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INTRODUZIONE
Nell’era della comunicazione, così è definita l’attuale, il discorso sulla
comunicazione pedagogica nasce dalla constatazione di una realtà sociale
sconfortante e di portata sempre più ampia che gli studiosi di psicologia,
sociologia, pedagogia hanno evidenziato in varie parti del mondo.
Ai giovani è mancata la comunicazione pedagogica vera, non sono stati
adeguatamente educati al dialogo, alla reciproca comprensione ed accettazione
e all’empatia. Evidentemente le modalità educative messe in atto e l’avere
orientato negli ultimi decenni l’attività pedagogica prevalentemente verso
l’acquisizione di sapere scientifico, dato il vertiginoso progresso in questo
settore, hanno fatto trascurare la relazione umana.
La dimensione relazionale era molto superficiale, apparente, caratterizzata da
una certa indifferenza e scarsa disponibilità ad ascoltare e capire l’altro. Questo
atteggiamento, per niente comunicativo, ha per tanto tempo stabilito una
comunicazione distorta creando nel giovane in formazione difficoltà a
relazionarsi con gli altri.
La pedagogia, scienza dell’educazione, ha periodicamente spostato l’attenzione
privilegiando ora l’educatore ora l’educando, con mutamenti sotto l’aspetto
contenutistico, metodologico, didattico.
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È la pedagogia pratica, è la pedagogia della comunicazione che, ponendosi
come riflessione critica, storico-esistenziale, auspica un ulteriore cambiamento
privilegiando lo studio del legame interattivo educatore-educando che è alla
base di qualsiasi attività educativa.
Partendo proprio da tali considerazioni, il discorso da me sviluppato sulla
“Comunicazione pedagogica come prassi di comunicazione autentica” tende
ad evidenziare che l’educazione scolastica è un fattore determinante nella
promozione della personalità di un soggetto, che si ripercuote sulla vita sociale
e che dipende da una serie di fattori interconnessi ma fondamentalmente
riconducibili a barriere comunicative causate da scarsa partecipazione emotiva
nell’interazione educatore-educando.
Una prassi di comunicazione autentica dovrà basarsi su una relazione
interpersonale di accettazione reciproca, ascolto, incoraggiamento,
comprensione, amore per l’altro; quindi sul dialogo empatico perché i giovani
possano riacquistare il senso dei valori e scegliere, secondo le proprie
attitudini, l’orientamento migliore per la propria vita.
Il pluralismo ideologico e religioso presente nella nostra società ha determinato
una certa eclissi dei valori umani; questa, unita alla debole intenzionalità, alla
superficialità nell’operare scelte, al rifiuto di assunzioni di responsabilità, crea
nei giovani una seria difficoltà a comprendere il proprio sé reale ed a
comunicare in modo efficace con gli altri. L’uomo contemporaneo vive in uno
stato di solitudine e di problematicità esistenziale, malattia psicologica secondo
Kohut, che non favorisce per niente la realizzazione del proprio poter essere.
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Per contrastare la tendenza massificatrice e strumentalizzante della
comunicazione sociale la pedagogia si è attivata per studiare criticamente i
problemi della persona ed elaborare modalità atte a risolverle.
Nella scuola i docenti con gli strumenti pedagogici disponibili, con la
sensibilità, la competenza e l’amore hanno il compito di formare i giovani per
farne persone, ciascuna con una propria identità unica ed irripetibile.
Nella famiglia, ed in genere nei contesti in cui il giovane vive, si avvia spesso
inconsapevolmente, l’educazione con l’esempio e con i comportamenti
quotidiani. È nella famiglia unita, esempio di piccola comunità empatica, che
emozioni, sentimenti, atmosfera aperta, positiva, amorevole pongono le basi
per la costruzione di rapporti umani fondati su valori etici, rispetto di tutti i
membri, solidarietà, stima, fiducia, collaborazione; è qui e con queste premesse
che una comunicazione vera, efficace dal punto di vista educativo, ha inizio.
La comunicazione pedagogica formativa è basata su una relazione educativa
empatica tra i soggetti coinvolti; poiché risulta dalla interazione di vari fattori
interconnessi, ho ritenuto opportuno approfondire le varie tematiche
cominciando con l’analizzare, nel primo capitolo della mia tesi, il fenomeno
comunicativo nel suo complesso e gli elementi costitutivi del processo.
