2
imbattersi in notizie che la riguardino è estremamente semplice, dall’ ambiente
accademico all’ uomo della strada tutti hanno avuto esperienza o conoscono qualcosa a
riguardo di questa azienda. Ho iniziato parlando con professori e gente comune,
leggendo paper, libri, articoli e consultando internet per ore alla ricerca di informazioni.
Al tempo stesso ho cercato di rintracciare eventuali voci fuori dal coro, critiche alla
multinazionale, infrazioni del codice etico e tutto ciò che poteva essere utile per avere
un idea completa e globale di ciò che ruota attorno al programma di responsabilità
sociale e ambientale IKEA. Insomma ho cercato di diversificare il più possibile le mie
fonti per ottenere un quadro della situazione a 360 gradi. Oltre alla tradizionale
bibliografia e all’ elenco dei siti web consultati ho ritenuto utile citare separatamente
anche altri libri e film che hanno influenzato il mio punto di vista su queste tematiche.
La materia della trattazione si presterebbe a continui aggiornamenti, quasi quotidiani,
per questo motivo ad un certo momento ho dovuto porre fine alla mia opera di ricerca.
Quasi tutto il materiale è stato raccolto quando mi trovavo in Svezia, cioè fino a
settembre 2005 mentre la stesura è avvenuta quasi totalmente in Italia nei mesi di
ottobre, novembre e dicembre. In questi mesi al lavoro di stesura ho comunque
affiancato una continua opera di approfondimento e ricerca di notizie per rendere più
completa e aggiornato il mio lavoro. Una volta raccolta l’ enorme mole di materiale
sull’ argomento ho provato a ricostruire in maniera logica, ordinata e spero
comprensibile un viaggio alla scoperta di luci ed ombre di questa piccola parte della
galassia IKEA.
Un viaggio. Eh sì, questi mesi trascorsi a lavorare alla tesi sono stati un lungo e
straordinario viaggio, fisico e metaforico, geografico e mentale, nello spazio e nel
tempo. Un viaggio che oltre a farmi maturare ha anche portato a modificare la mia
concezione di comunicazione. Da una concezione di comunicazione come semplice
esplicitazione di ciò che si vuole condividere ad una concezione più sottile di
comunicazione implicita come emanazione spontanea di significato. Nel corso di questi
mesi di studio e ricerca mi sono imbattuto in numerose metafore utilizzate per
descrivere IKEA.
IKEA come un gigante dal volto buono e dalle spalle larghe, un lavoratore infaticabile
che vende bei mobili a basso costo, si preoccupa dell’ambiente e dei proprio lavoratori e
li tratta come figli, un gigante che sta ancora crescendo e ha affrontato situazioni
3
difficili e saputo sempre risolverle a proprio favore grazie al senso pratico e alla
razionalità ad hoc che da sempre la caratterizzano.
IKEA come mondo, un mondo bello, pulito, positivo, svedese, a cui si ha accesso
entrando nei megastore e di cui ci si può portare a casa un assaggio acquistando un
oggetto.
IKEA come setta, come religione, con un profeta, Ingvar Kamprad, un proprio testo
fondatore: Testamento di un venditore di mobili, i propri riti, ricorrenze, simboli e
luoghi sacri.
I manager IKEA come i vichinghi del ventunesimo secolo, i vichinghi del capitalismo
alla conquista dei mercati mondiali, non con le armi ma con l’apertura di centinaia di
negozi e la vendita di milioni mobili standardizzati e a basso costo.
Probabilmente la metafora più azzeccata per descrivere questa multinazionale è
paragonala ad una galassia organizzata ma molto complessa: la galassia IKEA. Il cui
centro è compreso fra Delft, in Olanda, la testa pensante dove si elaborano le strategie e
Älmhult, nella Svezia meridionale, il cuore pulsante dell’azienda, luogo di fondazione e
sviluppo dell’ IKEA-mässigt, il ‘modo di fare IKEA’. Le stelle più brillanti della
galassia sono le decine e decine di megastore diffusi ormai nei quattro continenti,
alimentate dalla nebulosa di fornitori e subfornitori, magazzini e centri di distribuzione
sparsi sul globo terrestre. IKEA è anche una galassia con vari buchi neri, dalla struttura
complessa e oscura che ha suscitato numerosi interrogativi per la sua segretezza.
