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CAPITOLO 1: COMUNICAZIONE E PSICOLOGIA POLITICA
1.1 LA COMUNICAZIONE COME INTERAZIONE SOCIALE
Con il termine “comunicazione” si può intendere sia il trasferimento di informazioni o messaggi
da un soggetto a un altro (o più soggetti), sia una relazione sociale.
Attraverso la comunicazione si crea, infatti, una rete di rapporti tra le persone; si determina il senso
di appartenenza ad un gruppo o ad una famiglia e si stabilisce il grado di coinvolgimento
intersoggettivo nelle attività quotidiane, fino a toccare tutti gli aspetti della vita sociale.
La nostra vita psicologica è fondata sull’interazione sociale; gli altri devono essere considerati come
parte integrante del nostro io ed è attraverso le interazioni sociali che si svolgono la maggior parte
delle nostre azioni “sociali” (porre e risolvere problemi, condividere significati…). (Talamo, 2003)
Queste attività sono spesso non consapevoli ,anche in una situazione di significati condivisi.
Tre sono gli assunti principali (cfr. Zucchermaglio 2003):
1) L’individuo, dal punta di vista psicologico sociale, esiste unicamente in un contesto
interpersonale, costituito cioè da relazioni con gli altri. L’interazione con gli altri non è
solo stimolo per la realizzazione delle attività cognitive individuali, ma è costitutiva della
cognizione stessa (Levine,Resnick,Heggins,1993 citato in Talamo, Zucchermaglio, 2003);
2) Le relazioni con gli altri formano il sé psicologico individuale;
3) Queste relazioni e le costruzioni che ne derivano sono realizzate principalmente
attraverso l’interazione discorsiva con altri: il discorso diventa quindi il modello dell’attività
mentale condivisa (Mecacci,1999 citato in Talamo, Zucchermaglio, 2003).
Il passaggio principale da informazione a comunicazione si ha quando oltre al passaggio di
informazioni pure (nozioni, saperi..) si mette in moto un processo relazionale che investe svariate
componenti del nostro agire; si avrà, infatti, con la comunicazione un processo interindividuale di
progressiva e costante trasformazione dei comportamenti, degli atteggiamenti e delle idee sia delle
persone con cui interagiamo, sia di noi stessi.
La comunicazione è, quindi, un’azione con un potenziale sociale molto rilevante.
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1.1.1 CARATTERISTICHE DELLA COMUNICAZIONE POLITICA
Al giorno d’oggi è presente una crisi nel rapporto tra sistema politico e cittadini.
Il problema di distanza /separatezza che sussiste tra mondo politico e società civile manifestatosi in
tutte le democrazie occidentali è da anni ormai nell’agenda di tutti coloro che si occupano di
comunicazione politica. Gli indicatori come la percentuale di votanti in continua diminuzione, il
numero sempre più ridotto di iscritti ai partiti politici e ai sindacati, con la diminuzione delle
componenti ideologiche nel confronto politico, ha prodotto un quadro complessivo di sostanziale
estraneità tra cittadini ed esponenti politici, tra governanti e governati.
L’espressione “comunicazione politica” suggerisce un collegamento tra i due mondi della
comunicazione (mass-media) e della politica (istituzioni, partiti politici, leader). Secondo
Wolton(1989) il termine comunicazione politica fa riferimento principalmente alla comunicazione
dei governi verso l’elettorato.
La comunicazione politica consiste nell’insieme dei processi di interazione tra gli elementi di un
sistema politico e tra questo sistema e il suo ambiente (Mazzoleni 2004).
Gli elementi che entrano in gioco nella comunicazione politica possono essere riassunti nel sistema
politico, la cui natura influenza direttamente il tipo di comunicazione politica (più sbilanciato sulla
personalizzazione della politica oppure sulle istituzioni); il sistema dei mass media, uno dei
principali sistemi di diffusione delle informazioni anche se non l’unico; infine, l’altro polo focale
della relazione, il cittadino/elettore. È importante sottolineare che il processo comunicativo che ha
per oggetto informazioni di tipo politico è presente solamente in sistemi democratici. Inoltre, il
flusso di informazioni si sviluppa su scambi pluridirezionali: tutti e tre gli attori in gioco creano,
veicolano e recepiscono messaggi dal contenuto di natura politica elaborato in varie forme.
Il contenuto del messaggio politico è di per sé multidimensionale e multistadio. (Mazzoleni,
2004).
È emesso e percepito in momenti successivi e investe le dimensioni della percezione non solo
verbale/linguistico, ma soprattutto simboliche e rituali. (Mazzoleni, 2004).
