5
Rilevante era comunque il periodo di durata della “condotta” (contratto
stipulato con la città e che regolava il rapporto giuridico – civile tra città ed
ebreo). I testi specifici sull’argomento appaiono la guida più idonea per
analizzare la condizione della comunità ebraica di Terni dal XIII secolo.
Di particolare interesse, comunque, appare tutto il territorio umbro per i
legami con Roma ed i pontefici. Terni, per la vicinanza al Comune capitolino,
appare ,infatti, il primo nucleo ebraico, che si presume proveniente proprio da
Roma. Le fonti archivistiche del Comune di Terni, infatti, testimoniano, in tutti
gli atti rinvenuti dal 1292 in poi, che i primi banchieri ebrei a Terni furono
romani. Ne deriva che la Curia cercò di legare le sorti degli Ebrei al Comune
umbro, per poter sfruttare questo legame a proprio vantaggio. Permettendo
agli Ebrei di inserirsi nella comunità locale e rafforzarsi.
Dal secolo XIV, la politica del Papato mutò nei confronti dei prestatori
ebraici anche per il contesto socio - politico italiano del Rinascimento, si
giunse all’espulsione degli Ebrei come appare testimoniato dalle stesse fonti
d’archivio. In un primo esame delle fonti, anche se a volte lacunose nella
catalogazione dei documenti comunali, è possibile ricostruire anche le fasi del
declino della comunità ebraica ternana in tale epoca.
Infatti, dal secolo XVI, le comunità ebraiche dello Stato Pontificio videro
messa in discussione la propria posizione all’interno delle città dove da secoli
ormai si erano integrate. La comunità ebraica ternana subì la sorte delle altre,
anche se nel corso della verifica di tali dati ci sembra di poter constatare una
permanenza, comunque, di tale comunità in Terni, malgrado non vi fosse più
un legame con l’attività di “prestatori”.
Nel riferimento della documentazione su tale argomento posso contare
sull’aiuto del dott. Paolo Pellegrini, il quale ha studiato a lungo l’evoluzione ed
il declino della comunità ebraica ternana e che ha scritto sull’argomento.
6
Capitolo I
Origini e fasi del fenomeno del prestito ebraico in Italia: il
caso specifico dello Stato Pontificio
7
1.1 Gli inizi del prestito su pegno
Intorno al 1000 d.C. in tutti i Paesi cristiani vennero istituite le
Corporazioni di arti e mestieri, per appartenere alle quali bisognava
professare la fede cristiana. Da quel momento gli Ebrei, esclusi da ogni
campo di attività, furono sospinti verso l’unica professione preclusa ai
Cristiani: quella di banchieri (come è noto, in quel periodo la Chiesa proibì di
prestare denaro ad interesse
1
e vennero a formarsi delle corporazioni di
prestatori). La vita degli Ebrei subì quindi un mutamento radicale in Italia: il
commercio del denaro rese necessaria la loro presenza nelle città
economicamente più evolute, nelle quali si insediarono comunità ebraiche
differenziate e organizzate. Gli Ebrei nel Medioevo furono, quindi, “relegati”
nel settore specifico dell’attività creditizia
2
; la rappresentazione storiografica li
riconduce costantemente a questo tipo di “ghetto professionale”
3
, che
ovunque garantiva la sopravvivenza delle comunità stesse.
La questione ebraica medievale coincise con il problema della
transizione dal sistema economico di produzione feudale a quello
capitalistico, problema nel quale gli ebrei rappresentavano la fase usuraia o
di tesaurizzazione. Presupposta la naturale predisposizione ebraica alla
utilizzazione di sistemi economico-politici, come risulta dalle fonti talmudiche
e rabbiniche, si può constatare come, tra l’VIII e il XII secolo, gli Ebrei furono
favoriti ed incoraggiati ad abbandonare la loro attività mercantile, per
orientarsi verso la gestione diretta del denaro, e a ricoprire un ruolo preciso
nella società cristiana come “agente commerciale”.
1
Infatti dopo il III Concilio Lateranense (1179) si era stabilito che fosse negata sepoltura cristiana a chi
prestava denaro ad interesse.
2
Cfr. G. Todeschini, La ricchezza degli ebrei; merci e denaro nella riflessione ebraica e nella definizione
cristiana dell’usura alla fine del Medioevo, Spoleto 1989, pag.11.
3
Cfr. R. Morghen, “La questione ebraica nel Medioevo”, in ID., Medioevo cristiano, Bari 1958, pp.143-162.