IKEA in Svezia è molto più di una semplice fabbrica di mobili, è un’ istituzione come il
Press Byrån
2
e il Systembolaget
3
e un prodotto tipico come le aringhe, le köttbullar
4
e lo
2
Il Press Byran è una famosa catena di edicole diffusa in tutta la Svezia dalla riconoscibile scritta bianca
su sfondo blu ma sono negozi entrati a far parte dell’ immaginario collettivo svedese perché esistono dal
1903, sono presenti ad ogni fermata della metropolitana e in numerosi punti delle città. Nati come edicole
sono diventati una tappa fissa nella giornata degli abitanti di Stoccolma, anche grazie all’ orario d’
apertura insolitamente prolungato. Al mattino ci si può recare per fare colazione con caffè e kanelbulle, il
tipico dolce svedese, e comprare il giornale. A mezzogiorno sono negozi aperti per un rapido spuntino a
base di korv och dryck, ovvero hot dog e bibita analcolica. Per gran parte della giornata sono aperti per
comprare un quotidiano, ricaricare il cellulare, spedire una lettera, comprare un frutto o mangiare un
gelato.Per approfondimenti vedi www.pressbyran.se
3
I negozi Systembolaget sono gli unici luoghi in Svezia dove è possibile comprare bevande alcoliche
sopra i 3,5 gradi. Questi negozi sono di proprietà statale, in Svezia infatti esiste il monopolio statale dell’
alcol allo scopo di limitare i danni connessi all’ abuso della sostanza, fatto molto diffuso nel paese
scandinavo soprattutto nei week end. Sono riconoscibili per la scritta gialla su fondo verde e sono
anch’essi una tappa quasi obbligata nei giorni che precedono il week end. Infatti per tentare di limitare l’
abuso di alcol, il sabato i negozi chiudono alle 3 del pomeriggio mentre la domenica sono chiusi per tutto
il giorno. Dal lunedì al venerdì invece i negozi smettono di vendere alcolici alle 6 di sera. Dopo questi
orari si possono acquistare alcolici solo nei locali pubblici dove i prezzi sono più elevati, minimo 5,5 euro
per una birra da 0,4 litri.Per approfondimenti vedi: www.systembolaget.se
4
snus
5
, fa parte a pieno titolo dell’orgoglio nazionale svedese. Qualcuno ha detto che se
il partito socialdemocratico ha fatto prosperare la Svezia moderna e ha costruito le case
del popolo, Kamprad le ha arredate. Alcuni si sono spinti ancora più in là sostenendo
che la sua creatura abbia contribuito allo spirito democratico del paese più dei vari
governi socialdemocratici che si sono succeduti nella storia. L’accostamento con la
socialdemocrazia non è fuori luogo, da sempre IKEA ha avuto una forte vocazione
democratica, a parole: «Migliorare la vita quotidiana della maggioranza della persone»
e nei fatti, con la politica di mobili belli e funzionali a basso costo accessibili a più
persone possibili. Probabilmente l’azienda svedese più famosa nel mondo insieme ad
Ericsson e Volvo, sicuramente quella di maggior successo, simbolo della mentalità del
paese scandinavo o per meglio dire, dello Småland, regione della Svezia meridionale
dove è nata IKEA, caratterizzata da numerosi laghi, coperta di fitte foreste di conifere e
dalla tarda primavera colorata di giallo acceso dalla vivace pianta del ravizzone
6
in fiore
.
Attorno alla metà degli anni ottanta però è iniziata a emergere dentro e fuori IKEA
l’esigenza di capire come l’azienda si ponesse nei confronti dell’ambiente e nei primi
anni novanta è stata oggetto di critica da parte di associazioni per la tutela dei lavoratori.
IKEA ha saputo mettere a frutto in maniera costruttiva queste critiche che le sono state
mosse e ha adottato parametri e procedure estremamente avanzate e rigide, a volte più
di quanto le fosse stato chiesto.
