- 4 -
sposizione, e vanno da un semplice ordine come “fa!” o “non fare!”, “fer-
mati!” o “và!” ( che può essere trasmesso anche con un'espressione o con
un gesto, con mezzi grafici o con una segnalazione luminosa convenziona-
le, o con la parola) alle espressioni più alte del pensiero e del sentimento
umani, cioè le grandi opere letterarie e teatrali, i capolavori della pittura, della
scultura e della musica, la religione, la filosofia e la scienza.
2. Un pò di storia: dal “filone ipodermico” alle teorie di Wolf
A disposizione dei primi uomini non c'erano però tutti questi mezzi di
comunicazione, dei quali alcuni sono infatti molto recenti, e nella lunga storia
dell'umanità lo stesso linguaggio scritto risale soltanto a epoche relativamente
recenti.
Sebbene ognuno di noi abbia nozione di cosa sia la comunicazione, o
quanto meno di cosa rappresenti, risulta abbastanza difficile definire con pre-
cisione il campo di validità di questo concetto.
Per dirla con Mc Luhan, e senza discostarsi dall'impostazione struttura-
lista, nella comunicazione confluiscono “tutti gli artefatti umani e tutte le
- 5 -
istituzioni, qualsiasi essi siano, con tutte le loro utilizzazioni, i loro modi
di esistenza e i loro significati. In riferimento all'assioma di Waztelick:
TUTTO È COMUNICAZIONE.
Tutto ciò che è fatto dall'uomo si può ritenere come una forma di linguag-
gio, sia essa designazione di una stato d'animo, presupposto o struttura della
realtà , o segno di un'aspirazione di colui che lo suscita. Il tessuto della civiltà,
nelle sue forme concrete o impalpabili è dunque un medium o un insieme
di media”
1
.
Il riferimento a questa accezione del termine non agevola il compito di
tracciarne i confini; semmai evidenzia la valenza sociale del comunicare e
la sua complessità, la sua estensione oltre ciò che siamo soliti pensare.
Alla base di tutti di studi di linguistica, che insieme alla psicologia e alla
sociologia concorre a chiarire i nostri dubbi, esistono vari modelli e teorie
comunicazionali cui conviene riferirsi.
Un primo approccio al problema fu tentato dallo sviluppo della “teoria
ipodermica”, a cavallo tra le due guerre mondiali. L'assunto da cui muove-
(1)
M. MC LUHAN, «Dall'occhio all'orecchio», Armando ed., Roma, 1982, p. 15.
- 6 -
va questa teoria era che ogni membro del “pubblico di massa è personalmente
e direttamente attaccato dal messaggio”
2
.
Una teoria che, più che altro, serviva a giustificare le esigenze di propa-
ganda dei regimi totalitari dell'epoca dove “la massa doveva travolgere tutto
ciò che era differente, singolare, individuale e selezionato”
3
.
Parallelamente alla crescita del “filone ipodermico”, H. Lasswell andava
sviluppando un modello comunicazionale basato sul ruolo attivo del comu-
nicatore e sul ruolo passivo del pubblico ricevente. Il modello proposto nel
1948, portò al superamento definitivo della “teoria ipodermica”, divenuta
anacronista all'indomani del fallimento dei regimi oscurantisti.
Secondo Lasswell per identificare un atto comunicativo è necessario porsi
5 domande: chi dice, che cosa, attraverso cosa, a chi e con quale effetto.
Ne discende un modello lineare del tipo:
EMITTENTE Ë MESSAGGIO Ë RICEVENTE Ë EFFETTO
Ë
CANALE
attraverso cosa
(2)
M. WOLF, «Teorie delle comunicazionin di massa», Bompiani ed., 1985, p. 16.
(3)
M. WOLF, op. cit., p. 18.
- 7 -
che, pur definendo con precisione la struttura della comunicazione, presta
il fianco ad una serie di critiche per le evidenti lacune che presenta.
Il modello, infatti, non fa riferimento ai mezzi con cui inviare il messag-
gio, nè prende in esame il contesto spazio-temporale nel quale si verifica
e, quindi, la possibilità di una distorsione del messaggio stesso.
Ma, soprattutto, a Lasswell viene contestato l'andamento lineare dell'atto
comunicativo, quasi che il prodotto finale di tale atto (l'effetto) fosse ester-
no alla fonte che lo ha determinato (emittente).
L'effetto, dunque, potrebbe anche non esserci e la comunicazione avver-
rebbe lo stesso. Accettando questa impostazione, pertanto, si avalla l'ipotesi
che l'emittente di un messaggio possa restare del tutto indifferente alle
conseguenze che la sua comunicazione provoca sul ricevente.
Studi più recenti, invece, hanno dimostrato la circolarità dell'atto comu-
nicativo.
Innanzitutto se non si produce un effetto, ossia trasferimento di qualche
cosa (informazioni, beni, etc.) da una fonte ad una audience, non si può dire
che vi sia comunicazione, poiché, come abbiamo visto, comunicare signi-
- 8 -
fica mettere in comune, scambiare. E lo scambio si presenterà in diverse
forme a seconda del diverso impatto che il messaggio lanciato dall'emitten-
te provocherà sul ricevente.
Ma dipenderà, anche, dalla possibilità e dalle capacità del ricevente di
decodificare il messaggio e dalla sua volontà di interrelarsi.
Ecco dunque che il ricevente cessa di essere un semplice soggetto pas-
sivo della comunicazione ed esercita un ruolo attivo, fornendo all'emittente
una serie di risposte, che variano da soggetto a soggetto e da messaggio a
messaggio.
