzia del diritto di
iniziativa economica e si richiama espressamente ai principi
dell’ordinamento della Comunità europea in materia di disciplina
della concorrenza.
Il richiamo all’art. 41 della Costituzione indica come
l’obiettivo dell’intervento del legislatore sia quello di tutelare e
garantire la libertà d’impresa, con la precisazione che essa “Non
può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da
recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana” (art.
41, 2° comma).
L’altra caratteristica rilevante della nuova normativa
discende dai suoi rapporti con l’ordinamento comunitario.
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La disciplina italiana svolge una funzione complementare
rispetto a quella comunitaria per quanto riguarda il campo di
applicazione. Esso è definito dall’art. 1, secondo il quale la legge
riguarda le intese, gli abusi di posizione dominante e le
concentrazioni che non rientrano direttamente nella disciplina
comunitaria.
In altri termini, la legislazione si limita a regolare pratiche
non coperte dal diritto comunitario i cui effetti ricadono nel
territorio nazionale.
Nell’Unione europea esiste una normativa comune a tutela
della concorrenza a partire dal 1958, in seguito all’entrata in
vigore del Trattato di Roma che ha istituito la Comunità Europea.
L’articolo 81 del Trattato , in particolare, vieta le intese
restrittive della concorrenza, mentre l’art. 82 pone il divieto degli
abusi di posizione dominante.
Inoltre l’art. 86 prevede che gli Stati membri non adottino
misure che restringano la concorrenza in contrasto con le norme
comunitarie.
L’organismo che ha cura di garantire l’attuazione della
normativa a tutela della concorrenza a livello comunitario è la
Commissione europea la cui sede è Bruxelles.
Pertanto, si può notare come una normativa
antimonopolistica mira, attraverso l’ottenimento di un maggior
grado di concorrenza nel sistema economico, a consentire il
raggiungimento di un benessere sociale più elevato a parità di
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risorse disponibili, tutelando non solo la libertà di intrapresa ma
anche i diritti dei consumatori.
Un sentito ringraziamento per il contributo offerto al lavoro
al Prof. Salvatore Rizzello ed al Prof. Marco Novarese per la
gentile collaborazione.