Il viaggio che ho intrapreso nel marzo del 2005 e che ha avuto come atto conclusivo la
stesura di questa tesi, mi ha condotto alla scoperta di un paese, un popolo e una cultura
totalmente nuova. Solo vivendo in Svezia, ma soprattutto con gli svedesi, è possibile
tentare di comprendere lo spirito IKEA che nonostante sia ormai un gigante dell’
economia mondiale ha ancora forti tratti tipicamente svedesi ed è ancora profondamente
radicata e in sintonia con la cultura nazionale.
4
Sono le tipiche polpettine di carne da mangiare con patate, possibilmente novelle e cotte al vapore, e una
specie di marmellata di mirtillo rosso, il lingon
5
Lo snus è un tipico prodotto svedese a base di tabacco dalla consistenza pastosa che può essere
contenuto in sacchettini o meno e si posiziona fra le labbra e la gengiva allo scopo di ottenere i piaceri del
tabacco senza fumare. Lo snus ha una lunga storia che parte dall’ America del 1500. Il tabacco importato
inizialmente veniva fumato, poi si iniziò a trasformarlo in polvere da inalare o tabacco da masticare,
infine si approdo alla versione popolare ed economica del tabacco da masticare che si diffuse anche fra i
ceti meno abbienti. Per approfondimenti vedi: www.swedish-snus.com
6
Il ravizzone, in svedese rap, è un’ erba annuale del genere Brassica (Brassica napus oleifera), coltivata
nell’Europa centrale e settentrionale per ricavarne olio e impiegata nell’Italia settentrionale, soprattutto nel lodigiano,
specialmente come foraggio per gli animali.
5
All’ inizio del mio viaggio c’erano molte domande a cui non sapevo dare risposta, le
domande alle quali cercherò di dare una risposta nelle prossime pagine saranno: come
IKEA comunica la propria responsabilità sociale e la volontà di diminuire l’ impatto
ambientale delle proprie attività? Questa strategia che implicazioni ha nelle sue
relazioni con il cliente? Ci sono degli aspetti migliorabili? Sullo sfondo rimangono altri
dubbi come ad esempio, il profitto è conciliabile con un comportamento etico? Perché
IKEA ha iniziato a preoccuparsi dell’ambiente e dei lavoratori? Verso quali principi
orienta la propria responsabilità sociale e ambientale, a quali progetti collabora e
perché? Ma soprattutto quali critiche possono essere mosse ad un’azienda che ha fatto
della correttezza e della sostenibilità due dei suoi punti forti? Quali sono i punti deboli
della strategia di responsabilità sociale ed ambientale? A molte di queste ho trovato
risposta, altre rimangono ancora questioni aperte e nel frattempo, approfondendo la mia
conoscenza sull’ argomento sono nati nuovi dubbi.
Per tentare di dare risposta a queste domande ho tentato di addentrarmi nella realtà
IKEA con letture, interviste, incontri con collaboratori, letture di approfondimento su
internet, ricerche mirate e visite ai negozi. Cercando di dare risposta alle domande che
hanno mosso la mia ricerca riguardante questo importante aspetto della comunicazione
di IKEA. Probabilmente ho trovato risposta alla maggior parte delle mie domande
iniziali ma ne sono nate altre perché mi sono reso conto che la galassia è più complessa
e più articolata di quanto pensassi e ho anche capito che in ogni piano strategico vi sono
luci e ombre e che anche IKEA, non sono solo McDonald e la Coca Cola, desta i
malumori e le proteste di chi teme una globalizzazione standardizzata dei consumi.
