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Il tipico turbante a punta è ciò che in genere li rende riconoscibili alla
popolazione locale che li identifica come “indiani” proprio per questo motivo. La loro
presenza numerica sul territorio fa sì che siano ormai rare le persone che identificano
i turbanti sikh con i turbanti “taliban”, appartenenti a gruppi religiosi islamici
tristemente noti per il loro fondamentalismo religioso. La religiosità sikh nella città di
Brescia esplode letteralmente in occasione della festa di Baisakhi, in genere
festeggiata nel mese di aprile: un lunghissimo corteo di migliaia di sikh invade le
strade della zona ovest della città per un percorso lungo circa 3 chilometri. Si tratta di
un evento che non passa certo inosservato e che non ha eguali con altre
manifestazioni locali, siano esse cristiane, di altre fedi o di commemorazione di
ricorrenze storiche. Nella Bassa Bresciana, territorio della Pianura Padana dedito
all'agricoltura e all'allevamento di mucche da latte, la presenza è più concentrata. Qui,
nel comune di Flero, è sorto nel 2005 uno dei più grandi templi sikh in Italia, oggi
principale punto di riferimento per la preghiera e la pratica religiosa della zona. Altri
templi minori si sono aggiunti negli anni, sempre nella Bassa Bresciana (Montirone,
predecessore di quello di Flero, Barbariga, Borgo San Giacomo), anche se
attualmente non sono più attivi.
Mi sono occupata di mettere in luce sia la religiosità espressa tramite le
festività organizzate a livello pubblico (templi, Baisakhi, ecc.), sia quella vissuta nel
privato, dal singolo individuo: come esprime la propria fede un indiano sikh
nell’àmbito lavorativo, sociale, scolastico? Quali sono le difficoltà, quali i mezzi? I
sikh che hanno ottenuto il battesimo del khalsa sono tenuti ad osservare particolari
codici di comportamento, ma soprattutto a vestire in un certo modo: i capelli e la
barba lunghi, il turbante, l’osservanza delle preghiere in certe ore del giorno e della
sera, potrebbero portare a disagi in alcune occasioni o ambienti. Anche il
festeggiamento di particolari ricorrenze potrebbe trovare ostacolo in una società
ancora agli albori della multietnicità e multireligiosità, dove le feste religiose
riconosciute dallo Stato appartengono ancora quasi esclusivamente alla Chiesa
cattolica. Il lavoro effettuato si occupa principalmente di mettere in luce questi aspetti
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e verificare quanto e in che modo i sikh riescano ad esprimersi spiritualmente sul
territorio.
Nei primi due capitoli ho esposto brevemente le caratteristiche principali della
religione sikh attraverso un breve excursus storico dei dieci guru fino a giungere
all’ultimo, il Shri Guru Granth Sahib ji, e all’istituzione dell’ordine guerriero del
khalsa voluto dall’ultimo guru “umano” Gobind Singh. Segue un breve cenno
riguardante i gruppi e le sette ancora oggi presenti, considerati interni o posti ai
margini del Sikhismo tradizionale. Ho quindi brevemente descritto i motivi storici
che hanno indotto la maggior parte della popolazione sikh ad emigrare in massa
all'estero più di altre etnie indiane, considerando poi le caratteristiche
dell’immigrazione in Italia ed in particolare nel territorio bresciano.
Nel capitolo 3 mi sono dedicata a descrivere l'espressione della religiosità
sikh nel territorio bresciano. Allo scopo mi sono ampiamente avvalsa dei contatti,
anche informali, avvenuti durante l’attività lavorativa di questi ultimi anni, quando
per svariati motivi sono entrata nelle case sikh per atti dell’ufficio, oppure ho
incontrato i loro abitanti per le vie del paese. Ho aggiunto a queste piccole esperienze
personali il materiale raccolto tramite ricerche presso i gurdwara di Flero e di Borgo
San Giacomo, interviste con indiani residenti, e la mia partecipazione annuale alla
festa di Baisakhi nella città di Brescia, tra le feste religiose sikh la più importante e
sentita, vero evento locale per l'importante partecipazione di persone,
l'organizzazione, il dispendio di energie e risorse che assorbe.
