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cambiamenti riguardanti il mondo dei mass media e della comunicazione che
successivamente hanno preso piede nel resto del mondo. L’America ha sperimentato in un
solo secolo un numero impressionante di trasformazioni che dall’ambito comunicativo si
sono poi riversate in quello politico.
Per analizzare questi cambiamenti si è partiti dal valutare, nel Capitolo Uno, gli aspetti
prettamente teorici riguardanti la natura della politica, risalendo alle funzioni e alle
connotazioni con cui questa veniva intesa nelle polis della Grecia antica. Valutando le
modifiche che questo ambito subisce nell’affiancare, e alla fine fondersi, con il mondo
della comunicazione, si sono poi illustrati le caratteristiche dei tre principale attori che
compongono la comunicazione politica e i suoi vari modelli interpretativi. Poi sono state
riportate le caratteristiche proprie dei consulenti politici, i motivi che li hanno resi una
figura di cui la politica non è in grado più di fare a meno e le principali tecniche utilizzate
da questi soggetti per inserirsi e modificare le modalità interpretative dei mezzi di
informazione.
Nel Capitolo Due si sono anticipate, in linea generale, le evoluzioni della comunicazione
politica avvenute negli Stati Uniti e i motivi che l’hanno portata a diventare il modello di
riferimento di tutti gli altri paesi. In particolare sono state riportate le peculiarità delle
singole ere in cui è possibile raggruppare le trasformazioni avvenute in questo ambito nel
corso del ‘900, in funzione della quali sono stati strutturati i capitoli successivi, in cui si è
analizzato con maggiore profondità le concrete strategie comunicative adottate dai vari
presidenti.
Nel Capitolo Tre, incentrato sulle campagne elettorali definite premoderne, sono state
studiate le particolarità proprie della comunicazione politica dalla fine del 1800 fino alla
metà del ‘900. Maggiore attenzione è stata rivolta al principale innovatore di questo
ambito, Franklin Delano Roosevelt, e alla nascita della prima agenzia di consulenza
politica avvenuta nel 1934 durante la corsa elettorale alla carica di Governatore dello Stato
della California.
Successivamente, con il Capitolo Quattro, si è passati alle campagne elettori moderne,
sviluppatesi a partire dagli anni ‘60 per giungere a piena maturazione negli anni ’80. In
questa era, segnata dall’avvento della televisione, sono state approfondite le modifiche che
questo mezzo ha apportato all’ambito della comunicazione politica. Partendo dall’utilizzo,
avviato dal presidente Eisenhower, degli spot pubblicitari a scopi elettorali, si è passati ad
analizzare il primo dibattito televisivo tra Kennedy e Nixon e le modalità con cui
l’immagine di quest’ultimo fu appositamente ricostruita nella successiva campagna
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elettorale del ’68. Infine, sempre in questo Capitolo, si è rivolta l’attenzione alle profonde
trasformazioni generate in ambito comunicativo della presidenza Reagan, soffermandoci in
particolare sull’avvento della cosiddetta campagna permanente.
Il Capitolo Cinque si è incentrato sulle campagne elettorali tardomoderne, sviluppatesi tra
gli anni ’90 e il 2008, analizzando la presidenza Clinton e confrontando, in particolare, il
frame adottato allora per proporre una riforma sanitaria con quello utilizzato ai giorni
nostri dal presidente Obama per il medesimo disegno di legge. Poi l’attenzione è stata
rivolta alle modalità comunicative con cui è stata affrontata la guerra in Iraq durante i due
mandati Bush, soffermandosi sulle tecniche di Media e News Management.
Il Capitolo Sei, infine, si è rivolto ad analizzare gli innovativi cambiamenti comunicativi
avvenuti nella campagna presidenziale del 2008, tanto profondi da permettere di
individuare in essi le premesse di una fase postmoderna delle campagne elettorali. In
particolare, l’attenzione si è soffermata sull’esteso utilizzo delle nuove tecnologie
compiuto dal presidente Obama e dell’estesissima, eppure agile, macchina elettorale
realizzata in primo luogo attraverso strumenti quali i social network.
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1. La politica è dialogo
A chi gli chiedeva come mai si era riusciti a
scoprire l’atomo ma non ancora i mezzi per
controllarlo, Albert Einstein rispondeva:
“È semplice, amico mio, perché la politica è
più complicata della fisica”.
Ciò che costituisce interiormente la sfera politica è il dialogo, attraverso un’equazione che
rende impossibile separare l’attività discorsiva da quella politica. Lo scambio di idee,
opinioni e informazioni tra individui si sovrappone alle azioni e ai comportamenti della
prassi politica, tanto che è solo “attraverso il linguaggio che noi articoliamo e confermiamo
tutte le cose che chiamiamo politiche” [Corcoran, cit. in Mazzoleni 2004, p. 113].
È all’interno del binomio tra azione e discorso che si può inscrivere il concetto di
comunicazione politica, dove l’agire diventa subordinato alla capacità di comunicare con
gli altri, e così facendo di convincerli.