Il primo capitolo è un capitolo generale per fare il punto della situazione su cosa
intendiamo con responsabilità sociale d’ impresa e su che ruolo può avere la
comunicazione nel metterla in pratica. Il secondo contiene una breve descrizione
generale del gruppo IKEA, la storia delle sue politiche di responsabilità sociale e
ambientale, una breve ricostruzione della sua presenza in Italia, tentando di carpire lo
spirito che sta alla base della filosofia di questa azienda. Successivamente, nel terzo
capitolo, passeremo ad analizzare concretamente come agisce IKEA nel campo sociale e
ambientale, quali sono le pratiche, quali gli strumenti che utilizza cercando di
comprendere l’ impianto generale della responsabilità sociale ed ambientale nel
processo di produzione, trasporto e distribuzione. Il quarto capitolo sarà maggiormente
incentrato sulla comunicazione, analizzando come questo processo avviene all’ interno
6
dei negozi e sui diversi mezzi di comunicazione. Tenendo in considerazione il fatto che
la comunicazione della responsabilità sociale e ambientale messa in atto da IKEA non è
molto esplicita ma punta più che altro a passare attraverso il modo di fare il proprio
lavoro e attraverso i propri prodotti, non viene vissuta come un vanto da mettere in
mostra ma come un aspetto fortemente legato all’ agire quotidiano, integrato nella
routine lavorativa, dalla progettazione al riciclaggio dei prodotti. Il quinto capitolo è
dedicato ai progetti di cittadinanza attiva di IKEA ed espone i vari progetti a cui
partecipa, sia a livello italiano sia a livello internazionale, segue una rassegna delle
organizzazioni che hanno contribuito e contribuiscono allo sviluppo, alla gestione e al
miglioramento della responsabilità sociale ed ambientale. Il sesto capitolo vuole essere
un’ analisi critica generale del concreto comportamento di IKEA da un punto di vista
etico. Un’ analisi svolta in base ad indagini, articoli, siti, report che negli ultimi anni
hanno rilevato delle carenze e dei difetti nelle politiche dell’ azienda. Il settimo e ultimo
capitolo invece raccoglie critiche ideologiche al modo di essere di IKEA, che secondo
alcuni favorirebbe l’ omologazione, la standardizzazione e il consumismo e di
conseguenza sarebbe uno dei protagonisti della globalizzazione dei consumi contro cui
si battono i cosiddetti gruppi no global. L’ ultima parte del capitolo è invece dedicata
alla controversa figura di Ingvar Kamprad, il vero artefice del fenomeno IKEA.
7
Capitolo 1
La responsabilità sociale e la cittadinanza d’
impresa nel 2006
1.1 Qualche definizione
7
Credo che all’ inizio di qualsiasi lavoro sia buona regola chiarire l’ uso dei termini
fondamentali attorno a cui ruoterà il discorso. Ho sempre ritenuto il dizionario un buon
amico e penso che comprendere l’ etimologia delle parole che usiamo sia fondamentale
per utilizzarle in maniera corretta. Vediamo cosa ci dice il a proposito dei termini più
importanti della trattazione.
Si definisce responsabilità l’essere responsabili:
che è tenuto a rispondere, rendere conto di qualcosa in quanto ne è
l’autore o la causa […] che deve rendere conto, per particolari
incarichi ricevuti delle conseguenze che il proprio operato può
determinare nei confronti cose o persone che gli sono state affidate.
Etimologia: derivato dal latino responsum, supino di respondere
‘rispondere’.
Nella definizione di responsabilità compare anche:
responsabilità civile o penale, condizione di un soggetto che deve subire una
sanzione per aver contravvenuto a una precisa norma del codice civile o
penale.
7
Le definizioni dei termini sono tratte dal Grande Dizionario della Lingua Italiana De Agostini, 1990,
Novara
8
Insomma essere in grado di rispondere, e se necessario pagare in prima persona per
azioni che non sono in linea con le norme valide in un certo momento e luogo.
Mentre con l’aggettivo sociale si intende:
1. Che vive in società, che per natura è portato a vivere in società.
2. Della società;che riguarda l’intera società in cui gli uomini sono
organizzati.
3. con significato più ristretto, che si riferisce all’ ambiente in cui uno vive ai
suoi rapporti con le persone con cui è moralmente a contatto
Etimologia: dal latino socialis, derivato di socius ‘compagno, alleato’.
Come si può notare il significato è assai ampio ma come ci fa capire anche l’ etimologia
è un termine che ha a che fare con la condivisione di qualcosa, con lo stare insieme, con
l’ appartenenza ad un insieme di persone.
Cercando ambientale sul vocabolario troviamo invece dell’ ambiente che a sua volta
significa:
1. L’aria, il luogo che ci circonda e in cui si vive.
2. Esteso. Il luogo, le persone, le cose in mezzo alle quali viviamo e che
condizionano la formazione della nostra personalità.
Etimologia: dal latino ambiens, -entis, participio presente di ambire andare
attorno usato nel senso di “ciò che avvolge” il luogo e le persone.
