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Si vanno pertanto a delineare all’interno delle comunità diasporiche tutta una serie
di fenomeni di ibridazione che segnano la condizione di frontiera e sorvolano
sulla opposizione tra radicamento e spostamento.
Si tratta quindi di culture che mediano in una tensione vissuta, l’ esperienza della
separazione e dell’ intreccio, del vivere qui e desiderare/ ricordare un altro luogo.
Se si pensa, infatti, alla produzione identitaria come ad un processo di definizione
del sé, in un luogo fatto di compresenze, gli esseri umani si mostrano quindi non
tanto definiti dalle proprie appartenenze identitarie quanto, posizionati in un
contesto culturale complesso, come produttori creativi delle differenze a cui
desiderano affiliarsi.
Le domande che a questo punto si delineano sono: Quali elementi segnano
appartenenza culturale? Quali pratiche vengono svolte per definire e formare
l’identità? Quali tendenze si registrano? Il ruolo di alcune figure: i rappresentanti
della comunità, la donna e gli insegnanti di madre lingua.
La città di Bologna presenta diverse comunità etniche, il lavoro da me svolto
volge un particolare sguardo alla comunità di bengalesi che risulta essere al quarto
posto tra le nazionalità urbane più diffuse.
La raccolta dei dati è avvenuta tramite una ricerca sul campo in cui sono state
effettuate una serie di interviste semistrutturate a diversi membri della comunità.
Altri dati utili alla ricerca sono poi emersi dalla traduzione della rivista pubblicata
in occasione del Capodanno bengalese e con la diretta partecipazione alla festa
del “Boishaki Mela” celebratasi presso la sede del Comune di Bologna nel
quartiere di Borgo Panigale.
Il lavoro di ricerca intrapreso si propone, senza nessuna pretesa di completezza, di
individuare le principali strategie di esistenza della diaspora bengalese a Bologna.
La presenza di comunità migranti, nel contesto politico nazionale, nonostante gli
attuali dibattiti sul contenimento dei flussi migratori, rappresenta in realtà una
grossa risorsa per il paese sia sul piano della forza lavoro, sia per quanto riguarda
la formazione interculturale.
L’osservazione dei diversi fenomeni culturali urbani favorisce la percezione di
una società multiculturale e permette inoltre di superare le forme di assolutismo
imposte dal potere dominante di un unico modello culturale.
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1) Questioni per un’antropologia transnazionale
1.1 Flussi globali
L’analisi del materiale culturale richiede, oggi più che mai, la necessità di tenere
conto della situazione del mondo nella sua dimensione globale.
L’antropologo, come anche l’uomo in generale, qualunque professione esso
svolga, si trova oggi costretto a confrontarsi con un mondo di cui è facile perdere
il controllo.
L’attuale situazione globale presenta una struttura “ a rete” che traccia tutta una
serie di legami e intersezioni globalmente diffuse.
Per strutturare e disegnare un’immagine globale dei flussi che caratterizzano e
condizionano oggi l’ esistenza umana, propongo qui di seguito la suddivisioni dei
panorami d’azione suggerita da Arjun Appadurai, autore di “Modernity at Large”,
nella speranza di poter intraprendere un discorso che da questi scenari si sviluppa.
Nell’esposizione dei differenti panorami egli distingue cinque diverse dimensioni
dei flussi culturali globali che prendono il nome di : a) etnorami, b) mediorami,
c) tecnorami, d) finanziorami, e) ideorami .
“ Il sufisso –orami permette di indicare la forma fluida e irregolare di questi panorami, forma
che caratterizza il capitale internazionale tanto profondamente quanto caratterizza gli stili
internazionali di vestiario. Questi termini con il comune suffisso –orama indicano anche che non
si tratta di relazioni oggettivamente date che sembrano le stesse da qualunque visuale, ma sono
invece costrutti profondamente prospettici, declinati dalle contingenze storiche, linguistiche e
politiche di diversi tipi di attori: stati nazionali, comunità diasporiche, assieme a raggruppamenti
e movimenti subnazionali, e pure gruppi basati su rapporti interpersonali faccia a faccia come
villaggi, quartieri e famiglie. In realtà l’attore individuale è il luogo ultimo di questo insieme
prospettico di panorami, perché questi panorami sono attraversati in ultima analisi da attori che
sperimentano e insieme costituiscono formazioni più ampie, in parte a seconda della loro
interpretazione di quel che questi panorami offrono.” ( Appadurai 2006 pag 52)
Con il termine etnorami si indica nello specifico quel panorama di persone in
movimento che costituisce il mondo: turisti, immigrati, rifugiati, esiliati,
lavoratori ospiti, ed altri gruppi e individui che sembrano influenzare sia la
dimensione sociale che la politica delle nazioni.