Individuati i fattori componenti l’atto comunicativo, ho esaminato i problemi
relativi alla codifica (intenzionalità), alla decodifica, ai canali, ai contesti in cui
avvengono gli scambi comunicativi e le funzioni specifiche della
comunicazione. Canale specifico della comunicazione umana è la parola,
pertanto nello scambio di messaggi è determinante la competenza linguistico-
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espressiva perché, attraverso il linguaggio, la persona si manifesta e si esprime
in tutta la sua singolarità.
È attraverso il linguaggio che si può gestire con consapevolezza il pensiero, gli
affetti, le emozioni, le relazioni. Espressione e comunicazione si realizzano e si
attuano nel linguaggio che permette all’uomo di manifestare la propria identità
culturale e sociale, il proprio mondo cognitivo ed affettivo, la propria
interiorità a sé ed agli altri.
Queste considerazioni mi hanno portata all’analisi, nel secondo capitolo della
tesi, della graduale acquisizione ed evoluzione del linguaggio verbale e non
verbale nel bambino. I due aspetti del linguaggio sono inscindibili perché l’uno
sostiene e chiarisce l’altro. Per entrare in rapporto con gli altri e per esprimere
se stesso l’uomo, oltre alla comunicazione simbolico-verbale, utilizza anche la
comunicazione analogica mediante il linguaggio non verbale.
Questa comunicazione, detta anche extralinguistica, rappresentata dagli sguardi
e dalle espressioni del viso, dai gesti, dai movimenti, dalla postura del corpo,
dalla distanza tra i comunicanti, dal tono e dalle inflessioni della voce,
accompagna, completa, ritma ciò che le parole esprimono; evidenzia con più
immediatezza e spontaneità la soggettività della persona. La capacità di
comunicare, di esprimere in modo personale, cosciente e creativo le proprie
idee nel rispetto di sé, degli altri e dei valori che ognuno ha interiorizzato, è il
risultato di un rapporto educativo efficace.
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Nel terzo capitolo della tesi ho parlato delle relazioni sociali nella scuola ed
evidenziato la necessità di creare nella classe un clima empatico che può
motivare e rendere stimolante tutta l’attività educativa.
Studiosi di sociologia e psicologia hanno dedotto sperimentalmente che gli
intenti e i contenuti pedagogici raggiungono il loro obiettivo se vengono attuati
in un contesto relazionale nel quale i diversi partners comunicano nel
reciproco rispetto della dignità della persona e realizzano un buon grado si
socializzazione.
Quando all’interno dei gruppi di lavoro si stabiliscono rapporti di cooperazione
reciproca, di comprensione dei bisogni e delle scelte operate, di integrazione
delle competenze, di fiducia nelle altrui possibilità si determina un clima
umano positivo che favorisce la realizzazione del compito educativo. Nella
scuola, e nella classe in particolare, la creazione del clima umano positivo è
favorita, più spesso determinata, dal comportamento e dallo stile del docente
nel guidare gli allievi lungo il percorso educativo.
Un docente che basa la relazione con i propri alunni sulla dimensione di
emozionalità piuttosto che di controllo, facilita la reciprocità nelle interazioni,
motiva la disponibilità all’impegno quindi educa anche alla
responsabilizzazione, determina un’ atmosfera relazionale empatica che è
educativa e comunicativa.
Comunicare agli alunni attività da progettare e gli scopi, o sceglierle insieme
secondo le richieste e i bisogni della classe o di un gruppo di alunni o anche di
uno in particolare, condurre democraticamente il percorso educativo, sollecita
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gli alunni alla partecipazione attiva ed alla collaborazione contribuendo in
modo significativo al processo di crescita culturale, personale e sociale. È
ormai un’esigenza sentita nei vari contesti educativi quella di realizzare
educazione personalizzando gli interventi per valorizzare le attitudini
individuali. È questo l’aspetto che ho sviluppato nel quarto e quinto capitolo
del mio lavoro.
