6
L’azione delle cosiddette “majors” rappresenta nei confronti del settore un
oligopolio di tipo collusivo o l’espressione legittima di un potere di mercato non lesivo
della concorrenza? Questo studio cercherà di rispondere a questa e ad altre domande
facendo riferimento al contesto storico-culturale in cui gli attuali principali competitors
sono nati e all’analisi dei percorsi da questi intrapresi per raggiungere la leadership. Si
considereranno inoltre le odierne configurazioni e le performance economiche tanto delle
majors quanto delle grandi holding globali che oggi le possiedono.
La sezione relativa all’analisi quantitativa fornirà invece, tanto per il mercato
mondiale che per quello italiano, le necessarie informazioni per dare un’idea delle
dimensioni e della composizione della produzione discografica e delle proporzioni delle
quote percentuali sulle vendite che gli attori principali si dividono.
Il modello di business preso in esame verrà trattato diffusamente per quanto
riguarda aspetti quali la competitività dello stesso, le strategie elaborate dalle aziende che
lo rappresentano e le problematiche che ne caratterizzano l’applicazione all’attività
economica.
Il settore discografico si compone anche di realtà alternative alla produzione
industriale delle majors che, come tali, meriteranno un approfondimento in una sezione
separata dedicata alle cosiddette “etichette indipendenti” (o “indies”).
Majors e indies rappresentano la dicotomia fondamentale esistente nel settore e
questo divide artisti, consumatori e la stessa opinione pubblica in due schieramenti opposti.
Majors e indies rappresentano due modelli che convivono sul mercato ben consci delle
enormi differenze che li distinguono: il primo, ricondotto ad uno dei simboli della
globalizzazione e quindi fortemente legato alla produzione di musica mainstream ed
internazionale e l’altro accostato, a volte al carattere imprenditoriale e (positivamente)
individualista delle piccole e medie imprese ed in altri casi ad ispirazioni politiche.
7
Attualmente il rapporto sembra basato sia sulla complementarietà dei due gruppi
(oltre ad instaurare dei rapporti di partnership, le indipendenti svolgono buona parte del
lavoro di talent scouting per le majors, etc.) che sul confronto competitivo che assegna di
continuo vittorie e sconfitte e il cui bilancio non necessariamente risulta sempre
favorevole alle majors.
Il futuro, poi, ha lanciato una sfida decisiva che probabilmente segnerà il destino
delle attuali Big Five all’interno del settore: la rivoluzione digitale e l’avvento di internet
hanno messo in crisi molti dei meccanismi consolidati che per lungo tempo hanno
consentito alle majors di dominare il mercato della musica registrata.
Anche a causa di questi prossimi sviluppi, dagli esiti difficilmente pronosticabili, il
presente studio va considerato come una “fotografia” di una realtà che, se oggi è costituita
dagli elementi presentati e regolata dalle dinamiche descritte, potrà entro breve tempo
subire delle modificazioni significative.
Per quanto riguarda il metodo di lavoro adottato ed il lavoro di ricerca condotto, si è
cercato di fare riferimento innanzitutto alla letteratura, italiana e straniera, che ha trattato il
business musicale secondo approcci di tipo economico-aziendale, storico, culturale ed
anche artistico. Altri validi strumenti cui si è ricorso frequentemente sono state le
pubblicazioni periodiche sul settore discografico ed altre riviste di carattere attinente agli
argomenti sviluppati. Una buona parte delle informazioni sono state poi raccolte grazie ad
ampie ricerche condotte sulla rete di internet, in particolare per quanto concerne i report
aziendali delle majors e delle relative parent companies assieme a molte altre notizie sul
mercato.
8
La disponibilità accordata da vari esponenti e professionisti dell’industria musicale
e da associazioni nazionali ed internazionali ha consentito di entrare in possesso di
informazioni in grado di arricchire ulteriormente la dissertazione.