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Con il termine mediorami si fa riferimento sia alla distribuzione dei mezzi di
comunicazione di massa che diffondono informazioni ( giornali, riviste, stazioni
televisive, internet e studi di produzione cinematografica) e sono oggi a
disposizione di un numero sempre più crescente di persone, sia alle immagini del
mondo create da questi media.
Con il termine tecnorami si indica la configurazione globale della tecnologia e il
fatto che la tecnologia, meccanica o informatica, si muove ora ad alta velocità
diffondendosi, in varie misure, su tutti gli strati del mondo.
Con il termine finanziorami si fa riferimento ancora una volta alla diffusione del
capitale economico globale. Materiale che Appadurai definisce “più misterioso,
rapido e difficile da seguire di quanto sia mai stato prima”.
Con il termine ideorami si indica quella serie di idee/immagini globalmente
diffuse che, dice Appadurai , hanno di frequente a che fare con le ideologie degli
stati e le controideologie di movimenti esplicitamente rivolti a conquistare il
potere statale o una porzione di esso. (A. Appadurai 2006 pag 52 ).
Questa situazione ha determinato lo sviluppo di aspetti che da sempre hanno
caratterizzato l’esistenza umana ma che oggi generano nuove forme di esistenza.
La sempre maggiore circolazione di oggetti, persone, cose, idee e capitale che si
estendono in diversa misura coinvolgendo tutte le diverse parti di mondo, richiede
una nuova elaborazione del materiale culturale che viaggia e si sposta
modificandosi.
Centrale diviene a questo punto il mutamento della riproduzione sociale,
territoriale e culturale dell’identità di gruppo.
L’antropologia ha da sempre costituito un interessante archivio d’informazioni
sulle diverse dinamiche che determinano la formazione d’identità culturali.
Se inizialmente queste ultime venivano percepite come sistemi chiusi e
intrappolati in una torre d’avorio, o come saperi tradizionali in via di estinzione
(riferimento all’etnografia d’urgenza di Griaule), oggi si evince dai vari studi
condotti sul tema (Geertz, Clifford, Appadurai) che non si tratta più di monadi
pure e incontaminate ma di vere e proprie culture in dinamica fusione e
trasformazione.
La concezione tesa ad individuare nella cultura un consenso circa idee di fondo,
sentimenti e valori comuni non regge più.
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Sono invece i rifiuti e le fratture che delineano oggi il paesaggio delle identità
collettive. Lingua, religione, etnie e costumi si incrociano a tutti i possibili
livelli.(C. Geertz 1999 pag 62).
Davanti ai panorami di intersezione di cui si compone la “Modernity at Large”
descritta da Appadurai che vede un rapporto ramificato e largamente diffuso tra i
flussi di persone, idee, capitali e informazioni, le domande che ci si intende
mettere sono:
Che ruolo riveste la località negli schemi dei flussi culturali globali? L’antropologia ha ancora
qualche specifico privilegio retorico in un mondo in cui la località sembra aver perduto i suoi
ormeggi ontologici? Può continuare a sussistere la relazione reciprocamente costitutiva tra
antropologia e località in un mondo radicalmente delocalizzato? (Appadurai 2001 pag 230).
1.2 Culture in viaggio
Questa nuova prospettiva impone alla sguardo localizzante dell’antropologia delle
nuove questioni da affrontare.
Gli aspetti tipici di una cultura possono in alcuni casi rimanere tali, ciò che
cambia appunto è il loro modo di essere percepiti e contestualizzati.
Una delle questioni a cui oggi si dà particolare importanza è appunto quella che
riguarda la localizzazione di una cultura che non si può circoscrivere ad uno
specifico territorio ma va studiata nelle sue dinamiche di spostamento.
A questo proposito un’importante contributo al rinnovamento dell’antropologia
viene fornito dagli studi di James Clifford che propongono una nuova e
importante chiave di lettura.
In una delle sue più importanti opere egli ridefinisce i due principali oggetti di
studio che l’antropologia classica dava per scontato (il campo di ricerca e la figura
del nativo) inserendo degli elementi che in passato sono stati tralasciati.
La localizzazione degli oggetti di studio dell’antropologo in termini di “campo” tendono a
marginalizzare, se non a cancellare, numerose mal definite aree di confine, realtà storiche che
sfuggono al quadro di riferimento etnografico. Eccone un elenco parziale. 1) il mezzo di trasporto
è in buona parte cancellato, si tratti della barca, del fuori strada o dell’aeroplano del gruppo dei
ricercatori. Queste tecnologie suggeriscono contatti e traffici sistematici precedenti e tuttora in
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corso con luoghi e forze esterni che non sono parte del campo/ oggetto. […] 2) La città capitale, il
contesto nazionale, sono egualmente cancellati.[…] 3) Cancellata risulta essere altresì la sede
universitaria del ricercatore. Soprattutto oggi che si possono raggiungere facilmente i siti più
remoti, e che ogni specie di luogo del “Primo Mondo” può essere un campo ( chiese, laboratori,
uffici, scuole, centri commerciali), il movimento in entrata e in uscita dal campo, sia dei nativi che
degli antropologi, può essere frequentissimo.(J. Clifford 1999 pag 34).