Leggendo il vocabolario potremmo interpretare la responsabilità sociale e ambientale d’
impresa come la capacità di un soggetto economico di rispondere delle proprie azioni
verso le comunità, le persone con cui interagisce e verso tutto ciò che circonda le stesse,
verso lo spazio in cui queste vivono. Non molto dissimile dalla definizione istituzionale
data dal Consiglio Europeo di Lisbona nel marzo del 2000:
Le responsabilità sociali comprendono l’assunzione di responsabilità
attiva nella società e nella comunità intraprendendo attività che vanno
oltre il profitto come la protezione dell’ambiente, prendersi cura dei
dipendenti e comportarsi eticamente nel commercio.
9
Tale concezione verrà ribadita anche nel luglio del 2001 con la pubblicazione del Libro
Verde che promuove la responsabilità sociale a livello europeo, in questa pubblicazione
verrà sottolineato che responsabilità sociale significa che l’impresa decide
volontariamente di migliorare la società e rendere più pulito l’ambiente, evidenziando
anche il fatto che tali valori devono entrare a far parte dell’ identità aziendale e si
concretizzano in politiche più attente verso i dipendenti e verso tutte le parti interessate
all’ attività dell’ impresa.
1.2 Un po’ di storia…
Vi sono esempi di responsabilità sociale d’ impresa fin dall’ inizio del ventesimo secolo
ma forse il momento in cui un certo tipo di valori entrano a pieno titolo nell’ arena di
discussione collettiva sono gli anni ’60. Proprio durante gli ’60 e inizio degli anni ’70 in
tutto l’occidente, iniziarono a svilupparsi una serie di movimenti di contestazione delle
istituzioni esistenti, dei valori dominanti, dell’ ordine sociale costituto e del sistema
economico in una situazione di estremo fermento sociale presero forma una serie di
fenomeni collettivi di critica allo status quo. Il quadro assai composito e intrecciato era
formato da gruppi di lotta contro la discriminazione dei neri americani guidata da
Martin Luther King e Malcolm X che contestavano il dominio e l’oppressione della
figura dell’ uomo WASP, White Anglo Saxon Protestant, da movimenti giovanili
studenteschi e beatnick che presero di mira soprattutto l’autoritarismo degli adulti,
l’antiquato sistema universitario e la guerra in Vietnam, dal movimento femminista che
metteva invece in discussione il ruolo sottomesso della donna ancora esclusa dalle
professioni più redditizie e gratificanti, spesso relegata al lavoro domestico alla
riproduzione e alla cura dei figli, altri fenomeni importanti furono il movimento operaio
di opposizione al metodo di produzione capitalistico e il movimento ecologista che
lottava per un diverso rapporto con la natura, mettendo in discussione l’ideale del
progresso e che ha come testo fondatore il libro di Rachel Carson Silent Spring,
pubblicato nel 1962 in cui l’ autrice denunciava i danni all’ambiente e alla salute umana
causati dai prodotti chimici. Contribuiscono a completare il quadro della contestazione
il movimento del dissenso cattolico, in aperta opposizione con le prese di posizione
10
della Chiesa vaticana del tempo e quello anarchico-radicale con il suo rifiuto totale
delle regole di convivenza su cui si basava la società civile e borghese del tempo.
Insomma una contestazione a tutto campo che mette in crisi i presunti ideali
universalistici su cui si basava la società del tempo, l’apparente uguaglianza delle
persone che a parere di questi gruppi non era tale e che si fanno portatori di valori nuovi
e comportamenti alternativi a quelli dominati. Tutte le minoranze che si percepivano
discriminate, si mobilitarono e combatterono per l’ottenimento di nuovi e maggiori
diritti. Al di là degli effettivi risultati conseguiti, un simile fenomeno sociale ha
sicuramente il pregio di aver portato a galla un disagio latente nella società, di aver
spostato la discussione pubblica su nuove tematiche e di aver imposto all’ attenzione
dell’intera società nuove problematiche. ( Colombo, 2002, pp. 16-22 )
Una delle eredità di questi movimenti è l’aver tematizzato la qualità della vita, i diritti
dei lavoratori e la sostenibilità dello sviluppo nel nostro rapporto con la natura. Le
stesse imprese, un tempo quasi totalmente dedite al profitto e incuranti delle comunità
in cui si inseriscono, iniziano proprio durante gli anni ’70 a dimostrare un maggiore
interesse per questi temi, cresce la sensibilità nei confronti della responsabilità sociale
dell’ impresa, verso i diversi stakeholder. In questi ultimi due decenni è anche emersa
una nuova figura del consumatore che cerca di conciliare il piacere derivante dall’
acquisto con la coerenza verso certi valori e principi etici, è un consumatore più attento
e razionale, più sensibile alle imprese che sanno arricchire il proprio marchio con
attributi valoriali che rispondano alla loro nuova domanda di senso nel momento dell’
acquisto.