La natura del canale condiziona direttamente la gestione dell’informazione e l’atteggiamento di
chi la diffonde.
C’è da fare, inoltre, una importante differenziazione tra la comunicazione politica in campagna
elettorale (subordinata alla “caccia al voto”) e nella normale vita politica del paese (rinforzare il
proprio consenso o mobilitare nuovi adepti).
Si possono fare alcune distinzioni in base ai differenti approcci teorici e alle rispettive dimensioni di
analisi. della comunicazione politica:
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La pragmatica si occupa di analizzare le pratiche di comunicazione effettiva che intercorrono tra i
partecipanti all’ interazione: politico ed elettore. Questa prospettiva pone la sua attenzione
principalmente sulle forme di interazione sociale e sull’atto di comunicazione, piuttosto che sul
contenuto del messaggio.
I principi cardine sono la cooperazione e il conflitto, che vedono nella comunicazione politica uno
strumento di dominio. Questa concezione considera il linguaggio non neutro ma piuttosto come uno
strumento di potere.
La dimensione di analisi simbolica si riferisce all’uso che gli individui fanno dei simboli per dare
significato alla propria esperienza.
Simbolizzare vuol dire rappresentare la realtà dando significato alle cose. Prendere in
considerazione questo costrutto nella comunicazione politica, significa analizzare segni che un
codice linguistico rende disponibile. Non tutti i simboli hanno lo stesso potere, né lo stesso simbolo
assume lo stesso significato indipendentemente dal contesto e da situazioni spazio-temporali.
Le strategie comunicative anche in campo politico devono necessariamente corrispondere a
categorizzazioni e rappresentazioni dei destinatari.
La dimensione strutturale riguarda invece, i canali, le reti, i media attraverso i quali si hanno le
informazioni.
È possibile operare, secondo gli studi di comunicazione politica, tre distinzioni : il primo canale è
quello istituzionale e organizzativo (parlamento, partito, amministrazione), poi c’è quello mediale
(organi di informazione scritta e audiovisiva,con la novità della comunicazione mediata attraverso il
computer) e infine, quello interpersonale (gruppi sociali e relazioni interpersonali).
Fondamentale è l’approccio costruttivista alla comunicazione politica, che pone attenzione, a
differenza del comportamentismo, agli aspetti simbolici e cognitivi della comunicazione. Secondo
la psicologia sociale che si rifà al costruttivismo, infatti la comunicazione è una forma
d’interazione.
Si analizzano quindi, le relazioni tra il sé (entità costruita socialmente) e la società, considerata
come un processo continuo di comunicazione simbolica tra i diversi attori sociali.
L’interazione simbolica è, quindi, l’attività che permette agli essere umani di interpretare i loro
comportamenti reciproci e di agire sulla base dei significati ad essi attribuiti. (Hewitt 1999).
L’interazionismo simbolico pone la sua attenzione sui processi di interpretazione e sui modi con
cui gli individui costruiscono la realtà mediante una negoziazione con gli altri attori sociali (nella
comunicazione politica: i politici, il pubblico, i giornalisti attraverso i mezzi di comunicazione).
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L’individuo è considerato un attore della dinamica di comunicazione che attribuisce significato ai
messaggi politici trasmessigli.
Nelle diverse forme di comunicazione politica (retorica, informazione,argomentazione, ecc.) si
costruisce una categorizzazione della realtà che influenza la percezione della politica.
Sono gli eventi mediali che portano cambiamenti nel sistema istituzionale e politico di una società e
nel modo di comunicare di esso con i cittadini.
La mediatizzazione della politica con la novità portata da internet e suoi strumenti innesca in
questo ambito processi comunicativi dagli esiti ancora incerti nel lungo periodo.
Al giorno d’oggi è infatti difficile pensare alla politica senza fare riferimento ai mezzi di
comunicazione di massa e alla loro influenza sui processi decisionali elettorali della popolazione.
I mezzi di comunicazione di massa dalla seconda metà del novecento hanno sicuramente aumentato
la possibilità per uomini politici di comunicare,di informare,di interloquire con i cittadini,con la
possibilità da parte di quest’ultimi, quindi, di avere a disposizione una quantità inimmaginabile solo
poco tempo fa, di informazione. La comunicazione politica è quindi certamente amplificata dai
media, ma anche notevolmente condizionata da essi tanto oramai da considerare questi mezzi non
soltanto come strumenti neutri di conoscenza ,ma piuttosto come meccanismi che possono venire
controllati ,modificando e selezionando il flusso di informazioni che arriva all’elettorato.
In ambito politico infatti i soggetti selezionano e interpretano informazioni che sono già selezionate
e rielaborate dai mass-media.