8
Secondo lo studioso Roscher
4
, il basso Medioevo ghettizzò gli Ebrei
nella professione usuraia perché quella è la sola dimensione nella quale gli
Ebrei poterono essere utili al nascente capitalismo cristiano. Roscher, inoltre,
individua tre fondamentali invenzioni economiche degli Ebrei: 1) la
puntualizzazione del principio di rendita del capitale, che attraverso varie
pratiche (vendita a termine, investimento in società, ecc.) determina la
possibilità di fruttificazione del denaro, base di qualunque logica creditizia, e
dunque di accumulazione del capitale e di divisione del lavoro; 2) la
definizione del principio che tutela la proprietà bona fide di un oggetto
alienato a torto, in base al quale proprietà e possesso sono garantiti da una
nozione di difesa dell’acquirente rintracciabile nel Talmud; 3) l’affermazione
economica del cambio valutario come base della circolazione monetaria,
della lettera di cambio e del credito commerciale; anche quest’ultimo punto
sarebbe rintracciabile nelle scritture talmudiche
5
.
In Italia, in un primo momento, la diffusione del sistema bancario del
prestito ebraico non assunse particolare rilievo, giacché, a metà del 1200,
Tommaso D’Aquino teneva a porre in evidenza che gli Ebrei italiani,
diversamente da quanto avveniva in altri Paesi, traevano il loro
sostentamento dal lavoro e non dal prestito. Qualche anno più tardi
difficilmente avrebbe potuto sostenere la stessa affermazione
6
. D’altronde, le
condizioni di crescente insicurezza e di svantaggio in cui gli Ebrei vivevano
rispetto alla società cristiana, li portò ad investire i propri capitali in modo da
poter ottenere, se necessario, un pronto realizzo e da sottrarli alle
imprevedibili esplosioni di violenza popolare.
4
Per quanto riguarda gli studi compiuti dal Roscher, mi sono avvalsa della sintesi contenuta all’interno
dell’op. cit. di G. Todeschini.
5
Cfr. G. Todeschini, op.cit., pag.22.
6
Cfr. A. Milano, Storia degli ebrei in Italia, Torino 1963, pag.110; T. D’Aquino, De regime judeorum ad
ducissam Brabantiae, Parma 1852-73, pag.292.
9
La particolare necessità di capitali, unita alle norme vigenti in materia di
prestito, pose gli Ebrei nella condizione di poter prestare quel denaro di cui la
società medievale non poteva fare a meno, ma che non poteva essere fornito
dai cristiani
7
. I servizi dei finanzieri ebrei, infatti, erano indispensabili ogni
volta che si volevano intraprendere grandi iniziative; nel caso del medioevo,
la guerra e l’edilizia.
L’apice del predominio finanziario degli Ebrei si colloca tra la metà del
secolo XII, quando alla loro esclusione dal commercio si accompagnarono gli
inasprimenti delle pene canoniche contro l’usura esercitata dai cristiani, e la
metà del XIII, quando le case bancarie dei cahorsini e dei lombardi lasciarono
spazio agli Ebrei nel commercio del denaro. Da questo momento in poi, essi
furono indotti ad abbandonare l’attività creditizia su larga scala con i prestiti
su pegno, in cui i capitalisti cristiani non volevano impegnarsi, quand’anche
fossero stati redditizi
8
.
7
Cfr. C. Roth, “Gli Ebrei nel Medioevo”, in Storia del mondo medievale, VII vol., Milano 1960, pag.862.
8
Ibidem.
10
1.2 Concezioni religiose degli ebrei e dei cristiani intorno alla
liceità di percepire l’interesse
La dottrina, ovvero le concezioni dei teologi, sia cristiana che ebrea,
circa il commercio ebreo del denaro, fornisce due precise interpretazioni della
fattispecie.
La dottrina ebraica evidenzia come il prestito del denaro fosse noto, in
forme estremamente elementari, lungo tutto il periodo biblico; ma le Antiche
Scritture proibirono e condannarono qualsivoglia compenso sul prestito fatto
fra Ebrei, poiché consideravano questo un atto di solidarietà e non un affare.
Solo in un passo si trova scritto: “Potrai percepire un interesse dallo straniero,
ma non potrai percepirne dal tuo fratello…”
9
. Essenzialmente, si trattava di
impedire agli Ebrei di passare dall’usura in generale all’usura tra fratelli
10
, una
volta intrapresa questa attività. Nonostante la tradizione talmudica si
dimostrasse assolutamente ferma riguardo alle posizioni da assumere nei
confronti del prestito ad interesse, la letteratura rabbinica è più flessibile. I
rabbini sottolineano una duplice necessità: una necessità sociale, in quanto la
dispersione degli Ebrei rende illusorio ogni tentativo di limitare i loro contatti
con i non-Ebrei, ed una economica, poiché il commercio – in particolare
quello del denaro – diventa l’unico mezzo di sopravvivenza
11
.
A sostegno di questa posizione esiste la testimonianza di Rabbenou
Tam
12
, che nella prima metà del XII secolo pone l’accento sul commercio del
denaro, evidenziando come questa attività sia importante per l’ebreo.