Recentemente il problema ha assunto dimensioni planetarie a causa della crescente
globalizzazione e delocalizzazione della produzione industriale in paesi in via di
sviluppo e scarsamente regolamentati, dove sono molto complicati anche i controlli.
Fatti di cronaca recente hanno addirittura infiammato il dibattito sulla responsabilità
delle aziende, i casi Enron, Ciro, Parmalat, solo per citarne tre fra i più eclatanti ma
anche le condanne giudiziarie di aziende come Exxon, Shell, Altria, Unilever, Roche,
Nike, Del Monte, Nestlè e Coca-Cola per il mancato rispetto dei diritti dei lavoratori o
addirittura per l’infrazione di diritti umani o gravi danni all’ambiente hanno richiamato
l’attenzione di tutti sul comportamento di queste grandi potenze economiche. Questi
fatti di cronaca hanno stimolato dibattiti, convegni e pubblicazioni sull’ argomento,
portando contemporaneamente alla maturazione di una società civile attiva e
11
transnazionale che si batte per il rispetto globale dei diritti dei lavoratori e dei diritti
umani ed esercita una forte pressione sulle società transnazionali perché modifichino i
loro modelli di comportamento. La capitale di questo movimento è la città di Porto
Alegre, nel sud del Brasile, dove ha sede il Global Social Forum, un network globale di
movimenti e associazioni non governative e pacifiste che si oppongono alle politiche
neoliberiste del W.T.O., del Fondo Monetario Internazione e della World Bank,
valorizzando invece la partecipazione democratica, i saperi popolari e lottando per
l’estensione globale dei diritti umani e civili con l’ obiettivo di creare un welfare
internazionale. Nel settore pubblico organizzazioni internazionali come l’ I.L.O., l’
O.C.S.E., le Nazioni Unite e i governi nazionali hanno dato vita ad iniziative come il
gruppo Global Compact, una collaborazione fra imprese, o.n.g. e Nazioni Unite per
aiutare la crescita dei paesi attualmente in via di sviluppo creando così nuovi mercati
per le aziende. Sono sorte anche nuove associazioni fra le imprese come il World
Business Council on Sustainable Development e la Business Leader Initiative on
Human Rights per studiare le possibili soluzioni per conciliare profitto e sviluppo
sostenibile. A livello europeo si è mossa anche l’Unione con la pubblicazione di un
Libro Verde che contiene le linee guida della responsabilità d’ impresa, sono nate nuove
associazioni come CSR Europee nuovi standard come l’ EMAS. ( Capecchi, 2005 )
12
1.3 Il ruolo della comunicazione
L’ azienda ha compreso che essa non è un organismo autonomo ed isolato dal contesto
ma è collegata a migliaia di interlocutori e si muove in uno spazio sociale strutturato che
la condiziona nelle sue azioni ed è a sua volta condizionato dalle decisioni che essa
prende. Anche da qui nasce l’ esigenza di comunicare con i diversi pubblici, interni ed
esterni, mettendo in atto dinamiche di ascolto e flussi di comunicazione integrata per
capire la realtà che la circonda, informare su come agisce e stabilire un rapporto
fiduciario con gli interlocutori. Generare un rapporto di fiducia reciproca è un processo
assai lungo e molto complesso, come prima cosa l’azienda deve garantire la coerenza
fra i valori di riferimento dell’ identità aziendale, le strategie messe in atto, le azioni
compiute e gli effetti che genera sul tessuto socio-ambientale con cui interagisce. Altro
passo importante è acquisire la capacità di comunicare con trasparenza, ricorrendo alla
valutazione del proprio operato attraverso un controllo esterno e sistemi di monitoraggio
seri e certificati, sempre cercando di coinvolgere gli stakeholder in questi processi
comunicativi.