Molti studi ad esempio, hanno messo in evidenza che le persone tendono a sottostimare l’influenza
dei media nei propri confronti e sovrastimare l’influenza nei confronti degli altri;,questa situazione
da parte degli psicologi della politica è chiamata effetto terza persona descritto per la prima volta da
Davison nel 1983 (citato in Catellani 1997).
L’ effetto sarebbe causato dal forte bisogno psicologico di percepire di avere un elevato controllo su
quello che capita nel mondo esterno.
Questa caratteristica è considerata una delle tendenze più comuni nell’ interpretazione della realtà,
funzionale al mantenimento della propria autostima. La capacità dell’elettorato in campo politico o
più in generale degli individui, di saper resistere all’ influenza dei mezzi di comunicazione di massa
sarebbe quindi utile per mettere in atto un confronto sociale nel quale il soggetto si sente più capace
di altri.
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1.2 LA PSICOLOGIA POLITICA
Per psicologia politica si intende lo studio dei rapporti che intercorrono tra il mondo del soggetto e
il mondo della politica. Si potrebbe dire proponendo una definizione che “la psicologia politica
studia le rappresentazioni e azioni dei potenziali attori della politica, ossia di qualunque soggetto in
quanto cittadino, leader o membro di gruppi che abbiano fine di carattere pubblico o collettivo”
(Hermann 1986, Larrue 1994; Amerio 1996 citato in Catellani, 1997). I soggetti studiati dalla
psicologia politica quindi non sono soggetti astratti, estranei al contesto in cui vivono, ma piuttosto
individui che agiscono all’ interno di una certa realtà che influenzano, e dalla quale sono a loro
volta influenzati. (Amerio 1991 citato in Catellani 1997)
La psicologia politica si interessa dei meccanismi che sono alla base dei processi di selezione
dell’informazione degli individui, alcuni indipendenti e altri dipendenti dal soggetto. Il primo
processo di selezione viene operato dai media, cioè da coloro che hanno il compito di informare la
cittadinanza riguardo la politica.
I mezzi di comunicazione, nell’operare, inevitabilmente, infatti, mettono in atto una selezione e un
interpretazione dell’informazioni, più o meno in modo intenzionale .
Un secondo processo di selezione delle informazioni studiato dalla psicologia politica e sociale
riguarda l’esperienza di vita del soggetto che caratterizza il suo comportamento e che è quindi
influenzato da fattori culturali ed esistenziali, indipendenti in larga misura dalla sua volontà.
Essere nato in un determinato luogo, vivere in certo ambiente sono ad esempio fattori che
condizionano le informazioni a disposizione del soggetto e determinano quella che comunemente in
psicologia politica viene chiamata esposizione involontaria all’informazione.
Nella selezione delle informazioni, comunque, il soggetto opera anche per sua volontà una scelta
riguardo l’informazione a cui fare riferimento, scegliendo per esempio alcuni giornali da leggere,
alcuni programmi televisivi o frequentando alcune persone piuttosto che altre; questa è quella che
invece viene chiamata “esposizione volontaria all’informazione” .(Catellani 1997)
Essere esposti comunque alle informazioni, non vuol dire prestarci necessariamente attenzione. La
psicologia cognitivista, infatti, pone in evidenza il fatto che esigenze di strategia mentale ci portano
a limitare il numero di informazioni alle quali prestare attenzione.
Possiamo considerare quindi un altro tipo di selezione che è basata sulle informazioni che catturano
l’attenzione del soggetto: informazioni basate sulla salienza (Catellani, 1997)
L’aspetto fondamentale di questo approccio è che le nozioni che l’individuo ha riguardo alla
politica sono fornite non solo dall’informazione ma anche dal modo in cui le conoscenze politiche
vengono selezionate, interpretate e riorganizzate dai soggetti stessi intrecciandosi con le componenti
extra-cognitive come le emozioni e le esperienze. (Catellani,1997)
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Ma concretamente cosa accade quando codifichiamo un informazione? confrontiamo questa nuova
informazione con concetti già noti e in questo modo le attribuiamo un significato.
I concetti vengono richiamati dalla memoria a lungo termine(M.L.T) o nella memoria a breve
termine (M.B.T), qui confrontati con l’informazione nuova proveniente dall’esterno in modo da
assegnarli un significato.
Una stessa informazione può rimandare a concetti diversi; il modo in cui verrà interpretata
dipenderà quindi da quale concetto sarà più accessibile nel momento dell’operazione di codifica.
L’accessibilità di un informazione è condizionata da determinati fattori che hanno un peso nelle
scelte dei soggetti anche in ambito politico.