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1 – La religione sikh
1.1 Caratteristiche
Il sikhismo nasce con la rivelazione di Guru Nanak intorno al 1500 in un’area
geografica, i dintorni di Lahore, dove gli ultimi imperi rajput di fede hindu cedevano
il passo alla dominazione islamica delle prime conquiste dell’impero mughal. Nato in
un contesto di scontro-incontro tra le due maggiori tradizioni religiose indiane,
possiede caratteristiche che lo accomunano ora all’una, ora all’altra, includendo
influenze appartenenti alle correnti alternative e mistiche del sufismo, della bhakti e
delle figure dei Sant. Con il tempo il Sikhismo si è poi sforzato di differenziarsi dalle
altre tradizioni spirituali, definendosi sempre meglio in qualità di religione a sé
stante. Per la sua diffusione nel mondo e l’universalità del proprio messaggio, si
colloca tra le religioni mondiali e ne rappresenta una delle più recenti (Peca Conti,
2005).
Contemplare l’essenza di Dio è punto centrale e cardine della fede religiosa e
spirituale. Dio è non-nato, non-creato, auto-generatosi, eterno, immanente e
trascendente. Non ha forma propria, non può essere definito da alcuna descrizione,
quindi nemmeno rappresentato figurativamente: è nirguna, ovvero privo di attributi,
seppure si manifesti in forme saguna nel mondo della manifestazione. Un semplice
nome non può definirLo, ma poiché è immanente, tutti i nomi Gli appartengono. Nel
Guru Granth, il Libro Sacro del Sikhismo, Dio è chiamato per questo motivo con
nomi quali Sat Nam, Kartar, Akal Purakh, propri del Sikhismo, oppure Ram, Gopal,
Ishwar, propri dello Hinduismo, o ancora Allah, Rahim, come nell’Islam.
.
Più
importante delle preghiere giornaliere, da compiersi in tre momenti della giornata, è
la meditazione e rammemorazione sul Nome divino, ovvero il nam simran. Durante
la giornata il fedele costantemente recita il nome divino al fine di comprendere
l’immanenza e la trascendenza di Dio in ogni oggetto, cosa, azione, pensiero, opera.
L’ortoprassi delle azioni quotidiane è più importante delle azioni rituali: il buon
discepolo non è l’asceta che vive di meditazione e solitudine nella foresta, bensì è il
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“capofamiglia”, il grihastha, colui che vive all’interno della società sposandosi,
allevando la prole, vivendo dei frutti del proprio onesto lavoro, conducendo una vita
retta e giusta. L’ascetismo è considerato fuorviante dalla vera strada di salvezza e
quindi rigettato. Questo modo di intendere l’ideale di vita spirituale è stato definito
“misticismo intramondano” poiché non riconosce forme di monachesimo e di fuga
mundi, bensì deve manifestarsi all’interno della vita sociale quotidiana ed in essa
trovare la sua espressione nel piano pratico (Pace, 2005 e 2011).
Lo hukam è il volere divino che regola il funzionamento dell’universo, l’ordine delle
cose, il destino degli uomini e il loro operato. Esso si esprime attraverso il karman di
ogni individuo, ovvero l’insieme delle azioni compiute nelle vite passate e in quella
attuale, le quali determinano la qualità della vita presente. L’uomo è inserito in un
ciclo interminabile di nascita e morte dal quale però può salvarsi attingendo alla vera
conoscenza di Dio. Per far ciò deve appellarsi al proprio man, ovvero a quella che si
potrebbe definire la propria “mente”, la facoltà che possiede per discernere il bene dal
male e decidere di seguire la retta via che porta alla liberazione. L’uomo deve
schiacciare il proprio haumai, il proprio orgoglio, il proprio ego, per giungere a
sottomettersi allo hukam e liberarsi così dall’eterno ciclo del samsara e divenire un
jivanmukti, un liberato in vita. Per compiere questo percorso salvifico è
indispensabile un Maestro, un Guru. Da qui il susseguirsi dei dieci guru, da Guru
Nanak a Guru Gobind Singh, fino a giungere all’Adi Shri Guru Granth Sahib Ji, il
Testo Sacro, ritenuto essere un guru eterno, tangibile, vivente quanto un guru in carne
ed ossa.