9
Rif. Al versetto Deut. XXIII, 20.
10
Si consultino, per eventuali approfondimenti, le seguenti opere: L. Poliakov, I banchieri ebrei e la Santa
Sede dal XIII al XVII secolo, cap. II, Vicenza 1974; e La Michna. Texte hebreu ponctué et vocalisé traduit par
les membres du Rabinat Français, VIII : Baba Kama-baba metzia, ed. R. Weill, Paris 1973.
11
Cfr. L. Poliakov, op. cit. ,Vicenza 1974, pag.29.
12
Rabbenou Tam è citato da L. Poliakov in Les banchieri juifs et le Saint Siège du XIII au XVII siècle, Paris
1965. Egli fu uno dei rabbini più importanti della comunità ebraica francese nel XII secolo.
11
Infatti, negli scritti del rabbino francese si legge: «Oggi la gente ha
l’abitudine di prestare contro interesse ai non-Ebrei (…) perché dobbiamo
pagare le tasse al re e ai signori, e tutte queste cose sono necessarie, per
sostenerci; viviamo in mezzo ai non-Ebrei, e non possiamo guadagnarci la
vita senza commerciare con loro. Non è più quindi, vietato prestare contro
interesse»
13
. Il punto di vista di Rabbenou Tam legittimò lo stato degli Ebrei
dell’epoca tanto che i rabbini dei secoli seguenti non avvertirono affatto la
necessità di giustificarsi per queste pratiche economiche.
Riguardo alla concezione dominante della teologia cristiana, si può
notare come, già nell’antichità, la Chiesa romana condannava il prestito ad
interesse. Infatti, già sotto il regno di Carlo Magno, essa emanò diverse
disposizioni conciliari che vietavano ai cristiani di praticare l’usura, e la sua
lotta si inasprì nel corso del XII secolo, allorquando numerosi concili
ecclesiastici e decreti papali ne ribadirono perentoriamente il divieto. E’ lecito
chiedersi perché, per molto tempo, sia la legislazione ecclesiastica che quella
laica non si espressero riguardo al caso de l’usuraio ebreo. Vi fu solo
un’improvvisa manifestazione di legislazione restrittiva nei confronti del
commercio ebreo del denaro e che nacque durante gli anni del pontificato di
Innocenzo III. Le fonti a cui si fa rimando sono la sua lettera agli arcivescovi
sulla rimessa degli interessi dei debiti dei Crociati (agosto 1198, Post
miserabilem…), e il C. 67 (Quanto amplius) del IV Concilio Lateranense
(novembre 1215)
14
.
Tuttavia, si può sostenere che questi due testi furono dettati più dalla
concezione negativa di Innocenzo III rispetto agli Ebrei, che da un tentativo di
conferire certezza giuridica ai limiti dell’usura ebrea.
13
Cit. presa da L. Poliakov, op. cit.,Vicenza 1974, pag.30.
14
Corpus Juris Canonici, Décrétales, V : 19 : 12 et V : 19 : 18.
12
Si sostiene ciò anche in base alla mancanza di chiarezza da parte di
questa produzione legislativa
15
; in effetti il IV Concilio Lateranense del 1215
vietò agli Ebrei di percepire «usure gravi ed immoderate», lasciando
presumere che gli interessi normali fossero permessi. Questo atteggiamento
poco chiaro nei confronti dei prestatori ebrei, di cui beneficiarono anche i ceti
più abbienti, fu mantenuto soprattutto a causa della difficoltà degli strati
sociali più poveri di accedere ai circuiti di credito considerati moralmente
leciti; poter usufruire dei circuiti del piccolo prestito su pegno significava poter
avere a disposizione un approvvigionamento di modeste somme o quantità di
denaro o di beni a credito a breve termine, che scoraggiavano comportamenti
criminosi dei segmenti più poveri della società
16
.
Il fatto che la Santa Sede facesse ricorso al principio del “minor male”
17
,
non chiarendo la posizione dei banchieri ebrei, non fece altro che agevolare,
verso la fine del Duecento, i loro primi tentativi nella marcia come prestatori.
15
È questa l’opinione del giurista Vittore Colorni. Si fa rimando, in particolare, a V. Colorni, ”Prestito ebraico
e comunità ebraiche nell’Italia centrale e meridionale”, in Rivista di storia del diritto italiano, VIII (1935).
16
Cfr. M. Luzzati, “Banchi e insediamenti ebraici nell’Italia centro-settentrionale”, contributo apparso nell’XI
volume degli annali della Storia d’Italia dedicato a Gli Ebrei in Italia, Torino 1996, pag.178.
17
Il “male minore” si rivelava essere l’accondiscendenza verso l’usura ebrea rispetto all’aumento di povertà
tra il popolo che avrebbe potuto provocare atti di criminalità.