In linea generale egli sostiene che l’etnografia, nelle pratiche normative
dell’antropologia novecentesca, La presenza di comunità migranti, nel contesto
politico nazionale, nonostante gli attuali dibattiti sul contenimento dei flussi
migratori, rappresenta in realtà una grossa risorsa per il paese sia sul piano della
forza lavoro, sia per quanto riguarda la formazione interculturale.
L’osservazione dei diversi fenomeni culturali urbani favorisce la percezione di
una società multiculturale e permette inoltre di superare le forme di assolutismo
imposte dal potere dominante di un unico modello culturale.
Davanti alla continua circolazione di oggetti, persone, immagini e idee, questo
problema oggi più che mai ha bisogno di essere affrontato.
Il nuovo approccio proposto da Clifford non facilita la circoscrizione dell’oggetto
ma permette di scorgere delle specifiche dinamiche che riguardano tanto
l’antropologo quanto il suo informatore.
Nel corso dei suoi studi, l’antropologo americano ha messo in discussione lo
schema che procede dall’ oralità alla scrittura, e che è celato nel termine stesso d’
“informatore”.
Il nativo parla; l’antropologo scrive. Le pratiche di scrittura/ iscrizione dei collaboratori indigeni
si trovano cancellate. Il mio tentativo di moltiplicare le mani e i discorsi coinvolti nella “cultura
scrivente” non mira ad affermare l’ingenua democrazia di un pluralismo autoriale, ma ad
allentare, almeno in una certa misura, il controllo monologico dello scrittore/antropologo al
comando, e ad aprire alla discussione la gerarchia dell’etnografia e la negoziazione dei discorsi
in situazioni caratterizzate dall’ineguaglianza e dall’esistenza di rapporti di potere. (Clifford 1999
pag 35)
Si tratta di un vero e proprio tentativo di avvicinamento che l’antropologo compie
verso il suo oggetto di studio.
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Tramite la creazione di un anello di congiunzione che riguarda tanto il lavoro
dell’antropologo quanto la vita dell’informatore viene a configurarsi un tipo di
etnografia discorsiva che propone la narrazione del sé come valido elemento di
indagine.
Il viaggio e la compresenza di discorsi fatti sia dall’antropologo che dallo stesso
informatore ridefiniscono una nuova prospettiva.
Localizzare una cultura, come anche il suo portatore (nativo/informatore) è
diventato oggi impossibile.
Il lavoro sul campo può essere svolto quindi tanto su una terra lontana, quanto
sotto casa propria, poiché le dinamiche che si scoprono sono sempre quelle del
passaggio, della diaspora e della coesistenza.
“La cultura antropologica non è più quella di un tempo. E una volta che l’obiettivo della
rappresentazione sia concepito come il ritratto e la comprensione d’incontri, coproduzioni,
dominazioni e resistenze storiche locali/globali, occorre concentrare l’attenzione tanto sulle
esperienze ibride, cosmopolite, quanto su quelle indigene, radicate.” (J. Clifford 1999 pag 36)
Grazie al grandioso contributo di James Clifford oggi è possibile guardare al
materiale culturale come ad un elemento che ti permette di “viaggiare nel risiedere
e risiedere nel viaggiare”.
Vivendo a Bologna è infatti possibile scorgere l’esistenza di diversi contesti e
spazi culturali che si intrecciano nel medesimo territorio.
Attraversando le strade del centro e frequentando i luoghi pubblici, ora più che
mai, si incontrano persone di svariate nazionalità che parlano la propria lingua e
mantengono, in diversa misura, ancora vivi numerosi aspetti della loro “cultura di
appartenenza”.
Partecipando alla festa del Capodanno bengalese ho avuto modo di assistere alla
“riproduzione” di un territorio lontano; il Bangladesh. Attraverso la
concentrazione di un notevole numero di persone che fruiscono del medesimo
materiale culturale (canzoni, danze, giochi, abiti e piatti tipici), è stato riprodotto,
negli spazi del comune di Borgo Panigale, .un paese lontano migliaia di kilometri.
Questa occasione ha rappresentato per me la possibilità di “viaggiare nel
risiedere”, di visitare una piccola parte del Bangladesh pur trovandomi a Bologna.