Il Sikhismo rigetta le differenze castali poiché tutti sono uguali di fronte a Dio
1
, così
come non devono esservi discriminazioni di sesso, razza, etnia, o quant’altro. Nella
cucina annessa al tempio sikh tutti i presenti mangiano insieme, seduti a terra allo
stesso modo, per sottolineare l’uguaglianza e la fratellanza universale tra gli uomini.
1
Differenze tra le caste, soprattutto khatri e jat, di fatto vi sono però sempre state. Ad esempio, tutti i dieci guru umani
appartenevano alla casta khatri, connessa alla casta brahmanica degli kshatrya, alla quale appartengono i guerrieri e i
funzionari pubblici. La jat, è la casta dei contadini di cui fa parte la maggioranza dei sikh. Durante l’impero britannico i
jat vennero favoriti tramite riforme e incentivi a scapito dei khatri, creando gravi contrasti all’interno del sikhpanth
(Tomasini, 2005).
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1.2 Le origini, i dieci guru, l’Adi Granth
Il termine “sikhismo” nasce dalla parola in lingua panjabi sikh (dal sanscrito shishya),
ovvero “discepolo”, colui che segue gli insegnamenti del Maestro. Il sikhpanth quindi
designa la via dei discepoli, sia di coloro che seguono il sentiero spirituale, sia della
comunità dei sikh.
La nascita del Sikhismo quale dottrina religiosa ha origine con Guru Nanak verso la
fine del 15° secolo.
GURU NANAK (1469-1539). Nacque nel villaggio di Talwandi (oggi denominato
Nanakyana Sahib), nei pressi di Lahore, oggi in Pakistan. Numerosi sono gli scritti
agiografici sulla sua vita e le sue opere (le cosiddette5 janamsakhi), pochissime le
fonti storiche e le testimonianze certe. Figlio di un contabile presso un importante
nawab musulmano, la sua famiglia apparteneva alla casta dei khatri, sottocasta dei
bedi
1
. Nelle janamsakhi si afferma che ricevette insegnamento sia da maestri
tradizionali hindu che musulmani, studiando quindi i fondamenti sia dello hinduismo
che dell’islam, oltre alla lingua hindi, al sanscrito e al persiano. Si sposò ancora
adolescente e con la moglie si trasferì a Sultanpur per assumere l’incarico di
amministratore presso il governatore locale, Daulat Khan Lodi. L’agiografia narra
che all’età di circa 30 anni, mentre all’alba si bagnava come di consueto nel fiume,
sparì nelle acque e si ritrovò al cospetto divino ricevendo l’incarico di diffondere il
nome di Dio nel mondo, quale sommo Guru divino. Riemerso miracolosamente dal
fiume dopo tre giorni, pronunciò le celebri parole “Non c’è hindu, non c’è
musulmano. Quale via dunque seguirò? Seguirò la via di Dio. Dio non è né hindu né
musulmano e la via che io seguo è la via di Dio” (A. Singh Rana, 2006). Abbandonò
quindi la famiglia e il villaggio pellegrinando e predicando per circa vent’anni per i
principali centri sia hindu che musulmani, unitamente ad un anziano suonatore
musulmano di ribeca. Ritornato presso la famiglia intorno al 1520, fondò sul fiume
Ravi la città di Kartarpur (Città del Creatore) dove risiedette fino alla morte, nel
1539. A Kartarpur quindi sorse la prima comunità sikh, dedita al lavoro, alla
1
La sottocasta dei bedi sembra derivi dalla frequentazione dei Veda, i testi sacri hindu (da Vedin, Vedi) (Poli 2007).