Particolarmente significativa ed interessante è stata infine la partecipazione,
nell’ottobre 2004 a Glasgow, al convegno internazionale Music Works, un appuntamento
che ha permesso, tra conferenze e colloqui con varie figure professionali dell’ambito
discografico, di esprimere le necessarie considerazioni sulle prospettive future tanto del
settore quanto del modello di business rappresentato dalle majors.
9
CAPITOLO PRIMO
1. L’industria discografica: un primo quadro storico di riferimento
L’industria della musica in una prospettiva storica è solitamente inquadrabile in tre
fasi attraverso le quali si possono identificare le principali tappe che hanno portato
all’attuale sistema competitivo.
Un primo periodo si considera antecedente all’avvento del grammofono e
caratterizzato dalla musica su spartito come principale veicolo di diffusione delle opere.
Protagoniste di tale attività economica furono le case editrici musicali impegnate nella
stampa di partiture e nella gestione dei diritti d’autore; la carta stampata rimase il
principale prodotto della musica popolare fino ai primi anni del XX secolo.
Successivamente, l’invenzione della registrazione e della riproduzione sonora della
fine del XIX secolo, crearono i presupposti per la nascita di un’industria discografica che
ebbe come pionieri le prime case produttrici di fonografi e grammofoni. Se inizialmente,
specialmente negli Stati Uniti, i brevetti registrati attribuivano un diritto esclusivo per la
fabbricazione dei riproduttori sonori e dei supporti musicali, in breve tempo la produzione
dei secondi si disgiunse da quella dei primi e si avviò così la diffusione di etichette
impegnate solo nell’ambito discografico e più in generale venne a formarsi un’arena
competitiva più variegata.
Il fenomeno delle case discografiche maggiori (cosiddette majors), per certi versi,
affonda le sue radici proprio in questo contesto fatto di storiche compagnie impegnate
10
contemporaneamente sul fronte tecnologico e sul fronte della produzione artistica, quasi
sempre in posizione dominante rispetto alle nuove entrate di dimensioni più ridotte.
A questo proposito si noti, ad esempio, come tre delle attuali grandi multinazionali,
BMG, EMI e SONY, in fondo derivino (tralasciando le complesse vicende societarie e le
successive acquisizioni che ne hanno ulteriormente incrementato l’importanza e l’influenza
sul mercato) da aziende storiche come, Rca-Victor, Gramophone Company e Columbia, le
cui evoluzioni, insieme a quelle delle altre case protagoniste, saranno oggetto della
trattazione del prossimo paragrafo.
Un terzo stadio di maturazione del settore vede oggi quasi tutte le majors, fatta
eccezione per EMI Music Group e solo molto recentemente anche per Warner Music
Group, come divisioni facenti capo a gruppi conglomerati dell’entertainment. Fondati
prevalentemente in seguito ad incorporazioni o fusioni societarie, tali gruppi inglobano
molteplici attività: dalla gestione dei diritti d’autore con società fondate appositamente, alla
produzione cinematografica, dal controllo di emittenti televisive alla produzione di home
videos e videogames. Alcune delle ragioni di una simile tendenza sono da ricercare nella
forte appetibilità di cui godevano le principali case discografiche mondiali negli anni ’80 e
‘90 da parte di multinazionali che operavano anch’esse in un contesto globale e nella più
generale evoluzione di un processo di concentrazione tra i vari gruppi industriali iniziata
negli anni ’70.
Le dinamiche e l’assetto attuale del settore derivano quindi da queste tre
fondamentali fasi storiche, la seconda delle quali verrà trattata nel prossimo paragrafo per
comprenderne l’importanza e ai fini di rimandare al secondo capitolo una più rigorosa
analisi del contesto di mercato considerando le specificità di ogni singola major.
11
1.1 Le invenzioni tecnologiche del XIX secolo e la nascita dell’industria discografica
1.1.1. Gli Stati Uniti come promotori delle innovazioni tecnologiche e pionieri del mercato
discografico
La storia attribuisce al genio dell’inventore americano Thomas Alva Edison
1
(1847-
1931) la progettazione nel 1877 del primo fonografo
2
, un apparecchio che per la prima
volta permetteva di incidere la voce umana su un particolare supporto apposito.