La comunicazione è un processo interattivo fondamentale per il funzionamento di un’
organizzazione come anche per la costruzione e condivisione della sua identità e assume
un ruolo ancora più importante nel momento in cui si decide di assumere delle
responsabilità sociali e ambientali. Il cambiamento organizzativo interno orientato ai
nuovi valori sociali ed ambientali va di pari passo con un cambiamento dei flussi e dei
processi comunicativi che devono essere visti nell’ ambito di un piano strategico ed
articolato che coinvolge tutti gli stakeholder, sia interni che esterni, nella definizione
della missione, della cultura e dei valori dell‘ impresa. In qualsiasi azienda è necessaria
una pianificazione strategica di lungo periodo che assicuri totale coerenza fra la
comunicazione interna ed esterna, solo così si può raggiungere l’ obiettivo di una
comunicazione integrata efficace.
Una comunicazione integrata è un processo che incide realmente e concretamente sull’
organizzazione aziendale, diventa parte della cultura dell’impresa arrivando a
modificare la comunicazione interpersonale quotidiana di tutti i collaboratori
permettendo di diffondere innovazione, non prevede modelli rigidi e gerarchici ma
valorizza i processi e favorisce l’ adhocrazia, cioè una razionalità rispetto agli scopi che
13
valorizza i risultati e non una razionalità procedurale e burocratica che invece tende a
conferire maggiore importanza alle procedure.
In questa cornice si può ben capire l’ importanza della comunicazione interna per un
efficiente funzionamento di un’ azienda, una buona comunicazione interna diffonde la
conoscenza e la condivisione della vision e della mission, coinvolge, motiva, genera
senso di lealtà nel personale, stimola il senso di appartenenza all’ azienda e di
identificazione nei suoi valori. Tutto ciò migliora il clima aziendale, crea le condizioni
per una risoluzione pacifica dei conflitti, insomma è il presupposto fondamentale per
una azienda moderna, flessibile e innovativa. ( Bertolo, De Sandre, 2003 )
1.4 Quale responsabilità?
Abbiamo parlato di responsabilità dell’ azienda ma che tipo di responsabilità
intendiamo? A.B.Carrol ( Gadotti, 2001, pp.200 ) ha costruito un modello a piramide in
cui divide la responsabilità delle imprese in 4 categorie diverse:
1. La responsabilità economica, cioè massimizzare il proprio profitto, in un’ ottica
neoliberista pura, sostenuta fin dagli anni ’60 da economisti come Milton Friedman,
convinto che questo è l’unico tipo di responsabilità che un’ impresa deve assumersi e
visto che, come unico interlocutore ha i propri azionisti, deve rispondere solo alla loro
volontà fornendo esclusivamente profitti, l’unico scopo verso il quale un’azienda deve
muoversi. Secondo l’economista premio Nobel statunitense, un’azienda non può
decidere cos’è socialmente responsabile, non ne è capace, dato che è solamente una
struttura legale artificiale da cui nessuno si attende questo, anzi considera la
responsabilità sociale delle imprese un’invasione di campo, arrivando a dire che non è
democratico metterla in pratica. Friedman d’altro canto è convinto del fatto che tutti i
membri di un organizzazione hanno delle notevoli responsabilità morali in quanto
individui. Con le sue parole:
L’ impresa ha una e una sola responsabilità sociale: quella di usare le
risorse a sua disposizione e di impegnarsi in attività dirette ad
accrescere profitti sempre con l’ovvio presupposto delle regole del
14
gioco, vale a dire dell’ obbligo ad impegnarsi in una aperta e libera
competizione senza inganno o frode
( brano tratto da Capitalism and Freedom, 1987. Contenuto in
Capecchi, 2005 )
Lo stesso Friedman è assolutamente contrario a ogni forma di welfare state, considera
dannosi i sindacati e la tassazione progressiva dei redditi e professa la privatizzazione di
tutto ciò che è possibile in nome della concorrenza e del libero mercato, insomma una
visione dello Stato totalmente asservito alla logica d’ impresa.