L’educazione è un diritto di tutte le persone, principio che ha trovato il più alto
riconoscimento nella dichiarazione sulla educazione dei giovani del Concilio
Vaticano II “Gravissimum educationis”, in cui si afferma che: “ tutti gli uomini
di qualunque razza, condizione ed età, in forza della loro dignità di persona,
hanno il diritto inalienabile ad una educazione che risponda al proprio fine,
convenga alla propria indole […]”.
Al centro dell’attività educativa c’è la persona con le sue caratteristiche
peculiari, con la sua unicità ed irripetibilità.
Operando empaticamente il docente cerca di conoscere il mondo interiore e
sociale di ciascun alunno, le attitudini, le competenze acquisite e tenendo conto
di questa base, dopo il raggiungimento di obiettivi minimi comuni a tutta la
classe, proporrà attività adeguate alle possibilità ed agli interessi dei vari
soggetti. Coinvolgendoli nella scelta degli obiettivi da raggiungere e delle
attività da sviluppare, sollecitando autovalutazione critica dell’operato,
previsione dei possibili percorsi per la soluzione di un problema, cooperazione
nel gruppo gli alunni sono guidati all’acquisizione di scelte autonome e critiche
nella attivazione dei percorsi.
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L’agire empatico dell’educatore determina nell’educando, inizialmente per
imitazione poi sempre più coscientemente, comportamenti empatici verso se
stesso e verso gli altri, cominciando con spontaneità e sincerità ad aprirsi al
dialogo. Questa evoluzione affettiva, psicologica, empatica crea una situazione
comunicativa efficace sotto l’aspetto pedagogico. La comunicazione dialogica
diventa significativa nella prassi educativa poiché gli interlocutori, coinvolti
nella interazione dalla mente e dal cuore, sono ben disposti alla ricerca e
conquista del sapere e dei valori etici, sociali, estetici, religiosi.
Un dialogo tra persone che si accettano, si stimano, si incoraggiano
reciprocamente rimanendo autonome, consapevoli dei propri sentimenti e dei
propri comportamenti è sempre un dialogo ricco e costruttivo.
È un dialogo che sollecita attività di feed-back e di role-taking e se basato
sull’amore pedagogico, è spontaneo, sincero, aperto a possibili revisioni e
cambiamenti dei propri modi di leggere la realtà.
Nel dialogo empatico la parola dell’educatore è gesto personale capace di fare
crescere la relazione tra i due soggetti; è espressione di un mondo personale
quindi rivela all’altro qualcosa di sé; è carica di significato quindi capace di
attivare la sensibilità dell’educando, di disporlo a cogliere gli elementi
significativi della sua esistenza, di potenziare la competenza comunicativa ed
espressiva, di riflettere sui propri vissuti ricercando anche momenti di
“solitudine positiva” per dialogare con se stesso; la persona comincia ad
apprezzare i silenzi come occasione per riflettere e ricercare verità del proprio
mondo interiore e di quello circostante.
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La comunicazione pedagogica unita alla competenza relazionale e dialogica,
all’agire empatico dell’educatore che guida il minore nel processo di
formazione della personalità, esige iniziativa e capacità della singola persona di
attivare reti di legami secondo i bisogni degli interlocutori e gli scopi prefissati;
è la vera, autentica, efficace forma di comunicazione se guidata dalla
coscienza, animata da valori, sostenuta dall’amore pedagogico, che permette,
orientando opportunamente il percorso educativo-didattico, di realizzare lo
scopo che intenzionalmente si pone: la formazione armonica ed integrale della
persona.
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CAPITOLO I
La comunicazione
1. La comunicazione interpersonale nella società odierna
La società contemporanea sempre più industrializzata, sempre più robotizzata,
sempre più tendente al consumismo sfrenato ed irrazionale, sembra vivere un
periodo di grande confusione e disagio facilmente identificabile nella incapacità
del singolo, dell’individuo di porsi in relazione significativa e costruttiva con il
proprio simile.