Il suono, inizialmente vocale, veniva trasmesso ad un diaframma collegato ad una
puntina la quale vibrando incideva i suoi movimenti su della carta stagnola applicata
intorno ad un cilindro d’ottone che veniva fatto girare manualmente. L’incisione così
prodotta, anche se di scarsa qualità, dimostrava con successo l’avvenuta registrazione e
consentì il rilascio del brevetto per la nuova invenzione.
Nel 1878 Edison fondò la Edison Speaking Phonograph Company la cui missione
fu, tuttavia, solo quella di esporre al pubblico di tutto il mondo la nuova invenzione contro
il pagamento di una tariffa. Il fonografo era ancora considerato un prodotto non
commerciabile poiché non consentiva ulteriori riproduzioni del suono una volta che la
carta stagnola veniva rimossa dal cilindro. Il padre di tale nuova creazione abbandonò così
la ricerca in questo campo per concentrare la propria attenzione agli studi sulla
illuminazione elettrica, convinto fermamente che “ogni invenzione è inutile se non se ne
può derivare uno sfruttamento economico”.
Agli americani Charles Sumner Tainter e Chichester Bell (quest’ultimo cugino di
Alexander Bell, già inventore del telefono), si deve il grafofono, brevettato il 4 maggio
1
Clark R.W. (1979)
2
Calzini M. (1994), pagg. 18-25
12
1886. Questo si avvicinava molto al fonografo anche se utilizzava al posto del foglio di
stagnola precedentemente impiegato, un supporto in cartone ricoperto di cera: un materiale
particolarmente indicato per lo scopo che consentiva finalmente un’incisione permanente e
quindi la garanzia del salvataggio delle registrazioni.
Ma due anni più tardi Edison, tornò sul mercato per lanciare il suo “improved
phonograph”, a sua volta molto simile all’idea di Tainter e Bell: i due brevetti così
registrati erano destinati a causare fin da subito accese battaglie legali. Ad evitare ogni
contesa pensò Jesse Lippincott, ricco imprenditore di Pittsburgh, che acquistò entrambe le
esclusive di fabbricazione per una cifra elevatissima e fondò la North American
Phonograph Company avente come core business la produzione di macchine per dettatura
da ufficio e del tutto disinteressata all’utilizzo dell’apparecchio in ambito musicale.
Tuttavia una sua consociata, agente nei distretti di Washington e Baltimora, denominata
Columbia Phonograph Company, da subito remò controcorrente rispetto alle direttive della
compagnia, avviando la produzione di cilindri con incisioni musicali. Proprio tale
caratteristica garantì a questa il titolo di “prima casa discografica al mondo” e avviò la
storia di un importante brand del settore
3
.
Il fallimento dell’attività fondata da Lippincott, nel 1894, permise ad Edison di
rientrare ancora una volta nel mercato riacquistando i diritti sulle opere dell’ingegno
precedentemente ceduti. Il suo investimento, se pur economicamente vantaggioso
(Lippincott pagò il brevetto di Edison $ 435,000 e fu poi costretto a rivenderlo allo stesso
inventore per $ 135,000), determinò una serie di dispute legali dovute alla bancarotta
dell’imprenditore cedente che tra l’altro portarono ad una sentenza per la quale Edison
rimaneva inabilitato alla fabbricazione di fonografi per tre anni.
3
Eisenberg E. (1997)
13
Tali circostanze avvantaggiarono in primis la Columbia garantendole maggiore
libertà d’azione. Intrapresa una partnership con Bell e Tainter, la stessa si rifondò nella
Columbia Graphophone Company e una versione del grafofono migliorata e ottimizzata
per l’impiego in musica fu immessa sul mercato. La principale innovazione apportata alla
macchina fu un sistema di alimentazione a carica meccanica estremamente competitiva, in
termini di prezzo, rispetto alle macchine ad alimentazione a batterie elettriche fino ad
allora in commercio. Per la prima volta il mercato registrò un vero e proprio decollo: il
grafofono iniziò a diventare popolare e non più un raro oggetto da esporre in poche case di
famiglie facoltose.