Nella sua analisi sull’origine e sul senso della politica Hanna Arendt mostra come ogni
individuo attraverso la sua prassi politica all’interno dello spazio pubblico, cioè attraverso
l’agire e dialogare con e verso gli altri, manifesta la propria identità.
Agendo e parlando gli esseri umani rivelano chi sono, rivelano in modo attivo l’unicità
personale della loro identità, fanno la loro comparsa in tal modo sulla scena del mondo,
manifestando la loro identità fisica attraverso la figura unica del corpo e l’unicità del
suono della loro voce [Arendt 1991, p. 129].
Parole e comportamenti in questo modo si intrecciano fra loro, fino a diventare due
elementi inscindibili dell’agire politico.
Senza essere accompagnata dal discorso, l’azione perderebbe non solo il suo carattere di
rivelazione, ma anche il suo soggetto. […] L’azione è rivelata agli uomini dalla parola;
[…] acquista rilievo solo l’espressione verbale mediante la quale il soggetto identifica se
stesso come attore, annunciando ciò che fa, che ha fatto e che intende fare [ibidem, 128].
Da questa concezione ne deriva, secondo la Arendt, che nella discussione e nel confronto
tra il pubblico dei cittadini risiede la base della democrazia, all’interno di quel public realm
dove si realizza la gestione del potere e la rappresentanza della volontà popolare.
I primi luoghi in cui si attuò questo processo democratico furono le polis dell’antica
Grecia, nelle cui agorà liberi cittadini usavano un linguaggio comune per cercare di
affermare le proprie opinioni attraverso l’azione persuasiva della parola [Mazzoleni 2004,
p. 16].
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Fu la stessa filosofia greca ad interrogarsi per prima sul problema della comunicazione,
analizzando i rapporti politici tra i membri di una comunità democratica. Anche se,
ovviamente, i filosofi dell’antichità nelle loro osservazioni non usarono mai il termine di
comunicazione politica, nelle polis greche erano già argomento di dibattito le modalità di
comunicazione adottate dagli oratori, e in particolare l’uso della dialettica nel confronto
politico. Già 2500 anni fa il processo democratico richiedeva ai cittadini greci, accanto ad
un’adeguata educazione politica, delle abilità comunicative a cui cercavano di provvedere i
filosofi Sofisti del V secolo a.C. Offrendo le proprie conoscenze dietro compenso, questi
maestri dell’arte oratoria impartivano lezioni di grammatica e retorica ai ceti dirigenti,
offrendo le nozioni indispensabile per intraprendere la carriera politica. I cittadini
scontrandosi, discutendo, cercando di imporre questa o quella posizione facevano politica
sfruttando la retorica insegnatagli da questi filosofi, che ne fecero l’arte di persuasione per
eccellenza. Le tecniche della parola erano determinanti nella competizione per il potere
sociale, dove il peso politico dipendeva dalle abilità oratorie dei soggetti e dalla loro
capacità di far prevalere la propria opinione attraverso la sola dialettica [Mazzoleni 2004,
pp. 12-13].
Al giorno d’oggi la retorica ha finito per perdere quella centralità e quel prestigio che
godeva nel passato, assumendo una connotazione dispregiativa, con il significato di
artificioso e perfino falso. Ma il linguaggio della politica, col passaggio dalle democrazie
antiche a quelle moderne, è rimasto ugualmente il linguaggio della persuasione, anche se al
termine retorica si sono sostituiti quelli di propaganda e pubblicità, più propriamente adatti
alla comunicazione di massa. A distanza di venticinque secoli, benché le tecniche di
persuasione, i rituali, le modalità di partecipazione democratiche, in sintesi la
comunicazione politica, si sia evoluta e trasformata passando dalle agorà delle città greche
ai talk show delle emittenti televisivi, al centro di analisi e osservazioni rimane ancora lo
stesso problema aperto: come persuadere l’elettore a dare la propria fiducia, il proprio
consenso e, alla fine, il proprio voto.
1.1. Un campo difficile da delineare
Affermare che il linguaggio politico è un potente fattore all’interno della società, che
politici e cittadini raggiungono e controllano il potere attraverso l’uso della parola,
significa affermare la crucialità della comunicazione politica, con i suoi simboli, la sua
retorica e i suoi rituali. Ma all’interno della letteratura scientifica non esiste una definizione
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onnicomprensiva di tutti i vari aspetti che appartengono a questo vastissimo ambito. La
ragione risiede nell’estrema complessità di un fenomeno che nasce dal connubio di due
attività così ampie e diversificate quali la politica e la comunicazione, ognuna delle quali
segnata da caratteri propri che, se in parte si mantengono intatte, nel contempo si
influenzano a vicenda. Una definizione da cui partire, per quanto incapace di comprendere
appieno la molteplicità dei vari aspetti, è offerta da Mazzoleni che inscrive all’interno della
comunicazione politica “lo scambio e il confronto dei contenuti di interesse pubblico-
politico prodotti dal sistema politico, dal sistema dei media e dal cittadino-elettore”
[ibidem, p. 29].