In un’epoca in cui lo sviluppo tecnologico ha ridotto notevolmente le distanze
tra i popoli e tra i continenti, nonostante i moderni mezzi di comunicazione di
massa permettano una immediata e capillare diffusione di informazioni di
qualsiasi genere, l’uomo del XX secolo sembra vivere sempre più solo nella
moltitudine di gente che lo circonda; sembra aver perduto la capacità di
comunicare, di confrontarsi, di dialogare e sembra aver acquistato invece uno
stile di vita che dà sempre maggiore importanza a ciò che è comune e casuale.
Viviamo immersi in un mondo di messaggi, non solo verbali, provenienti in
buona parte dall’ambiente che influenza, condizionandolo, il comportamento
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sia dei giovani che dei meno giovani. Immagini pubblicitarie e di propaganda
hanno il sopravvento sulla parola e tendono, con la persuasione, a manipolare
scelte individuali o comuni. Il comportamento ed il linguaggio dei giovani perde
spesso di spontaneità e risente di slogans e di battute accettate, come i beni di
consumo, secondo la rispondenza ai dettami della moda
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. Si comunica poco e
spesso in mondo inefficace. La comunicazione, caratterizzata dalla mancanza di
dialogo, dalla non-reciprocità, sollecita soltanto gesti e modi di comportamento
che portano il giovane a perdere sicurezza e inventiva appiattendo la propria
vita con la routine, l’abitudine, la gregarietà. Adeguandosi passivamente agli
eventi, non assumendosi le proprie responsabilità, improntando la propria
personalità ai modelli dominanti, il singolo ha l’impressione di vivere in modo
attivo nella società, di non sentirsi solo e impotente di fronte agli avvenimenti
ma, in realtà, passivamente ed in modo amorfo appartiene alla massa ed
accentua, con la dipendenza dalle indicazioni esterne, lo stato di insicurezza
psicologica. A determinare una graduale ma progressiva spersonalizzazione
dell’uomo sembra abbia contribuito in modo notevole la elevata tecnologia dei
moderni mezzi di comunicazione: telefonia mobile, computers, mass media.
Viene data priorità all’uso della macchina anche nel campo conoscitivo; l’uomo
è succube della macchina, è manipolato dalla macchina che non potrà certo
trasmettergli valori ma favorirà in lui la dipendenza, la ricerca dell’utile o del
superfluo immediato, l’adeguamento passivo all’ambiente circostante e al
contingente. L’incapacità dell’uomo di creare dialogo con se stesso, con altri
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L. PATI, Pedagogia della comunicazione educativa, Brescia, La Scuola, 1984, p. 10-11
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simili, con il mondo dei valori, rappresenta una barriera, un disturbo del
processo di comunicazione. Il singolo infatti, dal momento che non riesce a
determinare correttamente se stesso, non riesce nemmeno ad instaurare relazioni
sociali costruttive con gli altri
2
.
Una attenta riflessione sulla situazione attuale ha reso indispensabile il ricorso
ad un discorso pedagogico che, contrastando le tendenze a rendere l’uomo un
elemento della massa, fa si che l’uomo stesso progredisca, cresca in dignità,
originalità, in valore, promuovendo migliori modalità di rapporto e sviluppando
schemi interattivi e comunicativi flessibili.
L’uomo, per essere tale, si sviluppa e forma armonicamente non in maniera
isolata, ma in quanto essere tendente alla relazione che acquista consapevolezza
di sé attraverso l’apertura all’altro, attraverso il dialogo, attraverso l’esperienza.
L’esperienza fa parte di un processo che si evolve e si esprime nel campo
sociale con una interazione di influenza e di comportamenti dei soggetti che la
vivono. Qualsiasi azione, qualsiasi comportamento, qualsiasi manifestazione di
sé (dal modo di vestirsi, ai gesti, al comportamento verbale) provoca all’esterno
la comparsa di determinate risposte comportamentali nei nostri confronti; in
altre parole con il modo di manifestarci possiamo canalizzare il comportamento
comunicativo di altri sollecitando così la condotta auspicata, cioè la persona ha
la possibilità, conformemente al gruppo sociale di appartenenza, di contribuire
in modo attivo a dare forma alla situazione che meglio risponde alle richieste, ai
bisogni e alle intenzioni. Orientare intenzionalmente la comunicazione in modo
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L. PATI, Pedagogia della comunicazione educativa, Brescia, La Scuola, 1984, p. 15-22