Se per gli apparecchi riproduttori di suono in quel periodo si poteva iniziare a
parlare di produzione industriale, non ci si poteva esprimere similmente per quanto
riguardava la fabbricazione dei cilindri la cui manifattura, non tanto per l’aspetto materiale
quanto per quello più complesso dell’incisione, era piuttosto da accostare a quella di tipo
artigianale. Un esempio può chiarire i limiti dei sistemi produttivi di quel tempo. Per
produrre dieci copie di una stessa opera musicale o altra registrazione, era necessario
impiegare dieci grafofoni che realizzavano contemporaneamente un singolo esemplare: i
costi e le difficoltà tecniche erano chiaramente ostacoli considerevoli. Ad una domanda in
costante crescita era quindi necessario rispondere con la progettazione di metodi di
produzione di massa. Una di queste fu elaborata da Emile Berliner, inventore del
grammofono.
Berliner
4
(1851-1929), originario della Germania, sviluppò nuovi studi nel campo
della registrazione sonora fin dalla metà degli anni ’80, apportando un approccio
4
Calzini M. (1991), pagg.45-47
14
rivoluzionario: l’impiego dei dischi piatti al posto dei cilindri. L’incisione veniva effettuata
su un disco di zinco ricoperto da una sostanza a base di cera. Il supporto veniva poi
immerso nell’acido per ottenere che sullo stesso si formassero i solchi corrispondenti a
quelli creati sul materiale ceroso. L’intuizione fondamentale dell’inventore tedesco fu
quella di aver compreso la possibilità di utilizzare il disco di zinco come matrice per
produrre copie dell’originale che egli decise di realizzare in un composto di gommalacca
particolarmente duro.
Il limite del grammofono, rappresentato da un’automazione a manovella e quindi da
una registrazione e riproduzione imprecise, risultò di fatto un vantaggio poiché il prezzo
poco elevato al quale venne offerto al pubblico né decretò il successo su grande scala. In
un’epoca in cui un salario medio settimanale di un operaio non superava i 6 dollari, una
macchina della North American Phonograph Company veniva venduta a 150 dollari
mentre l’apparecchio di Berliner era commercializzato a circa 10 dollari. Sempre
l’economicità del prodotto fu alla base degli sviluppi successivi del grammofono che
tuttavia, se pur innovativo e per certi aspetti “rivoluzionario”, senza un’automazione
elettrica o a carica, difficilmente avrebbe arginato la concorrenza della Columbia e di
Edison, tornato sul mercato con la Edison Company.
Fu un tecnico di Camden, New Jersey, Eldridge Reeves Johnson a concepire per
Berliner un economico ma funzionale motore a carica meccanica che andava così a rendere
ancora più efficiente e pratica l’invenzione la quale negli anni a seguire diventò un
apparecchio standard per la riproduzione di musica.
La Berliner Gramophone Company, sorta come produttrice dei primi grammofoni,
fu, verso la fine del secolo, vittima di una complessa vicenda giudiziaria che vide
l’inventore-imprenditore imputato con l’accusa di aver violato i brevetti registrati
precedentemente da Tainter e Bell. Il processo nacque in realtà per opera di un ex-partner
15
commerciale, Frank Seaman, d’accordo con la Columbia per spingere al fallimento
l’attività di Berliner, potenzialmente in grado di minacciare seriamente gli altri
competitors.