Questa definizione chiama in causa quelli che sono i tre attori principale di questo processo
dinamico, ognuno dei quali caratterizzato da differenze individuali. Riproponendo la
classificazione di questi soggetti proposta da Mazzoleni è possibile così identificare:
il sistema politico, sotto la cui etichetta rientrano due diversi tipologie. Da un lato,
l’arena politica pura, che comprende i soggetti impegnati nella competizione per il
potere che esprimono un interesse di parte volto, attraverso la propaganda elettorale, a
guadagnare consensi e voti. Dall’altro, l’insieme dei soggetti politici che rivestono
funzioni istituzionali, i quali esercitano principalmente un tipo di comunicazione che
“pubblicizza” l’azione di governo, trasmettendo ai cittadini il loro operato. Ma questa
distinzione nella pratica diventa assai labile, in quanto le stesse campagne di
informazione organizzate da un governo comportano inevitabilmente una promozione
positiva per il leader o il partito al governo, promozione che oltre a mantenere il
consenso diventa spendibile in seguito in una possibile ricandidatura. In questo
contesto, per il politologo francese Gerstlé, “la comunicazione impregna l’intera
attività politica a tal punto che quasi tutti i comportamenti politici implicano un ricorso
ad una qualche forma di comunicazione” [citato in Mazzoleni 2004, p. 31]
il sistema dei media, secondo la definizione di McQuail è “l’insieme delle istituzioni
mediali che svolgono attività di produzione e di distribuzione del sapere” [citato in
Mazzoleni 2004, p. 24]. Nella loro attività i mezzi di comunicazione svolgono una
duplice funzione, ponendosi come interlocutori del sistema politico e nel contempo
come portavoce dell’opinione pubblica dei cittadini.
il cittadino-elettore, identificato normalmente come l’anello debole di questo sistema,
in cui a dominare sono gli altri due protagonisti, in realtà è il fattore per cui si attiva
tutto il processo della comunicazione politica. I soggetti politici necessitano del
consenso, e quindi del voto, dei cittadini per raggiungere il potere; in ugual modo i
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media necessitano del pubblico per avere un audience che li legittimi [Mazzoleni
2004, p. 220]. Ma questo terzo attore non è immediatamente identificabile, non essendo
inscrivibile in una struttura definita. Così l’opinione pubblica e l’elettorato non esistono
di per sé, ma prendono corpo solo in momenti precisi in cui sono chiamati a esprimersi
su argomenti specifici, nel caso dei sondaggi, o sulla propria preferenza politica, nel
momento delle elezioni.
Questi tre attori della scena politica si inseriscono in un contesto dinamico qual è quello
dello spazio pubblico che, caratterizzato da una parità tra i soggetti prima all’età
postindustriale, con l’avvento della televisione si è trasformato in spazio pubblico
mediatizzato, in cui la posizione predominante è occupata dai mezzi di comunicazione di
massa. Questi due diversi stadi possono essere rappresentati attraverso il modello
“pubblicistico-dialogico” e il modello “mediatico”.
Nel primo modello, quello “pubblicistico-dialogico”, si realizza un processo di interazione
discorsiva tra tutti i soggetti dello spazio pubblico. I mass media contribuiscono a creare
questo spazio, ma con un’azione che va a sommarsi a quella compiuta da politici e
cittadini. Questi due attori possiedono da soli la capacità di comunicare autonomamente tra
di loro attraverso forme di interazione diretta che evitano così l’intermediazione dei mezzi
di comunicazione. Attraverso le piazze, luoghi fisici dell’incontro tra politici ed elettori, e
per mezzo dei comizi, forma tipica di comunicazione diretta, si ha la possibilità di un
rapporto “immediato”. Facendo a meno dei mass media si rende la comunicazione politica
mediatizzata solo una delle possibilità comunicative instaurabile tra i soggetti, che si
realizza solo quando tutti e tre gli attori dell’arena politica vengono coinvolti
contemporaneamente.
Ma il peso crescente che i media hanno assunto nella società contemporanea, soprattutto
grazie allo stretto connubio che si è instaurato tra televisione e mondo politico a partire
dagli anni ‘60, ha fatto si che il loro peso risultasse predominante rispetto a quello degli
altri due attori. Questa evoluzione ha portato all’affermarsi del “modello mediatico”,
secondo cui l’interazione politica non può che avvenire all’interno di uno spazio pubblico
mediatizzato. I media forniscono i canali tra cittadini e politici, condizionando la natura dei
loro rapporti e obbligandoli ad adattarsi alle logiche che governano la comunicazione di
massa, da cui non possono più prescindere. È la realtà virtuale del confronto televisivo o
della campagna pubblicitaria a dare forma e sostanza alla comunicazione mediatizzata,
ponendosi al centro tra politico e cittadino e privandoli di qualunque contatto diretto.