Il ricevente diviene così l'iniziatore di un “messaggio di ritorno” agendo
sull'informazione che gli è disponibile ed elaborandola.
Una parte di questa risposta rientrerà alla fonte (fenomeno che viene chia-
mato feedback o retroazione) influenzando l'emittente originario del mes-
saggio che ricoprirà il ruolo passivo di ricevente.
È bene comunque non cadere nella facile tentazione di separare rigida-
mente i due ruoli esercitati da emittente e ricevente, nel senso di attribuire
loro funzioni attive e ora funzioni passive: come ci avverte Mauro Wolf
- 9 -
“emittente e ricevente sono entrambi partner attivi nel processo di comunica-
zione”
4
proprio per il loro reciproco vincolarsi.
3. Valore sociale della Comunicazione
Per quanto riguarda il contesto spazio - temporale dove la comunicazio-
ne avviene, non si possono non considerare le diverse connotazioni di ca-
rattere politico, legislativo e culturale che ogni agglomerato sociale esprime
e vincolano in misura differente gli individui ad esso appartenenti
5
.
La comunicazione può avvenire su diversi registri (verbale e non verba-
le), a diversi livelli (consapevole e inconsapevole), attraverso diversi canali
(via etere o a mezza stampa), con riferimenti diversi (personale o imperso-
nale).
Il messaggio, a sua volta, può essere orale, scritto, trasmesso, inviato. Il
comunicare, in sostanza, appare il meccanismo naturale che scatta nell'uo-
mo quando questi entra in contatto con i suoi simili ed il più congeniale
all'espressione della propria personalità ed al conseguimento dei propri fini.
(4)
M. WOLF, ibidem.
(5)
E. CHELI, «I processi comunicativi umani», CEI, Roma, 1988.
- 10 -
Si comunica con tutto: con la parola, i gesti, lo sguardo, l'atteggiamento e
persino con il silenzio.
Non tutta la comunicazione o gli effetti da essa provocati, inoltre, sono
da noi controllabili. L'uomo può agire sui messaggi che lancia, può tentare
di modellarli e di renderli strumentali agli obiettivi che si pone, ma, di certo,
non può evitare di comunicare.
Si comunica anche “in assenza di intenzionalità e consapevolezza: in pre-
senza di altre persone, infatti, è impossibile non comunicare... ogni compor-
tamento ha in sè una quantità potenziale di informazione che diviene effet-
tiva se qualcuno percepisce tale comportamento e, di conseguenza, anche
inconsapevolmente il significato”
6
.
Riassumendo, la comunicazione è un fenomeno psico-sociale che non può
essere confinato nella semplice “trasmissione di un messaggio” ma va
analizzato alla luce della sua mobilità, del fatto che circola dentro un siste-
ma di relazioni
7
.
La comunicazione intesa in questa accezione circolare rientra, dunque,
(6)
E. CHELI, op. cit., p. 35.
(7)
Sul «sistema continuo aperto» vedi A. MIOTTO, «Le comunicazioni nelle aziende e nelle società» in «Psicologia dello sviluppo
economico, 1966, pp. 115-128.
- 11 -
in un sistema continuo aperto dove, più che controllare la circolazione, bi-
sogna prestare attenzione ai ritorni dell'informazione secondaria ed alla con-
tinua possibilità di cambiare atteggiamento, non solo nel ricevente ma anche
nell'emittente.
La comunicazione, come abbiamo visto ha una tipica impostazione so-
ciale, nel senso che presuppone un fitto sistema di relazioni sociali. Chiun-
que, quindi, si trovi ad operare in ambito sociale è un comunicatore.
4. Il Marketing politico: analisi del rapporto tra politica e marketing
Ad un macrolivello, dopo l'organizzazione politica, l'impresa è il sogget-
to sociale per eccellenza. Ed è per questo motivo che una moderna gestione
aziendale riserva consistenti investimenti nel settore comunicazione.
In poche parole, l'azienda ha compreso l'importanza e la necessità di co-
municare, cioè di guadagnare il consenso dell'opinione pubblica.
Ciò avviene in particolare nelle aziende marketing oriented. Tralasciando
adesso gli aspetti legati in modo specifico alla comunicazione d'impresa,
occupiamoci di analizzare i sempre più intrecciati rapporti intercorrenti tra
- 12 -
politica e marketing ponendoci alcuni interrogativi: cosa accade se la po-
litica si affida al marketing fino a diventarne succube? Possono i partiti
e le organizzazioni politiche diventare aziende marketing oriented? Ed
in ogni caso il marketing politico può avere una valenza sociale?
A questi ed altri interrogativi cercheremo di rispondere.
4a L'apoteosi dei mezzi di comunicazione di massa
Partiamo dalla profezia di Michel Foucault, secondo cui il diritto in ar-
retrato ormai endemico rispetto allo sviluppo sociale, sia destinato a perde-
re gradualmente il proprio ruolo come mezzo di controllo sociale, a favore
di altri mezzi meno tradizionali, ma più insinuanti e flessibili, come i mezzi
di comunicazione di massa
8
.
Negli ultimi ottant'anni l'aspetto del mondo occidentale è stato radical-
mente mutato dalla rapida evoluzione del cinema, della radio e della tele-
visione, tre nuovi mezzi di comunicazione connessi tra loro e derivati dalla
rivoluzione tecnica iniziata sul finire del 19° secolo.
(8)
È nata una stella: cronologia della TV vedi P. NAZIO, «Manuale del giornalista», Gremese, Roma, 1990, pp. 24-42.