Contemporaneamente Eldridge Johnson era impegnato nell’opera di miglioramento
del grammofono e della qualità sonora dei dischi le cui produzioni furono da lui avviate,
dopo una parentesi travagliata corrispondente alla crisi della Berliner Gramophone
Company, nell’ambito della nuova Consolidated Talking Machine Company. Egli elaborò
anche un metodo per duplicare una singola matrice in più esemplari così che più
stabilimenti potessero, nello stesso tempo, realizzare molteplici copie di una sola
registrazione. Ma il complotto Seaman-Columbia coinvolse ben presto anche Johnson
accusato di rappresentare una copertura all’attività, giudicata illegale, di Berliner. La
disputa, pur determinando di fatto la fine di Emile Berliner negli Stati Uniti, terminò con il
trionfo di Johnson sulla controparte e fu da egli celebrata con la nascita, in nome della
vittoria legale, della Victor Talking Machine Company il 3 ottobre 1901, che con il
marchio Victor Records diede inizio ad una gloriosa tradizione nella produzione
discografica statunitense
5
.
Sul fronte tecnico la scomparsa del cilindro, in favore dell’affermazione del disco
di Berliner, negli anni a seguire, è ben descritta nello schema di approfondimento proposto
in figura 1.1 che, oltre ad evidenziare i diversi percorsi dello sviluppo delle due tecnologie,
offre un quadro generale sulle aziende protagoniste del mercato discografico dalle origini
sino agli anni ’20.
5
Hains J. (2001), pag. 789-790
16
Figura 1.1 Schema dell’evoluzione dell’industria del suono negli Stati Uniti
CILINDRO DISCO
Thomas A. C.Bell Emile
Edison S.Tainter Berliner
1878 1897 1889
Edison American Kammerer &
Phonograph Graphophone Reinhardt
cilindro
1893
1878 Jesse United States
Lippincott Gramophone
Edison Speak. Eldridge
Phonograph 1888 Johnson 1895
N.American Berliner
Phonograph Gramophone
1896 1900 1896
National Consolidated National
Phonograph Talking Mach. Gramophone
1899
Universal
Talking Mach.
altre compagnie
americane
1888 1893 1901
COLUMBIA VICTOR
TALKING
PHONOGRAPH MACHINES
Vittoria
Fine del
cilindro 1920 del
disco
I
Il collegamento rappresentato da una linea tratteggiata evidenzia la diffusione di un brevetto secondo
comportamenti non del tutto conformi alla legge o in mancanza di un’autorizzazione ufficiale da parte del
titolare del diritto sull’utilizzazione dell’invenzione, pratiche in quel periodo assai frequenti.
Fonte: Calzini M.(1991)
17
1.1.2. L’Europa importa tecnologie e sistemi di produzione: l’avvio dell’industria
discografica nel Vecchio Continente
Emile Berliner fin dal 1897 iniziò ad interessarsi al mercato europeo
6
per creare
un’alternativa alle possibilità di gestire un’attività di produzione del grammofono in
America, ormai compromesse dalle predette questioni giudiziarie. Spedì quindi i suoi
diritti di brevetto a Londra e nel 1898 conferì alla nuova Gramophone Company la licenza
esclusiva di produrre grammofoni e dischi in Europa. Affidò inoltre al fratello Joseph la
costituzione di una filiale per la fabbricazione dei supporti ad Hannover: nacque così la
Deutsche Grammophon.
In un contesto politico-economico caratterizzato dal fiorire del colonialismo le
nuove compagnie così costituite nel Vecchio e nel Nuovo Continente non tardarono a
proiettare la loro azione a livello mondiale. La Victor e la Gramophone Company in
particolare raggiunsero un accordo per il quale alla prima competevano i mercati nord e
sud americani e l’Asia orientale, mentre alla seconda restava il resto del continente
asiatico, l’Africa, l’Australia e l’Europa; inoltre l’una poteva godere dello scambio e della
pubblicazione nel proprio paese delle registrazioni dell’altra
7
.
L’organizzazione dell’attività discografica era molto primitiva e spesso una sola
figura all’interno di un’azienda curava operativamente la produzione e la registrazione di
un’opera. Tuttavia la fase successiva, la fabbricazione delle copie dei dischi, grazie ai già
citati sistemi di duplicazione, poté rapidamente avviare una crescita esponenziale della
produzione che non ebbe battute d’arresto fino agli anni ’30. Nella seconda decade del XX
secolo il mercato mondiale registrava già vendite pari a 50 milioni di dischi all’anno.