Un primo fattore è la recenza del precedente uso del concetto; un concetto presente nella memoria a
breve termine da poco tempo ,rimane per un determinato periodo più accessibile di altri e verrà
utilizzato anche nell’interpretare un informazione successiva.
Un secondo fattore è la frequenza con il quale il concetto è stato attivato in precedenza e pertanto
ne determinerà la sua accessibilità.
Un terzo fattore è determinato dagli obiettivi perseguiti dal soggetto nel momento in cui effettua la
codifica dell’informazioni.
Quando un soggetto ascolta un discorso di un uomo politico su un determinato tema i concetti più
accessibili alla sua mente saranno presumibilmente diversi a seconda della situazione in cui si
troverà (ad esempio se in quel momento dovrà decidere se votarlo o no o se solamente dovrà farsi
un’idea sull’argomento di cui il politico parla). (Catellani, 1997).
Fondamentale nelle ricerche di psicologia sociale applicata alla politica è la percezione da parte
dell’ elettorato nei confronti dei politici.
Ci sono state ricerche che hanno indagato, infatti, quali sono gli elementi che determinano le
impressioni degli individui.
Da che cosa è determinata la percezione nei confronti dei politici? Il giudizio è influenzato dalle sue
caratteristiche personali, l’aspetto fisico, il livello culturale, il partito di riferimento, le sue posizioni
politiche?
Interessante a questo proposito la ricerca compiuta da Miller, Wattenberg e Malanchuk nel 1986
(citato in Catellani, 1997) che hanno studiato in quale misura e quali siano i fattori che influenzano
gli individui fino ad arrivare alla astrazione di queste tre categorie:
1) appartenenza partitica;
2) posizione politiche;
3) caratteristiche personali o tratti.
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I risultati di questa ricerca hanno evidenziato come in linea generale siano i commenti relativi ai
tratti personali quelli prevalenti, seguiti successivamente da quelli relativi al partito di riferimento e
dai comportamenti politici.
I tre studiosi hanno poi ulteriormente approfondito lo studio considerando cinque caratteristiche
legate ai tratti personali:
1) competenza
2) integrità
3) affidabilità
4) carisma
5) caratteristiche personali non riguardanti la vita politica.
Nel corso degli anni (la ricerca copre il periodo dal 1952 al 1984) la competenza è risultata essere la
categoria più citata dagli intervistati, seguita dall’integrità e dall’affidabilità, le ultime due categorie
prese in considerazione sono invece apparse variare a seconda del momento della rilevazione.
Questa ricerca quindi sottolinea il peso determinante che le caratteristiche di personalità hanno nel
giudizio sugli uomini politici, una rilevanza maggiore rispetto alla appartenenza politica e alle loro
idee riguardo i temi politici.
1.3 COMPONENTI AFFETTIVE DEGLI ATTEGGIAMENTI POLITICI E FATTORI
SOCIALI NELLA DECISIONE POLITICA
La psicologia politica ha studiato però non unicamente le componenti cognitive ma si è interessata
anche degli aspetti affettivi che sono alla base delle decisioni dei soggetti estendendo a questo
ambito la ricerca sugli atteggiamenti, tipica della psicologia sociale.
Il giudizio su un uomo politico è determinato, infatti, non solo da componenti cognitive ma anche
dai sentimenti che si provano nei suoi confronti.
Fondamentale nell’ambito della psicologia sociale europea è il riferimento alla teoria dell’identità
sociale di Tajfel e Turner (1986) (citato in Catellani, 1997), un approccio nel quale si sottolinea che
parte dell’identità del soggetto è costituita dalle appartenenze di gruppo che accadono nella sua vita.
Il soggetto anche quando decide da solo, senza un confronto con gli altri, è comunque in una
situazione in cui gli altri sono presenti, con i valori e le norme dei gruppi a cui appartengono; ne
consegue che gli individui non sono mai isolati ma condizionati nelle scelte che compiono da
appartenenze di gruppo molteplici, infatti secondo Elster (1986) (citato in Catellani, 1997) gli
individui hanno identità multiple la cui rilevanza varia dalle circostanze.
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Le decisioni si considerano determinate da due differenti bisogni: decisioni basate sul
soddisfacimento di bisogni materiali ed economici e decisioni, invece, basate dal soddisfacimento di
bisogni di altra natura legati alla espressione della propria identità, quindi fondamentalmente
sociali, chiamati dalla psicologia sociale “espressivi”.
1.4 CENNI STORICI SULLA PSICOLOGIA POLITICA
La Psicologia politica si sviluppa negli Stati Uniti seguendo un approccio funzionalista che vede il
sistema politico come insieme di relazioni fra i leader e l’opinione pubblica.