13
1.3 Nascita delle prime comunità ebraiche a nord di Roma
L’Italia centro-settentrionale, nella seconda metà del secolo XIII, vide la
costituzione di diverse comunità ebraiche, provenienti da Roma; esse
scriveranno un nuovo capitolo della storia degli Ebrei d’Italia
18
, senza tuttavia
“rinnegare” la loro comune origine romana.
La nascita di questi nuovi insediamenti era collegata, appunto, al flusso
migratorio ex Urbe che si verifica in quegli anni e che portò numerosi
banchieri ebrei a trasferire i propri commerci oltre le mura romane. Non è del
tutto erroneo affermare che la crescente espansione ebraica a nord della
penisola non sia un fenomeno del tutto casuale, bensì frutto di una mirata
politica papale. Infatti, sul finire dell’età medioevale e gli inizi di quella
moderna, si assiste ad un’evoluzione della Chiesa: questo sviluppo fu
profondamente favorito e influenzato dalla lotta antifeudale e anti-imperiale
portata avanti dalla Santa Sede
19
.
Nel vasto territorio, costituito dal complesso delle province dello Stato
Pontificio, dove le città più importanti si erano costituite in comune fin dal
secolo XII, i papi stentavano a far valere i loro diritti
20
. Per la Curia, infatti, era
motivo di costante preoccupazione la politica anarcoide ed il particolarismo
feudale del ceto nobiliare
21
; per sottomettere il patriziato cittadino, quindi,
Roma aveva bisogno di controllare a fondo anche quelle questioni interne alle
città che fino ad allora le erano state precluse
22
.
18
A. Toaff, Gli Ebrei a Perugia, Perugia 1975, pag.11.
19
Cfr. P. Prodi,”Il sovrano pontefice”,contributo apparso nel IX volume degli annali della Storia d’Italia
dedicato a La Chiesa e il potere politico dal Medioevo all’età contemporanea,Torino 1996, pp.200-201.
20
Cfr. A. Toaff, “Gli ebrei a Roma”, contributo apparso nell’ XI volume degli annali della Storia d’Italia
dedicato a Gli ebrei in Italia, Torino 1996, pag.129.
21
Cfr. A. Toaff, “Gli ebrei romani e il commercio del denaro nei comuni dell’Italia centrale alla fine del
Duecento”, in Italia Judaica, Roma 1983, pag.187.
22
Cfr. P. Prodi, Il sovrano pontefice, Bologna 1982, pp.107-108.
14
Il Papa si affermò allora in un aspetto duplice e ambivalente, ossia nel
suo doppio ruolo di massima autorità della Chiesa universale e sovrano del
suo specifico dominio, lo Stato Pontificio. Questo doppio potere spirituale e
temporale fece accrescere grandemente l’autorità papale e la sue possibilità
di controllare il ceto nobiliare. Dalla decadenza della medievale respubblica
christiana nacque un nuovo modo di gestione del potere da parte del papa,
che investì tutti i livelli e le strutture che componevano lo Stato: dall’interno
della Curia a Roma, dalle province e diocesi periferiche dello Stato Pontificio
alle più vaste regioni della cristianità. Il papa accentrò su di sé il doppio ruolo
di creatore e interprete del diritto, una strategia che gli permise di contrastare
le forze centrifughe presenti all’interno e all’esterno del territorio di cui era
sovrano
23
. Già dalla seconda metà del Duecento la politica pontificia aveva
iniziato a rendere più stretti i vincoli che legavano i Comuni più importanti
dello Stato a Roma
24
; ma è all’interno del disegno del “sovrano-pontefice” che
si attuò la concessione di autonomia finanziaria e organizzativa, una nuova
realtà istituzionale che favorì il governatore papale a discapito delle istituzioni
comunali.
Per attuare questo progetto la Santa Sede aveva bisogno di ingenti
trasferimenti di capitali mercantili in imprese finanziarie o in investimenti
fondiari, trasferimenti che avrebbero però danneggiato i piccoli proprietari
indebitati. Nell’attuazione di questa strategia, la Santa Sede beneficiò anche
dei numerosi tentativi, iniziati già in precedenza, dei mercanti e banchieri
romani di imporre il proprio primato commerciale nel Lazio e nelle regioni
limitrofe e di conquistare, contemporaneamente, il controllo delle strade di
accesso a Roma
25
.
23
Ibidem ; il concetto di sovrano-pontefice e/o papa-re viene proposto dal Prodi per tutto il primo capitolo
della sua opera.
24
Y. Renouard, Le città italiane dal X al XIV secolo, II, Milano 1976, pagg.307-308.
25
Cfr. A. Toaff, “Gli Ebrei romani…”, in op.cit., Roma 1983, pag190.