6
M.Calzini (1991), pag.54-56
7
P.Gronow – I.Saunio (1998), pag. 10
18
Tra il 1898 e il 1921 la Gramophone Company, divenuta la casa leader in Europa,
arricchì il proprio catalogo con 200.000 diverse opere: tale ampiezza spinse tra l’altro alla
delocalizzazione della produzione in Inghilterra, Francia, Russia, Italia, Spagna e India, per
aumentare la vicinanza ai mercati nazionali. La compagnia inglese già da qui assurge
quindi ad esempio per dimostrare l’internazionalità che da sempre ha caratterizzato le case
di produzione maggiori.
Il panorama europeo del primo ‘900 presentava la nascita di molteplici etichette
discografiche di dimensione e importanza più o meno rilevanti. E’ il caso di ricordare di
seguito alcune fra le esperienze più significative che costituirono le fondamenta del settore
industriale nel nostro Continente.
Nel 1897 era sorta in Francia la Pathé che, grazie ad un brevetto per un apparecchio
e dei supporti diversi da quelli ideati sia da Edison che da Berliner e con questi non
compatibili, creò una “forzata” fedeltà nei consumatori di musica francesi e riscosse
successo anche in Russia fino all’alba della rivoluzione.
In Germania Carl Lindström, entrato in possesso di etichette come Odeon, Beka,
Parlophon, Fonotipia e Jumbo
8
, costituì un’unica holding che ben prestò iniziò ad
interessarsi a mercati internazionali come quello sudamericano e persino a quello
statunitense minacciando seriamente la Victor e la Gramophone Company.
Altra protagonista con sede all’interno dei confini tedeschi era la già citata
Deutsche Grammophon. Con il tempo l’azienda accrebbe la sua indipendenza nei confronti
della compagnia britannica di cui faceva parte: iniziò infatti la pubblicazione di
registrazioni di artisti della Gramophone Company senza licenza e in seguito,
8
Il gruppo tedesco Lindström può essere considerato un prototipo della major discografica di oggi: le diverse etichette,
ognuna con una propria identità e proprie caratteristiche, rappresentano i marchi con i quali proporre il proprio catalogo
grazie ad una rete distributiva estesa ed efficiente. Sin da qui dunque, si intuiscono i grandi vantaggi dell’incorporazione
(tanto quanto la fondazione) di nuove labels per rispondere alle esigenze di diversificazione e di segmentazione, variabili
fondamentali per la sopravvivenza di un business di tipo discografico.
19
conseguentemente agli accadimenti della Prima Guerra Mondiale, passò definitivamente in
mano tedesca. Non potendo più contare sulle opere i cui diritti d’autore rimanevano di
proprietà inglese, si diede vita nel 1924 all’etichetta Polydor, avviando così la storia di
grande successo di questo brand. Per contro la Gramophone Company, per non rinunciare
al mercato tedesco, fondò una propria etichetta-sussidiaria: la Electrola.
In Italia, al grado di maturazione dell’industria raggiunto dai paesi europei finora
considerati, si giunse con un ritardo che si riflesse in seguito nell’introduzione di molte
altre tecnologie e formati per l’ascolto della musica. Anche se nel 1901 Napoli fece da
culla per la nascita della prima casa discografica, la Polyphon, la produzione discografica
rimase sostanzialmente di tipo artigianale ed elitaria fino al periodo del secondo conflitto
mondiale. Il nostro Paese contribuì piuttosto alla discografia mondiale sul piano artistico
con talenti di caratura internazionale come Enrico Caruso che incise per la Gramophone
Company ma soprattutto per la Victor totalizzando fino al 1921 la cifra record di 2 milioni
di dischi venduti determinando così la fortuna delle case discografiche che fin da quei
tempi intuirono l’importanza di ingaggiare artisti best seller e ricavarne rilevanti successi
economici.