Questa impostazione concentrando l’attenzione sui soggetti della politica ha creato le premesse
per una collaborazione fra psicologi sociali e politologi.
La storia della disciplina può essere suddivisa in differenti periodi storici nel corso del ‘900 fino ad
oggi, a seconda degli approcci teorici prevalenti.
Negli anni 40-50 la psicologia politica ha indagato i fattori di personalità e la loro influenza
nell’esercizio della politica, basandosi sulle concezioni della teoria psicoanalitica.
Lasswell (1930;1948) (citato in Catellani 1997) attraverso la ricostruzione delle diverse fasi
evolutive nella vita di alcuni leader politici cerca di spiegare i motivi che spingono alcuni individui
a impegnarsi in politica.
I politici sarebbero caratterizzati da un forte ego, da ansie irrisolte che li porterebbe a cercare
conferme su se stessi all’ esterno.
Già verso la fine degli anni ‘50, comincia a svilupparsi un filone di ricerca di psicologia politica che
concentra la sua attenzione sull’analisi del comportamento dei cittadini, la cui influenza si esprime
attraverso il voto.
Il tema quindi diventa lo studio del comportamento elettorale e degli atteggiamenti politici dei
cittadini stessi.
In questi anni l’interesse della psicologia politica è riferito allo studio della cosiddetta “opinione
pubblica” (Secondo la celebre definizione di Lippmann, 1922, citato in Catellani 1997).
Questa definizione, entrata nel linguaggio comune, fa riferimento all’idea che i soggetti si
costruiscono delle rappresentazioni semplificate della realtà circostante e sulle basi di queste
prendano decisioni e agiscano di conseguenza.
A partire da questa prospettiva Campbell e altri nel volume “The American voter” (1960, citato in
Castellani, 1997) propongono di estendere all’ambito politico la nozione di “atteggiamento”
elaborata dalla psicologia sociale.
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Secondo questi autori il processo di socializzazione e la famiglia giocano un ruolo determinante
nello sviluppo di una identificazione con i partiti, fino a influenzarne la scelta di voto.
Il voto quindi sarebbe basato su fattori fondamentalmente irrazionali.
Downs e altri studiosi (An economic theory of democracy, 1957, citato in Catellani 1997) invece
interpretano il comportamento individuale in campo elettorale come razionale; gli individui hanno
la possibilità di scegliere tra le possibili alternative quella più utile per se stessi.
Negli anni ‘70 –‘80 l’approccio cognitivista denominato “political cognition” entra a far parte della
psicologia politica spostando l’attenzione sull’esame di processi mentali di elaborazione
dell’informazione, per capire attraverso quale meccanismo l’elettore compia determinate scelte.
Il soggetto è, secondo questo approccio, attivo; elabora e seleziona le informazioni provenienti
dall’ambiente esterno e si costruisce, sulla base di queste, una realtà compatibilmente ai vincoli
della mente umana; un individuo, quindi, è caratterizzato secondo Simon, da una razionalità limitata
(citato in Catellani 1997).
Questa concezione si differenzia, quindi, dalle precedenti che erano sostanzialmente centrate su una
visione che sottolineava come gli aspetti emotivi fossero fondamentali nello spiegare il
comportamento elettorale degli individui.
Negli anni ‘90 si riprende un tema già sviluppato negli anni ‘80 cioè quello della conoscenza
politica con più attenzione al contesto in cui i processi di conoscenza vengono compiuti. Si afferma,
infatti, l’idea che la qualità e la quantità delle informazioni elaborate varino in funzione di diversi
fattori collegati al contesto in cui il compito cognitivo viene eseguito, come la motivazione
individuale, gli scopi, la personalità, i ruoli che l’individuo riveste nelle situazioni, le regole che si
da e che deve rispettare. (un modello che porta a definire semplicemente l’uomo come un tattico
motivato - Fiske e Taylor 1991)
1.5 LINGUAGGIO E POLITICA: UN APPROCCIO PSICOSOCIALE
Dal punto di vista psicosociale nello studio del linguaggio politico, sembra determinante l’esame di
come gli interlocutori definiscano se stessi e gli altri in relazione a questo ambito.
Per gli uomini politici si tratta innanzitutto di definire se stessi, il proprio gruppo, e di riuscire ad
ampliare questi confini in modo che altri ne entrino a far parte, identificando i propri avversari.
Dal canto loro i cittadini quando parlano di politica sembrano avere pressante l’esigenza di definire
se stessi in relazione a coloro che percepiscono schierati su una sponda opposta dal punto di vista
politico.