2. La responsabilità legale, cioè operare nel pieno rispetto di norme e leggi valevoli
nel territorio in cui opera. Potrà sembrare scontato che un’azienda non infranga le leggi
nazionali ed internazionali ma spesso non è così, e può essere una scelta basata su un
ragionamento strettamente razionale. Dal punto di vista economico, a volte conviene
lucrare su un prodotto, infrangere la legge e rischiare di dover pagare multe e
risarcimenti se si viene scoperti piuttosto che rinunciare a produrlo o adeguarsi alle
normative richieste e rinunciare a tutto o ad una parte del profitto. Solo in riferimento
agli anni ’90, sono infatti numerose le imprese che sono state multate da tribunali
statunitensi per gravi infrazioni di vario tipo a partire dalla Exxon per il disastro della
nave petroliera Valdez, per 125 milioni di dollari, fino alla Roche che ha pagato ben 500
milioni di dollari per un’ infrazione alla legge anti-trust negli Stati Uniti ma la lista
potrebbe continuare con la General Electric 9,5 milioni, la Chevron 6,5 milioni o la
Mitsubishi 1,8 milioni e molte altre
8
.
3. Responsabilità etica, corrisponde ad un orientamento sociale dell’impresa, vale
a dire di rispetto dei lavoratori, delle comunità con cui interagisce e del territorio in cui
queste abitano, non è sancita per legge ma è attesa dai consumatori e dai collaboratori
che sono sicuramente favorevoli ad acquistare i prodotti di aziende che dimostrino di
preoccuparsi delle condizioni dei lavoratori e dell’ ambiente. È un approccio di tipo
normativo e passivo secondo cui il rispetto delle norme viene assicurato con la
8
The Corporation di Mark Achbar, Jennifer Abbot e Joel Bakan, Big Picture Media Corporation, Canada,
2003. Basato sul libro: THE CORPORATION: The Pathological Pursuit of Profit and Power, di Joel
Bakan
15
cosiddetta accountability, cioè la conformità a sistemi di norme, a standard
internazionali e a certificazioni esterne da parte di organismi indipendenti.
4. La responsabilità filantropica o proattiva è un tipo di responsabilità più ampia,
con orientamento comunitario cioè quando l’azienda sente il dovere di condividere la
ricchezza prodotta con la società e si considera un attore legittimato a proporre
volontariamente e attivamente azioni pubbliche di promozione civile, sociale, di attività
culturali, di progetti nei paesi in via di sviluppo, iniziative di tutela ambientale che
esulano dal suo core business. Questo tipo di approccio permette all’ azienda di
evolvere dalla concezione di responsabilità sociale al più ampio concetto di cittadinanza
d’ impresa. Come spiega Antonio Gaudioso, nella sfera pubblica stiamo assistendo al
passaggio da una prospettiva di government ad una prospettiva di governance, il che
significa andare oltre il principio della semplice libertà di associazione con il
coinvolgimento di privati cittadini, associazioni e organizzazioni non statali nella
risoluzione di problematiche pubbliche che lo Stato non riesce a risolvere con le proprie
forze. Allo stesso modo, le imprese private sono chiamate ad esercitare le proprie
responsabilità anche al di là della semplice responsabilità economica, legale ed etica
proponendosi come attore legittimo nell’ intraprendere iniziative di rilevanza pubblica
di promozione civile, sociale ed ambientale. Uno dei punti fondamentali da cui muove
la cittadinanza d’ impresa è il coinvolgimento degli stakeholder nei processi di
costruzione di tali pratiche, ascoltandoli, confrontandosi in maniera aperta e costruttiva.
Vediamo cosa ci dice il dizionario a questo proposito. Alla voce cittadinanza troviamo:
1. collettivo, il complesso degli abitanti di una città;
2. titolo e grado di cittadino; l’appartenenza di un cittadino a uno Stato.
Etimologia: derivato di cittadino.
Per cittadino la relativa definizione è:
1. chi abita in una città;chi in una città partecipa al diritto di cittadinanza
2. per estensione, chiunque partecipi della cittadinanza di uno Stato
3. antico, concittadino
4. all’ epoca dei comuni, chi aveva posizione giuridica intermedia fra il
popolo e la nobiltà.